Opera Omnia Luigi Einaudi

A proposito di due studi di demografia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1907

A proposito di due studi di demografia

«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1907, pp. 868-873

 

 

 

Giuseppe Prato: Censimenti e popolazione in Piemonte nei secoli XVI, XVII e XVIII (Estratto dalla Rivista italiana di sociologia, anno X, fasc. III/IV). Roma, presso la “Rivista italiana di sociologia”, via Venti Settembre, n. 8, 1906.

 

 

Prof. Filippo Virgilii: La popolazione di Siena dalla seconda metà del secolo XVI alla fine del secolo XVIII. Torino, Fratelli Bocca, editori, 1907.

 

 

Segnalo con piacere ai lettori queste due pubblicazioni, che sono prova del rifiorire in Italia degli studi di storia economica. Ci fu un tempo in cui era di moda la scuola storica nell’economia, ed ancora adesso vi è chi studia la storia per dimostrarla determinata esclusivamente o principalmente da moventi di indole economica. Ambi gli indirizzi hanno avuto importanza e possono ancora dare qualche frutto perché suscitarono controversie dottrinali, affinarono gli ingegni e fecero intravvedere il pregio di ricerche prima trascurato od il valore di certi determinanti delle azioni umane, ai quali consuetamente non si dava molto peso. Ma non si può affermare davvero che quei due indirizzi abbiano portato un contributo notevolissimo alla storia economica propriamente detta. Specialmente in Italia, fra tanto battagliare di storicismo economico e di materialismo storico, la ricerca dei fatti economici accaduti in passato fu sempre deficientissima. Opere importanti furono scritte soltanto in argomento di storia della letteratura economica, grazie all’impulso che a queste ricerche aveva dato il Cossa. Gli scarsi contributi alla storia dei fatti economici erano dati per lo più da storici che ignoravano l’economia politica e che, pur di pubblicare documenti inediti, affastellavano fatti importanti e notiziole senza sugo, ovvero da economisti, i quali – privi di larga preparazione intorno alla storia del periodo studiato – reputavano interessanti solo i fatti che sembravano potersi osservare sotto l’angolo visuale di una qualunque delle teorie economiche o delle spiegazioni economiche della storia che per il momento erano più di moda.

 

 

Da questo andazzo, che deturpa tante opere dal contenuto più o meno tra lo storico e l’economico, si sono salvati gli statistici di professione. Dal Salvioni al Beloch, dal Morpurgo al Cecchetti, dal Maggiore Perni al Contento, al Corridore, ecc., gli statistici, che si occuparono di storia, scrissero pagine di vario valore, ma tutte commendevoli per l’intendimento di accertare nel passato fatti dichiarati importanti dalla scienza statistica e di ricercarli con quei metodi di critica delle fonti che sono imposti dalla scienza storica. A costoro insomma la scienza statistica dava il mezzo di scegliere fra i tanti fatti e fatterelli che si leggono nelle vecchie carte quelli che sono degni di essere tratti alla luce; e ciò potevasi fare dalla statistica, perché questa scienza o metodo, che si voglia dire, è una cosa seria e non una fantasia di moda, è abbastanza difficile e noiosa e quindi è repellente per i cercatori di novità ad ogni piè sospinto, e comprende un insieme di principii teorici e di regole pratiche che sono oramai accettati dall’universale.

 

 

Gli studi di statistica storica hanno avuto anche questo vantaggio: di costringere all’esame diretto delle fonti, per la mancanza quasi assoluta di quelle facili notizie di seconda mano che hanno sviato gli economisti i quali vollero fare della storia. Chi intenda scrivere, per farsi un titolo e per qualche altro motivo di ordine più elevato, un saggio, ad es., sulla storia del movimento operaio, ha la disgrazia di avere sottomano molti libri stranieri che quella storia hanno fatto, più o meno bene, per i loro paesi; cosicché, attraverso una lettura di essi, non è difficile mettere insieme tanti fatti, artatamente scelti dalle epoche e dai luoghi più spaiati, da dimostrare la propria prestabilita tesi. La ignoranza delle fonti e dell’ambiente storico in cui ogni singolo fatto accadde, fa sì che il più delle volte i fatti siano male interpretati e le deduzioni ridevolmente poggiate sul vuoto. Chi voglia invece scrivere la storia della popolazione in Piemonte od a Siena, a cagion d’esempio, non ha nessuna di queste facili risorse; e deve per forza risolversi a compulsare i documenti del tempo ed a far passare interminabili filze d’archivio; ed a fare tutto ciò con quelle regole che sono dettate dalla scienza storica per scernere il vero dal falso, l’attendibile dall’immaginario. Gli statistici non provano nessuna ripugnanza nel compiere questo lavoro paziente; perché le fonti che essi trattano per l’epoca presente hanno suppergiù la stessa natura e devono essere criticate con metodi analoghi a quelli che la scienza storica insegna per i documenti del passato. Questi in breve i motivi per cui in Italia dinanzi ad un lavoro storico, scritto da uno statistico, è doveroso presumere si tratti di cosa seria; mentre dinanzi ad uno scritto storico, uscito dalla penna di un economista, bisogna munirsi della più guardinga diffidenza.

 

 

Detto questo, sarebbero spiegati i motivi per cui io ritengo che i lavori del Prato e del Virgilii siano ben fatti e degni di essere letti da coloro che siano curiosi di sapere le vicende della popolazione del Piemonte e di Siena dal secolo XVI alla fine del secolo XVIII. Trattandosi di fatti, è impossibile riassumerli in una recensione e val meglio rimandare i lettori all’originale. Aggiungerò che lo studio del Prato, riguardo al Piemonte, è commendevole anche per la sua eccellente sistemazione. Anzitutto invero l’A. fa la critica delle fonti, esaminando nel primo capitolo il valore dei documenti, che per il passato si possono paragonare ai volumi odierni dei risultati del censimento; cosicché il lettore sappia quale origine e quale importanza hanno i dati sulla popolazione che ci rimangono. In un secondo capitolo studia la popolazione in generale dal secolo XVI al XVIII per tutto il Piemonte; e nel terzo tratta della popolazione della città di Torino, come quella che, per essere la capitale, riuscì a elaborare le sue anagrafi con metodi più perfetti che nel reato dello Stato. Nel quarto capitolo finalmente è dichiarata la composizione demografica del Piemonte nel secolo XVIII, dandosi notizie sulla densità della popolazione, sulla distribuzione degli abitanti delle città e nei villaggi, sulla composizione quantitativa delle famiglie, sulle distinzioni per sesso e per età, religioni, professioni, ecc., sul pauperismo, sul cretinismo. Chiudono il volume due diagrammi sulla popolazione assoluta e relativa a varie epoche, e quindici tavole, nelle quali sono riassunti i dati sulla popolazione di tutte le città e terre del Piemonte antico, e delle città e terre delle provincie di nuovo acquisto aventi più di 1000 abitanti dal 1560 al 1787, col confronto della popolazione attuale. Questo scritto del Prato è dunque davvero fondamentale per la storia demografica Piemontese dal secolo XVI al XVIII e ad esso dovranno riferirsi tutti gli studiosi ulteriori. I quali è da augurarsi ci siano per ricercare per le singole più importanti città quelle maggiori notizie che indubbiamente esisteranno negli archivi locali e che gioveranno a completare il quadro generale magistralmente tracciato dal Prato. Così già fece per Torino alla vigilia dell’assedio del 1706 l’egregio dottore E. Casanova[1] in una monografia pregevolissima.

 

 

Il Virgilii[2] non ha distinto il suo scritto in parti diverse a seconda della materia trattata; ma preferì l’ordine cronologico che lo consigliò a discorrere in successivi capitoli della popolazione di Siena avanti al 1550 ossia avanti la perdita dell’indipendenza, nella seconda metà del secolo XVI, quando ancor fioriva il regime mediceo, nel secolo XVII, durante la sua decadenza, e nel secolo XVIII, che vide, dopo il 1737, la risurrezione della Toscana sotto la dinastia lorenese. Ma la differenza è più formale che altro, perché in ognuno di questi capitoli il Virgilii accuratamente valuta e critica anzitutto le fonti di cui egli si vale, come fece il Prato nel capitolo iniziale. Né trascura egli, quando la cosa è possibile, di aggiungere volta per volta ai dati generali sulla popolazione quelle particolari notizie demografiche, che per il Piemonte sono insieme raggruppate nel capitolo finale.

 

 

Con lo scheletrico riassunto della soggetta materia dei due scritti recensiti potrei chiudere la mia recensione, se non cadesse in acconcio fare un’altra osservazione di indole generale. È abitudine frequente negli statistici, che studiano la popolazione dei tempi andati, mettere in rapporto per ogni periodo l’andamento delle serie numeriche degli abitanti colle condizioni economiche e politiche del tempo; concludendo, di solito, che l’aumento della popolazione coincide o segue ai periodi di buon governo e di prosperità economica, e che la diminuzione segue al malgoverno politico ed alla miseria economica. La quale deduzione non è in verità cotanto peregrina da francare la spesa di darne sempre nuovi esempi; mentre l’inserire nelle dissertazioni di storia demografica frequenti accenni alle vicende politiche, finanziarie ed economiche non pare a me possa causare qualche ragionevole appunto. Poiché una monografia può dirsi sotto un certo rispetto perfetta letterariamente e tecnicamente quando non contiene di materie extravaganti, estranee al suo proprio soggetto, più di quanto sia assolutamente necessario al chiarimento o di questo suo soggetto. Tutto il resto è un dippiù che ingrossa inutilmente il volume della monografia ed impedisce ai lettori la comprensione esatta della verità cercata o dimostrata dallo scrittore.

 

 

Negli studi di storia demografica le notizie sulle condizioni politiche ed economiche del tempo possono essere, per chi tenga conto della considerazione ora fatta, inserite per due motivi, dei quali l’uno ci sembra ragionevole e l’altro no:

 

 

  • 1) per servirsene come strumento di critica e di illustrazione dei dati sulla popolazione e sulla sua composizione demografica. Quando un dato, non assolutamente certo per la natura delle fonti da cui è tratto, è altresì in contraddizione con quanto si sa delle condizioni del tempo, sarà questo un altro motivo per rigettarlo o modificarlo. Così pure a dilucidare il decremento o la stagnazione o l’incremento dei popoli può essere opportuno qualche succinto richiamo alle condizioni del tempo. Diciamo “succinto” perché se l’A., per l’abbondanza e la novità dei dati che egli ha scoperto, indulge nella descrizione dell’ambiente politico o sociale, la sua biografia si converte da un’indagine demografica in una ricerca di statistica morale o sociale o politica, la quale può essere pregevolissima, ma è tutt’altra cosa. Scriva l’A., se ha materiale sufficiente un’altra monografia e sarà lodato da tutti. Il più spesso egli si accorgerà che il materiale posseduto è insufficiente e che ben altre ricerche gli sono necessarie per dare un’immagine compiuta dell’epoca. Ora, quel che è incompiuto come monografia a sé, diventa tollerabile solo perché appiccicato ad una indagine di altra indole?
  • 2) Gli statistici però, talvolta consapevolmente e talvolta no, inseriscono dati di statistica descrittiva politica, finanziaria, economica nelle monografie di demografia storica, perché pensano di provare l’esistenza di un certo legame causale fra le condizioni del tempo e l’andamento delle serie demografiche. È un passo innanzi nella perfezione teorica: dai dati addotti a cagion di critica e di illustrazione si passa alla costruzione di una teoria nella quale i dati politico economici dovrebbero stare come antecedente e i dati demografici come conseguente. Ma si pensi quanto sia difficile una siffatta dimostrazione! è già difficilissimo oggi, in tanta abbondanza di dati d’ogni fatta, provare, secondo i dettami della logica, una rigorosa concatenazione tra le vicende economiche e quelle demografiche, riuscendosi per lo più a vaghe affermazioni di interdipendenza; ma quanto più ardua appare l’impresa pei tempi passati! Se si fa astrazione dalle grandi pesti o dalle guerre lunghe e disastrose, o dalle crociate o da consimili avvenimenti, rispetto ai quali è indubbio il rapporto di causa ad effetto, nulla è meno rigoroso di queste ricerche di causalità demografiche. Riportiamo un esempio dal Virgilii (il Prato è parchissimo di notizie di statistica non demografica e ne fa uso, a ragione secondo noi, solo quando si tratta di criticare od illustrare con rapidi accenni i dati demografici), che si riferisce alla popolazione senese nel secolo XVII.

 

 

Così egli comincia il suo capitolo III: “Il 7 febbraio 1609 moriva Ferdinando De Medici, dopo 21 anni di governo, e gli succedeva Cosimo II nella giovane età di 19 anni. A undici mesi di distanza, il 7 gennaio 1610, Galileo Galilei, scrutando lo spazio co’ suoi cannocchiali, riusciva a scoprire i quattro satelliti di Giove e li chiamò Stelle Medicee eternando nel cielo il nome di questa famiglia e bene auspicando all’avvento del nuovo principe. Ma Cosimo II non aveva né l’ingegno del suo avo, né l’astuzia di suo padre. Di animo debole, di limitata coltura, affatto inesperto delle cose di governo, egli divenne il pupillo di due donne: la Granduchessa Cristina, sua madre, e l’Arciduchessa Maria Maddalena, sua moglie; l’una vittima di tutto il bigottismo religioso dell’epoca, l’altra amante della vita fastosa. Queste due principesse presero effettivamente le redini del Granducato di Toscana. Educate a sistemi feudali, eredi del ricco patrimonio lasciato da Ferdinando, si compiacquero di avere a Corte gentiluomini titolati e stimolarono la vanità di cittadini facoltosi, che preferirono le mollezze della reggia e gli intrighi della politica ai traffici commerciali e alle cure dei campi o dell’industria. I frati e le monache, che già inondavano lo Stato, sotto la protezione pietosa di Madama Cristina, aumentarono di privilegi, accrebbero le loro ricchezza, e spadroneggiarono in tutti gli uffici pubblici, indipendenti delle leggi, avidi e scostumati”.

 

 

Dopo questo quadro efficace, per quanto io lo sospetti un po’ fatto di maniera, il Virgilii conclude: “Lo Stato senese non poteva certo avvantaggiarsi con questi sistemi e per queste tendenze; e la ripercussione delle condizioni economiche e politiche generali noi la ritroviamo nei dati demografici”. Riassumendoli, si ha che, secondo diverse fonti che si riferiscono a rilevazioni dirette, la popolazione di Siena, la quale nel 1579 era di 18.779 abitanti, erasi ridotta nel 1612 a 18.659. Aggiungendovi le Masse si hanno 23.979 abitanti nel 1612, in confronto di 23.724 nel 1579, con un lieve aumento a beneficio del territorio rurale. Applicando criteri di rilevazione indiretta, e cioè moltiplicando il numero medio delle nascite pel coefficiente venticinque, si avrebbe che nel dodicennio 1601/1612, con 1087 nascite all’anno, la popolazione di Siena e delle Masse sarebbe stata di 27.175 abitanti. Tuttavia il Virgilii osserva che le nascite hanno oscillato fra le 1100 e le 1200 negli anni dal 1601 al 1607, sono discese a 978 nel 1608; hanno di poco superato il migliaio nel biennio 1609/10; mentre la media del successivo anno 1611/12 sarebbe di 990.

 

 

“Prendendo a base quest’ultima cifra – conclude l’A. la popolazione di Siena e Masse nel 1612 diventerebbe di 24.750 abitanti, di poco superiore a quella descritta. Saremmo, quindi, condotti a concludere, da questi confronti demografici, che i primi anni del governo di Cosimo II, sotto l’influenza della madre e della moglie, con la complicità dei nobili e degli ecclesiastici, erano stati fatali alla città di Siena; e ciò conferma nel modo più sperimentalmente rigoroso quanto abbiamo detto dianzi sulle abitudini e sui sistemi della Corte medicea alla morte di Ferdinando”.

 

 

Lasciamo andare che il passaggio da 23.724 abitanti nel 1579 per Siena e Masse a 23.979 o 24.750 nel 1612, non ci sembra una diminuzione; ma tutt’al più un ristagno spiegabile in una città che ha cessato di essere la capitale di uno Stato ed il centro di una vita operosa e fervida. Ciò che sembra fuor di luogo è sovratutto il voler cercare un rapporto di causa ad effetto tra l’avvento al regno nel 1609 di Cosimo II, collo spadroneggiare della madre e della moglie e la discesa certa della natalità e presunta della popolazione nel 1612. Secondo il Virgilii sarebbe dimostrato “nel modo più sperimentalmente rigoroso” che i fatti politico sociali ora menzionati furono cagione che a Siena diminuissero la natalità e la popolazione. In che modo, nel breve spazio di nemmeno tre anni, l’avvento al governo di un debole giovane diciannovenne, lo spadroneggiare, reso così possibile, di una bigotta e di una spendereccia, l’affluire, necessariamente graduale e lento, dei nobili alla Corte, e l’inorgoglirsi dei frati e delle monache, abbiano potuto avere una ripercussione così subitanea su uno dei fenomeni più importanti della vita sociale, come è la natalità, noi non riusciamo francamente a comprendere. Tanto più che tra questi due ordini di fatti, politici gli uni e demografici gli altri, il rapporto causale non poté essere diretto; ma la causa dovette produrre – pur ammettendo che essa lo abbia prodotto – il suo effetto attraverso ad una lunga catena di anelli intermedi, sicché l’impulso iniziale non poté trasmettersi se non assai lentamente, superando ogni sorta di ostacoli e di forze contrarie.

 

 

Ho citato l’esempio di Virgilii perché la mia impressione è che di tal fatta siano troppe fra le dimostrazioni che gli statistici danno delle cause dei fatti demografici da essi diligentemente raccolti sulle fonti storiche.

 

 

Essi non si sono accorti che a fornire dimostrazioni, non dico compiute, ma appena tollerabili di rapporti di causalità fra condizione del tempo e fatti demografici era richiesta una suppellettile ben più ricca di notizie storiche di quanto essi non possedessero, e che, se avevano durato una fatica come dieci a raccogliere e criticare i dati demografici, avrebbero dovuto durare una fatica come cento almeno per trovarne e dimostrarne in modo soddisfacente gli antecedenti politici, economici e sociali. Le quali cose ho voluto dire non tanto nei rispetti dei due autori recensiti; poiché il Prato è immune da questo che a me sembra un malo vezzo ed il Virgilii s’è lasciato andare a dei peccatuzzi che si possono chiamare veniali.

 

 

Piuttosto il mio discorso è rivolto a coloro che s’indirizzassero su questa tribolata via delle ricerche di statistica storica; e fra i giovani può darsi ve ne sia più d’uno. Al Prato ed al Virgilii faccio l’augurio che dopo averci dato un così bello ed efficace quadro delle vicende della popolazione del Piemonte e di Siena nei secoli XVI, XVII e XVIII, vogliano scrivere un’apposita monografia sulle condizioni economiche di quell’epoche e di quei paesi. Sarebbe un degno complemento ed una spiegazione davvero efficace dei fatti demografici da essi opportunamente oggi narrati.

 

 



[1] E. Casanova, Censimento di Torino alla vigilia dell’assedio (1705). Pubblicato in raccolta intitolata Campagne di guerre in Piemonte, 1703/1708, dalla R. Deputazione di Storia Patria per le antiche provincie.

[2] Notiamo di passata che il Virgilii, il quale scrisse tuttavia un anno dopo, non cita il lavoro del Prato nell’accurata bibliografia di scritti sulla storia della popolazione italiana che egli premette al suo lavoro. Poiché il lavoro del Prato è l’unica monografia generale su questo soggetto per il Piemonte, era d’uopo riparare all’involontaria omissione.

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