Opera Omnia Luigi Einaudi

Capitolo IV – La evoluzione del concetto di reddito imponibile

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1914

Capitolo IV – La evoluzione del concetto di reddito imponibile

Corso di scienza delle finanze, Tipografia E. Bono, Torino, 1914, pp. 252-263

 

 

 

226. Necessità di indagine tecniche. – Le nozioni che sono state svolte nel capitolo precedente hanno avuto necessariamente un carattere generale, ipotetico, più di dimostrazioni precise. Lumi più concreti, di applicabilità più immediata ci potranno essere forniti dallo studio dei sistema seguiti dai legislatori.

 

 

Questi, della cui opera rilevammo già l’importanza, sebbene si sia combattuta la tesi di coloro che cercano nella parola transeunti delle leggi positive un criterio, pure transeunte, di ripartizione delle imposte, hanno di continuo dovuto porsi la domanda: quale è il metodo migliore pure ripartire le imposte? Ed un metodo dopo l’altro saggiarono, abbandonarono, perfezionarono. La ricerca dei metodi seguiti e delle regioni che ne imposero l’abbandono o la riforma sembra perciò importantissima per determinare le regole che praticamente debbonsi seguire nella ripartizione dei tributi. Dell’esame dei fatti apparirà come nella pratica si siano adottati dai legislatori concetti successivamente diversi del reddito, in guisa da avvicinarsi a poco a poco al concetto che il reddito è uguale alla massa dei consumi che gli uomini fanno e che l’imposta deve essere proporzionale al reddito così concepito.

 

 

Il cammino compiuto per giungere a questo punto è stato lungo, ma sembra al fine che ci stiamo avviando verso il concetto da noi già delineato.

 

 

227. Il reddito desunto dalla superficie dei terreni. – I concetti fondamentali successivamente adottati sono stati parecchi. Prima si considerò il reddito tassabile come proporzionale alla superficie dei terreni, poi al prodotto lordo dei terreni, poi al prodotto netto dei terreni, in seguito al reddito netto dei terreni si aggiunsero i redditi netti degli altri beni (case, industrie, ecc.) e delle altre fonti di reddito. A questo concetto del reddito netto in cui erano pur sempre distinte nettamente le diverse fonti di reddito si va ora sostituendo il concetto del reddito globale totale dell’individuo, ossia derivante da tutte le fonti di reddito, insieme considerate. E finalmente si passa al concetto che sia tassabile non tutto il reddito, ma solo quello destinato ai consumi dell’individuo, quello che l’uomo destina al soddisfacimento dei suoi bisogni e pubblici e privati.

 

 

Dapprima perciò il reddito fu considerato proporzionale all’estensione del terreno, e per brevità si tassò la superficie dei terreni allo scopo di tassare il reddito dei contribuenti. Ciò corrispondeva a suo stadio di economica pastorale. Naturalmente la finanza si è sviluppata parallelamente alle trasformazioni dell’economia, e come c’è stato un periodo pastorale dell’economia, così pure è esistito un periodo di tassazione adatto a quel periodo. Durante il quale non era innaturale credere che la misura del reddito fosse una data estensione del terreno su cui si poteva allevare una certa quantità di bestiame; essendoché in quel periodo economico i redditi erano in certa proporzione con l’estensione del territorio: la superficie era un metodo grezzo per stabilire i redditi degli individui, metodo che nelle grandi linee poteva essere considerato come conforme alla realtà in quanto che gli uomini, spostandosi continuamente nelle loro migrazioni e avendo larghe estensioni di territorio a loro disposizione, non avevano bisogno di usufruire di tutti i terreni, ma si limitavano a saggiare e ad usufruire dei migliori. Badando perciò alla superficie di fatto usufruita e non essendovi tra pascolo e pascolo grandi differenze, la superficie poteva essere un criterio approssimativamente adatto a valutare i redditi alle genti e delle famiglie pastorali.

 

 

228. Sperequazione di questo metodo. – Però questo sistema, col trasformarsi dell’economia pastorale in agricola, diede luogo ad inconvenienti gravi. Appena gli uomini escono dallo stato nomade, l’estensione dei terreni può diventare indice erroneo dei redditi, in quanto che i terreni sono diversamente fertili; stesse estensioni possono valere l’una 10, l’altra 5; perciò far pagare la stessa proporzione d’imposta è causa di sperequazioni fra i contribuenti.

 

 

229. Dannosi effetti economici. – Né è questo ancora il più grave inconveniente; poiché la tassazione in rapporto all’estensione dei terreni può dar luogo alla formazione di rendite a favore dei proprietari favoriti.

 

 

È noto la teoria classica della rendita. In un determinato paese vi sono, in un certo momento, dei terreni destinati alla coltivazione. Vi sono terreni fertili che danno 20 quintali per ogni ettaro ed in cui il costo di produzione è di L. 10 per quintale; terreni medi che ne danno 15 ed in cui il costo di produzione è di L. 15 per quintale, e terreni che danno 10 quintali, ognuno dei quali costa 20 lire. Questi ultimi, che si chiamano terreni marginali perché si trovano al margine delle colture, sono quelli che determinano il prezzo della derrata sul mercato, inquantoché, se su questi terreni di 3.a categoria il costo di produzione di ogni quintale di grano è di 20 lire, è evidente che il prezzo del grano sul mercato non potrà essere inferiore a questa cifra, perché in caso contrario il grano o la derrata qualunque essa sia non sarebbe più coltivata su quel terreno. E se la quantità di grano prodotta sui terreni marginali è necessaria pel consumo che si verifica al prezzo di L. 20, venti saranno pagate sul mercato per tutto il grano. Il prezzo è dunque determinante dal costo di produzione nei terreni marginali. Il terreno marginale può spostarsi se la popolazione cresce; si coltiveranno in questo caso dei terreni di quarto o di quinto grado e se il costo diventerà di 25 o 30 il prezzo crescerà fino a questo limite. Ma supponiamo che per quella determinata popolazione non sia necessario passare oltre la coltivazione di terzo grado. Il prezzo generale sarà adunque di 20. Questo prezzo di 20 non è solo il prezzo del grano del terreno marginale, ma del grado di qualunque altro terreno, per la legge della indifferenza dei prezzi, per cui una medesima merce non può valere due prezzi diversi sullo stesso mercato, nello stesso momento. Quindi essendo il prezzo di 20 anche per il grano prodotto nei terreni di seconda categoria a costo di 15 e in quelli di prima a costo 10, il produttore di seconda categoria ottiene una rendita di 5 lire e quello di prima una rendita di 10 lire per ogni quintale di grano prodotto, e quindi in tutto il produttore di seconda categoria otterrà una rendita di 5 lire X 15 quintali = 75 lire; ed il produttore di prima categoria una rendita di 10 lire X 20 quintali = 200 lire. Supponiamo ora che intervenga un’imposta in ragione dell’estensione di terreno, ad esempio di 10 lire per ogni ettaro. Abbiamo supposto che ogni ettaro di terza categoria produca 10 quintali. In questo caso il costo di produzione per ogni quintale a quanto ammonterà dopo l’imposta? Evidentemente a 20 lire, antico costo di produzione, più 1 lira d’imposta. I consumatori pagheranno anche le 21 lire, trattandosi di derrata necessaria al consumo. Il prezzo quindi dovrà salire a 21 per i terreni di terzo grado; ma allora, per ciò che si disse prima, diventerà di 21 anche per il grano dei terreni di grado diverso. Epperciò che cosa accade? Questa imposta che effetto porta? Quegli che produce al nuovo costo di 21 per terreni di terzo grado, ha rendita zero come prima perché produce a costo 27 e vende aprezzo 21. Anche il produttore di seconda categoria vende il prezzo di 21, ma egli, che produceva prima al costo di 15 per quintale, e quindi ad un costo totale di 15 lire X 15 quintali = 225 lire, ora produrrà ad un costo totale di 225 lire, antico costo, più 10 ire imposta, ed in tutto 235 lire. Dividesi 235 lire di costo totale per i 15 quintali prodotti, e si otterrà il costo nuovo per quintale di L. 15.66. Prima egli aveva una rendita di 20 – 15 = 5, ora ha una rendita di 21 – 15.66 = 5.34. È evidente che ciò accade perché il prezzo aumenta da 20 a 21 ossia di una lira, mentre il costo aumenta solo di 66 centesimi (10 lire imposta, per 15 quintali di produzione).

 

 

Peggio accade per i terreni di prima qualità in cui il prezzo parimenti aumenta di una lira, ma poiché l’imposta nuova è sempre di 10 lire in complesso, che, divise per una produzione di 20 quintali danno un maggior costo di soli 50 centesimi per quintali, la sua rendita ora è di 21 – 10.50 = 10.50, mentre prima era di 20 – 10 = 10 lire per ettaro.

 

 

Questo sistema perciò, appena l’economia agraria prevalse sulla pastorale, divenne causa di sperequazione tributaria e di sovrarendite per i proprietari di terreni più fertili. I consumatori pagavano in più tutto l’aumento di prezzo di una lira per quintale, ma una parte di questo maggior prezzo va a favore dei proprietari di terreni migliori e solo in parte va nelle casse dello Stato. Questa sovrarendita speciale, dovuta alla forma della imposta, potrebbe acconciamente chiamarsi sovrarendita tributaria; ed è uno dei non infrequenti casi di rendita dovute all’opera del legislatore.

 

 

230. Il reddito considerato eguale al prodotto lordo dei terreni. Imposta della decima. – Gli inconvenienti ora descritti fecero fare un progresso all’arte tributaria. Il reddito fu ritenuto non più proporzionale all’estensione del terreno; ma alla quantità di derrate che si ricavavano dal terreno. Il metodo è conosciutissimo sotto il nome di decima; i contribuenti dovevano pagare quota parte del prodotto lordo del fondo. Su una produzione di 20 quintali di grano, ad esempio, 2 andavano allo Stato e 18 al contribuente; su 10, 1 allo Stato e 9 al contribuente. Questo sistema rappresentava un perfezionamento, perché è certo che un terreno più fertile dà normalmente maggior quantità di prodotti del terreno più sterile; onde l’imposta veniva ad essere meglio commisurata alla ricchezza agricola dei contribuenti. Il sistema si usa ancora presso civiltà meno avanzate, come in Cina, Turchia, India, e presenta una relativa facilità di esazione. Non v’è bisogni di grandi calcoli per conoscere il reddito; si constata solo il prodotto del fondo, se ne preleva una quota parte che serve al fabbisogno dello Stato e null’altro. Ma questo sistema corrisponde ad una organizzazione statale piuttosto arcaica in quanto che presuppone che lo Stato non abbia organi tecnici per valutare il reddito netto ma solo il reddito lordo.

 

 

231. Sperequazioni cagionate dalla decima. – D’altra parte questo sistema è sperequato ed è causa di danni economici. È sperequato perché il reddito lordo non è il reddito netto e quindi non è sempre in proporzione al reddito netto. Il che si può dimostrare con un esempio numerico.

 

 

Supponiamo un terreno N. 1 in cui il prodotto lordo sia 100. Sia esso un terreno a coltura estensiva, nel quale perciò non vi sia bisogno di fare molte spese, come sarebbe un terreno della campagna romana o della maremma dove si ottiene prodotto lordo poco elevato ed un reddito piccolo come cifra assoluta, ma cospicuo come proporzione al lordo. Per esempio, su 100 lire appena di reddito lordo, se ne possono però calcolare 90 di reddito netto. Questo sistema corrisponde all’epoca sociale in cui il capitale è molto scarso e l’agricoltura in condizioni primordiali. Il terreno viene a mala pena graffiato dall’aratro o si fa una agricoltura a pascolo brado. Poche chiudende, scarsi casolari alcuni pastori e bovari bastano all’esercizio di questa agricoltura estensiva. Si ottiene scarsa produzione in derrate agricole ma si spende in compenso pochissimo.

 

 

Supponiamo ora un’epoca a coltura intensiva, con un’applicazione grande di capitale e il raggiungimento di un ben maggior prodotto lordo. È paragonare una prateria della campagna romana o della maremma con una prateria irrigua della Lombardia o del Piemonte. Le spese sono qui molto aumentate, ma anche il prodotto lordo. Invero di 100 avremo 500, ma per ottenerle dovremo spenderne 200 di guisa che resta un prodotto netto di 300 lire, che sono sì superiori in modo assoluto a 90, ma sono soltanto i 3/5 del prodotto lordo, mentre nel caso della coltura estensiva il reddito netto giungeva ai 9/10 del prodotto lordo. È evidente che quando ci sia l’imposta in forma di decima, c’è una sperequazione tra i diversi contribuenti. Nel primo caso (coltura estensiva) la decima è di 10 (su 100), nel secondo (coltura intensiva) è di 50 (su 500); ma calcolando l’imposta in relazione al prodotto netto, che è di 90 e di 300, abbiamo che la proporzione della decima al reddito netto nel primo caso è di 1/9, nel secondo di 1/6, è cioè molto maggiore nel secondo caso. Paga quindi di più in proporzione chi ha i terreni a coltura intensiva, meno chi ha quelli a coltura estensiva.

 

 

232. Danni economici della decima. – Oltre al difetto della sperequazione, la decima è feconda anche di cospicui danni economici. Si espone alla scienza economica una legge che si dice dei prodotti decrescenti, la quale afferma che non si può ottenere in agricoltura, a partire da un certo punto, un prodotto ulteriore se non facendo spese proporzionatamente maggiori di capitali. Se non 100 di capitale anticipato si otteneva 200 di prodotto, con altre 100 otterranno magari dallo stesso terreno altri 200 o magari 300 di prodotto. Ma non si può seguitare all’infinito ad anticipare capitali ottenendo sempre prodotti crescenti nella medesima proporzione. Ad un certo punto, con 100 di anticipazione ulteriore si otterranno solo più 180 di prodotto in più: e poi 150, 130, 120, 110 e 100. Arrivati al qual punto non conviene fare altre anticipazioni, poiché la spesa sarebbe maggiore del ricavo. C’è un punto, che si dice della più perfetta combinazione dei fattori produttori, oltre il quale non conviene andare.

 

 

La grande produttività non si ottiene che con grandi spese, essendo necessari edifici, appianamento del terreno perché l’acqua possa trascorrere, canali, drenaggi e fognature, spese di personale delle quali si poteva a meno nella coltura estensiva, falciatura periodica delle erbe, magari nove volte all’anno come nelle marcite lombarde, trasporto del fieno negli edifici al riparo dalle intemperie, ecc. Ora tutte queste spese aumentano enormemente il costo. Però la proporzione del reddito netto al reddito lordo è superiore nella coltura estensiva. Come si spiegò nell’esempio dianzi fatto, l’imposta a decima, se è sempre uguale al 10 per cento del prodotto lordo, nel caso della agricoltura estensiva, ossia fatta con pochi capitali e scarse anticipazioni, è uguale ad 1/9 del reddito netto; e nel caso della coltura intensiva, la quale richiede forti capitali, è uguale ad 1/6 del prodotto netto. Quindi l’imposta esatta col sistema della decima è sperequata e dà luogo a danni economici, inquantoché l’imposta in questa forma è quasi come un premio alla coltura estensiva, e frena la trasformazione e il progresso dell’agricoltura, verso metodi più perfezionati ed intensivi di coltivazione. La decima diventa perciò insopportabile in quelle epoche storiche in cui per l’accrescersi della popolazione è necessario passare quanto più è possibile alla coltura intensiva. E fu dappertutto abbandonata nei paesi civili; salvo per taluni casi speciali, in cui essa tutt’ora vive: come, ad esempio, in Italia per l’imposta sui fabbricati, che è una vera decima; ed è perciò feconda di sperequazioni e di danni che nella parte terza saranno descritti.

 

 

233. Il reddito uguale al prodotto netto della terra e delle altre ricchezze edilizie, mobiliari, ecc. – Perciò il sistema della decima fu abbandonato e vi si sostituì il sistema dell’imposta proporzionale al prodotto netto. In origine naturalmente si trattava solo del prodotto netto della terra, il che corrisponde ad un periodo di civiltà prevalentemente agricola. In seguito, quando a questo modo di procacciarsi i redditi se ne aggiungessero altri, per mezzo delle industrie e dei commerci, nacque l’opportunità di estendere ad essi il concetto del reddito netto. Così si ebbe dapprima l’imposta sui redditi netti dei mulini, delle gualchiere; una percentuale (sesta o decima) dei crisi od imprestiti di denari; degli stipendi certi dei pubblici funzionari. A poco a poco il sistema tributario ai allargò in guisa da percuotere i redditi di tutte le cose che potevano immaginarsi feconde di reddito; comprendendo tra le cose feconde di reddito anche le professioni, gli impiegati, i mutui, ecc. ecc. Così sorse il moderno sistema di imposte sul reddito delle diverse fondi di reddito. In Italia, dove vige un sistema tripartito di imposta sui redditi, l’imposta sui terreni colpisce i redditi netti della terra; l’imposta sui fabbricati colpisce i redditi che derivano dalla cose; l’imposta di ricchezza mobile colpisce i redditi che derivano dall’impiego del capitale o del lavoro o di amendue insieme. L’imposta con questo sistema si è allargata moltissimo, ed ha finito per esaurire il campo dei redditi netti assoggettabili ad imposta.

 

 

234. Concetti che hanno presieduto all’evoluzione finora descritta. La quattro regole di Adamo Smith. – Se noi badiamo alle ragioni per cui dall’anno si passò all’altro metodo vediamo che sono essenzialmente i seguenti:

 

 

  • 1) cercare di evitare ogni diseguaglianza fra l’un contribuente e l’altro. Si abbandonò il sistema della superficie, perché tassava ugualmente proprietari di terreni fertili e proprietari di terreni sterili; si abolì la decima perché colpiva ugualmente chi aveva un reddito netto uguale al 90 per cento e chi lo aveva appena uguale al 50 per cento dal prodotto lordo; ai redditi netti della terra di aggiunsero i redditi netti delle cose, dei mutui, delle industrie e delle professioni perché sembrò scorretto di tassare gli uni e non gli altri percettori di reddito;
  • 2) cercare di evitare che l’imposta producesse ai contribuenti altri danni, oltre il suo pagamento medesimo. L’imposta sulla superficie fu abbandonata perché obbligata i consumatori di derrate agricole a pagare una vera sovrarendita tributaria ai proprietari di terreni fertili; l’imposta a decima altresì perché danneggiava le trasformazioni culturali richieste dalla agricoltura intensiva. Vedremo sotto che oggi si sta sorpassando lo stadio della tassazione separata dei redditi netti perché dessa porta a sperequazioni e danni pei contribuenti.

 

 

A queste medesime conclusioni era giunto già Adamo Smith nella sua Ricchezza delle nazioni quando dall’esperienza del passato aveva ricavato le sue celebri quattro regole di un buon sistema d’imposta. Le quali regole qui si crede pregio dell’opera di riportare, anche se esse apparentemente non collimano del tutto con le conclusioni a cui siamo arrivati, dopo la nostra rassegna storica dei concetti di reddito imponibile; perché esse collimano invece sostanzialmente.

 

 

  • 1) I soggetti di uno Stato devono contribuire al mantenimento del governo, ciascuno, il più possibile, in proporzione delle sue facoltà, cioè a dire in proporzione del reddito di cui essi godono sotto la protezione dello Stato. La spesa del governo è, rispetto agli individui di un grande paese, alle spese di amministrazione rispetto ai proprietari di una grande tenuta, i quali sono obbligati a contribuire tutti nelle spese in proporzione all’interesse che essi rispettivamente hanno nella tenuta. Lasciando star da parte la motivazione che Adamo Smith da alla sua regola, motivazione che può essere controversa, e badando solo alla regola in sé stessa, noi dobbiamo rilevare che essa dice semplicemente dovere l’imposta non dar luogo a sperequazioni; dovervi essere una norma uniforme, le facoltà od il reddito dei contribuenti, in base a cui l’imposta deve essere ripartita.
  • 2) La imposta o parte d’imposta che ogni persona è tenuta a pagare deve essere certa e non arbitraria. L’epoca del pagamento, il modo del pagamento, la somma da pagare, tutto ciò deve essere chiaro e preciso, tanto per il contribuente che per ogni altra persona. Il significato della quale seconda regola è che il pagamento dell’imposta è già abbastanza oneroso per il contribuente, senza che i danni suoi debbano ancora crescere a cagione della mala maniera tenuta nel riscuoterla. Se l’imposta non è definita in maniera sicura, il contribuente è incerto rispetto al suo onere, non sa se debba o no intraprendere un’industria o commercio, si trova in balla delle estorsioni degli esattori. Onde egli si scoraggia; e l’attività economica del paese diminuisce. Per esempio se il reddito netto colpito dall’imposta non è definito in maniera precisa dal legislatore, se non si sa quali spese debbano essere tenute in conto, molto tempo e denari si perdono nel contrasto tra fisco e contribuenti; senza vantaggio dell’uno e degli altri. Onde la chiarezza della parola del legislatore importa assaissimo.
  • 3) Ogni imposta deve essere riscossa all’epoca e nella maniera che si possono considerare più comode per il contribuente. Il motivo di ciò è sempre quello di evitare un danno. Se all’agricoltore, il quale raccoglie i prodotti del fondo tra il luglio e l’ottobre, si chiede il pagamento dell’imposta in gennaio marzo, lo si obbliga a ricorrere all’usurario per farsi anticipare i fondi. Oltre l’imposta di L. 100 egli dovrà pagare l’usura di L. 10; la quale non giova né all’erario né a lui. Meglio tardare a riscuotere l’imposta in ottobre e fargli magari pagare 103 invece di 100.
  • 4) Ogni imposta deve essere riscossa in maniera da far uscire dalle mani del popolo la minore somma possibile oltre a ciò che entra nel tesoro dello Stato; e nel tempo stesso l’ammontare dell’imposta deve rimanere il minor tempo possibile fuori delle mani del popolo prima di entrare nel tesoro medesimo.

 

 

A questa regola contravveniva l’imposta sulla superficie dei terreni; perché l’erario incassava 10 lire dal terreno di prima qualità e i consumatori di grano pagavano 1 lira di più per ognuno dei 20 quintali di grano prodotti da quel terreno, ossia 20 lire. Le 10 lire di differenza profittavano non al fisco né ai contribuenti consumatori di grano, ma ai proprietari che ingiustamente ricevevano un regalo gratuito. A questa regola contravvengono tutte le imposte, il cui costo di esazione è molto forte; o che, come i dazi protettivi, fanno pagare 100 ai consumatori per dare al fisco solo i 10 ricavati dal dazio doganale sulle merci provenienti dall’estero; mentre i restanti 90, i maggior prezzo delle merci prodotte all’interno, vanno a favore dei produttori nazionali delle merci medesime, deviando così dallo scopo a cui servono le imposte, che è di provvedere ai servigi pubblici.

 

 

235. Passaggio dal concetto del reddito reale separato al concetto del reddito globale, complessivo della persona. – Continuiamo, dopo questa necessaria sosta, nella esposizione dei perfezionamenti successivi verificatisi nel concetto di reddito imponibile. Un grande progresso si è compiuto; ma rimane ancora un ulteriore passaggio, che è di considerare non il reddito delle singole cose separatamente considerato, ma il reddito complessivo delle persone che vivono in un paese.

 

 

Ora il passaggio che si sta facendo nel momento storico attuale è quello appunto per cui l’imposta passa a colpire non le singole fonti di reddito isolatamente, ma il complesso del reddito che l’uomo ricava dalle diverse fonti; passaggio reso necessario da diverse ragioni, alcune delle quali indicheremo poi in seguito perché così porta il tessuto della dimostrazione. A due di esse però conviene accennare subito: una è quella che il sistema di tassare il reddito in quanto provenga dalle singole fonti separatamente considerate può condurci a duplicazione di imposte; l’altra è che il sistema non è più adatto alle forme della vita attuale.

 

 

236. La tassazione separata è causa di duplicazione di imposta. – Esaminiamo la prima ragione: che il sistema di tassare il reddito delle singole fonti porta a duplicazione di imposta. Basta perciò considerare i rapporti di debito e credito che ci sono in un paese. L’imposta sulle singole fonti di reddito colpisce le fonti indipendentemente dalla persona che quei redditi possiede. Il proprietario cioè non paga in quanto persona, ma in quanto, per così dire, è fondo, è casa, ecc. Le conseguenze sono gravi quando, per esempio, un proprietario di una casa del reddito di 10.000 lire all’anno si faccia imprestare da un capitalista a mutuo L. 100.000 all’interesse del 5%, con un onere annuo per lui di 5.000 lire. In questo caso il sistema, che qui critichiamo, della tassazione separata, comincia tassare in primo luogo con la imposta fabbricati le 10.000 lire di reddito nella cassa; e in secondo luogo il reddito di 5.000 lire del capitale dato a mutuo.

 

 

Operando in tal guisa il sistema criticato – che dicesi reale perché colpisce le cose e non le persone, le fonti del reddito e non i percipienti il reddito – è logico. Non ci sono forse due redditi, l’uno della casa e l’altro del mutuo? Il proprietario della casa è colpire come se avesse sempre 10.000 lire di reddito il mutuante è colpito per le sue 5.000 lire di reddito, e giustamente in apparenza, perché la casa seguita sempre a dare le sue 10.000 lire di reddito e il mutuo, nuova cosa od entità produttiva di reddito ne dà 5.000. In realtà che cosa è avvenuto? Che la cosa rende bensì sempre 10.000 lire, ma il proprietario della casa deve in questo trasmettere ben 5.000 al suo creditore, al capitalista che gli ha concesso il mutuo. Dunque vi è duplicazione di imposta perché egli proprietario, è tassato come se avesse sempre 10.000 lire di reddito mentre in realtà il suo reddito è di 5.000 lire soltanto. Una parte – 5.000 lire – è tassata due volte, una presso il proprietario come reddito della casa e una presso il capitalista, come reddito del mutuo.

 

 

Siccome in rapporti di credito e debito nella società moderna vanno intrecciandosi sempre più, si capisce come soltanto questa ragione porti ad una condanna del sistema di tassare le fonti del reddito ognuna per sé, perché è causa di numerose e crescenti duplicazioni d’imposta.

 

 

237. La tassazione separata è disadatta alle condizioni della vita moderna. – Inoltre il sistema non è più adatti alle condizioni della vita moderna. Esso corrispondeva ad uno stato sociale in cui le diverse classi erano relativamente ben divise e separate l’una dal l’altra, e si poteva ammettere che colpendo le fonti del reddito si venissero equamente a colpire le persone che erano proprietarie da quelle fonti. Coloro stavano nelle compagne erano i proprietari dei terreni e non facevano altro che curare questi terreni, non possedevano, né comperavano case in città né titoli di rendita nazionale od esteri, né impiegavano capitali in industrie. Del pari i proprietari di case in una città spesso non avevano altra fonte di reddito gli scarsi industriali attendevano unicamente al proprio laboratorio, ecc. Quindi si veniva a colpire abbastanza bene il reddito che ogni persona ricavava, che era normalmente un reddito omogeneo perché derivante da una sola fonte, o da terreni, o da case, ecc.

 

 

Invece la vita moderna ha cambiato assai tutte queste premesse. L’intreccio dei rapporti economici è ora tale che una stessa persona può essere proprietaria di beni in campagna o di case in città, azionista in industrie, impiegato pubblico, professionista privato, industriale o commerciante, possessore di titoli di Stato, creditore verso un terzo, compratore financo di titoli stranieri; raggruppa in sé quindi in tutto o in parte redditi provenienti da molte fonti diverse. Perciò il sistema predetto, che si attacca puramente e semplicemente alle cose, può essere sperequato rispetto alle persone, non riuscendo a tener conto di tutta la massa di reddito che una persona ha e sopratutto dei redditi che una persona può avere da fonti che non esistono sul territorio della provincia e dello Stato ove l’imposta si esercita. Che cosa importava che l’imposta fosse messa un tempo sulle cose quando nessuno possedeva fuori del comune, della provincia, al più dello Stato? Tutti volevano avere a propria disposizione, vicini i capitali di che erano possessori. Ora uno che abiti a Torino o Milano può avere redditi che non hanno alcun rapporto territoriale con Torino o Milano. Quindi lo Stato, la provincia, il comune, che colpiscono soltanto le cose, devono lasciar andare immuni da imposta molti redditi che sono fuori della loro giurisdizione. Ciò si vede molto di più negli Stati più ricchi, e, per esempio, in Francia ed in Inghilterra ove l’imposta reale produce l’inconveniente che i due Stati non possono colpire i moltissimi redditi, che sono dai sudditi ottenuti all’estero. In Francia si calcolano i capitali così impiegati all’estero in 70 od 80 miliardi; in Inghilterra è il reddito di più di 100 miliardi che colla tassazione reale separata in parte può sfuggire all’imposizione dello Stato inglese.

 

 

Certamente si ovvia all’inconveniente tassando anche i redditi provenienti da fonti estere, come appunto si fa in Inghilterra; ma ciò porta all’altro inconveniente che si tassano talvolta in seconda volta i redditi che furono già tassati all’estero, nello Stato dove si trovano le loro fonti. Il problema si presenta poi gravissimo per gli enti minori, perché rispetto ad essi la facilità dei contribuenti di ottenere redditi fuori del territorio e di occultarli è grandissima.

 

 

238. Perché debitore dell’imposta debba considerarsi la persona e non la cosa. – A queste considerazioni tecniche e pratiche, della duplicazione necessaria di certe imposte e della mutazione dei rapporti della vita moderna, che ha fatto siche molti redditi provengono da località diverse da quelle ove ha sede l’autorità investita della potestà tributaria, si associa la ragione teorica per cui è debitore dell’imposta non la cosa ma la persona. Sono gli uomini che soddisfano ai bisogni oltreché ai bisogni privati; qualche volta pagano prezzi pubblici, come nel caso delle ferrovie, delle poste; pagano tasse come nel caso dell’istruzione e contributo come nel caso delle opere di miglioria e talvolta infine pagano imposte. Le case i terreni, che bisogni hanno? Nessuno. Quindi il rapporto tra lo Stato e le cose è inesistente. Sono gli uomini che pagano un qui per ottenere i pubblici servizi.

 

 

239. Il concetto del reddito personale netto globale. – Queste ragioni tecniche e pratiche nello stesso tempo sono state le cause della già segnalata mutazione nella concezione del reddito, da un concessione reale ad una concessione personale del reddito. Invece di considerare come oggetto dell’imposta il reddito netto delle singole fonti di reddito (case, terreni, industrie, fabbricati, impieghi privati e pubblici), si è detto che il vero oggetto dell’imposta è il reddito netto globale della persona e che l’imposta deve essere ripartita in rapporto ad esso reddito globale.

 

 

Questo reddito consiste nella somma di tutti i redditi netti che una persona ricava dalle varie fonti. Chi ha una sola fonte di reddito pagherà l’imposta per quella sola, che ne ha parecchie pagherebbe l’imposta in ragione della somma dei redditi ottenuti. Pare questa una trasformazione semplice ed è invece importantissima, perché fare la somma vuol dire fare anche le necessarie sottrazioni, in guisa che la duplicazione dell’imposta non può verificarsi. Il caso citato dal proprietario che ricava 10.000 dalla casa, ma ne deve 5.000 a un creditore, eppure è colpito per 10.000 lire, non si verifica più e nuovo concetto del reddito imponibile. Poiché se l’imposta si tramuta da reale in personale avremo per il proprietario della case: reddito del fabbricato 10.000, meno interesse dovuto al mutuante 5.000 = reddito netto globale del proprietario, se non ha alcuna altra fonte di reddito, 5.000 lire. Pagherà perciò in rapporto a 5.000. Quando il sistema è applicato perfettamente, questa duplicazione viene ad esse tolta. Inoltre viene pure ad essere tolta, almeno teoricamente, la difficoltà che esiste nel sistema delle imposte che incidono sulle cose la difficoltà della territorialità, in quanto che la persona dovrà denunciare tutti i suoi redditi da qualunque parte essi provengano. Una persona che sta a Torino può avere: reddito netto d’un impiego da Torino 5.000 lire; reddito di una casa a Moncalieri 500 lire; reddito di una industria in Lombardia 100 lire, reddito di un titolo di Stato russo 50 lire. Fatta la somma dei suoi redditi, essa verrà sottoposta integralmente all’imposta per 5.650 lire.

 

 

Questo è il concetto dominante attualmente o che tende a diventare dominante nelle legislazioni europee. Diciamo tende perché non tutte le legislazioni sono ad un eguale punto della evoluzione. In Germania ci si è già arrivati; in Inghilterra il sistema è misto; in parte l’imposta sul reddito colpisce le singole fonti separatamente, ed in parte tiene conto del reddito globale. In Italia lo Stato è ancora allo stadio della tassazione separata colle tre imposte sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile; mentre i comuni possono applicare l’imposta di famiglia che è una vera imposta sul reddito globale. Ma è indubitato che l’evoluzione verso il concetto della tassazione del reddito globale è più o meno dappertutto accentuata.

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