Opera Omnia Luigi Einaudi

Ancora il pane a buon prezzo. Il pane integrale e i suoi detrattori – I consumatori torinesi – Il monopolio nel Piemonte

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/11/1897

Ancora il pane a buon prezzo

Il pane integrale e i suoi detrattori – I consumatori torinesi – Il monopolio nel Piemonte

«La Stampa», 26 novembre 1897

 

 

 

 

Il grano varia nella sua composizione secondo i terreni che lo hanno prodotto e gli ingrassi adoperati per la sua coltivazione. Però il Boussingault, basandosi su quattordici analisi, credette di potere stabilire come segue la composizione media del grano su 100 parti:

 

 

Glutine

12,8

Materie azotate

14,6

Albumina

1,8

Amido

59,7

Destrina

7,2

Materie grasse

1,2

Cellulosa

1,7

Sali minerali

1,6 di cui 0,68 acido fosforico.

Acqua

14,0

100,0

 

 

La crusca contiene da sola 11,12% delle sostanze azotate oltre ai fosfati e agli olii essenziali.

Siccome il corpo umano contiene gran quantità di azoto nei tessuti e molti fosfati nelle ossa, nel cervello, ecc., è chiaro che il grano si può chiamare il sovrano dei nostri alimenti e che separando dalla farina la crusca, come cosa vile, noi commettiamo un grosso errore, sprecando dei veri tesori di sostanze nutritive.

 

 

Gli è per ciò che un processo di panificazione, da secoli nei voti dei filantropi e nelle aspirazioni dei meccanici, per cui tutti i componenti del chicco frumentario vengano utilizzati e trasformati in un pane digeribile, segna un progresso tale nell’alimentazione dell’uomo, da andare annoverato fra le più importanti scoperte dei nostri giorni. Scienziati, superiori ad ogni sospetto di compiacenza e di corruzione, ci assicurano, dopo esperienze eseguite scrupolosamente nei laboratori e sugli organismi di animali e di persone sane e malate, che il pane ottenutosi col nuovo panificatore belga ha 99 parti digeribili sopra cento e che duecento grammi di esso equivalgono per valore nutritivo a 100 grammi della migliore carne.

 

 

Ai vantaggi igienici fanno riscontro quelli economici, che equivalgono ad un aumento di ricchezze nazionale per un paese che, come il nostro, non produce grano sufficiente al bisogno ed è annualmente tributario di parecchi milioni all’estero per importare quanto occorre a soddisfare il consumo. Qualche cifra varrà a meglio illustrare il nostro asserto. Calcolando in base a dati tecnici, che per ottenere 100 chilogrammi di farina occorrano in media 133 chilogrammi di frumento e che i cento chilogrammi di farina diano 133 chilogrammi di pane comune, è evidente che per ottenere un quintale di pane occorre, coi vigenti sistemi, un quintale di grano.

 

 

Il nuovo apparecchio invece che tritura e impasta il grano lo fa rendere 157 chilogrammi di pane integrale con una spesa minima tanto da poterne fissare il prezzo a 25 centesimi il chilo, quotando il grano a L. 28 30 il quintale e lasciando da 4-5 centesimi per chilo di utile netto agli esercenti come ne fanno fede i panifici di Bruxelles, di Londra e di Berlino, dove funziona il panificatore Autispere da oltre un anno.

 

 

I denigratori e gli avversari del nuovo prodotto, ignorando o sprezzando i dettami della scienza, vanno dicendo che la nuova invenzione ha per solo risultato di farci mangiare della crusca, che finora non abbiamo ritenuto assimilabile pel nostro organismo e che abbiano dato in pasto agli animali da ingrasso.

 

 

Ora il fatto stesso che i cavalli, i bovini, i maiali, se volete, sottoposti al regime alimentare della crusca, aumentano rapidamente di peso e di vigore, dimostra la grande potenza nutritiva della crusca e il beneficio reso all’umanità dagli inventori di un congegno che la rende perfettamente digeribile.

 

 

Nei paesi nordici, dove i precetti dell’igiene sono più curati, e gli insegnamenti della chimica e della fisiologia più popolarizzati, il consumo del pane bigio, ben preparato, supera anche alla tavola dei ricchi quello del pane bianco. Chiedete alle buone e brave madri di famiglia di Germania, della Danimarca, della Scandinavia, e chiedetelo anche alla regina d’Inghilterra, che dedicò tante cure ad allevare la numerosa figliuolanza, quali alimenti ritengano i più sostanziosi per lo sviluppo dei bimbi, e vi nomineranno, fra i primi, l’avena (altro mangime da quadrupedi, se volete), ma di cui si fa largo uso in quei paesi, dopo averla liberata dalle lolle, stiacciata e cotta come il nostro riso.

 

 

I detrattori del meccanismo destinato a rovesciare i metodi di panificazione finora in uso, sono, lo si capisce, i mugnai, che vedono minata la loro esistenza, fonte finora di lauti guadagni.

 

 

L’industria dei molini è seriamente compromessa, ne conveniamo, e bisogna compatire se i proprietari di questi si scagliano con acrimonia contro il pane integrale, che fa a meno della molinatura, e che perciò essi chiamano calcestruzzo. Che dire allora delle farine insipide, depauperate delle sostanze più nutritive, sovente miscele di grano scadente e di frumentelli, adulterate con farine di granturco bianco, con minerale e peggio…?

 

 

La soluzione del problema del pane integrale, digeribile e a buon mercato è stata accolta, ci conforta di constatarlo, con un vero slancio di interessamento da parte della nostra cittadinanza, che ne seppe la notizia dal vostro giornale nei numeri del 24 ottobre e del 2 novembre, e da altri fogli torinesi. I rappresentanti più illuminati di ogni classe e di ogni partito, con mirabile accordo fecero oggetto della loro più seria attenzione la benefica scoperta.

 

 

Con lieto animo apprendemmo che una Società di capitalisti anglo-belgi, acquisitrice del brevetto per l’applicazione del panificatore Desgoffe e Avedgh in Italia, si proponeva l’impianto di esso anche da noi, fornendo i meccanismi di varia produzione e la licenza di adoperarli a singoli esercenti, obbligati di corrispondere alla Società stessa un adeguato compenso ed una porzione degli utili, nella ragione, crediamo, di circa un centesimo per chilogramma di pane venduto, come opera la Società inglese, resasi proprietaria, mediante 8,020,000 di franchi, dell’attestato di privativa del Regno Unito.

 

 

Diffusosi tale annuncio, fu una gara di enti morali, di Società cooperative, di Associazioni operaie, di Comitati cattolici, di fornai uniti in gruppo nel progettare stabilimenti col nuovo sistema di panifazione. Si istituirono calcoli sui vantaggi che i consumatori delle città ne avrebbero ritratti, calcoli che qui ci piace di brevemente riassumere.

 

 

Appoggiandosi alla statistica del dazio sulle farine e ragguagliata la conversione di ogni cento chilogrammi di queste in 133 chilogrammi di pane, risulterebbe che i consumatori torinesi abbisognano giornalmente di circa 120,000 chilogrammi di pane, quantitativo che, diviso per il numero degli abitanti, dà una media bassa che corrisponde a quella di alcune città francesi, che è di quattrocento grammi per testa e per giorno. Il prezzo medio attuale del pane comune si può valutare a centesimi 45 (sono i grissini da una lira, pane di lusso da 60 centesimi ed altre qualità che scendono fino ai 35).

 

 

Come è noto, mediante il meccanismo più volte nominato, i panifici che lo adottano sono in grado di vendere il pane a centesimi ed altro qualità che scendono fino ai 35). Come è noto, mediante il meccanismo più volte nominato, i panifici che lo adottano sono in grado di vendere il pane a centesimi 23 il chilogramma, e quantunque sia oggidì elevatissimo da noi il prezzo del grano, possono ottenere il rilevante beneficio di 4-5 centesimi per ogni chilogramma. I consumatori della città di Torino quindi che si persuadessero di nutrirsi meglio che in passato, lo farebbero con un risparmio di ben venti centesimi per chilogramma di pane, che, moltiplicati per il consumo generale, darebbero 2400 franchi di economia complessiva giornaliera, che vogliamo ridurre a L. 2000, ammettendo che molti continuino a cibarsi del pane bianco, più bello che buono.

 

 

Gli Istituti di beneficienza, le Cooperative, ecc., istituendo dei panifici a grande lavorazione per proprio conto e dando il pane ai loro affigliati o protetti al prezzo di costo, potrebbero fornirlo a soli venti centesimi circa, o devolvere a beneficio delle loro istituzioni o dei rispettivi patrimoni sociali la differenza di 4-5 centesimi per chilogramma, costituenti un forte guadagno per gli esercenti e loro sovventori.

 

 

Senonché i proprietari di molini nella nostra regione, forse più avveduti e calmi di alcuni del Mezzodì, non menarono scalpore per la spada di Damocle, che videro balenare sul loro capo; ma pensarono di trarre essi stessi partito della nuova invenzione e indussero la Società Anglo-Belga a recedere dal primitivo suo programma, che era quello di non rivendere il brevetto dell’Italia, e riuscirono ad entrare in trattative allo scopo di ottenere il monopolio per l’impiego del panificatore Desgoffe e Avedyk in tutto il Piemonte.

 

 

Noi non vogliamo entrare in discussioni commerciali o di monopolio: né crediamo che quando anche il brevetto sia accaparrato, la speculazione vorrà mostrarsi ingorda e intransigente.

 

 

In ogni caso saprà reagire la pubblica opinione, e le Autorità pubbliche municipali o governative avranno sempre dalla legge un’arma di difesa nell’interesse di tutti i cittadini e contro l’esosità di pochi monopolizzatori e speculatori.

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