Opera Omnia Luigi Einaudi

Ancora dei progressi economici dell’Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/04/1907

Ancora dei progressi economici dell’Italia

(Mezzo miliardo di entrate gabellarie nel 1905-906)

«Corriere della sera», 24 aprile 1907

 

 

 

Questa è la stagione delle statistiche ufficiali. Abbiamo già reso conto dei volumi sul movimento del commercio e della navigazione pubblicati dalla solerte direzione generale delle gabelle; e da quelle pagine irte di cifre abbiamo ricavati alcuni indici confortanti del progresso economico dell’Italia. La stessa direzione generale pubblica ora la relazione consueta sull’esercizio 1905-906. I dati si riferiscono, per l’indole dell’esercizio finanziario italiano, ad un periodo trascorso oramai da dieci mesi, ma sono sorprendenti per la testimonianza che danno dello sviluppo prodigioso dei tributi sui consumi. Ricordiamo che l’amministrazione delle gabelle sovraintende alla esazione delle dogane (dazi di confine), delle tasse di fabbricazione e dei dazi governativi di consumo (esatti all’entrata nelle città e sulla minuta vendita). Orbene tutti questi tributi che nel quinquennio dal 1895-96 al 1899-900 rendevano 374 milioni, nel quinquennio dal 1900-901 al 1904-905 resero 441 milioni e nel 1905-906 balzarono nientemeno che a 506 milioni di lire.

 

 

Da un pezzo non si verificavano salti così improvvisi e colossali nel reddito delle gabelle. Paragonando il 1905-906 al 1904-905 sono in un anno ben 53 milioni di maggiori entrate!

 

 

Il rinvigorimento generale di alcuni consumi (grano, zucchero, caffè) causato dal progrediente benessere economico generale del paese ed il significante risveglio dell’industria italiana, divenuta capace di assorbire in sempre maggior copia le materie prime e semi-lavorate introdotte dall’estero e le macchine e gli strumenti che ancora non siamo in grado di fabbricare nel nostro paese: ecco le cause precipue di questo singolare aumento.

 

 

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Ad ingrossare l’entrata concorsero però anche fatti di natura eccezionale, come una vistosissima importazione di grano estero e la improvvisa ricomparsa, sul mercato italiano, di zuccheri forestieri, dopo che questi n’erano stati banditi quasi del tutto dal rapido sviluppo della industria indigena. Il grano innanzi tutto, che aveva reso 64.7 milioni nel 1904-905, ne rese 92,6 nel 1905-906, con un aumento di quasi 28 milioni di lire da solo. Ma non tutto questo maggior reddito del grano deve essere attribuito alla scarsità del raccolto nel 1905, che sarebbe un fatto non lieto. Bensì dobbiamo riconoscerlo dovuto all’aumento nel consumo di quei grani duri che troppo scarsamente si producono in Italia e di cui si fa crescente domanda dalle fabbriche di paste alimentari. Infatti mentre negli anni dal 1900 al 1905 l’importazione del grano tenero variò da 687 a 651, 791, 379, 387 e 694 mila tonnellate, conformandosi alle vicende del raccolto interno, l’importazione invece del grano duro progredisce quasi costantemente da 302 e 278 a 462, 417, 475 e 540 mila tonnellate, indice questo evidentissimo che in Italia si consumano in maggior copia le buone paste alimentari. Oramai il dazio sul grano ha per metà funzione quasi esclusivamente fiscale, essendo percepito su una qualità di grani (duri) che in Italia non si produce; ed è perciò destinato a dare un reddito crescente, astrazion fatta dai raccolti interni. Infatti nel penultimo quinquennio il suo reddito era in media di 41 e 3/4 milioni all’anno, mentre il reddito fu di 76 milioni in media nell’ultimo quinquennio. Il che dovrebbe spingere a studiare serenamente il problema della riduzione dell’altissimo dazio che colpisce il grano; poiché una riduzione di dazio potrebbe ancor maggiormente favorire l’introduzione dei grani duri, che non fanno concorrenza diretta ai grani nazionali, e darebbe per tal modo una stabilità ancor maggiore al provento fiscale, rendendo in proporzione meno importante la quota del reddito soggetta alle oscillazioni del raccolto.

 

 

L’altro prodotto che ha dato grande importanza all’aumento nel reddito doganale è lo zucchero, del quale nel 1905-906 si importarono 100.035 quintali in confronto a 3841 quintali nel 1904-905. Il ritorno inaspettato dello zucchero estero non è dovuto alla minore produzione interna, ché anzi questa aumentò da 783 a 939 mila quintali, ma all’aumento del consumo e alla diminuzione degli stocks esistenti. Questi, che all’1 luglio 1904 erano di 545 mila quintali, scesero all’1 luglio 1905 a 253 mila ed all’1 luglio 1906 a 111 mila quintali, mentre il consumo aumentava da 1.079.300 quintali nel 1904-905 a 1.181.083 quintali nel 1905-906. Certo un aumento di circa 100 mila quintali nel consumo in un anno solo è fatto confortante; ma quanto maggiore potrebbe essere se fossero ridotti gli esorbitanti consumi che gravano, con poco vantaggio del fisco, su questa oramai necessaria derrata! Si pensi che nel giugno del 1906 lo zucchero raffinato, comprese le tasse valeva all’ingrosso marchi 36.05 (lire 45 al quintale sulla piazza di Magdeburgo, 56 franchi sul mercato di Parigi e 130 lire a Genova!

 

 

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Paragonati a questi maggiori del grano e dello zucchero, che, per quanto eccezionali, rispondono ad una tendenza permanente del progresso nei compensi, gli aumenti nei redditi delle altre gabelle sono meno importanti. Parecchi hanno però una significazione non piccola. Continua ad accentuarsi il felice esito della riduzione del dazio sul caffè da 150 a 130 lire operata nel 1900 sotto la pressione delle minaccie di rappresaglie brasiliane. Il dazio che rendeva, prima della riforma, dai 19 ai 21 milioni di lire, rese in seguito somme crescenti, sino a toccare i 25 milioni e 137 mila lire nel 1905-906.

 

 

Vero è che non tutto questo aumento è stato dovuto alla riduzione di 20 lire nel dazio e devesi attribuire anche in parte alla cresciuta ricchezza italiana ed in parte ai miti prezzi originari del caffè. Ma il dazio ridotto vi ebbe pure la sua parte.

 

 

Tutto il contrario accade pel petrolio, i cui proventi fiscali segnano una lenta ma continua diminuzione dal 1898-99, anno in cui raggiunsero le lire 34.651.680, ad oggi. Infatti il reddito fiscale del 1905-906 è il più basso di tutto l’ultimo decennio, raggiungendo appena 31.515.648 lire.

 

 

In parte la cosa è dovuta all’aumento della produzione interna del Piacentino, quasi triplicata in confronto al punto di origine e giunta a 63.885 quintali, produzione che pagava solo 10 lire d’imposta; ma in parte ben maggiore è dovuta al ristagno ed alla diminuzione del consumo interno che non riusciva a superare i 2136 grammi per abitante dopo essere stato di 2342 grammi dieci anni prima. La relazione attribuisce questo fatto al «crescente diffondersi tra noi degli altri mezzi di illuminazione e segnatamente della luce elettrica, del gas e dell’acetilene». Meglio avrebbe detto che il crescente diffondersi degli altri mezzi d’illuminazione era in parte dovuto all’alto dazio sul petrolio, che ne ostacolava il consumo. Le cose sono ormai cambiate grazie alla legge che riduce il dazio da 48 a 24 lire per quintale, e dobbiamo quindi sperare che nelle relazioni future, sovrattutto a partire da quelle sul 1907-1908, si possano commentare, come già si fa pel caffè, i benefici risultati della riforma fiscale sul petrolio, risultati che sarebbero stati ancora più grandi ove coraggiosamente si fosse andati fino ai 10 ed ai 15 centesimi di dazio, provocando il sorgere di nuovi consumi.

 

 

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Altri dati ancora potremmo citare a testimonianza dei progressi italiani. Ne diciamo alla rinfusa, ricordando sovrattutto quelle notizie che sono in ispecial modo illustrate in questa relazione. I pacchi postali che davano un reddito doganale di L. 2.375.370 nel 1887-88, rendono nel 1905-906 L. 7.640.126; ed i pacchi importanti sono aumentati in numero da 649.942 a 1.709.863, mentre i pacchi esportati salivano da 266.211 a 1.012.866 e quelli in transito da 11.667 a 220.672. Questa comoda forma di spedizione si è davvero imposta con un crescendo oltremodo incoraggiante. In grande aumento il consumo della birra nazionale ed estera, che da appena 141 mila quintali nel 1894-95 salì un po’ per volta a 300 mila nel 1904-905 ed a 402 mila nel 1905-906. Le polveri piriche tassate erano 1043 tonnellate nel 1890-91 e sono diventate 2562 tonnellate nel 1905-906. Solo in quest’ultimo anno, in confronto al precedente, vi fu un aumento nel consumo di 318 tonn. Lasciamo al lettore arguire le cause di questo incremento, al quale hanno partecipato ugualmente le polveri da mina, da caccia, da miccia, ecc. La cicoria cresciuta da 20.107 quintali nel 1887-88 a 38.097 nel 1905-906, il glucosio da 25.644 quintali nel 1894-95 a 50.446 nel 1905-906 sono testimonianza di cresciuti consumi di surrogati contemporanei all’aumento verificatosi anche nel caffè e nello zucchero. I fiammiferi rendevano L. 8.604.000 nel 1904-905 e resero L. 9.346.000 nel 1905-906. In Italia, in quest’ultimo anno si produssero da 195 fabbriche 40 miliardi ed 836 milioni di fiammiferi di legno od altra materia solforati, 23 miliardi e 234 milioni di fiammiferi di legno paraffinati e di cera e 15 milioni di fiammiferi di cera cosidetti ascendiscale, in tutto 64 miliardi ed 86 milioni. Siccome una parte notevole viene esportata, al consumo arrivarono 43 miliardi e 765 milioni di fiammiferi. Una bella cifra senza dubbio e corrispondente a 1300 fiammiferi in media per abitante. Ancora maggiore è l’aumento del reddito dell’imposta sul gas luce e sull’energia elettrica, salito nel 1905-906 a L. 8.393.600, con un sovrappiù di un milione sull’anno precedente. Il consumo totale del gas luce, che era di 124.991.975 metri cubi nel 1898-99, salì a 189.478.396 metri cubi nel 1905-906, dimostrando in questa maniera di non aver punto sofferto per l’incremento straordinario del consumo di energia elettrica, che da 219 milioni di ettowatt-ora nel 1898-99 ascese gradatamente e rapidamente a 738 milioni di ettowatt-ora nel 1905-906. Con le quali ultime cifre chiudiamo l’analisi di questo che è certo uno dei documenti più suggestivi del recente risveglio economico italiano.

 

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