Opera Omnia Luigi Einaudi

103.30

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/09/1901

103.30

«La Stampa», 21 settembre 1901

 

 

 

Nei giorni scorsi il cambio è disceso al disotto di 104, e precisamente ha quotato 103 30 sulla piazza di Torino. È questo un avvenimento di importanza grandissima, la cui significazione è ben più notevole dell’aumento – pur esso tanto confortante – del corso della Rendita al di sopra di 99 a Parigi.

 

 

Poiché l’aumento del corso della Rendita è un sintomo delle migliorate condizioni economiche del nostro paese; è un indizio di rinnovata fiducia nello Stato italiano, di accresciuta ricchezza e di risparmi fecondatori affluenti in cerca d’impiego. Ma nulla più.

 

 

Invece il ribasso del corso del cambio è non solo un sintomo lieto di traffici prosperi, di risanata circolazione, di rialzato credito dello Stato; ma è anche un beneficio positivo per l’economia pubblica, per i contribuenti e per i cittadini tutti.

 

 

Per dire il nostro pensiero in breve, il ribasso del corso del cambio significa che una imposta ed un’imposta gravosissima se ne va da sé, si abolisce spontaneamente senza disegni di legge, senza discussioni in Consiglio dei ministri, senza studi di Commissioni parlamentari e senza articoli pro e contro dei giornali.

 

 

Noi non vogliamo dire che l’aggio vada grandemente scomparendo per opera del solo caso. La tutela della solidità del bilancio, la rigida amministrazione del tesoro, le resistenze ai clamori di coloro che ad ogni tratto invocano un incremento nella circolazione dei biglietti ed altre cautele saggiamente escogitate molto contribuirono al raggiungimento dell’auspicato ribasso dell’aggio. Ma è bene che il pubblico sappia che – mentre tanto si discorre di riforma tributaria, di sgravi per i miseri ed ogni giorno si pretende che i ministri delle finanze apprestino dei piani completi di trasformazione di tributi – si viene maturando di giorno in giorno, col ribasso dell’aggio, una riforma tributaria ed economica che avrà vaste conseguenze per il paese.

 

 

La scomparsa dell’aggio vale infatti per i poveri molto, ma molto più che l’abolizione totale dell’imposta sul sale e che l’abolizione di altre imposte.

 

 

Qual è quella famiglia operaia che non spenda dalle 500 alle 1000 lire all’anno in vivande, vestiti ed altri oggetti di prima necessita? E non sono forse da 50 a 100 lire all’anno (se l’aggio è al 10 %), e da 25 a 50 lire (se l’aggio è al 5 %) che bisogna spendere di più quando il salario lo si riceva in carta deprezzata in confronto di quando lo si riceve in oro sonante?

 

 

L’aggio è un’imposta a cui nessuno può sottrarsi; che tutto colpisce, prima gli oggetti che vengono dall’estero, e poi, per rimbalzo, anche quelli che sono prodotti all’interno. In virtù dell’aggio le entrate che nominalmente sono di 1000 lire son ridotte ad un valore intrinseco di 900, 950 lire.

 

 

Né i danni dell’aggio si limitano a far sfumare, come per incanto, il reddito dei cittadini. L’aggio è un malanno così sottile e velenoso che attrista tutta la vita di un paese ed inaridisce la sorgente medesima della produzione. Esso oppone una barriera insormontabile alla introduzione dei capitali stranieri ed all’incremento dei traffici coll’estero. Quale capitalista forestiero vorrà portare in Italia i suoi capitali quando corre l’alea di vederne sfumare misteriosamente il valore se l’aggio aumenta?

 

 

Se molte industrie non sorgono, se numerose schiere di operai mancano di lavoro, la colpa è dell’aggio, il quale impedisce alle correnti fecondatrici dei capitali stranieri di riversarsi sul nostro paese. Fate che l’aggio ribassi o scompaia permanentemente, e noi rivedremo i bei giorni quando a centinaia scendevano i milioni nelle casse delle Banche italiane ad incremento dell’agricoltura, del commercio e dell’industria ed a vantaggio grandissimo delle classi operaie.

 

 

Perciò noi vediamo con compiacimento la graduale diminuzione del corso del cambio. Dal 1893 non si era discesi al disotto del 104; ed anche in quell’anno si toccò quel corso infimo di 103 97 solo per breve ora, essendosi d’un tratto balzati nell’anno medesimo al corso di 115 95. Dopo d’allora i corsi minimi furono sempre superiori a 104.

 

 

Speriamo che il ribasso continui. Nessun sacrificio ci paia troppo grande a raggiungere così benefico intento. Nessun sacrificio, diciamo, nemmeno la momentanea rinuncia a più vistose e più promettitrici riforme tributarie.

 

 

Se, a norma delle migliori valutazioni, si calcola a 10 miliardi di lire all’anno il reddito nazionale, si può concludere che ogni ribasso di un punto nell’aggio accresce di 10 milioni di lire la potenza d’acquisto del reddito complessivo degli italiani. Ed al guadagno partecipa pure lo Stato pagando meno le sue forniture e risparmiando sui pagamenti all’estero.

 

 

Raddoppiamo dunque gli sforzi per far scomparire codesta imposta insidiosa, che silenziosamente decima le fortune pubbliche e private, che toglie il lavoro a chi il lavoro desidera, che costringe all’ozio tante latenti energie!

 

 

Ai governanti spetta proseguire l’opera così bene iniziata, dedicando al ritiro dei biglietti di carta le eventuali disponibilità del tesoro. Noi dal canto nostro reputiamo doveroso segnalare all’opinione pubblica il progresso compiuto ed illuminarla intorno alla significazione imponente della riforma tributaria ed economica che silenziosamente si compie sotto i nostri occhi.

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