Opera Omnia Luigi Einaudi

L’esempio austriaco

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/10/1923

L’esempio austriaco

«Corriere della Sera», 7 ottobre 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 389-393

 

 

 

Nelle previsioni di catastrofe imminente, Berlino ha preso il posto che nel 1920 e nel 1921 ed ancora in buona parte del 1922 teneva Vienna. Chi parla oggi dell’erba crescente per le vie dell’antica capitale asburgica, della desolazione regnante tra i suoi impiegati? L’Austria, che ambiva riunirsi alla Germania, che l’anno scorso accarezzava persino progetti di unione doganale e politica con l’Italia, che pareva disposta a vendersi al più alto offerente, pur di trovare salvezza, oggi è un paese tranquillo, che non fa parlare di sé. Un industriale italiano, reduce da Vienna, mi manifestava, or non è molto, il proposito di impiantare in quel paese una succursale della sua industria.

 

 

Se si chiede la ragione di un mutamento, che ha del miracoloso, la risposta prima e più ovvia che si sente ripetere è: la corona è oramai stabilizzata; mentre il marco balla una ridda infernale e precipita verso il nulla, da un anno il corso della corona è all’incirca stabilizzato sulle 325.000 corone per ogni lira sterlina. In confronto all’antica parità che era di 14,01 corone per lira sterlina, 1,06 per lira italiana, un corso di 325.000 per lira sterlina, corrispondente a circa 3.250 per lira italiana, non è brillante. Alto o basso che sia stato il punto di stabilizzazione, l’importante fu che il corso si stabilizzasse. Gli economisti da un pezzo predicano che, nei casi in cui il ricupero della pari è troppo difficile, l’importante non è il punto a cui ci si ferma, ma è piuttosto che il fermo avvenga. Poteva avvenire ad una millesima come ad una centomillesima parte del corso originario di parità; nel corso concreto avvenne ad 1 1/3 decimillesimo all’incirca. Non monta. Purché ci si fermi. Da quando si e si radicò la convinzione che la corona non si muoveva più, né all’insù né all’ingiù, la fiducia rinacque nell’animo degli austriaci. Sembra una cosa da nulla; ma essere sicuri che la moneta che si riceve in pagamento vale, corona per corona, 1 decimillesimo ed un terzo di una corona oro all’incirca, è tutto. L’operaio lavora in queste condizioni, perché sa che le 135 mila corone carta nominali da lui percepite alla fine del giorno valgono 10 corone oro e non meno, e che nessun improvviso mutamento dei cambi lo può privare del frutto del suo lavoro. Invece delle 10 corone oro d’un tempo, egli si deve contentare forse dell’equivalente di 5 o di 6 o di 4 corone oro; ma quel che egli riceve è un qualche cosa di tangibile, è un metro al quale egli può nuovamente misurare le derrate di cui ha bisogno. L’industriale fa nuovamente i suoi conti; calcola in cifre grosse invece che in piccole, assume come unità il migliaio o le diecine di migliaia; ma può comparare costi e prezzi e iniziare lavori, e fare impianti. L’agricoltore si azzarda, dopo anni di incertezza, a produrre per vendere, perché sa che non stringerà in mano un pugno di mosche. Sovratutto, il risparmiatore torna a risparmiare, perché c’è un mezzo di tramandare i valori nel tempo. Probabilmente Berlino è oggi una città in cui si gozzoviglia e ci si diverte di più che a Vienna. Ed è giusto e naturale che così sia; a che pro risparmiare 100.000 marchi oggi, mentre valgono ancora 100 marchi oro, quando domani varranno solo 1 marco e poi 1 centesimo di marco e poi più nulla? Gaudeamus igitur, ecco il motto dei paesi a moneta calante. Da che la corona si è stabilizzata, l’Austria è tornata ad essere un paese dove si risparmia, e dove si ricostruisce.

 

 

La disciplina è ritornata in quegli stabilimenti industriali, in cui fino alla metà dell’anno scorso si verificavano fenomeni tutt’affatto simili a quelli che erano stati notati in Italia all’epoca del bolscevismo. I furti ferroviari ed i furti negli stabilimenti erano quotidiani; né la polizia si azzardava a ricercare i colpevoli, perché le leghe operaie mettevano il veto. I dibattiti sulle questioni di salario non di rado venivano conchiusi con la violenza dei pugni negli uffici di direzione contro i rappresentanti degli industriali. Oggi, tutto ciò è scomparso; e la produzione si svolge normalmente.

 

 

Anche dal punto di vista sociale, il miglioramento è grande. Mentre prima le malattie derivanti da denutrizione erano frequenti e per contro si notavano nelle scuole ragazzi ubriachi, adesso la tubercolosi non è più minacciosa e la mortalità nei bambini va diminuendo.

 

 

Come si è raggiunta quella stabilizzazione della corona che ha infuso nuova vita nel moribondo organismo sociale dell’Austria? Probabilmente una causa sola non esiste; ma se si analizza a fondo il fenomeno e si eliminano le cause secondarie, la spiegazione si potrebbe dare a scelta col nome di una persona o con una parola che, in altre condizioni, suonerebbe vergognosa. Il nome è quello del dottor Zimmerman, la parola è quella di abdicazione alla sovranità nazionale. Da quando la Società delle nazioni promise un prestito che, garantito dalle principali potenze europee, fruttò netti 125 milioni di dollari oro, l’Austria ha cessato di essere un paese finanziariamente indipendente. Essa non è governata dal suo cancelliere, o dal suo ministro delle finanze; i suoi partiti, cristiano sociali, socialisti, tedesco nazionali, non hanno voce nel determinare entrate e spese. Se l’Austria fosse stata abbandonata a se stessa, non si sarebbe salvata. I socialisti si sarebbero opposti alle imposte sui salari e sui consumi; i cristiano sociali a quelle sulle terre e sulle piccole industrie; i tedesco popolari a quelle sulla grande industria. I soliti progetti demagogici di nazionalizzazione o di intervento dello stato avrebbero offerto una sedicente panacea a tutti i mali sociali, precipitando sempre più l’economia nazionale nel caos.

 

 

Il dott. Zimmerman, un olandese, credo, non ha alcuna parte nel quadro costituzionale austriaco. Questo è rimasto immutato, col suo presidente, col suo cancelliere, con i suoi ministri ed il suo parlamento. Organi di critica e di esecuzione, compiono entro i loro rispettivi limiti, una utile funzione. Ma, poiché l’Austria da sé non era capace di salvarsi, fu ben naturale che i 125 milioni di dollari del prestito internazionale lanciato dalla Società delle nazioni sotto l’egida delle grandi potenze, non fossero versati nel tesoro austriaco. Sarebbero finiti in pochi mesi, in inutili tentativi di sostenere artificiosamente il corso della corona o di mantenere basso il prezzo del pane a pro delle plebi tumultuanti per i grandi corsi di Vienna. Invece, i 125 milioni di dollari – non una grandissima somma in verità per la salvezza di un paese, appena 650 milioni di lire oro italiane – furono accreditati al nome personale del dott. Zimmerman presso banche estere di prim’ordine. Ed al nome dello Zimmerman sono versati altresì i proventi delle dogane austriache e del monopolio del tabacco, le due fonti di entrata impegnate per il servizio del prestito. Lo Zimmerman trattiene per sé, dei detti proventi, quanto occorre per il servizio del prestito e versa il residuo al tesoro austriaco.

 

 

Questo è tutto il potere del dittatore finanziario dell’Austria: disporre dei 125 milioni di dollari a sua discrezione. Sarebbe poco o nulla se non soccorresse un’altra disposizione fondamentale: il governo austriaco non ha cioè più la facoltà di emettere neppure una corona di biglietti nuovi. Il potere di emissione dei biglietti è stato trasferito intieramente alla Banca nazionale austriaca, la quale è completamente indipendente dal governo. Da queste due premesse: che i 125 milioni sono ad esclusiva disposizione del controllore finanziario e che il governo austriaco non può divertirsi ad emettere neppure un biglietto da una corona, discende ineluttabile la conseguenza che, finché il bilancio non sia in pareggio, il governo austriaco deve, col cappello in mano, chiedere al controllore i mezzi per colmare il disavanzo tra le entrate e le spese pubbliche. Se si vuole che le poste e le ferrovie funzionino e che la pubblica amministrazione agisca, fa d’uopo chiedere i danari allo Zimmerman. Il quale li dà, ponendo le sue condizioni. Non mancano i critici alle condizioni poste dal controllore: gli impiegati licenziati a stormi, gli operai che debbono pagare cari certi consumi assoggettati ad imposte serie, i proprietari di terre colpiti dallo stesso malanno, tutti si lamentano. Era tanto dolce pagare i balzelli in corone che si svalutavano rapidamente ed è tanto melanconico il confronto con la Germania, dove le imposte sono una cosa tutta da ridere! Tuttavia, il controllore tiene duro e non dà un soldo se le sue direttive di economie e di imposte non sono applicate; sicché fondatamente si può aver fiducia che, prima della scadenza dei suoi poteri, ossia prima della fine del 1924, il bilancio austriaco sarà in pareggio. A questo punto l’Austria ritornerà ad essere un paese sovrano; ma è da credere che, a cose fatte, nessuno dei suoi partiti vorrà assumersi la responsabilità di ritornare al disavanzo. Frattanto, è bastato che il governo fosse privo della facoltà di battere moneta e che ci fosse la sicurezza del prossimo pareggio, perché la corona cessasse dal precipitare. Anzi, comparve il pericolo contrario: che la corona si rivalutasse troppo presto, con tutte le note conseguenze di crisi e di disoccupazione derivanti dalle rapide rivalutazioni. Sicché la nuova Banca d’emissione negli ultimi mesi emise, contro buone garanzie commerciali, una non indifferente quantità di corone oro allo scopo di impedire il rialzo delle corone esistenti. L’esperimento austriaco è forse il trionfo maggiore della teoria della stabilizzazione e comincia a sembrare a molti l’esempio a cui dovrà inspirarsi, pur ripugnando, la Germania per uscire dal caos odierno.

 

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