Opera Omnia Luigi Einaudi

California, Giappone ed Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 25/03/1907

California, Giappone ed Italia

«Corriere della sera», 25 marzo 1907

 

 

 

I giornali italiani hanno riferito con indifferenza un telegramma da Sacramento in California nel quale si annunciava che la seconda Camera della legislatura ha votato una legge proibente il possesso delle terre da parte degli stranieri per oltre cinque anni, a meno che si facciano naturalizzare.

 

 

E qualcuno avrà detto: Quanto sono astuti questi americani! Prima fanno una legge colla quale dichiarano che i giapponesi non possono, anche se vogliono, diventare cittadini americani, e poi con un’altra legge vietano l’accesso alla proprietà fondiaria a coloro che non sono cittadini americani, e quindi ai giapponesi, i quali americani non saranno mai.

 

 

A meno che il telegramma in discorso sia erroneo od impreciso, gli italiani debbono avere insieme coi giapponesi molte ragioni di rammaricarsi della nuova legge fucinata dal Parlamento californiano. In California vivono ben 55.000 nostri connazionali; e costituiscono costoro la miglior colonia italiana degli Stati Uniti, ottima perché giunta in quel lontano paese dell’arancio e della vite attraverso ad uno spietato processo di selezione.

 

 

Solo i più energici ed attivi fra gli italiani giungono a padroneggiare per modo lingua ed abitudini e ad accumulare somme così forti da potersi stabilire nella California. Tant’e` vero che in quello Stato nel 1897 (e son dieci anni fa) gli italiani possedevano 2726 fattorie agricole ed avevano un patrimonio immobiliare di circa mezzo miliardo di lire. Nella California vive e prospera la Colonia italo-svizzera, composta quasi tutta di italiani: e che fondata nel 1881, possiede ora 5000 acri di terreni vitati e produce un quinto del vino californese.

 

 

Ed ora si vorrebbe con la nuova legge, per combattere la razza gialla, costringere tutti gli italiani viventi nella California a diventare cittadini americani, se vogliono possedere terre e case? E sia; essi rinunzieranno alla loro cittadinanza, poiché non si possono pretendere virtù sovrumane in persone, che pure hanno sempre mostrato di conservare affetto vivissimo per la madre patria. Ma l’episodio doloroso non dimostra negli americani un ben scarso concetto del valore ideale del concetto di patria e di cittadinanza? e sovrattutto non dovrebbe stimolare il legislatore italiano ad occuparsi della tristissima situazione in cui si trovano all’estero gli emigranti nostri, stretti fra l’interesse materiale, che li spinge a farsi stranieri, e l’amore al loco natio, che li avvince ognor più al tricolore nazionale? Certo la legislazione nord-americana contro gli italiani ha un carattere marcatissimo di odiosità; e se si trattasse della Russia, si parlerebbe subito di despotismo medievale. Ma non si potrebbe consentire agli italiani emigrati di acquistare la cittadinanza estera, pur conservando quella nazionale? Il concetto della doppia nazionalità fu esposto autorevolmente da un illustre cultore del diritto internazionale, il prof. Buzzati. Varrebbe la pena di riprenderlo in esame, ora che la California nega il diritto alla terra agli stranieri.

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