Opera Omnia Luigi Einaudi

Adamo Smith ed i cotonieri di Manchester

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/05/1923

Adamo Smith ed i cotonieri di Manchester

«Corriere della Sera», 24 maggio 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 255-257

 

 

 

Signor direttore,

 

 

Nel rendiconto sommario della camera, quale si legge riportato dai giornali, sono attribuite all’on. Gino Olivetti, segretario generale della confederazione dell’industria, le seguenti parole: «Rilevando l’appunto che si fa al protezionismo di essere il frutto delle influenze di industriali ingordi, ricorda che Adamo Smith, che può dirsi il padre del libero scambio, sostenne questa teoria proprio per incarico degli industriali cotonieri di Manchester». Olivetti cancellerà evidentemente queste parole nel rendiconto «definitivo», il quale, come è noto, si definisce come quel documento nel quale gli oratori parlamentari rimediano alle stranezze sfuggite nella foga dell’improvvisazione e fatte loro in seguito rilevare dalla carità degli amici.

 

 

Non so invero quale demonio abbia indotto il rendiconto sommario della camera – l’on. Olivetti si può supporre già fuori causa – ad accusare Adamo Smith di avere scritto sotto dettatura e paga dei cotonieri di Manchester. Forse era l’invidia dei recenti allori mietuti da un altro documento parlamentare nel quale erano elencate le somme versate da famose ditte industriali, «Ilva», «Ansaldo» ecc., a scopo di propaganda protezionistica ed era registrata la soddisfazione di uno degli incaricati della munifica bisogna per l’ottimo risultato ottenuto coll’aurea seminagione, vedendo arrivare in porto la tariffa doganale, invano avversata dagli sfiatati epigoni smithiani. Se un documento parlamentare dimostra che vi sono scrittori italiani di cose doganali i quali scrivono sotto dettatura delle confederazioni industriali interessate al protezionismo, un altro documento può ben «ricordare» che anche qualche scrittore liberista ha scritto sotto dettatura di industriali stranieri interessati al libero scambio. E non volendo citare i viventi, come è costume degli scrittori castigati, al rendiconto sommario della camera non rimaneva se non ricordare i morti; e qual morto più illustre di Adamo Smith, noto anche nei paraggi del caffè Aragno e di Montecitorio come inglese, epperciò antipatico, e come padre di quella economia politica, che è antipaticissima a quanti si seccano di essere colti in flagrante reato di mettere coi dazi dei balzelli sul pubblico? Detto fatto: il rendiconto sommario della camera si sente perfettamente autorizzato a «ricordare» – non a dimostrare, che il fatto è notorio – come Adamo Smith, personaggio noto nelle storie come padre del libero scambio, scrivesse «per incarico» degli industriali cotonieri di Manchester.

 

 

Ricordo anch’io, salvo sopportazione, alcune date. Adamo Smith, professore di filosofia morale nell’Università di Glasgow, lesse il suo primo celebre saggio, quasi si direbbe manifesto, sul libero scambio – andato

malauguratamente distrutto – nel 1755 dinanzi alla «Economic Society» di Glasgow. Nel 1764 si dimette dalla cattedra ed accetta l’ufficio di precettore del giovane Duca di Buccleuch, erede di uno dei più gran nomi dell’aristocrazia britannica. Spende alcuni anni della sua vita in Francia, e nella consuetudine dei fisiocrati, rimedita e rafforza la dottrina sua economica. Ritornato nel 1766 in Inghilterra e provveduto, come era costume delle grandi famiglie d’allora, di una decorosa pensione dal suo discepolo, si ritira nella cittadina di Kirkcaldy ed ivi scrive, solitario, l’immortale suo libro sulla Ricchezza delle Nazioni. Nel 1771 il libro era già scritto, ma l’autore, sempre scontento, continua a perfezionarlo e si decide a darlo alla luce solo nel 1776.

 

 

Quasi contemporaneamente nel 1775, Sir Richard Arkwright, otteneva il brevetto per le sue celebri invenzioni di macchine tessili, brevetto annullato poi dalla Corte del Banco del Re nel 1790. Nel 1769 era brevettata la caldaia a vapore. Ma solo nel 1785 il signor Watt costruiva la prima caldaia a vapore adatta ad un cotonificio; e solo nel 1789 la caldaia a vapore faceva la sua prima comparsa nei cotonifici di Manchester. E nel 1785 i manufatti di cotone esportati dalla Gran Bretagna valevano in tutto appena 864.710 lire sterline.

 

 

La verità è che quando Adamo Smith pensava, nell’operoso travaglio mentale di Glasgow (1751-1764), quando rimeditava in Francia (1764-1766) e quando scriveva nella solitudine di Kircaldy (1766-1776) l’industria cotoniera inglese e principalmente quella di Manchester non aveva oltrepassata la fase dell’industria a domicilio. Fino al 1760 i soli telai conosciuti erano a mano ed in tutto eguali a quelli dell’India, la gran sede della fabbricazione delle cotonate di quel tempo. Industria a domicilio e perciò poco influente politicamente e poco nota. Adamo Smith ricorda nel suo gran libro Manchester una volta sola, ma a tutt’altro proposito, la pianta del cotone due volte e la lavorazione manufatturiera di esso una volta sola per dire che essa era sconosciuta in Europa prima che l’America fosse scoperta da Cristoforo Colombo.

 

 

Tutti i rapporti, storicamente noti, tra gli industriali cotonieri di Manchester ed Adamo Smith, sono qui. Ossia non esistono. Tanto poco esistono che Mac Culloch, nella sua celebre edizione della Ricchezza delle Nazioni – io ho sott’occhio l’edizione del 1863, che nessuno potrà sospettare di essere stata stampata a confutazione anticipata di un rendiconto sommario della camera italiana del maggio 1923 – si stupisce, in una nota, che Adamo Smith si sia occupato così poco dell’industria cotoniera. «Il dottor Smith» – scrive testualmente Mac Culloch – «non ha mai fatto alcuna allusione, né in questo né in alcun altro luogo dell’opera sua, alla manufattura del cotone». Mac Culloch qui dimentica che Adamo Smith vi aveva alluso, di sfuggita, semplicemente per dire, come osservai sopra, che la fabbricazione del cotone era ignota in Europa prima del 1492. Ma forse Mac Culloch non ha torto, perché nel secolo XVIII spesso quando si parlava di cotone si alludeva ad altre, minori, fibre vegetali, tanto lungi la fibra del cotone era allora dall’importanza odierna. Volendosi dar ragione dell’assenza di ogni richiamo smithiano alla grande industria, divenuta poi tipica dell’Inghilterra, Mac Culloch prosegue: «Al tempo in cui Adamo Smith scriveva, l’industria cotoniera era esercitata in verità in proporzioni piccole e nessuno avrebbe potuto prevedere i meravigliosi progressi compiuti in seguito. Essa è ora di grande e dominante importanza; e può in verità essere affermato che i suoi progressi nella Gran Bretagna dopo il 1770 e la sua presente grandezza sono, fuor di dubbio, il fatto più straordinario accaduto nella storia dell’industria moderna». Eppure, nei pressi del Caffè Aragno e di Montecitorio è notorio che i tessitori a mano della Manchester del 1751-1776 si erano quotati per pagare un ignoto professore scozzese di filosofia morale, il quale stava elaborando i principii della odierna scienza economica. D’or innanzi, tra le fonti della storia letteraria economica avranno un gran posto i rendiconti sommari della camera italiana. Senza il loro studio attento sembrerà oramai impossibile ricostruire la genesi del pensiero scientifico economico.

 

Torna su