Opera Omnia Luigi Einaudi

Dell’autarchia, della mortalità e di altre variazioni recenti dell’economia italiana narrate da contemporanei

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1937

Dell’autarchia, della mortalità e di altre variazioni recenti dell’economia italiana narrate da contemporanei

«Rivista di storia economica», settembre 1937, pp. 269-276

In estratto: Torino, Einaudi, 1937, pp. 8

 

 

 

 

Reale Accademia Nazionale dei Lincei – Dal regno all’impero: 17 marzo 1861 – 9 maggio 1936 – quattordicesimo. Pubblicazione commemorativa della proclamazione dell’impero. Roma, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, 1937 – quindicesimo. Un vol. in quarto di pp. settimo – 713. S. i. p.

 

 

Dieci anni di economia fascista: 1926 – 1933. La formazione dell’economia corporativa. In Annali di economia, vol. dodicesimo. Padova, Cedam, 1937 – quindicesimo. Un vol. in ottavo di pp. 4 s. n. – 577. Prezzo L. 60. L’economia italiana nel 1936, nel fasc. di luglio 1937 della Rivista internazionale di scienze sociali pubblicata a cura dell’Università cattolica del Sacro Cuore, Milano. Da pag. 389 a 697.

 

 

1. L’Accademia dei Lincei pubblicò nel 1911, sotto il patronato del Re e cogli auspici del governo, ad illustrare «i progressi compiuti dal governo nazionale nelle principali manifestazioni della vita pubblica, dalla proclamazione del regno d’Italia sino ad oggi», tre volumi in quarto di più di (664 + 764 + 890) 2.300 pagine. Il presidente Blaserna aveva posto ai relatori il quesito: «quali erano le condizioni del nostro paese nel 1861, quando varie sue parti si riunirono per formare il regno d’Italia; e quali sono le sue condizioni al giorno d’oggi, rispetto ai singoli argomenti trattati nelle 25 relazioni» nelle quali era partito il lavoro. I tre volumi, frutto di quella iniziativa lincea, rimangono documento storico notevolissimo intorno alle vicende del primo cinquantennio italiano. Ricorderò solo, tra quelle più meritamente e largamente utilizzate oggi dagli economisti, le memorie di Rodolfo Benini sul movimento demografico, del Valenti sull’agricoltura italiana, del Coletti sulla emigrazione e dello Stringher su gli scambi con l’estero e la politica commerciale dal 1860 al 1910.

 

 

Segnalabile per la descrizione della gran strada percorsa nel cinquantennio, l’opera lincea del 1911 era forse ancor più notabile per l’esame critico del lungo cammino che ancora gli italiani dovevano compiere per giungere a degna condizione di vita materiale e spirituale. L’odierna pubblicazione, nella quale l’antica non è ricordata nella premessa del presidente Vittorio Rossi, ha, nonostante il sottotitolo 1861-1936, sovratutto l’intento di descrivere i progressi compiuti nel quindicennio corso dopo il 1922. Poiché, secondo la dichiarazione scritta all’inizio della memoria introduttiva, «i primi cinquant’anni di vita del Regno d’Italia si presentano come un’epoca di decadenza e quasi di regresso», sono ovvii il mancato ricordo della pubblicazione del 1911 e la attenzione rivolta degli insigni collaboratori, «»accademici lincei ed altri scrittori di particolare competenza«», quasi esclusivamente alle cose ed agli istituti del tempo più recente.

 

 

Quindi l’una opera continua l’altra; ed ambe forniranno agli storici del futuro materia di meditazione attenta. Se non erro ed a tacere il nome dei Millosevich, dei quali Elia contribuì all’opera del 1911 una memoria sulle esplorazioni geografiche italiane e Federico a quella del 1937 altra sulla politica mineraria attuale, il solo collaboratore comune è il Benini, che eccellentemente scrisse allora e ritorna a scrivere oggi intorno alla demografia italiana dopo il 1860. La più parte degli scrittori del 1911 sono morti; dei viventi, Francesco Coletti avrebbe potuto dar seguito allo studio, rimasto classico, sulla emigrazione italiana. Ma quel soggetto oggi non fu più trattato. Tra le due imprese corre una differenza di tono, che deriva dalla diversità del tempo.

 

 

Quella del 1911 non è sistematicamente informata ad un concetto. Ogni collaboratore narra le vicende o descrive gli istituti di suo dominio facendo grande sforzo di obbiettività. A tratti perciò il discorso è critico; si analizzano vizi e mancanze e si vorrebbe il meglio. Raffaele De Cesare, chiudendo lo sguardo sommario introduttivo sulla storia politica italiana, dice «varia e difficile» la storia del cinquantennio «anche perché contemporanea, con uomini tuttora vivi, passioni non spente, e fatti dei quali, se molti son degni di plauso e di orgoglio, altri sono da segnalare al biasimo dei futuri». Più benevolo, Rodolfo Benini definisce il tempo da lui flora studiato «questo breve, ma grande mezzo – secolo, il quale vide comporsi la nostra gente, già divisa, a forte compagine unitaria, crescere senza compressioni eccessive della sua fecondità, di sedentaria farsi straordinariamente migrante, addestrarsi alla meccanica delle grandi industrie colla versatile genialità, con cui seppe trattare e tratta le arti belle»; ma non sa trattenere i suoi dubbi di statistico intorno alla sincerità del nostro popolo se chiamato a rispondere a domande di censimento; ed augura, a chi riprenderà il filo del discorso, di potere «illustrare il valore di tutta la nazionalità italiana, nell’antica patria e fuori». Fortunato lui, che, unico fra gli scrittori del 1911, poté egli stesso rispondere all’augurio!

 

 

Se ognuno dei collaboratori del 1911 discuteva il proprio problema a norma della concezione che di esso si era fatto ed ogni memoria vive indipendente dalle altre, oggi vedesi chiaro un più solerte lavorio di unificazione. Il libro vuol essere storia, ma è sovratutto battaglia. Il che non scemerà e forse crescerà il valore di esso agli occhi dello storico futuro. Forseché le agiografie medievali non sono materia preziosissima di studio per gli storici odierni della vita ecclesiastica? Chi meglio del monaco aspirante a santità poteva in se stesso vivere e far rivivere ai lettori la vera vita intima dei santi?

 

 

La partizione medesima del volume:

 

 

1)    La difesa della razza e l’educazione delle nuove generazioni;

 

2)    Lo stato corporativo;

 

3)    Il rinnovamento degli istrumenti di potenza;

 

4)     Le grandi opere pubbliche;

 

5)    incremento scientifico e culto della tradizione di Roma;

 

6)    L’Italia di fronte al mondo, – dice che fu redatto un programma di lavoro, e che ad ogni collaboratore fu affidato un compito.

 

 

Al quale ognuno rispose a norma del proprio temperamento: il Benini analizzando cifre e giungendo a conclusioni con la cautela propria dello statistico professionale, qua e là riscaldata, dove le cifre non parlano da sé, dall’empito patriottico; il Parravano, tecnico insigne, dando ai fatti di incremento industriale quel candido valore definitivo che essi hanno per il tecnico non raffrenato dalla necessità di rispondere alla domanda: a costo di quale altro incremento? che, a ben guardare, è la sola a cui sono chiamati a rispondere per loro istituto gli economisti. Cito questi due soli; ma dovrei citare tutti, per fornire un adeguato riassunto del contributo dato dal volume linceo alla conoscenza dell’Italia presente.

 

 

2. Dal 1909 al 1921 per tredici anni Riccardo Bachi pubblicò col titolo L’Italia economica nel 1909…. 1921 ed in supplemento annuo alla rivista La riforma sociale un Annuario della vita commerciale, industriale, agraria, bancaria, finanziaria e della politica economica che dalle 181 pagine del primo volume giunse verso la fine a superare le 500 pagine. Alla fatica, durata da solo, il Bachi non poté dar seguito; ma i tredici volumi compiuti rimangono documento preziosissimo per chiunque vorrà scrivere la storia del tempo fortunoso che comprese la grande guerra e l’agitato dopo-guerra.

 

 

Solo chi, per scrivere a sua volta storie, dovette, come fu obbligo mio, leggere quegli annuari, può apprezzare la scrupolosità, la compiutezza, la continuità delle informazioni di dati e di fatti in esse contenute. Oggi non sarebbe possibile ricostruirli se non a prezzo di ricerche di decenni e forse non sarebbe possibile affatto. Dopo che il Bachi sospese l’impresa, Epicarmo Corbino iniziò la stampa degli Annali dell’economia italiana conducendo in quattro volumi, dal 1861 al 1900, una narrazione, che auguriamo egli trovi la lena di continuare, come è suo proposito, sino ai giorni nostri a vantaggio di quanti vorrebbero conoscere la storia dei tempi vicini, ahi! quanto più difficile a seguire, per la stessa strabocchevole abbondanza del materiale, di quella di talun tempo remoto.

 

 

Né l’una né l’altra di queste cronache – e quella del Bachi era senz’altro la più vicina ad essi – hanno voluto ricordare i curatori del nuovo annuario su L’economia italiana nel 1936, del quale meritoriamente iniziano la pubblicazione, a cura della Università cattolica del Sacro Cuore, il rettore fr. Agostino Gemelli e’ il direttore della Rivista internazionale di scienze sociali prof. Amilcare Fanfani. Dichiara il Gemelli di aver voluto riprendere «l’idea di dare ai nostri studiosi una – rassegna simile a quella che, per citare un esempio, per la Francia compiva la Revue d’économie politique». Come questa, l’annuario italiano è dovuto alla collaborazione di parecchi studiosi: Marcello Boldrini per la popolazione, Giuseppe Tassinari e Giuseppe Medici per l’economia agraria, Giovanni Demaria per l’industria e il commercio, Mario Alberti per la moneta, il credito, le banche e le borse, Albino Uggè per i prezzi, i salari, il costo della vita e l’occupazione operaia, Ernesto D’Albergo per la finanza statale, Francesco Vito per la politica economica e sociale corporativa, Romeo Vuoli per la politica coloniale, Jacopo Mazzei per la politica economica internazionale.

 

 

La signorina Fausta Lapenna ci dà un elenco, che probabilmente sarà consultatissimo, delle disposizioni legislative concernenti cose economiche emanate in Italia nel 1936. Distinto in tredici gruppi, fornito dell’indicazione del titolo, della data e del numero della norma, e degli estremi della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e corredato di un breve riassunto del contenuto delle disposizioni più importanti, questo elenco è davvero strumento prezioso di studio.

 

 

Se l’Università cattolica milanese desse alla compilatrice i mezzi per risalire al 28 ottobre 1922 ed alla Lapenna durasse l’animo alla ingrata fatica, un elenco quindicennale di tal fatta, aggiornato poi ad ogni cinque anni, fornito di richiami, di riassunti e di indici, sarebbe accolto con gratitudine dagli studiosi, i quali oggi si danno alla disperazione quando ad essi occorre riandare o richiamare qualcuna delle innumerevoli e mutevoli norme regolatrici della materia economica ai tempi nostri. Se, per la varietà dei collaboratori, l’annuario italiano rassomiglia all’annuario francese, tutto diverso ne è lo spirito. Charles Rist, curatore dell’annuario francese, guarda preoccupato all’orientamento autarchico che, logicamente spinto dalla politica di riforma della distribuzione dei redditi a favore delle classi lavoratrici, il governo francese è via via costretto ad assumere in materia di moneta e di dogane. egli vede nell’isolamento economico, che ne segue, una ragione di isolamento politico dagli alleati anglosassoni ed una causa di impoverimento progressivo.

 

 

L’annuario italiano è invece la illustrazione degli aspetti, delle modalità e dei successi dell’autarchia. Come l’Italia abbia fronteggiato le sanzioni proclamate a Ginevra il 18 novembre 1935; come essa abbia realizzato il monito del capo del governo del 23 marzo 1936: «La nuova fase della storia italiana sarà dominata da questo postulato: realizzare nel più breve termine possibile il massimo possibile d’autonomia nella vita economica della nazione»: – ecco l’oggetto delle indagini contenute nell’annuario italiano.

 

 

Affiora, qua e là, la domanda che sopra ho detto propria dell’economista: a che costo? – propria se si ritiene che la economica sia esclusivamente la scienza delle sostituzioni di beni limitati in quantità per raggiungere mete contrastanti e varie all’infinito; – ma è fatta tacere dall’altra domanda: poiché la sola meta è la potenza della nazione, e poiché l’autarchia economica è postulata mezzo necessario a siffatta meta, quali i mezzi adottati per raggiungere l’autarchia e fino a qual punto furono attuati? Quando si ponga chiaramente la premessa che questo e non altro è l’oggetto della ricerca, l’annuario si palesa ricchissimo di notizie preziose per lo storico economico, per lo storico presente e più forse per quello futuro.

 

 

3. Il volume pubblicato negli Annali di economia della «Università commerciale Bocconi di Milano» ha altra natura. Non è ricordo di cose accadute; è sovratutto ricostruzione. Presentandolo, Gustavo Delvecchio, direttore dell’Istituto d’economia e rettore dell’Università, nota con giusto orgoglio che esso «costituisce un tentativo di serietà massima per risolvere il problema di esporre il sistema economico che è tuttavia in corso di attuazione in Italia». Il tentativo doveva essere compiuto; poiché non era pensabile che il compito di ricostruire gli istituti del sistema corporativo fosse troppo a lungo abbandonato dagli studiosi a pubblicisti sforniti della preparazione metodologica all’uopo occorrente.

 

 

Gli agiografi probabilmente faranno il viso dell’armi alla più parte dei collaboratori accusandoli di avere condotto intorno ad ogni problema una analisi teorica condotta a norma dei canoni usuali della scienza tradizionale e di avervi giustapposto poi un paludamento esteriore detto corporativo, che non fa corpo con l’analisi teorica e pare messo lì per giustificare il titolo del volume. Non è mio compito discutere, in una rivista di storia, il problema teorico.

 

 

Dico essere, per lo storico, importanti ambe le ricerche: sia quelle di chi ha concepito lo schema puro del nuovo sistema e ne vede l’attuazione graduale nei fatti, sia quella di chi studia i fatti entro lo schema classico e questo modifica solo nella misura che a lui sembra richiesta dal mutarsi dei fatti. Poiché tutti gli scrittori del volume si muovono entro i quadri del sistema, la circostanza che i fautori del secondo indirizzo di ricerca sono più numerosi di quelli del primo, sembra provare soltanto che le abitudini di prudenza nell’argomentare e nel concludere non sono venute meno tra gli studiosi italiani.

 

 

Tipico esempio di prudenza scientifica è il saggio del Fasiani sui Principii generali e politiche delle crisi: 69 pagine di analisi dei principii delle crisi e 14 di esame delle varie politiche – (liberistiche, parzialmente interventistiche, comunistica e corporativa) – della crisi. La sua conclusione favorevole ad una politica corporativa delle crisi non gli vieta di dare la massima attenzione all’analisi delle cause di esse. Se le crisi sono qualcosa rispetto a cui faccia d’uopo condurre una politica, prima esigenza è «conoscerle». Prima il conoscimento e poi l’azione.

 

 

4. Questo del Fasiani parmi essere, per quel che è conoscimento teorico, il più bel saggio della accolta di volumi qui considerati. I più bei diagrammi sono certo quelli allegati dal Bachi al saggio sul mercato finanziario italiano 1919 – 1936. Si è siffattamente abituati a vederci poste sotto gli occhi linee, le quali, pur andando su e giù, nonostante gli sforzi dei compilatori a parafrasarle in equazioni o in parole volgari, non ci dicono niente, o niente che non fosse risaputissimo innanzi alla fatica del ridircele in pittura, che è un vero piacere guardare i diagrammi del Bachi.

 

 

Qui non fanno d’uopo parole spiegative. V’è un diagramma C che paragona il valore dei titoli scambiati nel 1928 e nel 1934 nelle borse italiane. La massa totale dei valori scambiati è ridotta ad un terzo; ed, in questa massa totale, laddove nel 1928 l’80 per cento era fornito dalle azioni a reddito variabile ed il 20 per cento dai titoli a reddito fisso, nel 1934 i titoli a reddito fisso balzano al 56 e le azioni scendono al 44 per cento.

 

 

Quale rivolgimento in pochi anni di crisi! Il gran tracollo dei valori a reddito variabile (azioni), che un altro diagramma ci dice discesi dall’indice 147 nel 1925 a 40 nel 1932 (85 a fine 1936) induce i risparmiatori a rifugiarsi nei titoli di stato a reddito fisso, anch’essi discesi dall’indice 75 nel 1924 a 55 nel 1927, ma risaliti ad 83 a fine 1936. Niente meglio di questo diagramma, così semplicemente costrutto, giova a mettere in luce il grado di padronanza assunto dallo stato sull’economia italiana.

 

 

Quando dico che i risparmiatori «si rifugiano», ciò significa che essi «effettivamente» abbiano abbandonato gli investimenti a reddito variabile per rifugiarsi in quelli a reddito fisso? Il Demaria (in L’economia italiana, del 1936, pag. 490) parrebbe concludere di sì, poiché osserva che senza i disinvestimenti netti delle società per azioni (un quarto di miliardo nel 1935; 3,5 miliardi nel 1933; 1,2 nel 1932; 1,4 nel 1931); non si sarebbero verificati gli aumenti nei risparmi di banca verificatisi nel periodo dal 1929 al 1936: 16 miliardi, i quali «»altrimenti non si spiegherebbero con le difficoltà economiche portate dalle crisi«». Qui ci deve essere un equivoco. In notevole parte i 16 miliardi di aumento nei depositi a risparmio dal 1929 al 1936 devono essere stati dovuti a disinvestimenti del commercio e dell’industria e dell’agricoltura: fondi merci riacquistati in quantità minore ed a prezzi calanti, quote di deperimento e di riparazione non reimpiegate. Ma i «disinvestimenti netti» avvenuti nelle società per azioni significano vere liberazioni di capitali investiti ridivenuti risparmi liquidi ovvero, come per la più parte ho il fiero sospetto sia accaduto, perdite secche? Con le quali non si alimentano, pare, i depositi di nessuna banca.

 

 

5. I due istruttivi saggi del Borgatta (in Annali di economia, pagg. 292) e dell’Uggè (in L’economia italiana nel 1936, pagg. 521) pongono un quesito curioso. è nota la divergenza spiccata nelle variazioni fra i prezzi delle merci importate e quelli delle merci esportate. Dal 1933 (media anno) al giugno 1937 (cito direttamente dal Bollettino dell’Istituto centrale di statistica) l’indice (base 1925=100) dei prezzi delle merci importate salì da 34,08 a 68,20, laddove quello per le merci esportate salì solo da 35,97 a 46,94. I due autori accertano il fatto e ne segnalano il significato: si sono acquistate a prezzi crescenti le merci necessarie all’industria ed al consumo nazionali e si sono vendute a prezzi relativamente bassi le merci esportate, per la necessità di facilitare le vendite opportune ad assicurare alla nazione i mezzi di pagare le importazioni.

 

 

La spiegazione non dà luogo a dubbio. Ma quegli indici non richiedono qualche correzione?

Bisognerebbe sapere se essi siano costrutti: a) sulla base del solo prezzo convenuto in moneta estera tradotti in moneta italiana al cambio legale, ovvero b) di questo, più i premi che enti diversi e sistemi particolari di compensazione concedono legalmente a chi esporta o fanno pagare a chi importa.

 

 

Suppongasi che Tizio importatore di lana greggia, in un momento nel quale il chilogrammo di lana è quotato all’Havre nell’equivalente di 30 lire ed a Milano a 60 lire, sia autorizzato ad importare tante balle di lana quante occorrono per esportare il valore di 1.000 lire sterline di tessuti di lana. Suppongasi che gli siano assegnate dall’Istituto dei cambi esteri 500 lire sterline per consentirgli il rifornimento della lana greggia necessaria per la continuità del lavoro; che 250 lire sterline debbano essere cedute all’Istituto al cambio legale di 94 lire, e che di 250 lire sterline gli sia data la libera disponibilità. Suppongasi che Caio, pur lanaiolo, sia mal provveduto di lana greggia. Poiché egli potrebbe, se ne ottenesse l’assegnazione, acquistare la lana sul mercato interno al prezzo di lire 60, conviene a lui pagare a Tizio, col beneplacito dell’autorità competente, le lire sterline a qualcosa meno di lire 188 se ciò gli consente di acquistare all’Havre la lana ad un prezzo in franchi equivalente a lire 30 il chilogrammo.

 

 

A che prezzo è scritta la lana importata nelle statistiche delle importazioni? A lire 30 prezzo

d’acquisto all’Havre, ovvero a lire 59,50 quale – risulta dalla contemporanea transazione in lire sterline fra Tizio e Caio? A qual prezzo sono scritte le 1.000 sterline ricavate dalla vendita dei tessuti all’estero? Tutte al cambio ufficiale di lire 94 ovvero in parte e cioè L. st. 750 a questo cambio e in parte ossia L. st. 250 al cambio speciale autorizzato di lire 187 ? Non so in quale misura innanzi al 5 ottobre 1936 transazioni cosiffatte o simiglianti fossero autorizzate dalle autorità all’uopo competenti. Sino a che non si riesca ad apprezzare, anche approssimativamente, l’importanza di esse, il significato dei divari calcolati fra i numeri indici dei prezzi all’importazione ed all’esportazione rimane malcerto.

 

 

6. Forse la conclusione pregna di maggior contenuto tra quelle a cui sono giunti gli egregi studiosi dell’economia corporativa nei tre volumi recensiti è quella di Demaria, quando afferma che «la caratteristica saliente dell’attuale organizzazione corporativa delle industrie e dei commerci» è data dal fiorire di enti che egli chiama «di privilegio» (pagg. 482 – 486 di L’economia italiana nel 1936). I vocaboli di «monopolio», «monopoloide», «oligopolio» non gli paiono propri, perché «si addicono piuttosto a situazioni di economia privata».

 

 

Invece I’ Istituto mobiliare italiano (I.M.I.), l’Istituto per la ricostruzione industriale (I. R. I.),

il Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, la Banca nazionale del lavoro, l’Azienda generale petroli, l’Ufficio vendita zolfi, l’Ufficio combustibili liquidi, la Camera agrumaria, la R. Azienda monopolio banane, la Società nazionale Cogne, l’Ente nazionale risi, l’Istituto cotoniero italiano, l’Azienda autonoma della strada, a citarne solo alcune fra le molte, sono imprese di carattere pubblico; hanno poteri vastissimi che vanno dalla regolazione dei prezzi per i corporati a quella dei cambi e delle produzioni, dal diritto di placet a quello di nomina diretta degli amministratori delle imprese controllate dagli enti di privilegio; informano in gran parte la loro azione a scopi di carattere militare; mutano profondamente lo spirito informatore dell’azione economica. Nel campo bancario, a cagion d’esempio, alla banca privata è rimasto un mero lavoro di esecuzione e cioè di raccolta di capitale e di collocamento secondo direttive venute dall’alto.

 

 

Si evitano, dice Demaria, i doppioni; e coll’unità di direzione si riesce ad «indirizzare rapidamente e senza grande dispersione di energie le forze economico – bancarie del paese nel senso voluto dalle supreme gerarchie». Probabilmente la constatazione non è nuova; ma è significativo e suggestivo il nome «ente di privilegio» proposto dal Demaria.

 

 

Altrove – ma pare si tratti di lezioni litografate ed il ricordo, spiacevole agli occhi, della lettura delle dissertazioni di laurea basta a renderle inaccessibili – il Demaria deve aver abbozzato la teoria di questi enti. Quando l’avrà conchiusa a stampa, sarà interessante vedere come egli abbia superato la difficoltà della definizione precisa dell’interesse pubblico, gran pietra d’inciampo nella costruzione di una teoria «economica» degli enti privilegio. Per ora ci dobbiamo contentare di teorie politiche o sociologiche o giuridiche, le quali girano attorno al problema che gli economisti, come tali, sarebbero chiamati a risolvere.

 

 

7. Se bado non più a desideri di spiegazioni e di teorie, ma a storia di fatti, confesso che il fatto che più mi colpì attraverso alle 1.600 pagine dei tre volumi recensiti è quello rivelato dalla tabella che segue, costrutta da Marcello Boldrini (in L’economia italiana nel 1936, pag. 414) in modo che più semplice e più mirabile non si potrebbe desiderare. Trattasi delle variazioni, tra il 1872 ed il 1935, dell’età mediana dei morti secondo il sesso (in anni e centesimi di anni):

 

 

Anni

Maschi

Femmine

Totale

1872

4,83

5,75

5,33

1882

4,92

7,67

6,00

1892

9,83

17,33

14,00

1902

18,42

22,25

20,50

1912

29,83

32,83

31,50

1922

42,25

44,42

43,33

1932

53,00

55,17

54,00

1933

53,95

56,24

55,00

1934

54,35

56,79

55,52

1935

55,65

58,73

57,15

 

 

In generale non mi sento attratto dalla scienza demografica, i cui cultori sembrano intenti a spaccar capelli in due con sottigliezze indicibili. So di aver torto, perché solo a prezzo di fatiche inenarrabili e spesso sterili è possibile scoprire i pochi veri fecondi. Forse, però, ho il consenso dei laici i quali, impazienti delle lenti esasperanti ricerche preliminari, vorrebbero sapere quel che di veramente illuminante quella, come tant’altre scienze nuove o rinnovate, sa dirci. Qui, la tabella illumina. Si sapeva che la mortalità dei bambini era grandemente diminuita e che la sanità della razza era migliorata.

 

 

Una impressione complessiva mancava. Ecco Boldrini darcela in poche cifre. Mettiamo in fila i morti dal bambino appena nato al vecchio cadente e contiamo. Quando saremo arrivati a metà della mesta fila, registriamo l’età di colui che si trova in quel punto. Nel 1872 avremmo trovato che quel morto aveva appena 5,33 anni. Nel 1912, quarant’anni dopo, alla vigilia della guerra, avremmo presto passato i giovanetti ed i giovani e ci saremmo fermati ad un morto dell’età di 31,5 anni, quasi a quel momento che Dante chiamava il mezzo di nostra vita. Dieci anni dopo, nel 1922, avrebbe risposto all’appello, a mezzo della fila, il morto di 43,33 anni. Oggi (1935), siamo giunti all’età incredibile di 57,15 anni. Vi furono nel 1935 giusti giusti tanti morti prima come dopo quell’età. L’età «mediana» è dunque oggi più di dieci volte quella che era tale dopo la presa di Roma!

 

 

Boldrini adopera, a segnalare la grandezza del fatto le parole «straordinario… colossale successo». Direi che quelle cifre hanno del prodigioso e non parrebbero vere se non fossero state calcolate da uno studioso perfetto come nelle cose statistiche è il Boldrini. Il successo è siffattamente grande, che parrebbe difficile andare più in là; ma, pur riconoscendo che «i progressi sulla via della riduzione della frequenza mortuaria diventano via via più difficili, man mano che si approssima il livello minimo» l’autore afferma esistere «ancora un forte margine per un ulteriore progresso». Supereremo le difficoltà e progrediremo ancora. è bello combattere contro le insidie alla vita umana e vincere!

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