Opera Omnia Luigi Einaudi

Ciò che s’intende per disavanzo

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/12/1923

Ciò che s’intende per disavanzo

«Corriere della Sera», 16 dicembre 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 502-507

 

 

 

Sono state comunicate da fonte ministeriale, dopoché da parecchi giorni il volume di «Documenti» era stato distribuito ed avevo già pubblicato un articolo intorno a quella che mi pareva di esso una delle più interessanti tabelle, alcune errata – corrige, le quali mi fanno ritenere opportuno di ripubblicare la tabella con i dati corretti. Come i lettori ricorderanno essa si riferiva agli «indebitamenti» o nuovi debiti accesi in ogni anno a partire dal 1918 – 19 (in milioni di lire):

 

 

Esercizio 1918-19 1919-20 1920-21 1921-22 1922-23 Primi 5 mesi del 1923-24
Debiti interni 4.837 8.519 1.791 1.857 3.352 651
Debiti fuori bilancio 6.963 2.346 9.433 4.375 -747 -106
Totale 11.800 10.865 11.224 6.232 2.605 545
Aumento o diminuzione del fondo cassa -174 300 -831 783 974 215
Indebitamento netto interno 11974 10.565 12.055 5.449 1.731 330
Indebitamento estero, alla pari 7.951 1.301 610 746 572 -30

 

 

Le correzioni segnalate dal ministro alla sua tabella originaria si riferiscono esclusivamente all’esercizio 1922-23 ed ai primi cinque mesi del 1923-24. In sostanza, l’indebitamento netto interno del 1922-1923 invece di essere di 1.578 milioni diventa di 1.731, e quello dei cinque mesi da luglio a novembre 1923 da 371 cala a 330. Ed in questi stessi cinque mesi i nuovi debiti esteri invece di essere148 milioni, diventano di -30, ossia una quantità negativa. L’errata – corrige a questo punto dice che la differenza è dovuta a «regolamento di partite riconosciute indebite dalla tesoreria britannica». Rallegriamoci, augurando che ciò sia preludio al riconoscimento della qualità di indebito o non debito anche per tutto il resto, capitali ed interessi.

 

 

Rispetto all’indebitamento netto «interno», l’interesse della correzione sta in ciò che i nuovi debiti dei cinque mesi ammontano solo a 330 invece che a 371 e, sovratutto, che dei 330 ben 121 e non 91 sono dovuti alle obbligazioni «Venete»; cosicché il maggior debito dovuto «ad altre cause» si riduce da 280 a 209 milioni.

 

 

Poiché ho ripreso la penna su questo argomento, non è inopportuno rispondere ad una domanda fattami: quale è il significato esatto della cifra di 700 milioni di disavanzo previsto dal ministro per le finanze per il 1924-25? La miglior risposta si dà citando le proprie parole del ministro:

 

 

«Il senato certamente ricorda che io ho distinto il disavanzo dell’esercizio in corso in due grandi categorie: un disavanzo di 1.187 milioni – che prometto solennemente di non più qualificare – che dovrebbe, verificandosi, incidere sulla cassa in questo o nei futuri esercizi e un secondo disavanzo rappresentato dalle obbligazioni destinate al risarcimento dei danni di guerra. Questa seconda parte di disavanzo non incide sulla cassa perché gli interessi e le quote di ammortamento relative ai servizi delle dette obbligazioni sono già comprese in quel disavanzo… innominato di 1.187 milioni… Io credo che quel disavanzo di 1.187 milioni potrà essere nell’esercizio futuro, anche in sede di preventivo, notevolmente ridotto, sia per le diminuzioni delle spese (disavanzo ferroviario, pareggio dell’azienda postale, pensioni di guerra, diminuzioni degli interessi dei debiti, economie nella gestione del provveditorato generale dello stato), sia per i nuovi fondi che recheranno nell’esercizio futuro le provvidenze già prese relative alle entrate. Malgrado le maggiori spese, tra cui quelle per la difesa nazionale che la situazione europea potrebbe rendere necessarie, credo di poter prevedere, por l’esercizio futuro, un disavanzo di 700 milioni, che, verificandosi, dovrebbe essere fronteggiato in via straordinaria».

 

 

Se io interpreto bene il pensiero dell’on. De Stefani, il disavanzo dell’esercizio in corso e di quello futuro si ricostruirebbe così (in milioni di lire):

 

 

1923-24

 

1924-25

Prima parte del disavanzo

(vecchio disavanzo reale)

1.187

700

Seconda parte del disavanzo coperto colle obbligazioni «Venete»

 

1.500

?

Disavanzo totale

(vecchio disavanzo effettivo)

2.687

?

 

 

Trascuro per il momento la circostanza – che certo è puramente contabile e dovuta alla necessità di non confondere gli ascoltatori con troppi conteggi inutili che nel discorso alla Scala e nel progetto di bilancio presentato al parlamento invece di 2.687 si parlava di 2.616 milioni e nella «situazione di bilancio al 31 ottobre 1923» di 2.878 milioni. Queste sono accidentalità non sostanziali. L’essenziale sarebbe di sapere con precisione se sia esatta la interpretazione data alle parole del ministro; e se i 700 milioni di disavanzo del 1924-1925 siano della natura dei 1.187 di disavanzo «reale», che oggi De Stefani chiama «innominato» o dei 2.687 milioni di disavanzo totale (detto un tempo «effettivo»). Io suppongo, dal contesto del discorso, che i 700 milioni siano paragonabili ai 1.187 milioni e non ai 2.687, e in tale persuasione mi rafforzerebbe il fatto che in nessun luogo il De Stefani ha dichiarato di rinunciare per il 1924-25 alla emissione di 1.500 milioni di obbligazioni «Venete». Se noi supponiamo che nell’anno venturo si debbono emettere di nuovo i 1.500 milioni, il disavanzo «totale» previsto risulterebbe di 2.200 milioni.

 

 

Nell’incertezza emetto solo ipotesi; ma faccio un augurio: che non solo non si usino più le parole disavanzi «reali» ed «effettivi» – ma la cosa stessa venga solennemente distrutta, sicché non se ne senta mai più discorrere.

È già un progresso parlare di disavanzo «innominato»; ma un progresso ancor più grande sarà quello di trovarsi di fronte ad una sola cifra di disavanzo, chiara, inequivoca.

 

 

È noto quale fosse la terminologia fin qui usata per parlare di disavanzo. C’era un disavanzo «effettivo» ed un disavanzo «reale»; parole che ai più sembravano sinonime ed invece celavano differenze profonde. Il disavanzo «effettivo» era la differenza tra le entrate effettive, riscosse e rimaste da riscuotere alla fine dell’esercizio, e le spese pure effettive, pagate e rimaste da pagare. Anche il disavanzo effettivo era ed è una entità un po’ misteriosa, per via di quelle «rimaste da riscuotere e da pagare», che non si sapeva e non si sa a quali fatti concreti corrispondano. Perciò io preferisco parlare di «indebitamento» che è invece la differenza fra il riscosso ed il pagato, di fatto, senza preoccuparsi se si sia riscosso o pagato per ragioni relative all’esercizio in corso o ad esercizi passati o futuri. L’indebitamento è un fatto grossolano; ma sicuro e tangibile. Il disavanzo è un fatto ideale, che può essere tirato su o giù, guardando con occhio pessimista o viceversa le spese rimaste da fare e le entrate rimaste da riscuotere. Dopo tutto però, e in confronto all’altro, il disavanzo «effettivo» era forse un apprezzamento soggetto ad errori, ma sufficientemente chiaro.

 

 

Quello che era un mistero assoluto era il disavanzo «reale». Per non perdere troppo tempo in parole, tento di chiarirne il concetto con un quadretto ipotetico:

 

 

A

 

B

C

Avanzo o disavanzo «effettivo» o differenza tra entrate e spese effettive

– 2.200

+ 800

Sovrappiù degli incassi per debiti nuovi sui rimborsi di debiti vecchi (+) o dei rimborsi di debiti vecchi sugli incassi per debiti nuovi (-)

+ 1.500

– 700

– 1.500

Disavanzo «reale»

– 700

– 700

– 700

 

 

Ho ipotizzato tre casi, in cui il disavanzo «reale» fosse sempre di 700 milioni di lire. Ho scelto la cifra di 700 milioni perché era quella del disavanzo annunciato per l’esercizio 1924 – 25 e per far vedere a quali stravaganze conduceva la vecchia terminologia. In sostanza il disavanzo «reale» si otteneva togliendo dal disavanzo «effettivo» i debiti previsti in bilancio e contratti nell’esercizio; od aggiungendo ad esso i rimborsi dei debiti avvenuti nell’esercizio. Precisamente il contrario di quanto fa per conto suo ogni persona sensata! Se Tizio ha speso di più del riscosso 2.200 lire e per far questo si è già fatto imprestare 1.500 lire, dirà che il suo disavanzo è di 2.200 lire, coperto per 1.500 lire e da coprire per 700 lire.

 

 

Lo stato sottraeva invece dal disavanzo «effettivo» la parte coperta e diceva che il suo disavanzo «reale» era solo di 700 lire.

 

 

Nascevano da ciò situazioni originalissime.

 

 

Nel caso A, c’è un disavanzo effettivo o vero e proprio di 2.200 milioni; ma poiché si previde già in bilancio di far debiti in eccedenza ai rimborsi dei vecchi, per 1.500 milioni, basta, durante l’anno, provvedere a fare altri 700 milioni di debito (cosidetto disavanzo reale).

 

 

Nel caso B, le entrate si pareggiano con le spese. Il bilancio è ottimo. Ma poiché, durante l’anno, si vollero rimborsare più debiti vecchi, di quanti se ne siano creati, per 700 milioni, secondo il nostro venerabile e grottesco linguaggio contabile diciamo di essere in disavanzo reale di 700 milioni.

 

 

Nel caso C, le entrate superano le spese per 800 milioni. Situazione meravigliosa. Ma in quell’anno, si vollero, non facendone di nuovi, rimborsare debiti vecchi per 1.500 milioni. Le leggi nostre di contabilità ci proclamano in disavanzo reale di 700 milioni.

 

 

L’on. De Stefani non parla più di disavanzo «reale». Spero che ciò voglia anche dire che il modo di presentare i conti è cambiato.

 

 

I lettori guardino al confronto scritto sopra tra il 1923-24 e il 1924-25. Lì, parafrasando le parole del ministro, ho parlato di prima parte del disavanzo (vecchio disavanzo reale), di seconda parte (vecchia differenza fra debiti previsti a contrarsi e previsti a pagarsi), e di disavanzo totale (vecchio disavanzo effettivo). La nuova terminologia mi pare buona. Per maggior chiarezza darei alla seconda parte il nome di disavanzo coperto ed alla prima parte il nome di disavanzo previsto ma non ancora coperto. Ed il bilancio si presenterebbe con le seguenti cifre ipotetiche:

 

 

Entrate effettive

 

16.000

Spese effettive

 

18.200

 

Disavanzo

– 2.200

 

 

composto così:

 

 

Parte coperta con le obbligazioni «Venete»

 

1.500

Parte da coprire

 

700

 

Disavanzo totale

2.200

 

 

Questo metodo di scrivere mi parrebbe chiaro e rispondente alla pratica universale delle persone che fanno i proprii conti alla buona e sensatamente.

 

 

Quanto alla domanda rivoltami: che cosa significano i 700 milioni di disavanzo annunciati pel 1924-25, io direi che, dal contesto, sopra riprodotto testualmente, del discorso De Stefani, esso parrebbe equivalente alla parte da coprire del disavanzo; e che per avere il disavanzo totale, bisogna aggiungervi l’ammontare delle obbligazioni venete, che per il 1923-24 furono fissate in 1.500 milioni. A quale cifra saranno fissate per il 1924-25? E sono davvero da aggiungere ai 700 milioni o vi sono già comprese?

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