Opera Omnia Luigi Einaudi

Capitolo VI – Artigiani e Fabbricanti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1900

Capitolo VI

Artigiani e Fabbricanti

Un principe mercante. Studio sull’espansione coloniale italiana, Ed. F.lli Bocca, Torino, 1900, pp. 62-70

 

 

 

L’ambiente argentino determinò la formazione di altre industrie accanto a quelle fabbrili. L’abbondanza della lana indusse ad utilizzarla nella confezione di panni, sovratutto ponchos della tradizionale forma prediletta dei gauchos, materassi, guanciali, cappelli. Nella fabbricazione dei cappelli gli italiani possiedono quasi la totalità degli opifici, e fra questi ve ne sono due che insieme provvedono all’80 per cento del consumo locale.

 

 

Gli animali numerosissimi nelle pampe diedero impulso alla creazione di concerie, che si può dire industria iniziata dagli italiani, i quali seppero conservarvi un indiscusso primato. Nella sola provincia di Buenos Ayres 14 su 26 sono le concerie appartenenti agli italiani; mentre 35 su 100 sono le sellerie italiane, 25 su 71 le fabbriche di calzature e 4 su 6 le fabbriche di vernici di proprietà italiana. Degli animali si utilizza anche il grasso per la preparazione dell’oleina e della margarina. Le carni si salano e se ne fa del tasajo richiesto dagli immigranti poveri del Brasile e dai negri delle Antille. I più antichi e potenti saladeros spettano ad italiani.

 

 

La coltivazione del frumento ha reso necessaria la creazione di mulini e di pastifici per il consumo interno ed anche per la esportazione. Su 35, i mulini italiani della capitale sono 19 e 30 su 32 i pastifici. Fra i mulini, alcuni italiani valgono da soli parecchi degli altri. Dal 1860 data quello di Michele Oneto che dà 648.000 chili di farina di pane al mese e 135.000 di semola. Nel 1883 apriva il suo a La Plata il Campodonico, che dà farina di ben quattro qualità e un prodotto complessivo di 10.000 chili di farina al giorno. Dal 1888 data il gran molino di Emanuele Bacigalupo con un prodotto giornaliero da 38 a 40.000 chili. I signori Lorenzetti Bolasco e Vaccari fondarono nel 1866 a Rosario il loro pastificio che ora ha 40 operai, un motore di 40 cavalli e fabbrica ogni giorno 3000 chili di paste di ogni qualità. A Buenos Ayres il Pegassano lavora 13.000 chili di paste al giorno ed impiega 150 operai.

 

 

Le distillerie utilizzano il granoturco, e questo si produce nell’Argentina a così buon mercato e sono così numerosi ed accaniti i concorrenti che non si comprende davvero come molte fra le distillerie possano durare. Su 21 distillerie della capitale ne spettano 9 agli italiani; ma queste ultime rappresentano di certo più della metà del lavoro totale. Un italiano estrae con fortuna l’amido dal riso proveniente dalla provincia di Tucuman. In uno dei due centri della confezione dei tabacchi, Rosario, una casa italiana assorbe quasi la totalità della produzione.

 

 

Nella utilizzazione degli splendidi legnami del Chaco, di Tucuman e delle Cordigliere gli italiani hanno una parte predominante; per non rendere troppo lunga la enumerazione ricorderò solo che 11 su 14 sono i cantieri italiani nella capitale, 30 su 62 le segherie, 351 su 590 i falegnami, 9 su 15 le fabbriche di casse mortuarie, 55 su 70 le fabbriche di mobili, 17 su 30 le fabbriche di dorature, 19 delle 38 fabbriche di sedie, 12 delle 19 di botti e tini, 8 delle 11 di bauli e tutte cinque le fabbriche di brande. Dovunque è necessaria un po’ d’intuizione e di immaginazione, come nella fabbricazione di mobili artistici, gli italiani hanno il predominio.

 

 

Abilità e prontezza si richieggono eziandio nell’utilizzare i prodotti minerali: e anche qui gli italiani eccellono; 11 su 15 fabbriche di cemento e di calce, cinque su sette costruttori di forni; 82 sui 90 opifici di lavori in marmo. Al Tandil, il gran centro della produzione del granito, sono italiani i padroni delle cave e degli scalpellini. Orefici, fabbricanti di strumenti di musica, scultori, fabbricanti di specchi sono in grande maggioranza italiani.

 

 

La invadenza italiana nelle industrie e nelle arti più svariate non si limita alla capitale.

 

 

Ecco uno specchio delle fabbriche italiane nelle città più importanti dell’Argentina, secondo il censimento del 1895:

 

 

La Plata

127

fabbriche italiane su

164

Rosario

275

fabbriche italiane su

395

Santa Fé

64

fabbriche italiane su

86

Cordoba

42

fabbriche italiane su

104

Tucuman

72

fabbriche italiane su

240

Mendoza

53

fabbriche italiane su

128

Paranà

51

fabbriche italiane su

100

Corrientes

36

fabbriche italiane su

65

San Juan

35

fabbriche italiane su

95

Salta

10

fabbriche italiane su

31

San Luis

10

fabbriche italiane su

28

Santiago del Estero

10

fabbriche italiane su

25

Rioja

3

fabbriche italiane su

4

Iujuy

5

fabbriche italiane su

15

 

 

Dappertutto è «la storia solita: poveri operai che a forza di risparmi creano il primo capitale e lo moltiplicano in breve; il moto da prima lento, veloce in seguito, eccede spesso ogni aspettazione». Lorenzo Piazza, venuto nel 1870 con suo padre nell’Argentina e rimasto orfano si dié, prima con un compagno e poi da solo alla fabbricazione delle candele. Laboratorio era una capanna presso un cimitero in un campo deserto; strumento unico una caldaia nella quale facevano fondere e liquefare il grasso; pochi stampi dovevano bastare alla confezione delle candele. La notte era impiegata a vuotarli, nettarli e prepararli pel mattino. «Diceva Franklin che il più difficile passo nella via della fortuna è quello di guadagnare e mettere in serbo il primo scudo; fatto questo la fortuna è assicurata. Così fu per il Piazza, il quale appena fu padrone assoluto di se stesso, riuscì presto a pagare i suoi piccoli debiti ed a risparmiare il primo scudo. Dopo questo passo gli altri vennero da sé». La fabbrica andò crescendo. Dopo pochi mesi da quell’abituro si traslocò altrove, comprò lo stabilimento di un rivale, ed affranto dal gran lavoro, chiamò a sé i suoi fratelli. Nel 1885 alla fabbricazione delle candele unì quella del sapone; nel 1886 prese l’incarico di fornire gli animali ovini al macello della città di Azul presso la quale il suo stabilimento si trova; nel 1890 fu iniziata la conceria di pelli. In seguito, alla conceria, al macello, alla fabbrica di candele e di sapone fu aggiunta la estrazione dell’olio animale, la calzoleria e la preparazione di pelli secche per l’esportazione, e finalmente nel 1896 anche una fabbrica di birra.

 

 

Lo stabilimento attuale è un quadrato di 480 metri di lato; ossia circa 250 mila mq. Il personale che la casa occupa è il seguente: 1 maggiordomo, 10 compratori di bestie (argentini), 15 macellai, 6 commessi, 4 spacciatori, 1 macchinista, 1 falegname, 1 tonnellaio, 3 cuochi, 8 calzolai, 6 conciatori, 3 carrettieri, 2 fuochisti, 3 famiglie per la cura del gregge e dei maiali, 40 braccianti oltre a 35 cavalli per il servizio. Nel quinquennio 1892/97 si ebbero i seguenti risultati economici:

 

 

 

1892

1893

1894

1895

1896

1897

Cavalli macellati

2.700

7.600

12.915

15.884

1.872

7.720

Montoni macellati

3.473

6.205

5.269

3.380

2.900

2.711

Sego estratto da ogni montone kg

5.600

6.700

6.000

6.100

5.800

5.100

 

Acquisto di:

sego vergine

97.382

117.560

130.215

152.200

162.100

140.201

sego liquefatto

35.512

48.867

14.663

23.842

13.584

10.123

olio animale

10.516

16.958

84.916

202

13.832

22.980

 

 

 

 

Vendita annuale di:

Pacchi di candele grandi

11.065

13.363

13.872

14.270

15.100

13.850

piccoli

5.318

7.268

7.186

7.450

7.652

8.667

Grasso Kg

12.410

16.650

16.742

16.923

16.999

15.661

Sapone

288.589

240.289

248.204

250.402

263.208

244.206

Olio animale

10.813

10.610

9.250

11.502

10.500

19.250

Sego

201

15.159

10.506

9.250

18.204

15.002

Birra bianca litri al giorno

6.000

 

 

E tutta questa meravigliosa attività ebbe inizio da una caldaia e da pochi stampi maneggiati da un uomo in una capanna di paglia presso un cimitero!

 

 

Giacomo Rocca venne nel 1840 a Buenos Ayres, figlio del capo di un salatoio. Ora la casa Rocca, Terrarossa e Comp. possiede al Partido de la Magdalena un saladero dove si macellano in media ogni anno da 130 a 140 mila buoi e da 65 mila a 70 mila cavalli. Annessa al salatoio è una gran fabbrica di colla e di olio animale, la quale risale al 1848 e provvede quasi tutta la Repubblica di reputatissima colla. La casa possiede anche una conceria dove le pelli bovine che si conciano ogni anno salgono in media a 140 mila.

 

 

Debbonsi poi aggiungere 5 fattorie (estancias) per l’allevamento del bestiame, di proprietà dei Rocca, oltre a due tenute in affitto. Tutte queste possessioni misurano 11 milioni di ettari ossia 110 chilometri quadrati, una superficie pari a tre volte quella della provincia di Livorno. «Circa 50 mila capi di bestiame bovino si allevano qui al salatoio e non sono la terza parte di quelli che vi si ammazzano ogni anno; sono 500 gli operai impiegati, e di essi la metà italiani; l’ultimo venuto conta 12 anni di servizio».

 

 

Un altro colosso è Pietro Griffero, piemontese, che eroicamente sostiene una lotta a coltello contro la coalizione dei principali distillatori dell’Argentina. Ad un’ora di strada ferrata da Buenos Ayres a Villa Elisa erigesi lo stabilimento del Griffero su un’area quadrata di 145 metri di lato. Il colosso sorge nella pianura solitaria, popolata di cardi, innalzando dal suo mezzo al cielo due camini, uno dei quali alto 40 metri.

 

 

Lo stabilimento possiede 8 caldaie a vapore della forza complessiva di 1200 cavalli, 3 macchine motrici a vapore della forza di 140 cavalli, 8 pompe a vapore che assorbono circa quattro milioni di litri di acqua ogni 24 ore, 11 cuocitori che possono cuocere in media 106.000 kg di mais ogni 24 ore; 5 saccarificatori refrigeranti della capacità di 16.000 litri ognuno; 4 colonne di rame distillatrici, che possono distillare 450.000 litri di vino ad 8 gradi ogni 24 ore; 5 raffinatori di rame perfezionati con caldaia della complessiva capacità di 140.000 litri; 2 dinami della potenza totale di 500 amperes per la illuminazione elettrica; 12 tine della capacità di 3000 litri ognuna per il lievito; 30 tine per la fermentazione, della capacità di 35.000 litri ognuna, con 2 potenti serpentine montate sopra binari; 1 deposito principale di ferro per l’acqua, montato su armatura metallica all’altezza di 30 metri e della capacità di 80.000 litri; varii depositi di ferro per l’alcool, della capacità complessiva di 500.000 litri; ecc. Il Griffero ha inoltre costrutto un binario che dalla stazione va alla fabbrica, una linea telefonica che lo mette in comunicazione con la Plata e Buenos Ayres; ha iniziato l’allevamento dei maiali per la utilizzazione dei detriti, e sta ora bonificando il tratto di terreno di sua proprietà largo 4 chilometri e lungo 8 in linea retta che congiunge la fabbrica col fiume Plata. Tre grandi canali, lunghi a cagione delle molte curve 11 chilometri, paralleli in tutto il loro corso, congiungeranno la fabbrica al fiume e raccoglieranno tutte le acque stagnanti nelle bassure. I due canali laterali coperti raccoglieranno i residui con delle aperture qua e là perché se ne possano nutrire le bestie. Presso al fiume sorgerà una grande fattoria con allevamento ed ingrassamento di porci; questi, oltre al consumare i residui, potranno anche nutrirsi largamente di erba, la quale darà forza e consistenza alle carni che così potranno vendersi a prezzi convenienti. I canali hanno un complicato sistema di cateratte per mezzo delle quali l’acqua del fiume, nelle piene, potrà essere facilmente trattenuta e impedita di allagare la superficie. Il modesto distillatore di Novi, tramutatosi da semplice importatore degli spiriti suoi, nel proprietario della più grandiosa distilleria dell’Argentina, ora sta per diventare colonizzatore delle sue terre deserte, cosparse di cardi selvatici e miasmatiche per acque stagnanti. Ancora una volta le ricchezze acquistate nei commerci e nelle industrie vengono rivolte a fecondare la terra. Quello che i loro antenati fecero nella grande pianura lombarda, ripetono ora gli italiani nelle feconde piane argentine, e ripeteranno forse a beneficio della campagna romana e della maremma quando i capitali non saranno più assorbiti da impieghi artificiosi e dai debiti dello Stato.

 

 

Gaetano Dellachà, della famiglia piemontese dei fabbricanti di fiammiferi di Moncalieri, impiantò a Buenos Ayres una fabbrica di fiammiferi che fusasi con altre sotto il nome di «Compania general de fosforos», ha ora un capitale di 2 milioni di pezzi, una superficie costruita di quasi 10.000 metri², una vendita di fiammiferi nel 1896 di 124 milioni di scatole.

 

 

Quasi la direzione della Compagnia non bastasse alla sua attività, il Dellachà, a cui due operai avevano chiesto in prestito 10.000 scudi in oro per l’impianto di una fabbrica di cappelli, risolvette di impiantarla egli stesso. Lo stabilimento iniziato nel 1888 ha ora una superficie totale edificata di 12.000 mq. Il consumo del carbone somma a 4 tonnellate al giorno; la produzione è di 4000 cappelli di lana e 1500 cappelli di pelo al giorno; la macchina e gli attrezzi per le varie lavorazioni sono 502, e sono impiegate nella fabbrica 430 persone in massima parte italiani o argentini di origine italiana.

 

 

Il Testoni, comasco, volendo impiantare una fabbrica di tabacchi, ebbe un’idea geniale: la impiantò a Rosario, capitale economica della piovincia di Santa Fé, sicuro che i contadini suoi connazionali, desiderosi di consumare sigari italiani, si sarebbero rivolti a lui per acquistarne le imitazioni, essendo troppo difficile procurarsi tabacchi di genuina provenienza italiana. E così fu. La fabbrica fondata nel 1883 occupa ora un’area di 5000 mq ed è la prima di Rosario ed una delle prime della Repubblica; da 200 a 250 sono gli operai e le operaie occupate. Le differenti qualità di tabacco lavorato sono 17; si smerciano non meno di 14.000.000 di sigari di foglia all’anno; e si vendono 2 milioni di mazzi di sigarette scelte. Lavoransi giornalmente 30 o 35 quintali di tabacchi e non meno di 3 o 4 mila se ne conservano per lavorare. Industriale colonizzatore è il genovese Giovanni Maria Rossi. All’epoca della speculazione fondiaria comprò immensi territori nel Chaco Austral; venuta la crisi, non si lasciò scoraggiare e risolvette di operare laddove gli altri volevano far fortuna giocando in borsa. Siccome i coloni per sostenersi nei primi tempi avevano bisogno di trovare una occupazione rimunerata e sicura, così egli impiantò una segheria ed una officina meccanica per eseguire carri, mobili, legnami per fabbriche e tutto quanto può abbisognare ad un paese che si sta formando. Le cose si erano già avviate bene quando, disperati per ripetute invasioni di cavallette, i contadini si disponevano ad emigrare. L’opera faticosa dell’impianto correva pericolo di andare distrutta. In tale frangente, non insolito nella storia della colonizzazione dei paesi nuovi, si rivelò l’audacia e la genialità di vedute del pioniere. Avendo il Rossi «osservato che il ricino specialmente veniva risparmiato dalla voracità del terribile insetto, giudicò di interesse reciproco l’evitare l’esodo di tanti buoni elementi, nella quasi totalità italiani, ed ideò l’impianto di una fabbrica di olii vegetali, ampliando all’uopo l’edificio dello stabilimento e costruendo grandi magazzini per depositarvi grani. Mandò l’idea ad effetto senza perdita di tempo, ordinando in Europa macchine delle più moderne e perfezionate; facendo intanto lavorare senza posa la segheria, consigliando a tutti la coltivazione del ricino e degli arachidi e stipulando nel frattempo contratti con i coloni che lo obbligavano a comprare, a prezzo fisso, tutto il prodotto che essi avrebbero ottenuto dalla surriferita coltivazione. Ma non bastava consigliare ai coloni di lavorare, bisognava procurarne loro i mezzi, imperocché fatte alcune eccezioni, tutti si trovavano nella più lamentevole miseria.

 

 

A tal uopo aperse un negozio in edificio annesso allo stabilimento, fornendolo di tutto ciò di cui le famiglie campagnuole possono abbisognare, ed aprendo crediti in merci o denari. Né la incrollabile fede sua nella buona riuscita fu delusa, perché ha presentemente la soddisfazione di vedere centinaia e centinaia di famiglie contente e di constatare che i crediti sono ridotti a pochi e di scarsa importanza». La fabbrica di olio di ricino che ora produce sei mila tonnel]ate di oleosa per stagione, si trova nel mezzo di un territorio adattatissimo alle coltivazioni di grande reddito. Egli deve ancora affrontare la lotta commerciale perché l’uso dell’olio di ricino è poco diffuso nell’Argentina. Se la vittoria gli arriderà, un italiano avrà il vanto di aver impiantata un’altra fra le più fiorenti colonie agricole della Repubblica.

 

 

I tipi degli industriali italiani nell’Argentina cominciano così a differenziarsi. Sugli inizi è l’emigrante fornito d’ingegno e d’intuito, il quale coll’aiuto delle sole sue braccia, si eleva a poco a poco dalla condizione di fabbro a quella di industriale metallurgico, o da fonditore di grasso in una capanna di paglia a proprietario di un grande stabilimento industriale. In seguito alcuni industriali italiani, sentendo parlare delle ricchezze acquistate del nuovo mondo, risolvono di trasferirsi laggiù; è la prima forma della colonizzazione industriale con Rocca, Griffero, Dellachà; si esportano i capitali personali, la pratica e l’abilità negli affari e fors’anco i capitali pecuniari di proprietà dell’industriale emigrato.

 

 

Ma lo slancio grandioso impresso agli affari, ma l’ampliamento continuo degli stabilimenti e la introduzione di nuovi processi industriali si operarono a poco a poco coi capitali risparmiati nel paese. È la industria la quale alimenta se stessa; è l’industriale colonizzatore il quale concepisce la utilità di conquistare il mercato prima che giungano nuovi rivali, ed impiega nell’intrapresa tutto il prodotto netto dell’intrapresa stessa. Naturalmente le ampliazioni continue trasformano la palla di neve del modesto capitale personale e pecuniario dell’industriale colonizzatore in una valanga. L’industria è sorta ed è industria dovuta alla intelligenza ed al colpo d’occhio di italiani; ma non è industria dovuta alla esportazione di capitali italiani, i quali, insofferenti dei tenui guadagni ottenuti in patria vadano alla ventura pel mondo in cerca di guadagni maggiori. Dopo l’emigrazione dei braccianti, contadini ed operai, si è iniziata in modeste proporzioni la emigrazione degli imprenditori e degli uomini intelligenti ed abili che sanno già fondare e dirigere industrie. L’Italia comincia ad esportare, accanto alla merce lavoro comune, dei capitani dell’industria; ma non è ancora giunta al livello dell’Inghilterra o della Germania, perché la esportazione dei capitali non è ancora cominciata.

 

 

Torna su