Opera Omnia Luigi Einaudi

Sulla teoria dei lavori pubblici in Malthus e del tipo delle sue profezie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1934

Sulla teoria dei lavori pubblici in Malthus e del tipo delle sue profezie

«La Riforma Sociale», marzo-aprile 1934, pp. 221-227

Nuovi saggi, Einaudi, Torino, 1937, pp. 261-266

 

 

 

John Maynard Keynes – Essays in Bibliography. (Un vol. di pagg. X-318, Macmillan and Co., St. Martin’s Street, London, 1933. Prezzo 7 scellini 6 d.).

 

 

1. – Avevamo letto tutti, sparsi qua e là in volumi o in saggi di riviste, la maggior parte degli schizzi biografici qui raccolti: dei quattro negoziatori di Parigi, Wilson, Lloyd George, Clemenceau ed Orlando, di altri politici, come Bonar Law, Asquith (Lord Oxford), Montagu e Winston Churchill e di economisti: Malthus, Marshall, Edgeworth e Ramsey. A rivederli e rileggerli insieme, si ammira nuovamente l’arte grande dello scrittore. Keynes scrive un mirabile inglese, pensa con chiarezza, guarda e vede a fondo. In queste pagine, nelle quali egli non ambisce a far colpo, né vuole esporre tesi nuove o persuadere alcuno, egli raggiunge la vetta dell’arte dello scrivere saggi, così come in Indian Currency and Finance aveva toccato la perfezione del fondere ragionamento astratto e verificazione concreta. Il saggio più lungo è quello, composto con devozione quasi filiale, su Marshall; il più commosso ricorda Frank Ramsey, il giovane economista morto a ventisei anni, che a Cambridge lasciò così vivo rimpianto di sé; il più nuovo ci fa rivivere dinnanzi agli occhi la figura mite e serena di Roberto Malthus.

 

 

2. – Possedevamo già su Malthus le biografie del vescovo Otter e del dott. Bonar; e queste, che sono le sole autorevoli, sono arricchite dal Keynes con nuovi particolari. Il capostipite della famiglia, Roberto di nome come il trisnipote, era anch’egli un pastore protestante, nominato ad un vicariato da Cromwell e cacciato dagli Stuardi. Il figlio ed il nipote cumularono una modesta fortuna, la quale permise al padre Daniele (morto nel 1800) di consacrare la vita a piacevoli ozi letterari. Nel 1776, quando Roberto era nato da tre settimane, il padre riceveva nella casa di campagna la visita di Gian Giacomo Rousseau e di Davide Hume, divenuti, poi, come è noto, nimicissimi tra di loro, rimanendo ambedue in ottimi rapporti con Daniele Malthus. A diciotto anni (1784) Roberto entra nel Jesus College a Cambridge, dove diviene intrinseco di Frend, Priestley, Paley, Otter, Clarke, Coleridge e riceve gli ordini sacri nel 1788. Nel 1796 è nominato curato di Albury, nel 1802 ottiene un beneficio a Walesby, nel 1804 prende moglie e nel 1805, a trentanove anni, è nominato alla cattedra di storia moderna e di economia politica nel collegio che, nuovamente fondato dalla Compagnia delle Indie ad Hertford, era stato subito dopo trasportato ad Haileybury. Qui, tra l’affetto della famiglia e dei colleghi e la reverenza degli allievi, egli condusse placidamente la vita dello studioso sino alla morte avvenuta nel 1834. L’uomo che gli avversari dipingevano mostro di iniquità e campione di cinismo era un mite sacerdote, alto, elegante, dai modi cortesi. «La tradizione dei deliziosi salotti serali della signora Malthus, in cui si radunava il fiore del mondo scientifico londinese, fu ricordata a lungo ad Haileybury, sinché il collegio durò. Le persone di servizio rimanevano con lui sino al matrimonio od all’acquisto di una professione. Gli studenti lo chiamavano famigliarmente «Pop». Egli era in politica un liberale (whig); e le sue prediche si aggiravano specialmente sulla bontà di Dio. Credeva che Haileybury fosse una bella istituzione e che l’economia politica fosse una materia accessibile ed interessante per i giovani. I suoi sentimenti erano pieni di benevolenza; il suo temperamento era mite ed accogliente, la sua indole leale ed affezionata. Reputava che la vita fosse una benedizione in se stessa, anche astrazione fatta dalla vita futura». Miss Martineau, la celebre, in allora, compilatrice di romanzi divulgativi di verità economiche, fu, sapendosi sorda, alquanto imbarazzata quando un amico le propose di presentarla al reverendo Malthus afflitto, come il suo trisavolo, dall’incomodo di non essere in grado di pronunciare la maggior parte delle consonanti.

 

 

«Fui gradevolmente sorpresa nel dovermi disingannare. La sua prima frase, lenta e cortese, con le vocali, qualunque fosse il fato delle consonanti, sonoramente pronunciate, mi tolse di imbarazzo. Mi persuasi subito che io non sentivo, anche in bocca d’altri, nulla fuori delle vocali. Il peggior nemico suo era la “l”; e quando potei rispondere senza imbarazzo alla sua domanda: “Would you not like to have a look at the lakes of Killarney?” io mi sentii perfettamente a posto».

 

 

3. – Malthus presto divenne amico di quel mite cortese benevolo e benefico uomo che ebbe nome Ricardo, il quale tanto contribuì, con Malthus, a dare alla scienza economica la carlyleiana fama di scienza “lugubre”. Maria Edgeworth, conoscendo a fondo ambedue, così ne scrisse:

 

 

«Essi andavano insieme alla caccia della verità e gridavano di gioia quando la avevano scoperta, senza curarsi di sapere chi primo l’aveva trovata; ed io li ho visti amendue porre le valorose mani alla corda per tirarla su dal fondo di quel pozzo in cui essa tanto stravagantemente ama prendere la sua dimora».

 

 

I due amici erano riuniti dal comune amore al vero; sebbene le loro qualità mentali fossero diversissime ed opposte. Ricardo era l’astrattista, che isolava le ipotesi nette e vi ragionava sopra. Malthus aveva l’occhio rivolto alla realtà concreta e vedeva i problemi economici attraverso al momento che passava. In una lettera del 24 gennaio 1817 Ricardo scriveva:

 

 

«Parmi che la causa principale delle nostre differenze di opinione sia che voi avete sempre in mente gli effetti immediati e temporanei di variazioni particolari, laddove io trascuro del tutto questi effetti immediati e temporanei e fisso tutta la mia attenzione sullo stato permanente di cose che risulterà da essi. Forse voi date troppa importanza a questi effetti temporanei, ed io sono troppo incline a sottovalutarli. Chi voglia argomentare correttamente, deve distinguere accuratamente e definire i due punti di vista ed assegnare a ciascuno la dovuta importanza».

 

 

Malthus concorda nella analisi della ragione delle divergenze ed aggiunge:

 

 

«Inoltre, io credo che la società progredisca attraverso a movimenti irregolari e che omettere di tener conto di cause che per otto o dieci anni danno un grande stimolo alla produzione ed alla popolazione o sono di valido freno ad esse, sia un omettere di occuparsi delle vere cause della ricchezza e della povertà delle nazioni… Uno scrittore può certamente partire dalla ipotesi che a lui meglio piaccia; ma, se fa ipotesi le quali non corrispondono a nulla che sia vero praticamente, egli vieta a se stesso di ricavare qualsiasi deduzione concreta dalle sue ipotesi».

 

 

Qui la frase veramente significativa è quella nella quale, anticipando modernissime teorie dinamiche, Malthus finisce di annientare la distinzione fra long run e short run, fra lunghi e brevi periodi, fra normale e corrente. Non esistono, pare egli dire, una tendenza permanente ed un fatto particolare transitorio. Il fatto, quando sia accaduto, resta e produce conseguenze in perpetuo. La tendenza non è quella che si sarebbe verificata se il fatto qualificato come perturbatore non si fosse verificato; ma è la risultante del fatto considerato come fondamentale ed insieme di quello perturbatore. Il Keynes arriva a dire che l’aver dimenticato per più d’un secolo il modo concreto di affrontare il problema economico proprio di Malthus per dare la preferenza a quello astratto di Ricardo fu dannosissimo all’avanzamento della scienza economica. «Quanto più ricco e saggio sarebbe il mondo d’oggi se Malthus invece di Ricardo fosse stato la cellula generatrice del pensiero economico durante il secolo passato!». Giova, a chi voglia apprezzare il rimpianto Keynesiano, notare che esso non si riferisce al Saggio sulla popolazione solo conosciuto, per titolo, dai laici e di cui gli economisti non hanno ragione di interessarsi se non nei limiti ristrettissimi della ricerca del legame, finora non precisato, tra le variazioni del numero degli uomini e le variazioni dei prezzi; bensì agli scritti economici propriamente detti, ai Principles of Political Economy, all’Investigation of the Cause of the Present High Price of Provisions, all’Inquiry into the Nature and Progress of Rent, al The Measure of Value Stated and Illustrated ed alla corrispondenza con Ricardo.

 

 

4. – Il rimpianto mi sembra tuttavia esagerato. Una più esatta interpretazione della controversia fra i due grandi economisti sarà possibile il giorno in cui verrà alla luce compiutamente la corrispondenza che il Bonar aveva pubblicato per quanto riguarda le lettere di Ricardo e che Piero Sraffa riuscì a completare con la scoperta di quelle, finora inedite, di Malthus. Dalla lettura delle parti note si può frattanto dedurre che i due non differivano intorno ai principii fondamentali, sibbene intorno alle modalità di esecuzione della ricerca economica. Ricardo vedeva o immaginava di vedere il permanente, il fondamentale; Malthus si fissava sul transeunte, sul particolare ad un tempo o ad un luogo. L’uno faceva dell’economia statica; l’altro tentava i primi approcci alla economia dinamica. Amendue ragionavano nella medesima maniera su differenti ipotesi. Amendue costruivano una scienza economica astratta, fondandola su ipotesi estremamente semplificate (prime approssimazioni ricardiane) o su ipotesi più vicine alla realtà concreta, sebbene anch’esse semplificate e definite (seconde e terze approssimazioni malthusiane). Come ben concludeva Ricardo, l’un modo di vedere non escludeva l’altro; per ragionare correttamente bastando dare ad ognuno di essi il dovuto luogo. La controversia fra Malthus e Ricardo non ha perciò nulla a che vedere con quella odierna fra economisti puri ed empirici, fra astrattisti ed istituzionalisti. Gli empirici e gli istituzionalisti, come già i pseudo storicisti germanici negano il ragionamento, negano la legittimità della astrazione dalla realtà di ipotesi più o meno semplificate, di quelle malthusiane come delle ricardiane, e vogliono trarre le leggi della futura scienza economica dallo studio statistico di migliaia e di milioni di dati singoli concretamente osservati. Pur facendo i migliori auguri alla impresa, che reputo, scetticamente, disperata, è bene affermare che le vedute degli istituzionalisti e degli economisti empirico statistici moderni non hanno niente da spartire con quelle di Malthus.

 

 

5. – Allorché nei Principles of Political Economy così invocava nel 1820 una politica di lavori pubblici e privati in aiuto alla crisi ed alla disoccupazione:

 

 

«Quando i profitti sono bassi ed incerti, quando i capitalisti non sanno come impiegare sicuramente i loro capitali e quando per siffatti motivi il capitale fugge dal paese; in breve, quando le più diverse testimonianze sono concordi nel dimostrare chiaramente la mancanza di un’effettiva domanda di capitale all’interno, non si va forse contro ai principi generali economici, non si compie forse una vana ed infruttuosa opposizione al principio della domanda e della offerta, primo, più grande e più universale di tutti i principii economici, coll’ostinarsi a raccomandare il risparmio e la trasformazione più copiosa del reddito in capitale? …Dico che l’impiego dei poveri in costruire strade e in lavori pubblici e l’inclinazione dei proprietari di terre e dei ricchi a costruire, a migliorare, ad abbellire i loro terreni, ad impiegare operai e servitori, sono i mezzi meglio adatti e pronti per porre rimedio ai mali derivanti dalla perturbazione nell’equilibrio fra produzione e consumo cagionata dalla improvvisa conversione in lavoratori industriali di soldati, marinai ed altre persone dianzi occupate in cose di guerra.

 

 

Malthus faceva un ragionamento deduttivo da ipotesi tratte da osservazioni attinenti all’epoca della crisi post bellica verificatasi dopo lo sbandamento degli eserciti napoleonici ed alleati. Le indagini empirico statistiche non ci hanno saputo sinora dir nulla intorno ai metodi di ovviare alle crisi. Il ragionamento, diverso da quello astrattissimo ricardiano, aveva indotto il Malthus a costruire la teoria dei lavori pubblici come mezzo atto a lenire la disoccupazione da crisi; ed a giungere alla tesi più vasta di un necessario punto ottimo di equilibrio fra consumo e risparmio, fra produzione di beni diretti e produzione di beni strumentali o di investimenti.

 

 

«Adamo Smith ha affermato che i capitali crescono in conseguenza della parsimonia, che ogni uomo frugale è un pubblico benefattore e che l’aumento della ricchezza dipende dal supero del prodotto sopra il consumo. È perfettamente certo che queste proposizioni sono vere …Ma è ovvio altresì che esse non sono vere all’infinito e che il risparmio, spinto all’eccesso, distruggerebbe la produzione. Se ogni persona si contentasse di cibi semplicissimi, di vestiti poverissimi, di case sordide, nessun’altra specie di cibi, di vestiti e di case potrebbe essere prodotta … Ne segue che vi deve essere un punto intermedio, che forse gli strumenti della scienza economica non sono in grado di precisare, ma, dato il quale, ove si considerino nel tempo stesso la potenzialità produttrice e la volontà consumatrice, l’avanzamento della ricchezza è massimo».

 

 

La storia e la statistica che è una specie di storia diluita nel brodo delle medie dei numeri indici e dei coefficienti di correlazione, possono scoprire i punti di massimo avanzamento della ricchezza nel passato. Il ragionamento ci dirà quali forze elementari hanno probabilmente prodotto quei risultati, ci aiuterà cioè a districare, tra le mille e mille forze operanti nel momento in cui quel massimo avanzamento si produsse, quelle che ebbero all’uopo maggiore e decisiva efficacia; e ci darà modo di concludere che se in avvenire le medesime forze agiranno ancora con la medesima intensità, nello stesso senso e colla medesima combinazione, lo stesso risultato si ripeterà. Che se le forze operanti saranno diverse o diversamente intense od indirizzate o combinate, il risultato sarà diverso; diverso in misura prevedibile, è vero, solo con larghissima approssimazione, ma sempre in misura meno incerta di quella derivata estrapolando nell’avvenire curve empiriche valide come rappresentazione storica del passato.

 

 

6. – Che Malthus nel 1820 abbia derivato dalla contemplazione di fatti per tanti rispetti vicini agli attuali una critica, simigliante a quella odierna, degli investimenti di risparmio in imprese produttive ed una somigliantissima predilezione per i lavori pubblici e per le spese private di abbellimento è testimonianza della sua singolare attitudine a vedere il fatto transeunte accanto a quello permanente ed a fermare la sua attenzione sui mezzi atti ad impedire che i fatti transeunti (crisi, disoccupazione, miseria) esercitassero una influenza duratura sulla condizione economica dei popoli. Malthus, però, al paro di Ricardo, ragiona attraverso proposizioni ipotetiche. Non dice, come talvolta parvero dire i moderni uffici di previsione economica: «l’osservazione dell’esperienza del passato ci persuade che nell’anno prossimo la prosperità continuerà o si affievolirà o si muterà in crisi di questa o quella intensità» – ed ebbero ragione sinché si trattò di crisette o di variazioni di scarso rilievo, fallirono non appena le cose si fecero grosse, ossia i dati del problema validi per il passato vennero meno – ma anch’egli, come Ricardo, pronostica col se. Ne è prova la fortunatissima fra le profezie di Malthus:

 

 

«Io non dubiterei, ad esempio, del verificarsi, nel primo ventennio del ventesimo secolo in Inghilterra, di un aumento nel saggio del profitto in confronto del prossimo ventennio; a condizione che quest’ultimo sia un periodo di profonda tranquillità, di pace e di abbondanza di capitale, laddove quello futuro sia un periodo nel quale il capitale scarseggi, a causa di una guerra, in proporzione alla domanda, e nel quale contemporaneamente il commercio cresca e cresca pure la domanda per i prodotti agricoli, ad imitazione di quanto accadde dal 1793 al 1813».

 

 

Fortunatissima profezia, dico, appunto perché non fu una profezia di avvenimenti dichiarati in fatto di probabile verificazione. Malthus, scrivendo nel 1820, quando, al chiudersi delle grandi guerre napoleoniche, il mondo era da quasi un quinquennio entrato in un tempo di depressione economica destinato a durare per altri venti anni e quindi il saggio dell’interesse e del profitto era volto al ribasso, ricorda colla mente il tempo corso tra il 1793 ed il 1813 e ripensa che:

 

 

  • la lunga guerra europea, anzi, mondiale, per tanti anni combattuta;

 

  • la scarsità del capitale, rarefatto dai bisogni degli stati belligeranti;

 

  • l’incremento del commercio e dell’industria (trade) verificatosi in Inghilterra nel tempo stesso;

 

  • l’incremento della domanda di prodotti agricoli nell’interno del paese, a causa delle difficoltà di importazione dal continente avevano cagionato un rialzo nel saggio dei profitti nell’Inghilterra e conclude: che, se dal 1900 al 1920 una grande guerra si verificherà e sarà accompagnata dalle medesime circostanze, lo stesso risultato (rialzo nel saggio dei profitti) nuovamente si verificherà.

 

 

Nel quale ragionamento – che si legge a carte 325 (cap. V, sez. III) della prima edizione dei Principles of Political Economy – lo storico ammirerà l’intuito che fece scegliere al Malthus i primi venti anni del secolo ventesimo come il tempo della nuova guerra e probabilmente opinerà che la scelta non sia stata casuale, bensì conseguente ad un calcolo intorno alla frequenza delle grandi guerre nel passato. L’economista esclamerà con Ricardo: quante condizioni! «What a number of conditions!» (Notes on Malthus, pag. 150); e potrà forse, con Ricardo, dubitare che tutte le condizioni poste dal Malthus siano necessarie e sufficienti; ma non potrà non riconoscere che il ragionamento era correttamente posto, non come profezia di fatto indotta da osservazioni di fatto, ma come previsione ipotetica logicamente dedotta da premesse ipotetiche.

 

 

7. – Gli estratti offertici dal Keynes delle lettere scambiate fra i due classici fanno guardare con vivo desiderio alla pubblicazione che, integrando le fatiche meritorie dei Bonar e degli Hollander, Piero Sraffa sta apparecchiando delle opere e della corrispondenza di Ricardo. Questi sommi, e bisogna aggiungere a quelli di Ricardo e di Malthus, i nomi di Say, di James Mill e di Sismondi, carteggiavano tra di loro su gran problemi. Quando le avremo tutte sott’occhio, potremo forse di quelle lettere comporre una scelta che più illuminante sui problemi d’oggi non si potrebbe forse desiderare.

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