Opera Omnia Luigi Einaudi

Capitolo V – Del debito pubblico proprio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1914

Capitolo V – Del debito pubblico proprio

Corso di scienza delle finanze, Tipografia E. Bono, Torino, 1914, pp. 800-834

 

 

 

Sezione prima

Oggetto del presente capitolo

 

652. Distinzione dei debiti pubblici propri in rapporto alla loro durata ed importanza dell’elemento «tempo». – Volendo distinguere tra di loro differenti maniere di far debiti in modo proprio si può osservare che il criterio più opportuno all’uopo è quello del tempo. Come i privati, anche gli Stati si indebitano per un tempo più o meno lungo; il che vuol dire che essi si obbligano a rimborsare la somma ricevuta dopo un tempo breve, o mediocre o lunghissimo o forse mai. Così si hanno i prestiti rimborsabili a tempo determinato, ossia dopo 5 o 10 o 20 o più anni, i prestiti rimborsabili per ammortamento in un dato periodo di tempo, a frazioni annuali, ed i prestiti perpetui e cioè non ammortizzabili. Di ognuno di essi si dirà ora partitamente; durante il qual discorso sarà d’uopo fare accenni alla convenienza di rimborsare i debiti pubblici, o meglio, supponendo che il rimborso del debito sia un fine desiderabile, si dirà come il fine possa essere diversamente raggiunto con l’una o l’altra maniera di debito, riservando ad una trattazione ulteriore di discutere se convenga o no effettuare il rimborso. Sono invero due problemi distinti: a) se convenga ed entro quali limiti convenga rimborsare i debiti pubblici e b) quali maniere di debito si adattino meglio al rimborso; e debbono quei due problemi essere separatamente trattati, sebbene sia impossibile discutendo l’uno far compitamente astrazione dall’altro, e qualche mescolanza tra di essi sia inevitabile.

 

 

Sezione seconda

I prestiti a scadenza fissa

 

653. I prestiti rimborsabili a scadenza fissa. Difficoltà del rimborso e frequente loro rinnovazione. – La prima specie di debito pubblico proprio è quello dei prestiti rimborsabili a tempo determinato. I privati quando prendono somme a prestito seguono solitamente questo metodo di promettere il rimborso a scadenza fissa, dopo 5 o 10 o 20 anni. Così possono fare anche gli Stati; e noi già vedemmo (par. 600 – 1 2) come gli Stati emettano in tal maniera i buoni del tesoro ordinari e preparatori. Ciò che nei buoni del tesoro è spediente temporaneo, qui è regola duratura. Lo Stato, come il privato, si indebita solo per un certo tempo, perché spera di potere, alla fine del periodo, rimborsare il debito contratto.

 

 

Senonché più facilmente il proposito può essere attuato dal privato che dallo Stato. Il privato, il quale contrae un prestito di 100.000 lire obbligandosi al rimborso dopo 10 anni, fa conto di potere ogni anno, dopo aver pagato gli interessi di 4.000 lire, accantonare 8.320 lire, le quali messe a frutto all’interesse del 4% in 10 anni comporranno le 100.000 lire che egli deve rimborsare. Il debitore trarrà i mezzi per l’accantonamento dai redditi della sua industria o dei commerci ampliati con l’aiuto delle 100.000 lire prese a prestito, ovvero dei suoi redditi personali o di capitale. Quand’egli sia perseverante nel risparmio, il debito potrà essere estinto all’epoca fissata. Ben più difficile è invece siffatta opera di risparmio per lo Stato. Sia un debito di 1 miliardo di lire rimborsabile dopo 10 anni. Converrebbe ai governanti, per avere i mezzi di effettuare il rimborso alla scadenza fissata, ogni anno far gravare sui contribuenti 83.200.000 lire di imposte supplementari, accantonare il provento, impiegarlo al 4% insieme coi frutti, difendere il tesoro così accumulato contro i pericoli di storni per altre imprese utili o necessarie – guerre, opere pubbliche – insorte nel frattempo, non lasciarsi cogliere dalla tentazione di colmare coi fondi tesoreggiati un disavanzo di bilancio ed avere la forza di coprirlo con economie. Le quali condizioni, essendo quasi assurde a verificarsi in governi parlamentari di breve durata, impediscono che il rimborso del prestito possa avvenire mercé accantonamenti volontari di rate annue da parte dello Stato debitore.

 

 

Troverà questo il mezzo di liberarsi dal prestito con qualche entrata straordinaria ricevuta alla scadenza del mutuo? Ciò non è impossibile per un debitore privato, il quale può ricevere un’eredità, ovvero alienare una parte del suo patrimonio, che egli forse avrà accresciuto in valore mercé il provento del prestito. Ma lo Stato non ha nessuna di queste maniere di entrata; onde alla scadenza del prestito sarà obbligato a rinnovarlo od a trasformarlo in un altro di più lunga durata o perpetuo.

 

 

654. Rischio di più onerose condizioni richieste alla rinnovazione. Come la fissazione di due termini, minimo e massimo, al rimborso diminuisca, ma non elimini del tutto questo inconveniente. – Se questa è la logica e quasi costante fine dei prestiti a scadenza fissa è chiaro che essi presentano dei pericoli per lo Stato debitore. Può darsi che alla fine dei 10 anni lo Stato si trovi in buone condizioni finanziarie e che il tasso dell’interesse sul mercato sia diminuito dal 4 al 3 1/2 per cento; ed in tal caso accadrà che il prestito di 1 miliardo prima contratto al 4% sia rinnovato al 3 1/2 per cento. Ma se l’una o l’altra od amendue queste condizioni non si verificano, se lo Stato, alla scadenza dei 10 anni, attraversa una crisi finanziaria od il paese una crisi economica e se, per qualsiasi altra ragione, il tasso dell’interesse, malgrado e forse a causa della prosperità economica, è rialzato dal 4 al 5%, i governanti saranno costretti a rinnovare il debito al tasso più grave, onde il tesoro subirà una perdita non lieve, il debito di 1 miliardo, che prima importava 40 milioni all’anno per onere di interessi, costando ora 50 milioni.

 

 

La fissazione di un’epoca fissa pel rimborso del debito importa dunque un’alea per lo Stato debitore; a diminuire la quale talvolta si è usato determinare due date alla scadenza: una minima, ad es., fra 5 anni, prima della quale lo Stato non possa rimborsare il debito e l’altra massima, ad es. fra 20 anni, oltre di cui il rimborso non possa avvenire. Se bene si guarda però, il metodo ora addotto giova a crescere l’incertezza in cui rimane il creditore, il quale dopo un periodo di tempo in cui il rimborso non può essere chiesto né imposto, è, in un ulteriore periodo dal sesto al ventesimo anno, ognora soggetto all’alea del rimborso, ove convenga allo Stato di minacciarlo. Siffatta facoltà praticamente poco giova a facilitare allo Stato il rimborso, perché di solito i governanti, avendo molto tempo dinnanzi a loro, di anno in anno ritardano a provvedere all’accantonamento dei fondi opportuni al rimborso ed alla fine del ventennio sono colti alla sprovveduta così come sarebbero stati dopo i primi cinque anni. La fissazione delle due date, minima e massima, può essere di aiuto ai governanti nel cogliere il momento più opportuno per minacciare ai creditori il rimborso del debito contratto al 4%, ove essi non si contentino del 3 1/2 per cento, e per questo motivo è preferibile ai debiti contratti a scadenza certa unica. Ma trattasi sempre di una maniera di debito, la quale presenta per lo Stato il pericolo di dovere effettuare il rimborso, o meglio, poiché il rimborso del debito è una ipotesi improbabile, di dovere rinnovare il debito in un momento in cui il tasso di interesse è aumentato e la rinnovazione può soltanto ottenersi sottostando a condizioni peggiori di prima. Il rischio è minore se il periodo concesso pel rimborso è lungo e se i governanti possono cogliere il momento opportuno alla rinnovazione lungo un sufficiente numero di anni; ma non si può dire che esso sia tolto del tutto.

 

 

655. I prestiti a scadenza fissa sono preferiti nei periodi storici in cui il tasso dell’interesse tende ad aumentare. – Poiché i debiti a scadenza fissa presentano inconvenienti non lievi, non sembra fuor di luogo indagare la ragione per cui ad essi si ricorre tuttavia non di rado. Forse essa si riconnette sovratutto alle variazioni nel tasso dell’interesse. Quando il tasso dell’interesse ha la tendenza a discendere, quando cioè da anni il tasso dell’interesse lentamente è disceso dal 5 al 4 1/2 e poi al 4 ed al 3 1/2 ed al 3 e forse al 2 1/2 per cento, capitalisti e debitori si persuadono che questa sia la tendenza naturale del prezzo di uso del risparmio e si apparecchiano ad ulteriori diminuzioni nell’avvenire. I capitalisti preferiscono in queste condizioni un titolo di debito a lunghissima scadenza od anche perpetuo, poiché in tal modo conservano la speranza che il frutto promesso, ad es. del 3 1/2 per cento, possa essere lucrato per lunghi anni.

 

 

È una speranza infondata, poiché, se davvero la tendenza alla diminuzione nel tasso dell’interesse si avvera e l’interesse scema al 3%, lo Stato si affretta ad offrire il rimborso delle 100 lire, ove i creditori non si contentino del 3 per cento. Ma il capitalista spera sempre nell’avvenire e predilige l’incertezza di un titolo di eguale frutto, poiché in tal caso egli è certo di dover cercare un altro impiego e teme di doversi contentare di un frutto minore; mentre, col titolo di rendita perpetua, egli spera sempre che lo Stato non si decida ad offrirgli il rimborso. Tutto ciò teoricamente è assurdo, poiché il perfetto uomo economico sa che il rischio di una diminuzione di frutto dal 3 1/2 al 3% è identico, sia che il titolo sia a scadenza fissa di 5 anni, o perpetuo, bene prevedendo che in amendue i casi lo Stato profitterà della possibilità di ridurre il tasso dell’interesse sui suoi debiti. Ma gli uomini reali non sono perfetti uomini economici e non sempre ragionano bene; sicché possiamo assumere come un dato di fatto che, nei periodi in cui il tasso dell’interesse scema, i risparmiatori preferiscono acquistare titoli di rendita perpetua, poiché immaginano che la perpetuità della rendita significhi anche costanza nell’ammontare della rendita stessa. Il che non è; gli Stati riservandosi ognora la facoltà del rimborso del capitale. Ma è naturale che gli Stati profittino della falsa credenza o speranza od immaginazione dei capitalisti ed emettano, in questi periodi, a preferenza rendite perpetue.

 

 

Tutta diversa è la situazione psicologica degli Stati e dei risparmiatori nei periodi ad interesse crescente. Mentre dal 1870 al 1895 circa il tasso dell’interesse aveva una tendenza a diminuire per molteplici ragioni – guerre scarse, depressione economica durata a lungo, prezzi delle merci in ribasso, produzione elevata di risparmio – negli anni successivi al 1895 si iniziò ed accentuò una tendenza al rialzo nel tasso dell’interesse, dal 2 1/2 al 3, al 3 1/2 ed in taluni Stati al 4 ed al 5 e più per cento per opposte ragioni: distruzione di capitali prodotta dalle guerre e dalla febbre di armamenti da cui fu invaso il mondo, prezzi crescenti e prosperità industriale, la quale provocò forti domande di risparmio per investimenti industriali, ferroviari, coloniali, agricoli, ecc. ecc., fors’anco minore acceleramento nella produzione del risparmio, contratto dalle esigenze del rincaro della vita. Siccome però siffatta tendenza al rialzo nel tasso dell’interesse è relativamente recente e contraddice all’esperienza anteriore più antica di un perdurante ribasso, siccome sembra probabile che le forze le quali tendono a far ribassare il tasso dell’interesse, fra cui massimamente è notabile la diffusione crescente dello spirito di previdenza e di risparmio in sempre più ampi strati della popolazione, abbiano alla lunga a prevalere sulle forze distruttive, le quali provocano il rialzo, così molti risparmiatori temono ed i governanti sperano che il rialzo abbia ad essere temporaneo. In tali condizioni i governanti riluttano a prendere denaro a mutuo per lungo periodo di tempo od in perpetuo ad es. al 5%; poiché sperano che rasserenato l’orizzonte, il tasso dell’interesse debba di nuovo discendere al 4 od al 3 1/2 per cento. Quindi i governi preferiscono emettere titoli a breve scadenza, ad alto tasso d’interesse (4 o 5 per cento), mossi dalla speranza che dopo 5 o 10 anni il tasso dell’interesse sia scemato ed essi possano rinnovare il mutuo al 3 od al 4 per cento. Ed è possibile che alcuni dei risparmiatori – non la maggioranza dei risparmiatori pronti ad imprestare allo Stato, la quale è composta di gente timida, timorosa sempre del peggio – sperino che il rialzo abbia ancora ad accentuarsi e prediligano i titoli a breve scadenza, di 5 o 10 anni, per la fiducia di potere, alla scadenza, ottenere migliori condizioni ancora di quelle già convenute.

 

 

Il prestito a scadenza certa, relativamente breve, è dunque un mezzo con cui gli Stati cercano di ridurre al minimo le conseguenze di un rialzo nel tasso dell’interesse, che essi ritengono temporaneo; mentre, d’altro canto, per taluni capitalisti rappresenta la speranza di impiegare subito i proprii risparmi ad un buon frutto e di poterlo impiegare ancora meglio alla scadenza. Quale di queste speranze contraddittorie possa verificarsi dipende dal corso degli avvenimenti economici. Se il tasso dell’interesse continua a salire, lo Stato, il quale aveva contratto un mutuo al 4% per 5 anni, sperando di rinnovarlo alla scadenza al 3 1/2, è danneggiato dovendolo rinnovare invece al 5%, con vantaggio degli accorti o fortunati capitalisti; ed il contrario accade, con beneficio dello Stato e scorno dei capitalisti, se invece il tasso dell’interesse scema.

 

 

Sezione terza

Le annualità o rendite temporanee

 

656. Meccanismo dei prestiti per annualità temporanee e vantaggi di essi. – Un metodo di prestito pubblico che in alcuni paesi fu abbastanza largamente adottato e non è ignoto neppure presso di noi, è quello che si dice delle annualità o rendite temporanee. Col metodo precedente, lo Stato contrae un mutuo di 1 miliardo al 4% per 10 anni, obbligandosi a pagare per 10 anni l’interesse di 40 milioni ed alla fine del decennio a rimborsare il miliardo di lire. Col metodo della annualità, lo Stato, contraendo lo stesso debito di 1 miliardo di lire, si obbliga soltanto a pagare per n anni una data somma, la quale dicesi «annualità» perché è pagata ogni anno e comprende in se stessa gli interessi e il rimborso del capitale. È evidente che quanto più grande è il numero n degli anni, per cui si deve pagare l’annualità, tanto più è piccola l’annualità, perché il rimborso del capitale si fraziona in un numero maggiore di anni. Così, se l’interesse stipulato è del 4% ed il debito contratto è di 1 miliardo di lire

 

 

e se il numero degli anni l’annualità da pagarsi è di: alla fine di ogni anno è di:
1

L. 1.040.000.000

10

123.291.000

20

73.582.000

50

46.550.000

75

42.229.000

99

40.841.000

100

40.808.000

 

 

È chiaro il meccanismo del prestito. Se il debito si deve rimborsare in 1 anno solo, l’annualità sarà composta del miliardo di capitale e dei 40 milioni di interessi di quel solo anno. Se il rimborso deve compiersi in 10 anni, l’annualità deve essere calcolata in una somma siffatta che il creditore possa, col prodotto di essa, innanzitutto ottenere l’interesse del 4% sul capitale ancora non rimborsato, e colla somma residua ricuperare, entro il decennio, il miliardo dato a mutuo. Così nel primo anno, le 123.291.000 lire si dividono in 40 milioni di lire di interessi sul capitale di 1 miliardo imprestato al principio dell’anno, ed 83.291.000 lire di rimborso di una prima rata del capitale. Nel secondo anno, rimanendo costante l’annualità di L. 123.291.000 pagata dal debitore, la quota di essa che corrisponde agli interessi diminuisce al 4% su L. 1.000.000.000 (capitale mutuato al principio del primo anno) – L. 83.291.000 (capitale rimborsato alla fine del primo anno) = L. 916.709.000, residuo debito al principio del secondo anno, ossia è solo di L. 36.668.360. Cosicché la quota di capitale rimborsato alla fine del secondo anno è di L. 123.291.000 – 36.668.360 = L. 86.622.640 ed il residuo debito viene limitato a L. 830.086.360. Se si continua il conteggio si vede che alla fine del decimo anno, il mutuo è intieramente rimborsato. Naturalmente, a mano a mano che aumenta il numero degli anni su cui viene diluito il rimborso del prestito, diminuisce l’ammontare dell’annualità necessaria a pagare gli interessi e ad ammortizzare il debito. Con una durata di 20 anni, occorrono ancora 73 milioni e 582 mila lire, con 50 anni bastano 46.550.000 lire, con 75 anni occorrono solo 42.229.000 lire all’anno, con 99 sono sufficienti 40.841.000 lire e con 100 anni 40.808.000 lire. Si addusse la cifra dei 99 anni, perché è quella che non di rado fu adottata in Inghilterra per questa sorta di debiti.

 

 

Il vantaggio di un debito ad annualità è evidente. Se lo Stato contrae un debito perpetuo di 1 miliardo di lire al 4%, ogni anno deve pagare 40 milioni di interesse e dopo 99 anni continua ad essere sempre gravato del medesimo debito capitale di 1 miliardo di lire, su cui in perpetuo pagherà gli interessi di 40 milioni di lire all’anno. Con un sacrificio lievissimamente maggiore, obbligandosi cioè a pagare L. 40.841.000 lire all’anno invece di 40 milioni, lo Stato in 99 anni rimborsa scalarmente il debito e dopo 99 anni rimane sciolto da ogni obbligazione di capitale ed interessi. Una impostazione quasi irrilevante di 841.000 lire all’anno in più nel bilancio basta a produrre l’effetto alla lunga del rimborso od ammortamento totale del prestito.

 

 

657. Come il metodo di prestito per annualità temporanee sia fastidioso per i capitalisti privati e conveniente solo ad enti collettivi o grandi società. – Epperciò talvolta gli Stati hanno fatto ricorso a questa maniera di prestito a lunghe annualità di 99, 100, 150 anni. Maniera, la quale presenta però nella forma pura ora discorsa un inconveniente gravissimo, che la rende poco accetta ai risparmiatori. Infatti, siccome il prestito dovrà essere contratto con molti risparmiatori, dovrà esso venire diviso in piccole frazioni, supponiamo di 1000 lire l’una in capitale, rappresentate da altrettanti titoli. Supponiamo che un risparmiatore abbia mutuato allo Stato 1000 lire ed abbia ricevuto in cambio un titolo che gli dà diritto ad incassare ogni anno per 99 anni un annualità di 40 lire ed 841 millesimi di lira.

 

 

Teoricamente egli riceve tutto il dovutogli; poiché, se alla fine dei 99 anni non vorrà aver scemato il suo capitale, dovrà nel primo anno consumare solo le 40 lire che sono interessi sul capitale di L. 1000 da lui mutuato allo stato, ed accantonare gli 841 millesimi che sono rimborso di una quota parte del capitale; nel secondo anno consumare solo le L. 39,96636 di interessi e mettere da parte le L. 0.87464, che sono la quota di rimborso del capitale; e così via ogni anno sino ad aver ricostituito in 99 anni le sue 1000 lire. Praticamente però il capitalista non ama fare questi calcoli sottili e risparmiare le frazioni minime di lire; sicché egli, consumando tutte le 40 lire ed 841 millesimi della annualità, si troverà, egli od i suoi successori, alla fine dei 99 anni ad avere consumato insensibilmente tutto il suo originario capitale.

 

 

Ciò che è poco piacevole per i risparmiatori, i quali perciò poco amano questa maniera di prestiti. Sebbene si possa osservare che, se il periodo di tempo per cui dura l’annualità è molto lungo, e superando il secolo, giunge ai 150 od ai 200 anni, gli uomini siano disposti a confondere l’idea di una rendita perpetua e forse sarebbero disposti a pagare il medesimo prezzo di 100 lire per una annualità di 4 lire e 2 o 3 centesimi duratura per 200 anni come per una rendita di 4 lire. Mentre lo Stato, che ha vita indefettibile, dopo 150 o 200 anni otterrà il vantaggio di avere, con un sacrificio insensibile, estinto il debito.

 

 

Certo è però che il metodo delle annualità in genere poco è gradito ai capitalisti a cui cagiona fastidi e noie non piccole per la ricostituzione del capitale originario, ed in Italia è unicamente seguito nei casi specialissimi di prestiti fatti allo Stato da grandi compagnie. Già vedemmo sopra (cfr. par. 646 e segg.) come lo Stato talvolta, invece di pagare ad

una compagnia ferroviaria il prezzo convenuto per la costruzione di una linea in 100 milioni di lire, ad es., si obblighi a pagarle una annualità costante di L. 5.477.700 per 50 anni, comprensiva dell’interesse al 5%[1] e della quota di ammortamento opportunamente calcolato in modo che il debito venga estinto entro i 50 anni. Alla compagnia siffatto modo di rimborsare il debito è tecnicamente adatto; poiché, trattandosi di una vistosa annualità ed essendo la compagnia fornita di impiegati contabili, facile riesce ogni anno scindere l’annualità di L. 5.477.700 in ciò che è interesse e ciò che è rimborso di capitale; sicché la compagnia possa servirsi di ciò che è interesse ai suoi obbligazionisti, riservando la quota di ammortamento del capitale ad estinguere una parte delle azioni od obbligazioni per estrazioni a sorte. Per modo che, alla fine del cinquantennio, quando lo Stato cesserà di pagare l’annualità, anche la compagnia abbia rimborsato tutto il proprio capitale azionario od obbligazionario. Il metodo di debito per annualità costanti terminabili se è utile allo Stato in quanto consente di estinguere il debito con un lievissimo sacrificio è accetto ai capitalisti creditori solo quando questi siano grandi compagnie od enti a cui non riesca fastidioso ricevere una annualità comprensiva di interesse e di ammortamento in un’unica somma.

 

 

Sezione quarta

I prestiti ammortizzabili

 

658. Meccanismo del prestito in obbligazioni ammortizzabili per estrazioni a sorte. – Per evitare l’inconveniente insito nel metodo di prestito con rendite od annualità temporanee di affidare al risparmiatore la ricostituzione del capitale mutuato mercé il prelievo di piccole frazioni sulle rendite riscosse annualmente si usa spesso dagli Stati ricorrere al metodo del prestito per obbligazioni ammortizzabili o, come ancora dicesi, dei prestiti redimibili. Sia il prestito di 1 miliardo di lire per cui lo Stato ha consegnato ai capitalisti 2 milioni di obbligazioni da 500 lire l’una. Se la durata del mutuo è di 50 anni e l’interesse del 4%, la annualità occorrente risulta (cfr. par. 656) di L. 46.550.000, che lo Stato ogni anno per 50 anni stanzia in bilancio per il servizio del prestito.

 

 

Anziché però pagare ad ogni portatore di obbligazioni il 4.65 1/2 per cento all’anno per 50 anni, lo Stato paga ad ogni obbligazionista solo l’interesse annuo del 4% ossia 20 lire per ogni obbligazione da 500 lire.

 

 

Nel primo anno la somma occorrente per interessi risulta così di 40.000.000 lire. I residui 6.550.000 lire che avanzano sullo stanziamento annuo sono impiegati ad estinguere altrettanta somma di obbligazioni scelte col metodo dell’estrazione a sorte. Si rimborsano cosi13.100 obbligazioni da 500 lire l’una, residuandosi il debito a L. 993.450.000 al principio del secondo anno.

 

 

 

Anno

Capitale debito al principio dell’anno

Annualità fissa di L. 46.550.000, divisa in

Numero delle obbligazioni da L. 500 estratte

Numero delle obbligazioni da L. 500 in corso alla fine dell’anno

Capitale debito alla fine dell’anno

Interessi 4% sul capitale debito al principio dell’anno

Quota di rimborso di capitale

1

2

3

4

5=

6=

7=2-4

1

1.000.000.000

40.000.000

6.550.000

13.100

1.989.900

993.450.000

2

993.450.000

39.720.000

6.830.000

13.660

1.973.240

986.620.000

3

986.620.000

39.460.000

7.090.000

14.180

1.959.060

979.530.000

4

979.530.000

39.160.000

7.390.000

14.780

1.944.280

972.140.000

5

972.140.000

38.880.000

7.670.000

15.340

1.928.940

964 470.000

6

964.470.000

38.600.000

7.950.000

15.900

1.913.040

956.520.000

7

956.520.000

38.250.000

8.300.000

16.600

1.896.440

948.220.000

8

948.220.000

37.930.000

8.620.000

17.240

1.879.200

939.600.000

9

939.600.000

37.580.000

8.970.000

17.940

1.861.260

930.630.000

10

930.630.000

37.220.000

9.330.000

18.660

1.842.600

921.300.000

11

921.300.000

36.850.000

9.700.000

19.400

1.823.200

911.600.000

12

911.600.000

36.460.000

10.090.000

20.180

1.803.020

901.510.000

13

901.510.000

36.060.000

10.490.000

20.980

1.782.040

891.020.000

14

891.020.000

35.640.000

10.910.000

21.820

1.760.220

880.110.000

15

880.110.000

35.200.000

11.350.000

22.700

1.737.520

868.760.000

16

868.760.000

34.750.000

11.800.000

23.600

1.713.920

856.960.000

17

856.960.000

34.280.000

12.270.000

24.540

1.689.380

844.690.000

18

844.690.000

33.780.000

12.770.000

25.540

1.663.840

831.920.000

19

831.920.000

33.270.000

13.280.000

26.560

1.637.280

818.640.000

20

818.640.000

32.740.000

13.710.000

27.420

1.609.860

804.930.000

21

804.930.000

32.190.000

14.360.000

28.720

1.581.140

790.570.000

22

790.570.000

31.620.000

14.930.000

29.860

1.551.280

775.640.000

23

775.640.000

31.020.000

15.530.000

31.060

1.520.220

760.110.000

24

760.110.000

30.400.000

16.150.000

32.300

1.487.920

743.960.000

25

743.960.000

29.750.000

16.800.000

33.600

1.454.320

727.160.000

26

727.160.000

29.080.000

17.470.000

34.940

1.419.380

709.690.000

27

709.690.000

28.380.000

18.170.000

36.340

1.383.040

691.520.000

28

691.520.000

27.660.000

18.890.000

37.780

1.345.260

672.630.000

29

672.630.000

26.900.000

19.650.000

39.300

1.305.960

652.980.000

30

652.980.000

326120.000

20.430.000

40.860

1.265.100

632.550.000

31

632.550.000

25.300.000

21.250.000

42.500

1.222.600

611.300.000

32

611.300.000

24.450.000

22.150.000

44.300

1.178.300

589.150.000

33

589.150.000

23.570.000

22.980.000

45.960

1.132.340

566.170.000

34

566.170.000

22.650.000

23.900.000

47.800

1.084.540

542.270.000

35

542.270.000

21.700.000

24.850.000

49.700

1.034.840

517.420.000

36

517.420.000

20.700.000

25.850.000

51.700

983.140

491.570.000

37

491.570.000

19.660.000

26.890.000

53.780

929.360

464.680.000

38

464.680.000

18.590.000

27.960.000

55.920

873.440

436.720.000

39

436.720.000

17.470.000

29.080.000

58.160

815.280

407.640.000

40

407.640.000

16.300.000

30.250.000

60.500

754.780

377.390.000

41

377.390.000

15.100.000

31.450.000

62.900

691.880

345.940.000

42

345.940.000

13. 840.000

32.710.000

65.420

626.460

313.230.000

43

313.230.000

12.530.000

34.020.000

68.040

558.420

279.210.000

44

279.210.000

11.170.000

35.380.000

70.760

487.660

243.830.000

45

243.830.000

9.750.000

36.800.000

73.600

414.060

207.030.000

46

207.030.000

8.280.000

38.270.000

76.540

337.520

168.760.000

47

168.760.000

6.750.000

39.800.000

79.600

257.920

128.960.000

48

128.960.000

5.160.000

41.390.000

82.780

175.140

87.570.000

49

87.570.000

3.500.000

43.500.000

86.100

89.040

44.520.000

50

44.520.000

2.030.000

44.520.000

89.040

0

0

 

 

 

Siccome l’interesse al 4% su L. 993.450.000 richiede solo lire 39.738.000 rimangono nel secondo anno, sulle costanti L. 46.550.000 stanziate nel bilancio, disponibili L. 6.812.000 che vengono destinate a rimborsare altre 13.624 obbligazioni da 500 lire estratte a sorte. E così via tutti gli anni, fermo sempre rimanendo lo stanziamento complessivo di bilancio in L. 46.550.000, diminuisce la quota di esso che è destinata al pagamento degli interessi, perché è via via minore il numero delle obbligazioni, che ancora rimangono in vita e cresce la parte destinata al rimborso del capitale per estrazione a sorte di un numero crescente di obbligazioni, cosicché nell’ultimo anno del cinquantennio è minima la quota destinata al rimborso dell’ultima rata di capitale ancor dovuto.

 

 

659. Vantaggi dei prestiti ammortizzabili per i capitalisti. La certezza del rimborso entro un dato termine serve da paracadute nei tempi di interesse crescente. Sono adatti per imprese che abbiano impegni e redigano bilanci a lunga scadenza. – Il metodo è conveniente per i capitalisti, perché essi non hanno il fastidio di dovere, come nel caso delle rendite temporanee, reimpiegare piccole frazioni del proprio capitale. Essi, finché le loro obbligazioni non sono estratte, ricevono il pattuito interesse del 4%; e quando una delle loro obbligazioni è estratta, ne ricevono il rimborso integrale. Siccome vi sono, di solito, obbligazioni unitarie da 500 lire, quintuple da 2500 lire, decuple da 5000 lire ecc., ecc., così il capitalista potrà, a seconda delle sue condizioni finanziarie, scegliere quel tipo di obbligazione, il cui rimborso gli imponga meno fastidio per il relativo reimpiego. E del resto ai capitalisti riesce di solito tutt’altro che sgradito il rimborso, perché questo avviene al valore nominale, mentre l’emissione fu consuetamente fatta ad un prezzo inferiore alla pari (cfr. par. 671 e segg.).

 

 

In confronto al metodo, che si discorrerà poi, delle rendite perpetue, il prestito con obbligazioni ammortizzabili è conveniente per quegli istituti di assicurazione o di risparmio, i quali hanno bisogno di poter fare affidamento sul rimborso di una certa somma ad una certa scadenza, sia pure graduata nel tempo. Una rendita perpetua ha l’inconveniente che essa non ha nel futuro un prezzo fisso di rimborso. Lo Stato non essendo obbligato al rimborso, il prezzo della rendita perpetua è unicamente fissato dal mercato in funzione dell’ammontare della rendita stessa e del tasso corrente d’interesse. Una rendita di 4 lire, ad esempio, varrà 100 lire se il tasso d’interesse è il 4%, varrà 80 lire se il tasso è del 5%, 66,66 lire se il tasso aumenta al 6 per cento. Ma se il tasso diminuisce al 3%, una rendita di 4 lire non sale di prezzo a 133,33 lire, come la ragion contabile vorrebbe, poiché in tal caso lo Stato si affretta a ridurre la rendita da 4 a 3 lire, offrendo ai ripugnanti il rimborso delle 100 lire di capitale.

 

 

Invece l’obbligazione ammortizzabile se non può aumentare troppo di valore oltre la pari, non può neppure discendere eccessivamente al disotto della pari. Sia una obbligazione che reca il frutto annuo di 4 lire e che lo Stato si è obbligato a rimborsare entro 50 anni, mediante estrazione a sorte su un gruppo di 10.000 obbligazioni, alla pari di 100 lire. È certo che, siccome è ignota l’epoca fortuita della estrazione, la quale può verificarsi nel primo anno od anco nel cinquantesimo anno, il prezzo corrente viene sovratutto determinato dal tasso dell’interesse; tenderà ad essere di 100 se il tasso d’interesse è del 4%, di 80 se il tasso è del 5 per cento. Ma è anche certo che contro questa tendenza agisce la circostanza che il titolo è rimborsabile, al più tardi nel cinquantesimo anno, in 100 lire. Specialmente negli ultimi 20 o 10 anni di vita del prestito, il portatore difficilmente si deciderà a vendere ad 80 lire il titolo che rende solo 4 lire; perché tiene conto della certezza del rimborso in 100 lire. Supponendo appunto che la vita media dell’obbligazione sia di 14 anni ed 1/3, il portatore sa che egli ha un titolo che per 14 1/3 anni frutterà 4 lire all’anno e che quanto a frutto vale 80 lire, essendo il tasso d’interesse del 5 per cento. Inoltre egli sa che fra 14 1/3 anni, oltre alle 80 lire incasserà certamente un sovraprezzo di 20 lire. Questo sovraprezzo di 20 lire, riscuotibile fra 14 1/3 anni, vale oggi 10 lire, poiché 10 lire impiegate all’interesse composto del 5% in 14 1/3 anni diventano appunto 20 lire. Quindi il portatore non venderà l’obbligazione ammortizzabile 4% a meno di 80 + 10 = 90 lire, mentre avrebbe venduto per 80 lire la rendita perpetua pure del tipo 4 per cento. Quindi si può concludere che per il capitalista l’obbligazione ammortizzabile ha il vantaggio di non poter diminuire al di sotto della pari, nei tempi di interesse crescente, così come diminuisce la rendita perpetua. La certezza del rimborso futuro in una somma determinata serve da paracadute al ribasso dei titoli. Gli istituti, inoltre, i quali possono fare bilanci a lunga scadenza, sono sicuri, non vendendo il titolo, di poter fare assegnamento, nel limite massimo di tempo stabilito dalle tabelle d’ammortamento, sul rimborso del titolo alla pari e quindi possono fare, entro certi limiti, astrazione dalle oscillazioni di borsa, a cui i titoli sono tuttavia soggetti, sebbene in grado minore delle rendite perpetue. In alcuni paesi gli istituti di assicurazione sulla vita ottennero dagli Stati di acquistare l’intiera quantità emessa di certi titoli ammortizzabili, li sottrassero quindi al mercato ed alle quotazioni di borsa; ed essendo in grado così di dare ai titoli stessi il prezzo di mercato da essi preferito, supposero che il prezzo fosse uguale a quello d’acquisto e, sicuri di potere aspettare i 50 od i 60 o 90 anni necessari al completo rimborso, poterono impostare i loro bilanci sull’ipotesi che non avessero a variare i prezzi di mercato dei titoli, evitando di realizzare profitti in caso di aumento di valore e di ammortizzare perdite in caso di diminuzione. Tutto ciò in parte è fittizio ed è ragionevole solo perché quelle imprese di assicurazione sono sicure di non doversi mettere in stato di liquidazione e di non dover vendere i titoli di portafoglio. Nell’ipotesi di un’impresa i cui impegni di pagare le somme assicurate sulla vita, è ragionevole supporre che le attività, ossia nel caso nostro le obbligazioni, si realizzino solo gradualmente, a mano a mano che vengono rimborsate ed estratte alla pari.

 

 

660. Sono adatti a procacciare capitali agli Stati per le imprese con impianti soggetti a logorio nel tempo. Come lo stesso ragionamento possa applicarsi ai debiti contratti per la conquista d’una colonia, ed anche per una guerra di indipendenza nazionale. – Guardando ora i vantaggi ed inconvenienti di questo tipo di obbligazioni per gli Stati emittenti, si deve notare innanzitutto che esse sono massimamente adatte ai casi nei quali si tratti di procurarsi, col debito, la somma necessaria per investimenti in conto capitale economicamente riproduttivi.

 

 

Suppongasi, ad esempio, che uno Stato proprietario ed esercente di ferrovie, debba acquistare 100 milioni di lire di materiale mobile (carri, vetture, bagagliai, locomotive, ecc.).

 

 

Suppongasi che la vita probabile di questo materiale sia di 50 anni, ipotesi alquanto esagerata, che qui si adotta per comodità di continuare in un esempio numerico già fatto. Ciò vuol dire che, dopo 50 anni, del materiale mobile oggi comperato non resterà più traccia, poiché tutto si sarà logorato fisicamente ed economicamente (cfr. par. 487, b); e significa altresì che lo Stato deve dai prodotti del traffico ricavare nel cinquantennio almeno tanto che basti a pagare l’interesse e ad estinguere il debito di 100 milioni contratto per l’acquisto del materiale stesso. Se l’interesse convenuto è del 4%, noi sappiamo già (cfr. par. 656) che la somma annualmente necessaria per il servizio del debito è di L. 4.655.000.

 

 

Lo Stato deve ogni anno consacrare questa somma a pagare l’interesse del 4% e ad estinguere gradualmente nel cinquantennio le obbligazioni emesse per procurarsi i 100 milioni di lire; poiché, se ciò non facesse, al termine del periodo avrebbe ancora tutto o parte del debito e non avrebbe più l’attività corrispondente, essendosi il materiale mobile compiutamente logorato e ridottosi al valore zero. Uno Stato, perciò, il quale non voglia peggiorare la propria situazione patrimoniale, deve, quando contrae un mutuo per qualche opera pubblica od investimento patrimoniale (ferrovie, porti, bonifiche, strade ecc., ecc.), provvedere ad estinguere il debito entro quel periodo di tempo che precisamente corrisponde alla vita probabile dell’opera pubblica. Così, se si prevede che l’opera costruita od il materiale acquistato per l’esercizio della ferrovia abbia una durata di 20 anni, lo Stato opportunamente si procurerà il necessario capitale mediante l’emissione di obbligazioni ammortizzabili in 20 anni; che se la durata dell’impianto si presume di 30 o 50 o 60 o 90 anni, anche si potrà estendere il periodo dell’ammortamento a 30, 50, 60 o 90 anni, cosicché i momenti dell’estinzione totale del prestito e del logorio compiuto dell’opera coincidano sempre, ed alla scomparsa totale dell’attività (linea, carri, vetture, porto ecc.) nel conto patrimoniale dello Stato corrisponda la cancellazione di ogni corrispondente passività (debito contratto per la costruzione della linea, per la compra dei carri, ecc.).

 

 

Lo stesso principio dovrebbe applicarsi per tutte le altre spese in conto capitale compiute dallo Stato. Siano, a cagion d’esempio, la conquista di una colonia ed il suo attrezzamento iniziale (opere pubbliche, porti, ferrovie, organizzazione civile ed economica) costati 2 miliardi di lire.

 

 

Poiché questa spesa è compiuta dalla madre patria a fondo perduto, poiché si sa che l’erario metropolitano non potrà mai ricavare dalla colonia tributi sufficienti a rimunerare e restituire il capitale speso per la creazione della colonia, ed anzi l’esperienza storica insegna che quei soli Stati sono riusciti a conservare a lungo le colonie, i quali scrupolosamente si asterranno dal pretendere dalle colonie la restituzione delle spese d’impianto; ma poiché d’altro canto si può ammettere che il possesso della colonia sia fecondo di benefici ideali e fors’anco materiali per la madre patria considerata come società di uomini che vogliono espandersi nel mondo, il calcolo dovrà essere istituito così: qual è il tempo per cui si può presumere durerà il valore per la madre patria, considerata come nazione se non come Stato, delle spese di conquista e di impianto? Dando, ad esempio, al valore delle spese di conquista la durata di un secolo – la quale sembra la massima che economicamente possa tenersi in conto – ed alle spese di attrezzamento (porti, ferrovie, organizzazione e colonizzazione iniziale) una durata di 50 anni ed in media una durata di 75 anni, questo dovrà essere il periodo di tempo entro cui dovrà essere ammortizzato il debito coloniale dei 2 miliardi.

 

 

Siano invece le spese di una guerra nazionale di indipendenza.

 

 

Poiché si spera che i benefici della indipendenza conquistata abbiano a durare in perpetuo, potrebbe essere infinito il periodo di ammortamento del debito; ossia lo Stato potrebbe scegliere la forma di debito che dicesi in rendite perpetue. Ma poiché l’esperienza storica insegna che gli Stati hanno una durata definita nel tempo, potrebbe ragionevolmente assumersi il secolo come periodo di ammortamento del debito contratto per condurre la guerra di indipendenza, non perché si presuma che lo Stato debba nuovamente cadere sotto il dominio straniero alla fine del secolo, ma perché 100 anni sembra il periodo massimo a cui praticamente si possono estendere i calcoli umani di dare ed avere, di benefici e di costi. E noi già sappiamo (cfr. par. 656) che, al 4%, l’annualità temporanea per enumerare ed estinguere un debito di 10 miliardi – supponendo che la costituzione di uno Stato indipendente sia costata un capitale di 10 miliardi – in 100 anni è di L. 408.080.000, ed è poco diversa dall’interesse o rendita di L. 400.000.000 che occorrerebbe pagare in perpetuo, se si scegliesse la forma di debito perpetuo.

 

 

661. Il piano d’ammortamento nei prestiti ammortizzabili è, salvo patto espresso contrario, un ostacolo alle conversioni. Necessità della clausola di conversione. – Se la forma di debito ammortizzabile in un periodo di tempo più o meno lungo si adatta così bene alle varie esigenze della durata dei benefici derivanti dalle imprese politiche e dalle opere pubbliche compiute dallo Stato, quali sono le ragioni per cui nella maggior parte dei casi gli Stati ricorrono invece al debito perpetuo? Di alcune diremo trattando fra breve dei vantaggi, reali od immaginari, di quest’ultima maniera di debito. Qui si accenna solo ad una ragione peculiare di svantaggio che i prestiti ammortizzabili hanno in confronto ai debiti perpetui.

 

 

Suppongasi che si sia contratto un prestito di 1 miliardo al 4% ammortizzabile in 50 anni. Ciò vuol dire che lo Stato ha contratto l’obbligo verso i suoi creditori di pagare ogni anno certe rate di interesse e certe rate di ammortamento, amendue calcolate sulla base del 4% (cfr. il piano d’ammortamento al par. 568). Da un lato lo Stato non ha obbligo di rimborsare il debito secondo una ragione diversa da quella indicata sul piano d’ammortamento; ma dall’altro lato anche i capitalisti hanno diritto a che in ogni anno non si estingua un numero maggiore o minore di obbligazioni da quello portato dal piano medesimo. Il contratto essendo bilaterale, lo Stato non può essere costretto a rimborsare, nell’anno 27esimo, ad esempio, più di 36.340 obbligazioni; ma anche i creditori non possono essere costretti ad accettare in quell’anno il rimborso di più di 36.340 obbligazioni. Così almeno, in assenza di esplicite stipulazioni in senso contrario, hanno ripetutamente giudicato molte corti giudiziarie.

 

 

Quale la conseguenza di questa regola? Questa: che se, durante il cinquantennio, il tasso dell’interesse sul mercato discende dal 4 al 3 1/2 per cento, lo Stato non può profittare della nuova e per lui più favorevole situazione di cose: non può cioè offrire ai suoi creditori la riduzione dell’interesse al 3 1/2 e nel tempo stesso offrir loro, ove essi non accettino, il rimborso del capitale mutuato. No. Perché i creditori hanno ragione di rispondere: in quest’anno 27esimo, ad esempio, voi Stato non potete rimborsare più di 36.340 obbligazioni. L’offerta del rimborso di tutte le obbligazioni ancora in corso e non delle sole scadenti nel 27esimo anno è contraria al piano d’ammortamento, il quale fa parte integrante della convenzione o della legge in base a cui il prestito fu originariamente emesso. Noi non accettiamo questo rimborso anticipato e pretendiamo che voi Stato, seguitiate ad effettuare il rimborso secondo le regole stabilite nel piano d’ammortamento, né più né meno velocemente.

 

 

E poiché, in mancanza di patto contrario, i creditori sono indubbiamente dalla parte della ragione, così lo Stato, ove non voglia compiere una violazione di diritto – dalle quali in una trattazione dottrinale si deve astrarre, sebbene esse siano di fatto abbastanza frequenti – deve adattarsi a non trarre partito dalle favorevoli occasioni che il mercato può offrirgli di ridurre il tasso d’interesse sui suoi debiti ammortizzabili.

 

 

Talché questa maniera di debito presenterebbe per lo stato questo inconveniente non lieve che per tutta la durata del prestito dovrebbe continuarsi a pagare il tasso d’interesse originariamente stipulato, fosse desso divenuto altissimo ed affatto sproporzionato al nuovo più tenue tasso corrente in prosieguo di tempo.

 

 

Ma è chiaro che questa non è una obiezione al metodo dei prestiti ammortizzabili per se stesso bensì ad una modalità di essi: quella per cui, dato il silenzio delle parti, si suppone abbia lo Stato rinunciato al diritto di rimborsare anticipatamente il prestito stesso. Fatti accorti dei danni che potevano provenire dal silenzio su questo punto importantissimo, gli Stati oggimai includono quasi sempre nelle leggi o nei programmi d’emissione la clausola che lo Stato debitore possa accelerare il piano d’ammortamento, ossia rimborsare il prestito con maggiore velocità di quella consentita dal piano, ovvero anche anticipare il rimborso intiero del prestito. Di solito si stabilisce che il prestito non possa essere anticipatamente rimborsato prima che siano trascorsi 10 o 20 anni; ma, riscontrandosi questa clausola anche nei debiti perpetui, non costituisce ragione di preferenza per l’una o l’altra maniera di debito. I capitalisti sono sicuri di incassare il 4% di interesse per 10 o 20 anni, dopo il qual tempo potrà lo Stato trarre suo pro dalle mutate condizioni del mercato. Con questa correzione, dunque, il metodo dei prestiti ammortizzabili non presta più il fianco alla critica che esso sia un ostacolo alle possibili conversioni future a più basso tasso d’interesse.

 

 

662. Forma tipica e forme atipiche di prestiti ammortizzabili. L’annualità variabile nel 3% francese ammortizzabile di Leon Say. L’ammortamento di una frazione costante del debito originario. Condanna del metodo dell’annualità crescente. – I prestiti ammortizzabili non sono sempre emessi nella maniera tipica che fin qui è stata discorsa e le cui caratteristiche possono ridursi alle seguenti:

 

 

  • 1) fissazione di un piano d’ammortamento sulla base di un tasso d’interesse;
  • 2) rimborso alla pari ossia al valore nominale delle obbligazioni estratte;
  • 3) costanza della annualità impostata nel bilancio dello Stato per il servizio del prestito; per es., L. 46.550.000 per un prestito 4% di 1 miliardo di lire da ammortizzarsi in 50 anni; la quale annualità costante si divide in due frazioni variabili di anno in anno, una decrescente per gli interessi e l’altra crescente per le rate di ammortamento.

 

 

Talvolta o l’uno o l’altro di questi elementi può mutare; e si hanno forme atipiche di prestiti ammortizzabili. A cagion d’esempio, l’annualità, invece di essere costante, può essere variabile.

 

 

È questo il caso del celebre tipo 3% francese ammortizzabile, creato nel 1878 dal ministro Leon Say. Il prestito fu diviso in 175 serie, tutte del medesimo ammontare, e fu stabilito che l’ammortamento avrebbe avuto luogo per estrazione a sorte non di singole obbligazioni, bensì di intiere serie di esse. Il numero delle serie da ammortizzarsi ogni anno fu così fissato:

 

 

   

Totale

serie rimborsate

Dal 1879 al 1907 1 serie per anno

29

Dal 1908 al 1925 2 serie per anno

36

Dal 1926 al 1938 3 serie per anno

39

Dal 1939 al 1945 4 serie per anno

” 28

Dal 1946 al 1950 5 serie per anno

25

Dal 1951 al 1953 6 serie per anno

18

   

175

 

 

Questo sistema ha l’inconveniente per lo Stato che le annualità non sono costanti, ma variabili. Infatti, supponendo che ogni serie si componga di 100.000 obbligazioni da 100 lire l’una, dell’ammontare di 10 milioni di lire l’una, ed il totale del prestito sia perciò di 1 miliardo e 750 milioni di lire, nei primi 29 anni, dal 1879 al 1907, l’onere annuo del debito diminuisce così:

 

 

Anno

Debito iniziale al principio d’anno

Interessi 3%

Rata di ammortamento

Annualità totale

Debito residuo alla fine dell’anno

I 1879

1.750.000.000

52.500.000

10.000.000

62.500.000

1.740.000.000

II 1880

1.740.000.000

52.200.000

10.000.000

62.200.000

1.730.000.000

III 1881

1.730.000.000

51.900.000

10.000.000

61.900.000

1.720.000.000

IV 1882

1.720.000.000

51.600.000

10.000.000

61.600.000

1.710.000.000

XXIX 1907

1.470.000.000

44.100.000

10.000.000

54.100.000

1.460.000.000

 

 

Al trentesimo anno (1908) comincia il secondo periodo in cui si devono ammortizzare 2 serie all’anno di obbligazioni, aumentando così la rata di ammortamento a 20 milioni di lire. Ecco quale diventa l’onere del prestito:

 

 

Anno

Debito iniziale al principio d’anno

Interessi 3%

Rata di ammortamento

Annualità totale

Debito residuo alla fine dell’anno

XXX 1908

1.460.000.000

43.800.000

20.000.000

63.800.000

1.440.000.000

XXXI 1909

1.440.000.000

43.200.000

20.000.000

63.200.000

1.420.000.000

XXXII 1910

1.420.000.000

42.600.000

20.000.000

62.600.000

1.400.000.000

XLVII 1925

1.120.000.000

33.600.000

20.000.000

53.600.000

1.100.000.000

 

 

L’esempio di questi due periodi indica qual è l’andamento del servizio del prestito. L’annualità da stanziarsi in bilancio invece di constare di due parti inversamente variabili in guisa da dare un totale annuo costante, consta di una parte costante entro i limiti di ogni periodo ed è la rata di ammortamento, che è ogni anno di 10 milioni di lire nel primo periodo e di 20 milioni nel secondo, e di una parte decrescente, che sono gli interessi 35, i quali decrescono perché via via è minore il numero delle serie non ancora estinte. Così nel primo periodo l’annualità totale diminuisce da 62.500.000 lire nel primo anno a 54.100.000 lire nel ventinovesimo anno. Ma coll’iniziarsi del secondo periodo si verifica un salto all’insù. Gli interessi, è vero, diminuiscono ancora da 44.100.000 (ventinovesimo anno) a 43.800.000 lire nel trentesimo anno; ma poiché la rata d’ammortamento sale da 10 a 20 milioni di lire all’anno, l’annualità totale sale da 54.100.000 a 63.800.000 lire. Poscia ricomincia a discendere lungo il secondo periodo, poiché gli interessi scemano, mentre la rata d’ammortamento rimane costante, fino al minimo di 53.600.000 lire. Col passaggio al terzo periodo nel 1926 nuovo salto all’insù, poiché, rimborsandosi 3 serie di obbligazioni all’anno, la rata d’ammortamento aumenta a 30 milioni di lire all’anno; indi nuova graduale discesa insino al 1938. E così di seguito. Se si volesse raffigurare con una curva il servizio del prestito bisognerebbe descrivere una curva spezzata, divisa in sei piani inclinati all’ingiù, da sinistra a destra, ognuno dei quali piani inclinati si inizia ad un livello superiore a quello a cui ha termine il piano immediatamente precedente.

 

 

Non pare che questo sistema sia raccomandabile, poiché cagiona un onere variabile, quasi si direbbe saltellante, ai bilanci pubblici, i quali massimamente hanno bisogno di far calcolo su spese costanti nel tempo.

 

 

Meno difettoso pare un altro metodo atipico di ammortamento, che è di ammortizzare ogni anno una frazione costante del debito originario. Facciamo un esempio semplice, di un prestito di 100.000.000 lire al 4% ammortizzabile in 10 anni per frazioni costanti di una decima parte del capitale originario. Ecco il piano del servizio del prestito:

 

 

Anno

Debito iniziale al principio d’anno

Interessi 4%

Rata di ammortamento

Annualità totale da iscriversi nel bilancio

Debito residuo alla fine dell’anno

I

100.000.000

4.000.000

10.000.000

14.000.000

90.000.000

II

90.000.000

3.600.000

10.000.000

13.600.000

80.000.000

III

80.000.000

3.200.000

10.000.000

13.200.000

70.000.000

IV

70.000.000

2.800.000

10.000.000

12.800.000

60.000.000

V

60.000.000

2.400.000

10.000.000

12.400.000

50.000.000

VI

50.000.000

2.000.000

10.000.000

12.000.000

40.000.000

 
VII

40.000.000

1.600.000

10.000.000

11.600.000

30.000.000

 
VIII

30.000.000

1.200.000

10.000.000

11.200.000

20.000.000

 
IX

20.000. 000

800.000

10.000.000

10.800.000

10.000.000

 
X

10.000.000

400.000

10.000.000

10.400.000

 

 

 

Questo tipo d’ammortamento presenta il vantaggio che, a mano a mano che si paga una frazione del debito, l’onere degli interessi scema e scema l’annualità totale da iscriversi in bilancio; onde questo si alleggerisce ed offre un margine per altre nuove spese, le quali possono essere urgenti o necessarie. D’altro canto occorre osservare:

 

 

  • 1) che non è politicamente opportuno che ogni anno scemino di piccole frazioni gli oneri di bilancio, poiché i tenui margini così resi disponibili vengono per lo più assorbiti dall’aumento cosidetto «fatale» delle pubbliche spese; il quale invece è un incremento evitabilissimo dovuto all’azione dei parassiti pubblici, che male soffrono di non distruggere subito ogni disponibilità di bilancio;
  • 2) che il metodo impone al bilancio un onere totale troppo forte in principio, quando probabilmente l’opera pubblica compiuta col provento del debito non ha cominciato ancora a dare i suoi frutti; mentre l’onere diminuisce in fine quando si può supporre sia maggiore il frutto dell’opera compiuta. Meglio sarebbe che l’annualità totale crescesse, invece che diminuire, col tempo. Migliore ancora sembra però il metodo tipico dell’annualità costante, la quale, come insegnano i prontuari di contabilità, sarebbe di L. 12.329.100 all’anno per 10 anni, e starebbe di mezzo tra il massimo iniziale ed il minimo finale del sistema ora criticato. Migliore, poiché, nell’incertezza dei risultati, si può supporre che l’utilità dell’opera pubblica compiuta col ricavo del debito sia costante per tutto il periodo;
  • 3) finalmente notisi che, se si volesse iscrivere una annualità costante di 14.000.000 lire, uguale all’annualità del primo anno, senza più diminuirla negli anni seguenti, il debito potrebbe essere estinto più rapidamente: in circa 8 1/2 anni, invece che in 10 anni. E poiché, se il bilancio fu giudicato capace di sopportare l’onere di 14 milioni nel primo anno, non v’è ragione che diventi incapace negli anni successivi, così il metodo tipico dell’annualità costante (cfr. par. 658) sembra preferibile a quello dell’annualità decrescente.

 

 

Né importa indugiarsi a parlare del metodo dell’annualità totale crescente, quale s’avrebbe se la rata d’ammortamento, piccolissima dapprincipio, crescesse più rapidamente del diminuire dell’onere degli interessi. Cotal metodo non s’usa quasi mai; e se si usasse, si direbbe proprio dei governanti a-reattivi, i quali vogliono illudere i popoli, persuadendoli che essi hanno provveduto subito all’ammortamento del debito da essi contratto, mentre in realtà ne hanno lasciato il carico ed il fastidio ai governanti futuri loro successori.

 

 

663. Dell’ammortamento con acquisti in borsa delle obbligazioni al disotto della pari, con diritto di estrazione e rimborso alla pari, se il prezzo di borsa salga oltre la pari. – Talvolta l’ammortamento delle obbligazioni, invece di aver luogo nella forma tipica del rimborso alla pari, ossia al valor nominale, ad es., di 100, si compie al valore corrente di borsa, salvo a ritornare al rimborso alla pari, quando il valore di borsa è superiore al nominale.

 

 

Per mettere in chiaro le differenze fra questi due metodi, bisogna innanzitutto notare che le obbligazioni ammortizzabili per estrazione a sorte hanno di solito il valore nominale di 500 lire, che noi, per semplicità di calcolo, ridurremo sempre al tipo unitario di 100 lire; ma, poiché spesso l’interesse promesso è inferiore all’interesse corrente sul mercato, è del 3% invece che del 5%, lo Stato emittente non può vendere le obbligazioni stesse ai capitalisti ad un prezzo effettivo uguale al valore nominale, il quale sta scritto sul documento. Ad esempio, l’obbligazione del nominale di 100 lire che frutta, al 3% sul nominale stesso, 3 lire all’anno, è venduta a L. 75. Il capitalista percependo 3 lire di frutto annuo su un capitale speso di L. 75, ottiene il 4% di interesse sulla somma effettivamente investita; e perde quindi L. 0,75 in confronto alle L. 3,75 corrispondenti al 5% sulle 75 lire spese, che è l’interesse corrente che egli potrebbe ottenere impiegando i proprii capitali altrimenti. Egli però si induce a questa rinuncia, perché fa affidamento sul rimborso, entro 50 anni, dell’obbligazione alla pari, ossia a 100 lire. Poiché egli aveva speso solo 75 lire, egli fa, al momento dell’estrazione e del rimborso, un guadagno di 25 lire, che lo compensa od egli immagina possa compensarlo, della rinuncia annua di L. 0,75 all’anno di interesse sulle 75 lire spese.

 

 

Questo tipo di obbligazioni emesse al di sotto della pari (L. 75 invece di 100) vedremo poi (cfr. par. 671 e segg.) se sia conveniente per lo Stato, discorrendo della questione generale della preferenza da darsi ai debiti alla pari od al disotto della pari. Qui basti osservare che esso è adatto a quei capitalisti, i quali desiderano risparmiare una parte dei loro redditi, ma non vogliono prendersi la briga di accantonare od impiegare ogni anno una parte degli interessi da essi lucrati. Così il capitalista impiega le sue 75 lire in modo da ricavare appena 3 lire di frutto, ossia il 4% di interesse, mentre potrebbe ricavare L. 3,75 ossia il 5% di L. 75. Ma rinuncia a L. 0,75 ogni anno, per avere tutto in una volta un lucro di 25 lire – differenza fra L. 100 rimborsate e L. 75 spese – al momento dell’estrazione. Senza quasi accorgersene, immaginando di avere solo un reddito di 3 lire e consumando solo queste tre lire, egli ha aumentato il proprio capitale da 75 a 100 lire, facendo un vero e proprio risparmio di 25 lire.

 

 

Ma perché il risparmio si verifichi è necessario che lo Stato osservi puntualmente il piano d’ammortamento ed ogni anno estragga e rimborsi il numero prefisso di obbligazioni.

 

 

Talvolta però lo Stato si riserva la facoltà di procedere diversamente all’estinzione delle obbligazioni fissate nel piano d’ammortamento. Sia un prestito di 1 miliardo nominali, diviso in 10 milioni di obbligazioni da 100 lire l’una, su cui però lo Stato ha incassato solo, secondo l’ipotesi ora fatta, 750 milioni di lire. Il servizio di un prestito di 1 miliardo al 3% – sul nominale – ammortizzabile in 50 anni, costa L. 38.865.000 all’anno[2]. Nel primo anno, lo Stato paga L. 30.000.000 a titolo di interessi sul miliardo di lire di debito iniziale, tuttora integralmente esistente, e potrebbe destinare L. 8.865.000 al rimborso di 88.650 obbligazioni da 100 lire l’una alla pari. Così almeno porta il piano di ammortamento; e fino dal primo anno alcuni fortunati tra i capitalisti avrebbero il vantaggio del rimborso a 100 dell’obbligazione che poco prima avevano acquistato a 75.

 

 

Può darsi però che lo Stato si sia riservato il diritto di estinguere queste 88.650 obbligazioni, mercé acquisto di esse in borsa, al corso giornaliero corrente, invece che mediante estrazione a sorte. Lo Stato deve rimborsare ed annullare in questo primo anno 88.650 obbligazioni – e negli anni seguenti il numero rispettivamente portato dal piano d’ammortamento -; ma invece di doverle estrarre a sorte sul totale dei 10 milioni di obbligazioni in corso e rimborsarle a 100, lo Stato può acquistarle sul mercato al prezzo corrente e subito annullarle. Siccome il numero delle obbligazioni è molto grande, di 10 milioni, in confronto alle poche 88.650 che lo Stato deve acquistare, ed in ogni momento vi è sempre un mercato di esse, chi volendo vendere e chi volendo acquistare, è probabile che lo Stato riesca ad acquistare le obbligazioni all’incirca al prezzo di emissione che fu di 75 lire. Supponiamo pure che la richiesta fattane dallo Stato – richiesta la quale dovrà però essere prudentemente distribuita nell’anno per non far salire troppo il prezzo in un dato momento – faccia aumentare il corso delle obbligazioni da 75 ad 80 lire[3]; ciononostante lo Stato risparmia ancora, acquistando ad 80 sul mercato invece di rimborsare a 100 mediante estrazione a sorte, ben 20 lire per obbligazione, e per tutte le 88.650 estinte, ben 1.773.000 lire. Le quali L. 1.773.000 potranno essere destinate ad accelerare l’ammortamento, rimborsando anticipatamente altre 17.730 obbligazioni, se lo Stato se ne è riservata la facoltà; ed in ogni caso andranno a vantaggio dell’erario.

 

 

Vero è che, a mano a mano che ci andiamo avvicinando verso la fine del cinquantennio, cresce il numero delle obbligazioni che si devono estrarre a sorte o comprare sul mercato (cfr. par. 658) e diminuisce il numero di quelle ancora in corso; onde la richiesta dello Stato si fa più viva e più alte le esigenze dei detentori dei titoli. Il peggio però che potrà accadere allo Stato sarà di persuadersi che nessuno dei detentori vuol vendergli le obbligazioni residue a meno di 100, ed allora egli ripristinerà le estrazioni a sorte ed il rimborso alla pari, ossia a 100; cosicché non correrà mai il pericolo di dover pagare le obbligazioni ad un prezzo superiore alla pari.

 

 

664. Il metodo degli acquisti in borsa non viola i diritti dei capitalisti; e può essere loro conveniente più del metodo della estrazione a sorte. Scelta fra i due metodi. – Il vantaggio di questo metodo del rimborso mediante acquisto delle obbligazioni sul mercato al prezzo corrente è indubitato per lo Stato, specie quando le obbligazioni siano state emesse al disotto della pari. Il vantaggio va col tempo via via scemando, perché il corso delle obbligazioni si avvicina alla pari a mano a mano che si approssima la fine del cinquantennio; ma è pur sempre un vantaggio ragguardevole. Né bisogna trascurare la circostanza che durante il lungo periodo di ammortamento – 50, 60, 90 anni – ben può darsi che transitoriamente il tasso dell’interesse sul mercato venga a crescere, e quindi il corso di borsa delle obbligazioni a diminuire. Se, col tasso dell’interesse al 5%, le obbligazioni da 100 lire nominali e del frutto di 3 lire si vendono a 75; ove il tasso salga al 6%,le stesse obbligazioni potranno forse ribassare a 65, 62 lire e lo Stato potrà profittare del momentaneo ribasso per acquistare le obbligazioni portate dal piano d’ammortamento ad un prezzo di molto inferiore al nominale.

 

 

Né si può dire che con ciò si violino i diritti dei capitalisti. Solo chi vuole vende allo Stato in borsa le sue obbligazioni. Nessuno è obbligato a vendere a 75, ad 80 od 85 lire il titolo che ha diritto di vedere rimborsato a 100; e, se nessuno vendesse, lo Stato dovrebbe riprendere le estrazioni a sorte ed effettuare il rimborso a 100. Se invece lo Stato può acquistare ed annullare a 75 lire, ciò dipende dal volontario consenso ed anzi dalla spontanea offerta di taluni tra i capitalisti, i quali trovano convenienza a vendere al disotto della pari.

 

 

Si può anzi dire che il metodo dell’acquisto sul mercato è, sotto un certo rispetto, più conveniente ai capitalisti dell’estrazione a sorte. Con questa, ogni portatore di titoli ammortizzabili è obbligato a verificare le tabelle delle estrazioni, per sapere se alcuna delle sue fu estratta. Se egli trascura di far le verifiche, l’erario continua di solito a pagare gli interessi anche sulle estratte e non presentate al rimborso, salvo un bel giorno, quando, dopo 10 anni ad esempio, il portatore si accorge dell’avvenuta estrazione, rimborsare le 100 lire sotto detrazione delle L. 3 x 10 anni = L. 30 di interessi indebitamente pagate[4]. Si aggiunga che il capitalista non ama dovere reimpiegare il proprio capitale; e si comprenderà perciò come, salvo quando il vantaggio del premio al rimborso (differenza fra prezzo di emissione e prezzo nominale di rimborso) sia molto rilevante, i capitalisti si annoino di dover provvedere al reimpiego di ognuna delle obbligazioni da 100 o 500 o 1000 lire che sono estratte o rimborsate.

 

 

Il metodo dell’estinzione mediante acquisto in borsa al prezzo corrente offre un rimedio a tutto ciò. Il capitalista, il quale vuole vendere al prezzo offerto dallo Stato, vende e realizza subito un guadagno (ad es.: 80 – 75), sebbene minore di quello, incerto però, che s’otterrebbe in caso d’estrazione (L. 100 – 75); e colui, il quale invece preferisce conservare il vecchio impiego e non vuole essere disturbato, conserva il titolo, finché non abbia raggiunto il prezzo di 100; ed allora soltanto potrà essere costretto a correre l’alea del rimborso.

 

 

A favore del sistema tipico, dell’estinzione unicamente mediante estrazione a sorte, senza facoltà di acquisto sul mercato, si può osservare:

 

 

  • che questa facoltà è quasi inutile quando le obbligazioni furono già originariamente emesse alla pari e non vi è probabilità che il prezzo di mercato abbia a diventare minore del valor nominale;
  • che può darsi che la promessa di non profittare di un ribasso dei corsi al disotto della pari per fare degli acquisti sul mercato giovi ad innalzare il titolo nella estimazione dei capitalisti. I quali sono sicuri che lo Stato non cercherà di far ribassare artificiosamente il corso dei titoli per acquistarli a buone condizioni – timore per lo più infondato, ché gli Stati hanno o credono di avere interesse alle alte quotazioni dei loro titoli -; ed inoltre sono sicuri che essi correranno l’alea vantaggiosa del rimborso alla pari fino dal primo anno del periodo di ammortamento. Se l’esperienza, ad esempio, dimostrasse che il titolo estinguibile solo mediante estrazioni a sorte si vende a 75, mentre lo stesso titolo estinguibile anche con acquisti sul mercato si vende a 70, sarebbe assai dubbia la convenienza per lo Stato di riservarsi la facoltà del rimborso mediante acquisto sul mercato. Il problema della scelta tra i due tipi insomma dovrà essere risoluto dai governanti caso per caso tenendo conto del prezzo alla emissione, dell’importanza del premio al rimborso, delle preferenze dei capitalisti. Sovra si sono esposte soltanto le considerazioni generali, le quali possono consentire di risolvere praticamente il problema concreto di questa scelta, assai importante per il buon successo dell’emissione e per ridurre al minimo il costo del servizio del prestito.

 

 

Sezione quinta

I prestiti consolidati perpetui od in rendite perpetue

 

665. Nozione. Due tipi principali di prestiti in rendite perpetue: non denunciabile e denunciabile. Paragone fra i due tipi. – L’ultima e più frequente maniera di debito pubblico è quella delle rendite perpetue.

 

 

Dicesi debito in rendita perpetua quello per cui lo Stato si obbliga unicamente a pagare una rendita od interesse annuo di 3, 4 o 5 lire od altra somma, senza obbligo di rimborsare mai il capitale preso a mutuo. Uno Stato il quale abbia fatto un prestito di 1 miliardo di lire al 4% in rendita perpetua, non si può dire sia debitore di 1 miliardo di lire in capitale, bensì unicamente di 40 milioni di lire di rendita od interesse all’anno in perpetuo. Il debito in rendite perpetue più comunemente in Italia usasi chiamare consolidato perpetuo, ad indicare che originariamente questo debito derivò dal consolidamento o fusione ed insieme perpetuazione di molti debiti diversi, perpetui, ammortizzabili e temporanei, fusi in uno solo ed iscritti sul gran libro del debito pubblico. Due sono i tipi principali di rendita perpetua. L’una è perpetua in senso stretto, poiché lo Stato, oltre a non avere l’obbligo di rimborsare, il che costituisce un vantaggio per lui, non ha la facoltà del rimborso, il che per lui è un onere. Questa maniera di debito era abbastanza usata in passato e corrispondeva ai censi o rendite perpetue medievali, che dai privati si costituivano su un fondo il quale rimaneva soggetto al censo o rendita. Poiché in questo caso lo Stato è obbligato a pagare in perpetuo 4 lire, ad esempio, di rendita e non può, anche il volesse, rimborsare le 100 lire ricevute originariamente a prestito, né d’altro canto il creditore può costringerlo al rimborso, la nozione del debito in capitale non ha in verità alcuna importanza o significato. Non si può cioè dire che lo Stato abbia un debito al 4 per cento; di cui potrebbe sdebitarsi pagando le 100 lire di capitale corrispondenti alle 4 di interesse. No; lo Stato deve unicamente in perpetuo 4 lire all’anno; né, essendo a lui vietato di restituire il capitale ed ai creditori di richiederne il rimborso, si può dire che il capitale corrispondente sia di 100 e non invece di 80 o 120 lire. La valutazione del capitale dovrebbe essere fatta, capitalizzando le 4 lire di rendita annua a seconda del tasso corrente di interesse e sarebbe di 100 lire, se il tasso è del 4%, di 133,33 se il tasso è del 3%, di 80 se il tasso è del 5% ecc., ecc. Probabilmente, se si venisse ad una discussione fra le parti per fissare il valore di rimborso della rendita perpetua, questa sarebbe la soluzione adottata; e questa soluzione si raccomanderebbe altresì volendosi determinare il valor capitale della rendita perpetua ai fini della stima delle attività e passività patrimoniali dello Stato.

 

 

La seconda maniera di rendita perpetua è quella per cui lo Stato ha sempre la facoltà e non ha mai l’obbligo di rimborsare il capitale corrispondente alla rendita. In questo secondo tipo diventa necessario fissare: a) l’ammontare assoluto della rendita perpetua: per es. 4 lire all’anno; b) la proporzione della rendita al capitale del debito: per es. quattro per cento; c) per logica conseguenza l’ammontare assoluto del debito in capitale, e cioè, nel caso nostro, cento lire. Lo Stato non ha mai l’obbligo di rimborsare le 100 lire, ma ne ha sempre il diritto.

 

 

È manifesto che il secondo tipo di rendita perpetua è più conveniente del primo per lo Stato; perché col primo lo Stato deve pagare in perpetuo le 4 lire di rendita e non può mai rimborsare il capitale del debito. Mentre, col secondo tipo, lo Stato può cogliere l’occasione favorevole a) di un’economia di bilancio, per rimborsare una parte del debito, b) di un ribasso nel tasso dell’interesse al disotto del 4% per offrire ai creditori il rimborso del capitale, ed indurli così a contentarsi di una rendita minore, ad es. del 3 1/2 o 3 o 2 1/2 per cento.

 

 

Questi vantaggi sono siffattamente evidenti che il primo metodo della rendita perpetua in senso stretto che si potrebbe anche dire non denunciabile, per indicare la impossibilità nello Stato di liberarsene offrendo il rimborso del capitale, è caduto in disuso. Esso potrebbe raccomandarsi soltanto nel caso che i capitalisti offrissero per una rendita perpetua di 4 lire non denunciabile un prezzo parecchio superiore che per una uguale rendita denunciabile. Se, per esempio, mentre pagano 100 lire una rendita perpetua denunciabile di 4 lire, i capitalisti pagassero 120 o 130 lire una rendita, pure perpetua, ma non denunciabile, di 4 lire, potrebbesi dubitare se il vantaggio di ricevere 20 o 30 lire di più non fosse per lo Stato compenso sufficiente al danno di non potere mai rimborsare il debito e di non poterne ridurre l’interesse. Con un vantaggio presente (20 o 30 lire di più) lo Stato compenserebbe il danno futuro. Se le due quantità si equivalessero o la prima fosse maggiore della seconda potrebbe essere indifferente la scelta tra i due metodi o preferibile magari la rendita non denunciabile. Sennonché come fare il paragone necessario tra vantaggio presente e danno futuro? Trattasi, per uno dei due termini, di vaghe ipotesi campate in aria; e noi vedremo (cfr. sotto par. 674) che, per le difficoltà della previsione e per altre cause i capitalisti attribuiscono un valore assai basso al danno futuro per lo Stato – che per essi è un vantaggio – di essere garantiti dal rimborso del capitale e dalla riduzione dell’interesse. Se noi supponiamo che questi vantaggi futuri per i capitalisti o danni futuri per lo Stato valgano oggi 20 lire, l’esperienza dimostra che i capitalisti sono disposti a pagare tutt’al più 5 o 10 lire. Quindi lo Stato rinuncierebbe a due diritti preziosi per lui – di rimborsare il capitale e ridurre gli interessi – che valgono 20 lire e riceverebbe in cambio non 100 + 20 lire per una rendita di 4 lire, ma solo 100 + 5 lire. Onde si conclude che siffatta maniera di rendita perpetua non è consigliabile, convenendo maggiormente allo Stato, la rendita perpetua denunciabile.

 

 

666. Vantaggi dei prestiti in rendite perpetue in confronto ai prestiti ammortizzabili: l’ammortamento essendo volontario, si compie con minore sacrificio dei contribuenti, negli anni di avanzo. Illusorietà sostanziale di tale vantaggio e convenienza politico finanziario dei prestiti ammortizzabili. Un verso latino citato da Gladstone. Difficoltà giuridiche e tecniche dell’ammortamento graduale dei prestiti perpetui. – Le ragioni per cui gli Stati addimostrano una preferenza spiccata per il tipo delle rendite perpetue sono parecchie: a) Lo Stato, non rinunciando alla facoltà di rimborsare il debito e nel tempo stesso non assumendosi alcun obbligo di rimborso a data certa o per ammortamento, può sempre estinguere od ammortizzare il debito quando ne abbia la possibilità. Vedremo in seguito (cfr. par. 721/722) come l’esperienza abbia dimostrato che il debito si riduce vantaggiosamente solo quando il bilancio dello Stato si chiude con un avanzo, il quale possa essere destinato all’uopo. Se per estinguere in 50 anni un debito di 1 miliardo, lo Stato deve iscrivere in bilancio la somma di L. 46.550.000, come accade col sistema del debito per obbligazioni 4% ammortizzabili alla pari, può accadere che lo Stato debba dedicare alla riduzione del debito le L. 6.550.000 anche quando il bilancio è in disavanzo, e debba all’uopo contrarre un nuovo debito forse più oneroso dell’antico, onde l’ammortamento del debito diventa una vera fatica di Sisifo. Mentre, se il debito è consolidato perpetuo, lo Stato è obbligato ad iscrivere in bilancio solo 40.000.000 lire. Il che non vieta che, se il bilancio dello Stato presenta un avanzo di 5 o 10 o 50 milioni di lire, tutti questi milioni possano essere destinati alla riduzione del debito; e sarà allora riduzione vera, fatta sul serio con gli avanzi di bilancio e non riduzione fittizia, annullata da contemporanea accensione di debiti nuovi. Vuolsi però subito osservare che questo primo vantaggio del metodo delle rendite perpetue è spesso di fatto insussistente. Invero non bisogna esagerare il difetto del metodo dei debiti ammortizzabili di aumentare troppo il carico del bilancio, in guisa da farlo cadere in disavanzo. Se si sceglie un periodo di tempo adatto, il carico del bilancio deve essere nullo od irrilevante. Nullo se il periodo dell’ammortamento è breve, per es., 30 anni, e l’onere annuo di un debito di 1 miliardo 4% risulta di 57.830.000 lire invece di 40.000.000 lire, come sarebbe colla rendita perpetua, perché la brevità del periodo fu chiaramente consigliata dal rapido logorio del macchinario e degli impianti in cui il miliardo si investì ed in questo caso l’esercizio della ferrovia o dei canali irrigatori o del porto deve fornire i mezzi per pagare l’interesse e la quota di ammortamento in 57.830.000 lire e nessun pericolo di disavanzo ne può risentire il bilancio. Se il periodo è più lungo, per es. di 50 anni, e l’annualità risulta di L. 46.550.000 sembra difficile che il bilancio possa cadere in disavanzo a cagione di 6.550.000 lire di carico annuo in più di quello che si sarebbe avuto col debito perpetuo, ove si noti ancora che il debito, col suo impiego economicamente produttivo, deve produrre da sé i mezzi di fare il proprio servizio. Il pericolo del disavanzo può sorgere solo a cagione degli impieghi erronei (cfr. par. 567) compiuti del provento del debito: ferrovie passive, guerre mal condotte o scorrette ecc., ecc. Nel qual caso il disavanzo nascerà dall’errore commesso e non dal metodo scelto per l’ammortamento del debito; il cui periodo può del resto essere reso tanto lungo, per es. di 100 anni, che l’onere del debito ammortizzabile – nell’ipotesi sovra fatta L. 40.808.000 – pochissimo si discosti dall’onere del debito perpetuo che è di 10 milioni di lire, sicché non si possa sicuramente rimproverare ad una così tenue rata di ammortamento il disavanzo del bilancio.

 

 

Ed ammettasi pure che, per rendere facile e sincero l’ammortamento, sia preferibile il metodo delle rendite perpetue. Forseché il possibile si suole convertire in un fatto? Possono, è vero, i governi estinguere debiti con gli avanzi in bilancio; ma questi si attengono a così lodevole pratica?

 

 

Pochissimi, quasi nessuno: l’Inghilterra e gli Stati Uniti soli tra i grandi Stati danno l’esempio di riduzioni apprezzabili dei debiti perpetui. Quasi dappertutto gli avanzi di bilancio sono ingoiati dalle schiere crescenti di burocratici, fornitori ed altri simili parassiti pubblici, o destinati ad incrementi di servizi pubblici veramente desiderati od a diminuzioni d’imposte ritenute dalla generalità eccessive. Sebbene l’uso più frequente degli avanzi di bilancio sia il primo, essendo voracissimi e petulantissimi i pubblici parassiti coalizzati in leghe per l’assalto del denaro dei contribuenti, mentre l’insufficienza dei pubblici servizi o l’oppressione delle imposte dà luogo solo ad accademiche e vane proteste di contribuenti singoli e non organizzati. Fra tanti aspiranti alla ripartizione dell’avanzo di bilancio, l’esigenza di ridurre il debito pubblico viene quasi sempre dimenticata. Nessuno difende l’interesse pubblico di ridurre il debito dello Stato, per aumentarne il credito in avvenire; onde accade che il debito perpetuo, che potrebbe più facilmente e sicuramente ridursi delle altre maniere di debito, di fatto non è mai toccato, né mai si riduce.

 

 

Sapienti e sempre vere paiono perciò le considerazioni che il Gladstone esponeva il 3 aprile 1862 alla camera inglese dei comuni, in una delle sue famose esposizioni finanziarie (budget speech). Egli notava che nessun ministro del tesoro può sperare di persuadere un parlamento a non dilapidare un avanzo di bilancio per dedicarlo all’ammortamento volontario del debito perpetuo. L’unico mezzo, egli diceva, di non fare spese inutili o di non condonare troppe imposte è di non avere avanzi di bilancio disponibili. E ricordava il verso latino Cantabit vacuus coram latrone viator Il viandante è il ministro del tesoro, che ha un avanzo di bilancio. I ladroni sono diversi ministeri, i varii servizi pubblici sempre pronti a spogliarlo ed i contribuenti i quali chiedono diminuzioni d’imposte. Oggi, ahime! i contribuenti, dissimili in ciò dai contribuenti del tempo di Gladstone, non osano neppure più chiedere diminuzioni d’imposte; ma i parassiti pubblici sono cresciuti in potere e in petulanza e divorano, dappertutto, ogni avanzo di bilancio, senza che alla riduzione dei debiti rimanga neppure una briciola.

 

 

Il ministro del tesoro dovrebbe, secondo Gladstone, cercare di occultare l’avanzo in nascondigli diversi e cioè nelle quote o fondi di ammortamento, per comparire dinnanzi ai ladroni del bilancio con le mani vuote, cantando allegramente per la sua povertà che lo mette al riparo da ogni rapina.

 

 

Sicché, il metodo del debito ammortizzabile, il quale impone una riduzione costante annua, sia pur minima, del debito ha per effetto altamente benefico di far scomparire gli avanzi di bilancio e sottrarli alla dilapidazione.

 

 

La preferenza dei governanti per il debito perpetuo in sostanza si riduce perciò al desiderio di impostare in bilancio la somma minima possibile per il servizio del debito. È vero che la differenza tra L. 40.000.000 di interessi al 4% su un debito perpetuo di 1 miliardo e L. 40.808.000 di interesse e quota di ammortamento al 4% su un uguale debito ammortizzabile in 100 anni è minima. Ma è pur sempre quanto basta per consentire ai governanti il vanto di aver caricato sui contribuenti il minimo peso possibile per il servizio del debito lasciando disponibile il margine più ampio possibile per i parassiti del bilancio.

 

 

Si aggiunga che l’ammortamento del debito perpetuo in somme variabili e relativamente tenui incontra obbiezioni giuridiche e tecniche di non lieve momento. Sia un debito di 1 miliardo di lire al 4% in rendite perpetue; e si dia il caso che il bilancio di un anno si chiuda con un avanzo di 50 milioni di lire, che il Parlamento delibera di consacrare tutto alla riduzione del debito. Quale frazione del miliardo il ministro del tesoro rimborserà? Ha lo Stato facoltà di scegliere sui 1.000 milioni di lire di titoli di rendite perpetue 4% esistenti i 50 milioni che saranno rimborsati ed estinti? Se anche si adopererà la sorte, non avranno i portatori dei 50 milioni di titoli chiamati al rimborso ragione di lagnarsi e di chiedere per qual motivo ad essi sia stato offerto il rimborso e non agli altri che si trovavano nelle medesime condizioni?

 

 

È evidente che, se lo Stato non si è riservato la facoltà di rimborsare quandochessia il debito, in tutto od in parte, determinando i titoli da rimborsare per mezzo di estrazione a sorte, il problema della scelta dei titoli rimborsandi sarebbe quasi impossibile. A meno che i titoli siano al disotto della pari, nel qual caso converrà al ministro del tesoro acquistare i 50 milioni di titoli in borsa al prezzo corrente. In Inghilterra, dove si ammortizza sul serio il debito perpetuo, governo e parlamento furono talmente imbarazzati dalla difficoltà di scegliere i titoli da rimborsare, che essi dovettero decidersi a seguire il partito dell’acquisto in borsa non soltanto nei tempi di prezzi ribassati al disotto della pari, sicché accadde che in un certo periodo di tempo lo Stato rimborsava a 105, 110, 113 lire il debito, il cui nominale era di 100.

 

 

667. …: la maggiore facilità delle conversioni, la quale agevola anche gli ammortamenti parziali. È vantaggio comune però ai prestiti ammortizzabili, con la riserva dell’anticipo dell’ammortamento. -b) Vero è che siffatto inconveniente non può durare a lungo, poiché se il titolo è quotato al disopra della pari, allo Stato conviene, prima di estinguere a grado a grado parzialmente il debito, minacciarne il rimborso totale e così, ribassatane la rendita, farne diminuire il corso alla pari. È questo il noto e sovra ogni altro pregiato privilegio della convertibilità del titolo ad un più basso tasso di interesse. Se il prestito fu stipulato al 4% ed in seguito il tasso di interesse ribassa al 3 1/2 per cento lo Stato può offrire al portatore la scelta fra il rimborso del capitale e la riduzione della rendita al 3 1/2 per cento; e poiché tutti accetteranno il secondo partito, lo Stato, su un prestito di 1 miliardo, godrà della riduzione degli interessi annui da 40 a 35 milioni di lire. Ed avrà un altro vantaggio ancora: se il titolo del reddito di 4 lire tendeva a salire, oltre il nominale di 100, a 105, 110, 113, perché il reddito fornito dal titolo stesso era superiore a quello del 3 1/2 per cento che soltanto poteva ottenersi dal mercato, la tendenza cesserà di agire quando il reddito sia diminuito a 3 1/2 lire.

 

 

Onde, essendo il titolo ribassato di nuovo a 100, lo Stato potrà seguitare ad estinguere, cogli avanzi annui del bilancio, a poco a poco il debito, con acquisti sul mercato al prezzo di borsa.

 

 

Se ben si guarda però, non è questo un vantaggio peculiare al prestito perpetuo in confronto ai prestiti ammortizzabili; poiché già vedemmo (cfr. par. 661) che anche a questi ultimi può essere apposta la clausola che lo Stato possa accelerarne od anticiparne l’ammortamento. Sicché non pare che la facilità delle conversioni possa essere considerata come un privilegio delle rendite perpetue, essendo sempre possibile emettere prestiti ammortizzabili, i quali godano della medesima facilità.

 

 

668 …: la diminuzione nel tempo della sua importanza e della sua pressione sui contribuenti. Trattasi di una speculazione dello Stato, la quale potrebbe in avvenire non essere più conveniente. Ragioni di prevedere ciò pel futuro. I gusti delle diverse categorie di capitalisti ed i diversi tipi di debito pubblico. – c) Un altro vantaggio si ascrive ai debiti perpetui; ed è che essi coll’andare del tempo spontaneamente si riducono, se non in quantità nominali, in quantità effettive. Supponendo che uno Stato abbia contratto un debito perpetuo di un miliardo di lire nel principio del secolo XIX, poiché nel secolo ora trascorso si può ammettere che la potenza d’acquisto della moneta si sia notevolmente ridotta, per ipotesi alla metà, è chiaro che il debito attualmente ancora esistente in 1 miliardo di lire ha ora solo più l’importanza che avrebbe avuto un secolo fa un debito di mezzo miliardo di lire. Il numero delle lire è rimasto formalmente identico, ma poiché ogni lira ha una minore potenza d’acquisto, e cioè si è, per così dire, idealmente rimpicciolita, il debito si è ridotto della metà. Ciò senza nessuna fatica o spesa del tesoro, il quale profitta del fatto economico generale della diminuzione di importanza della moneta metallica.

 

 

Il debito, diminuito di importanza monetaria, esercita altresì una minore pressione tributaria sui popoli. Anche supponendo che non si siano operate conversioni ed il tasso di interesse sia rimasto uguale, ben diverso era il peso di 40 milioni di lire di imposte, ogni anno necessarie un secolo fa a pagare l’interesse sul debito del miliardo, dal peso di 40 milioni d’imposte che per lo stesso motivo si devono pagare oggi. Per l’aumento della popolazione e del reddito di ogni cittadino, anche astrazione fatta dalla minore importanza della lira, il gravame sembra essere grandemente scemato.

 

 

Oggi si sopportano con indifferenza i pesi tributari che un secolo fa sarebbero parsi opprimenti e disastrosi. Non sarebbe forse esagerazione affermare che, per l’azione combinata della diminuzione di valore della moneta e del crescere della popolazione e dei redditi, un peso annuo d’oggi di 40 milioni di lire non gravi sui popoli più di un peso di 5 o 10 milioni di un secolo fa; ovvero che il peso del debito di un miliardo, contratto un secolo fa, il quale esercitava una pressione tributaria di 4 sui popoli d’allora, oggi eserciti solo una pressione di 1 o forse meno.

 

 

Sembra che questo possa dirsi un vantaggio che il debito perpetuo ha in confronto al debito ammortizzabile, poiché, di due debiti di 1 miliardo, l’uno, perpetuo e l’altro estinguibile in 50 anni, il primo potrà ridursi in un secolo ad una importanza di 500 miliardi in due di 300, in dieci forse solo di 100 o 50 milioni, onde il carico dello Stato debitore si riduce d’altrettanto; mentre l’altro, dovendo essere rimborsato nel cinquantennio, è restituito dallo Stato quando ha ancora l’importanza di 700 od 800 milioni di lire.

 

 

Trattasi, in fondo, però di una speculazione che fa lo Stato, contraendo debiti a lunghissima od infinita scadenza nella speranza che il valore dell’impegno passivo contratto abbia a diminuire col tempo. La quale speculazione, benché sia riuscita in passato, sovratutto dalla scoperta d’America in poi, potrebbe non riuscire più in avvenire, come non sarebbe stato conveniente dall’epoca di Diocleziano fin dopo il mille. Non pare conveniente che lo Stato fondi la sua pratica di estinguere o lasciare intatto il suo debito su una speculazione intorno all’andamento futuro del valore della moneta, il che è quanto dire sulla produzione futura dei metalli preziosi, sull’uso degli assegni bancari e dei biglietti di banca, sull’invenzione di nuovi metodi di pagamento in rapporto ad una massa più o meno crescente di merci o servizi da scambiare.

 

 

Potrebbe invero anche verificarsi il fatto che la speculazione in futuro non volga più così propizia per lo Stato come in passato, ove l’indole sua venisse ad essere conosciuta. Quando infatti una speculazione riesce? quando uno solo o pochi vedono la probabilità del verificarsi di un avvenimento futuro che gli altri non scorgono. Se il Tizio solo prevede che il raccolto sarà scarso e compra il frumento a 25 nella speranza di poterlo vendere a 30, egli forse guadagnerà, perché gli altri, non facendo la stessa od alcuna previsione, gli hanno oggi venduto il grano a 25 lire, che egli fra alcuni mesi potrà rivendere a 30. Ma se tutti prevedono la scarsità del raccolto ed il rialzo futuro del prezzo, nessuno vorrà vendere a 25 lire e la speculazione non si potrà compiere.

 

 

Perché riesce la speculazione dello Stato di indebitarsi oggi per 1.000 e vedere ridursi da sé col tempo il valore del debito a 900, 500, 300, 100 milioni? Perché i creditori non prevedono il fatto del rinvilio della moneta, nocivo a loro ed ai loro successori. Se lo prevedessero e diventassero, sotto questo rispetto, perfetti uomini economici, la speculazione non potrebbe più riuscire, poiché essi cercherebbero di garantirsi contro il rischio preveduto. Le maniere di garanzia potrebbero essere diverse: aumentare il tasso d’interesse richiesto per le rendite perpetue in confronto alle obbligazioni ammortizzabili; a parità di interesse pagare per le prime un prezzo minore che per le seconde. Già alcune categorie di capitalisti dimostrano di non voler acquistare rendite perpetue: il banchiere, per i suoi investimenti, – non per quelli dei clienti, per cui chiede ciò che ai clienti piace -preferisce i titoli a breve scadenza, come quelli che presentano il minimo rischio di variazione nel valore di borsa e nella potenza d’acquisto di questo valore; la impresa di assicurazione avendo impegni graduati in un certo tempo futuro preferisce i valori ammortizzabili entro lo stesso periodo di tempo. In genere tutti i capitalisti, i quali vogliono o debbono tenere un conto patrimoniale, preferiscono i titoli i quali hanno una scadenza determinata, sia pure entro certi limiti di tempo e scansano i titoli di rendita perpetua, il cui valore capitale è soggetto a tante variazioni.

 

 

Solo la classe, numerosissima, dei piccoli o medi redditieri, di coloro che in linguaggio volgare si usano chiamare «capitalisti» ed in francese «rentiers», rimangono affezionati alla rendita annua cosidetta perpetua.

 

 

Essi non badano molto, non dovendo fare conti patrimoniali, alla costanza di valore del capitale, e sovratutto si interessano alla costanza e regolarità e continuità della annua «rendita» di cui essi vivono. Essi preferiscono la rendita «perpetua» perché non hanno noie di verifiche di estrazioni, di reinvestimenti ecc. La rendita scorre per essi e pei loro figli tranquillamente; ed ogni anno si staccano i soliti cuponi, che essi consumano regolarmente ogni anno e sperano di consumare in perpetuo nella stessa misura. Ma quando essi si accorgano che le 4 lire di rendita si riducono, per conversioni successive, a 3 1/2, 3 e persino 2 1/2 lire, e che, per di più, ognuna di queste lire vale i 4/5, i 2/3, la metà di ciò che valeva quando il debito fu contratto, essi vorranno porre riparo a questi inconvenienti; e pure rimanendo attaccati al sistema delle rendite perpetue, cercheranno di garantirsi dalle conversioni, stipulando che il convenuto tasso di frutto abbia a rimanere fisso per 30, 40, 50 e più anni – nel 1913 alcuni Stati tedeschi hanno dovuto promettere immunità da conversioni fin oltre il 1950 -; e per difendersi contro le diminuzioni di valore della moneta, ritorneranno forse al vecchio sistema seguito nel medioevo delle rendite convenute in derrate. Sotto mutata forma; poiché laddove nel medioevo si stipulava che il censuario dovesse pagare 4 sacchi di grano all’anno, in futuro si stipulerà che lo Stato debitore debba pagare ogni anno quel determinato numero di lire di rendita, che equivalga in potenza d’acquisto in ogni successivo tempo futuro alle 4 lire oggi stipulate; e, volendo sdebitarsi, debba del pari pagare tante lire quante abbiano la stessa potenza d’acquisto che oggi hanno 100 lire. Le difficoltà sono puramente tecniche, dovendosi determinare, cosa difficile per fermo, ma non impossibile, quale quantità di moneta occorra in ogni momento futuro per acquistare la stessa quantità di merci e servigi diversi che oggi si acquisterebbero con 1 lira. Il problema non potrà forse mai essere risoluto con esattezza; ma a mano a mano che ci si avvicinerà alla soluzione desiderata, sempre meno riuscirà lo Stato nella speculazione, che oggi fa, sulla diminuzione progressiva del valore di debito da lui contratto in rendite perpetue.

 

 

669. Riassunto: le alee dei titoli di rendita perpetua sono assai più favorevoli allo Stato che ai capitalisti. Ciononostante i capitalisti li preferiscono. Ragioni del paradosso. – Tutto sommato, il metodo delle rendite perpetue sembra però più conveniente per lo Stato che per i risparmiatori capitalisti. Poiché lo Stato:

 

 

  • può rimborsare, quando crede, il debito senza mai esservi costretto;
  • può cogliere l’occasione di un ribasso nel tasso dell’interesse per minacciare ai capitalisti il rimborso della somma mutuata, onde ottenerne il consenso ad una diminuzione dell’interesse pattuito; senza mai doverlo crescere, quando il tasso dell’interesse aumentasse;
  • diguisaché il portatore del titolo di rendita perpetua si trova dinnanzi ad un dilemma; o il tasso di interesse sul mercato scema, dal 4 al 3% ad esempio, e lo Stato di ciò profitta per ridurre la rendita da 4 a 3 lire, minacciando altrimenti il rimborso del capitale; o il tasso di interesse aumenta dal 4 al 5% ed in questo caso il titolo di rendita perpetua, il quale seguita a rendere solo 4 lire, diminuisce di valore da 100 ad 80 e lo Stato può profittare della diminuzione per comprare sul mercato titoli, estinguendo con 80 lire un debito di 100.

 

 

Ciononostante, malgrado il possessore di rendite perpetue abbia tutte le alee contrarie e nessuna favorevole, i titoli stessi sono assai apprezzati dai capitalisti.

 

 

In parte per ignoranza. Essi scambiano la parola «perpetua» con la sostanza della perpetuità. Poiché la rendita è perpetua, essi suppongono che sia in perpetuo «costante», mentre è variabile e per giunta, variabile unicamente nel senso della diminuzione.

 

 

In parte perché il titolo di rendita perpetua, se non dà facoltà di richiederne il rimborso allo Stato ad una certa data, può sempre essere venduto sul mercato al prezzo corrente. Data la grandissima quantità emessa di titoli siffatti, vi è sempre un mercato vivo di essi. Ogni giorno molti titoli vengono offerti e molti richiesti; onde si forma un prezzo corrente.

 

 

Il portatore il quale vuole ricuperare il capitale investito in titoli di rendita perpetua non ha bisogno di attendere il momento del rimborso da parte dello Stato – che non è obbligato affatto a rimborsare -; ma può ad ogni istante vendere in borsa i suoi titoli. Egli corre il rischio di dover vendere a 95 ciò che ha comperato a 100; ma può anche aver comperato a 95 od a 90 e vendere a 100. Ciò si verifica per tutti i titoli, anche quelli ammortizzabili; ma i corsi delle rendite perpetue sono forse più oscillanti, perché non frenati dalla certezza del rimborso alla pari ad una certa data. Vi sono dei capitalisti i quali sono attratti da queste alee e vendono le rendite perpetue quando sono alte, vicine o superiori alla pari, e le ricomprano quando sono basse; ma ve ne sono altri i quali, inesplicabilmente, conservano le rendite perpetue anche quando sono superiori alla pari, come le inglesi, giunte, prima della guerra anglo boera, a 113, e non presentano altra probabilità fuori di una riduzione nel valore capitale e nella rendita.

 

 

È evidente che la possibilità di potere, ad ogni momento, vendere le rendite perpetue al prezzo corrente di borsa non compensa il capitalista del danno di non potere fare assegnamento su un prezzo capitale fisso di rimborso, come si ha per i titoli ammortizzabili. Ma poiché il prezzo dei titoli non è fatto dai ragionamenti degli economisti, ma dalle opinioni od impressioni dei capitalisti, finché questi amano più l’illusione della rendita «perpetua» della certezza della rendita «temporanea» con rimborso del capitale, accadrà sempre che le rendite perpetue siano preferite ai titoli ammortizzabili e possano – a parità di frutto – essere anche vendute dallo Stato a prezzi superiori. E poiché lo Stato deve vendere il titolo che il pubblico dei capitalisti chiede, è manifesta un’altra, e non ultima forse, delle ragioni le quali hanno reso tanto popolare il sistema delle rendite perpetue per la creazione dei debiti pubblici.

 

 



[1] Vedemmo invero che, se il tasso di interesse corrente è del 4%, il metodo di pagare con annualità i debiti contratti con società concessionarie conduca sempre alla conseguenza di dover sottostare ad un tasso di interesse più elevato (cfr. par. 650).

[2] Ciò si deduce da un qualunque prontuario di conti fatti. Siccome lo Stato ha incassato effettivamente solo 750 milioni, il servizio del prestito – interesse ed ammortamento compreso – gli costa il 5.18% all’anno per 50 anni. Se il prestito fosse stato emesso al 5% ed alla pari il servizio del prestito gli costerebbe annualmente il 5.1777% per gli stessi 50 anni; onde si deduce che allo Stato conviene più emettere il prestito 3% a 75 che non uno 5% a 100.

[3] Troppo di più il corso non potrà salire, poiché in caso contrario molti capitalisti che avevano comperato l’obbligazione a 75 lire, perché col frutto di 3 lire ne ricavavano il 4% d’interesse, troveranno convenienza a vendere ad 80 lire, reimpiegando queste al 5%, che è l’interesse corrente, ricavandone 4 lire di frutto, ossia 1 lira più di prima.

[4] A questo inconveniente si potrebbe, è vero, rimediare, verificando i cuponi di interessi pagati e notificando al firmatario della distinta, con cui si accompagnano sempre i cuponi presentati per l’esazione degli interessi, il fatto della avvenuta estrazione. Ma questa pratica, sebbene di piccolissima noia per l’amministrazione, urta contro le consuetudini di essa. Onde le continue lagnanze dei portatori, i quali incontrano spesso difficoltà e spese non lievi per la verifica delle estrazioni.

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