Opera Omnia Luigi Einaudi

Capitolo XVI – Una storia trionfale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1900

Capitolo XVI

Una storia trionfale

Un principe mercante. Studio sull’espansione coloniale italiana, Ed. F.lli Bocca, Torino, 1900, pp.127-141

 

 

 

 

Nel commercio tutto sta nel saper scegliere bene la corrente; quando la scelta è stata oculata, la volontà energica e l’ingegno multiforme conducono sicuramente alla vittoria. La scelta del Dell’Acqua era stata felice; il mercato americano era adattatissimo all’esportazione delle merci italiane; e già la vittoria avea cominciato ad arridere quando scoppiò la terribile bufera della crisi economica. Come l’albero, curvato ma non divelto dalla tempesta, si raddrizza a poco a poco e di nuovo distende i suoi rami per la pianura immensa quando rispunta il sole e si diradano le nubi procellose, così il Dell’Acqua, dopo avere tenacemente resistito dinanzi alla minaccia del fallimento, riprende lena e coraggiosamente diffonde di nuovo i tessuti ed i filati italiani nell’America meridionale.

 

 

La importazione era scesa da lire 2.974.238 nel 1889 a lire 1.422.615 nel 1890.

 

 

Nel 1890, anno di lotta e di assestamento, non si fecero né utili né perdite. Nel 1891, grazie all’impianto della fabbrica di San Roque ed al risveglio di affari, si ripiglia alquanto e si giunge a lire 2.023.271 di merci importate. Nel 1891 si liquida una perdita complessiva di 200 mila lire, prodotta dallo scoperto in carta, dal deprezzamento dei valori di San Paolo, dai fallimenti di diversi agenti di cambio debitori, dalla caduta dei Banchi e dai gravi premi pagati per l’assicurazione delle operazioni sociali; nel bilancio del 1891, oltre all’avere liquidata questa perdita, si è provveduto alla difesa contro eventualità future mediante speciali sconti di previsione, si eliminarono le spese di impianto deprezzando largamente ciò che presentava ombra di dubbio. Malgrado queste notevoli svalutazioni il bilancio si chiuse in quell’anno con un utile netto di lire 71.744,78, piccola somma per se stessa, ma lieto indizio che le cose stavano per mutare in meglio e che alle ondate discendenti della crisi economica stava per succedere la curva ascendente della prosperità.

 

 

E la sostituzione della prosperità alla depressione avvenne in tempo più breve che non sembrasse possibile. La esperienza ha dimostrato che ad un periodo di attività febbrile e frenetica, in cui tutti, forti o deboli, persone fornite di capitali o soltanto ricorrenti al credito, fanno disegni grandiosi e belli e si slanciano in operazioni rischiose ed audaci, succede dopo la crisi un periodo di ristagno, in cui le case deboli sono scomparse, quali foglie spazzate via dal vento, e le case forti e resistenti liquidano le operazioni antiche senza iniziarne delle nuove. È in questa fase del ciclo economico che gli uomini d’ingegno possono metter le basi della loro fortuna; se essi riescono a scoprire una domanda latente, non soddisfatta dalle case antiche, paurose di avventurarsi in un mare infido, essi riescono ad ottenere profitti giganteschi dovuti unicamente alla loro intelligenza ed abilità.

 

 

Così avvenne nel 1892 per la casa Dell’Acqua. I dolorosi ricordi rendevano restii i fabbricanti europei a vendere e gli importatori a comprare per lo smercio nell’Argentina, ed il mercato americano si trovava in una situazione anormale in cui la sua domanda non era soddisfatta, perché pareva pericoloso soddisfarla ed anche perché non si intuiva che dopo la lunga astinenza sofferta esso dovesse avere bisogno di tessuti. Il Dell’Acqua intuì quel che gli altri non videro; intuì che la crisi oramai stava per essere liquidata e che le campagne, rimaste sane ed illese dalla tormenta, avrebbero ricominciato a portare granaglie sul mercato ed a richiedere in cambio merci europee, ed audacemente gettò sul mercato sud americano una massa di merci per un valore di lire 4.770.267 (di fronte a 2 milioni dell’anno precedente).

 

 

Audaces fortuna juvat. Il risultato non tradì le speranze del Dell’Acqua: le merci importate furono prontamente assorbite dal mercato a prezzi così rimuneratori, che alla fine dell’anno, oltre al metter da parte una fortissima riserva ordinaria ed una speciale detta di considerazione, si poté distribuire un dividendo del 10 per cento.

 

 

Come sempre, al sentire annunciare forti dividendi e lauti guadagni, la concorrenza si mette in opera; le ditte addormentate si risvegliano e si accorgono che nell’Argentina si possono importare tessuti con guadagno e che il mercato li può assorbire. Ma è troppo tardi; colui che era giunto prima, mantiene, anche dopo il risveglio della concorrenza, la sua situazione privilegiata. Gli altri, se vogliono guadagnare, devono seguire le sue orme. La marca italiana, introdotta trionfalmente dal Dell’Acqua quando i concorrenti non si immaginavano che fosse possibile importare nessuna marca di qualsiasi provenienza, è oramai entrata nei gusti dei consumatori, e le case concorrenti devono per forza importare nell’Argentina articoli italiani od imitazioni loro.

 

 

La battaglia era vinta, e come tutte le battaglie era vinta perché il capitano aveva lanciato i suoi battaglioni, sotto forma di merci e di commessi viaggiatori, alla riscossa quando le truppe nemiche erano stanche o per incuria avevano abbandonato i bastioni della piazza forte da difendere.

 

 

La vittoria, dovuta ad un uomo ed ai suoi fedeli coadiutori, ridondava a vantaggio di tutta l’Italia, perché dopo quel momento i tessuti ed i filati italiani si sostituirono intieramente ai tessuti ed ai filati tedeschi, inglesi, francesi, ecc.

 

 

Senonché la vittoria piena ed intiera nelle operazioni commerciali ed il dividendo del 10% quasi non parvero bastevoli ai capitalisti i quali per la forza delle circostanze erano concorsi a costituire la società. Il capitale in Italia è timido e poco amante dei rischi, anche quando possono essere fecondi di ingenti guadagni. Ed al capitale parve che nel 1892 gli affari del Brasile prendessero una piega rischiosa.

 

 

Nel Brasile il cambio era sceso da 24 a 12 pence; l’impianto della fabbrica di San Roque non era ancora finito ed i capitalisti brasiliani non volevano anticipare nuovi capitali, trattenuti dall’universale scoramento che si era impadronito del mondo finanziario ed industriale in quel paese. Trattavasi di liquidare la Compagnia, dopo che tanti sforzi si erano fatti per impiantare la prima fabbrica di tessuti nell’America e dopo che la Società Dell’Acqua vi avea impiegato un capitale di 151.046 lire.

 

 

Il Dell’Acqua vide in pericolo il suo piano e per non essere respinto dal Brasile assunse egli stesso il 17 settembre 1893 la liquidazione della Compagnia di San Roque, senza aspettare il consenso del Consiglio di vigilanza di Milano. Secondo la convenzione, l’opificio poteva essere acquistato dalla Società Dell’Acqua pagando agli azionisti entro due anni il 100% più gli interessi, oppure poteva essere liquidato con precedenza alla Società Dell’Acqua sul ricavo della vendita dell’opificio fino a concorrenza della somma sborsata per completare i lavori.

 

 

Il Consiglio di vigilanza, indispettito, disapprovò la convenzione. Deciso a non cedere, il Dell’Acqua indusse uno dei più forti azionisti della Società a ritirarsi cedendo le azioni ad un altro il quale era persuaso della bontà del piano del direttore della intrapresa. Anche questa volta il Dell’Acqua aveva veduto giusto ed il capitale aveva torto. Questo non aveva compreso che la fabbrica di San Roque era necessaria per svolgere il programma di esportazione e si era inalberato al pensiero che la fabbrica, oltre a costituire un impiego rischioso di capitali, venisse poi a muovere una deleteria concorrenza ai tessuti italiani che la Società si proponeva di portare nel Brasile. Lo stesso pregiudizio il quale fa credere che il capitale straniero venga in Italia a sfruttare ed a suggere le fonti della ricchezza nazionale, induce i nostri industriali a guardare con occhi diffidenti le industrie sorgenti, quasi avamposti della civiltà italiana, nell’America latina.

 

 

Questa fu l’ultima grande battaglia sostenuta dal Dell’Acqua. Il Consiglio di vigilanza, mutato di composizione, approvò tutte le sue deliberazioni e legittimò l’impianto delle industrie locali.

 

 

«Beati quei popoli che non hanno storia», afferma un proverbio. Ora che è finita la narrazione degli eventi fortunosi, in mezzo a cui giganteggia la figura dell’uomo dal volere inflessibile, dovrebbe cominciare la storia dei trionfi che hanno coronato tanta altezza d’ingegno e tanta tenacia di carattere. Ma la storia degli avvenimenti lieti è storia muta, perché l’animo si compiace sovratutto nel riandare le memorie degli ostacoli attraverso ai quali si è giunti all’agognata meta, e sorvola sui tempi lieti come sul naturale compenso delle fatiche trascorse.

 

 

In questa naturale tendenza della mente umana vi è molto di vero, perché la narrazione delle fatiche durate per giungere alla vittoria spiega la vittoria medesima e giustifica i frutti che da quella si colsero. Simile al capitano di un esercito che sul territorio conquistato coglie i frutti della vittoria, il principe mercante, passato il travaglioso periodo di formazione dell’impresa, attende ad allargare e perfezionare la sua azienda, a cui il primo impulso è già stato dato. «Oramai», come si esprimeva graficamente il Dell’Acqua in una relazione agli azionisti dell’11 maggio 1893, «la ruota cammina per buona strada».

 

 

Nel 1893 le merci importate giungono a lire 4.637.441. Gli utili distribuiti si mantengono al 10 per cento. Il fondo di riserva va ingrossandosi (376.049,19 lire) e raggiunge già il quarto del capitale sociale. La carta italiana deprezza, e questo avvenimento, dannoso per l’economia nazionale, torna di stimolo agli esportatori e di vantaggio alla casa.

 

 

Si compra un terreno a Buenos Ayres coll’intenzione di farvi sorgere nell’anno seguente una fabbrica simile a quella esistente pel Brasile a San Roque. Il piano maturato nella mente del Dell’Acqua, quando il protezionismo inacerbito rese difficile l’importazione dall’Italia di tessuti, va attuandosi a poco a poco.

 

 

Il 31 dicembre 1893 la Società E. Dell’Acqua e C. dovea disciogliersi, essendo giunta la fine del periodo fissato nello statuto; ma essa è invece prolungata senza discussione per un altro decennio. Il prolungamento indiscusso è indice perfetto delle trasformazioni che un dividendo del 10% induce nell’animo degli azionisti delle intraprese commerciali. Quegli azionisti i quali prima ardevano dal desiderio di liquidare in fretta ed in furia l’azienda sociale per riavere la loro posta, ora si affidano intieramente alla intelligenza ed alla attività meravigliosa del direttore dell’intrapresa e dei suoi cooperatori.

 

 

Nel 1894 le merci importate salgono a lire 4.971.763; il dividendo rimane del 10% e la riserva si accresce di 194.164,65 lire. La fabbrica di San Roque vede aggiungersi agli altri un nuovo salone con 64 telai meccanici a doppia altezza. La fabbrica di Buenos Ayres comincia a produrre tessuti di maglia, calze e camiciuole.

 

 

Nel 1895 il capitale sociale viene portato (ottobre) da lire 1.500.000 a lire 2.000.000. è il primo di una serie, che forse non è ancora finita, di aumenti di capitale. In quell’anno tra costruzioni e macchine si erano spese nella fabbrica di Buenos Ayres lire 172.862,88. La fabbrica comincia a funzionare bene; la produzione mensile del riparto delle maglierie supera le 100 mila lire. Non altrettanto bene invece corrisponde alle aspettative il riparto della tessitura di lino, perché i tessuti di cotone hanno preso il sopravvento nel consumo sui tessuti di lino. Si riduce il numero dei telai da 150 a 50 e per riempire il vuoto si comprano 150 telai meccanici per la fabbricazione dei tessuti di cotone. è questo il primo inizio della tessitura di cotone ed è una dimostrazione che nell’industria e nel commercio è necessario non ostinarsi negli errori, anche involontari, commessi, ed importa sapere cambiare rotta a seconda delle mutevoli indicazioni della domanda del mercato.

 

 

Le merci importate non scemano, malgrado l’impulso dato alla fabbricazione, e salgono a lire 6.252.853 nel 1895. In questo anno si liquida la partita speciale di considerazione creata per assorbire gli utili straordinari degli anni buoni 1892/93/94 non distribuiti fra i soci per non impoverire il capitale sociale, accorgimento solito a cui ricorrono i direttori delle intraprese per non essere obbligati a cedere ai clamori degli azionisti che vogliono ricevere tutti gli utili. Nel 1895, essendo la riserva effettiva cresciuta in modo da bastare sola a spalleggiare il capitale, si liquidò la partita speciale di considerazione portando lire 362.701,43 alla riserva statutaria e distribuendo agli azionisti un dividendo del 15 per cento. I sindaci, entusiasmati, richiamano «l’attenzione dell’assemblea sul merito speciale del signor Dell’Acqua, fattore principale di ogni singolo movimento di attività sociale».

 

 

Nel 1896 la trasformazione di indirizzo nella esportazione è compiuta; ai tessuti si sono sostituiti in gran parte i filati che vengono poi trasformati negli stabilimenti industriali di San Roque e di Buenos Ayres.

 

 

Il valore delle merci importate dall’Italia sale a 5.419.871 lire; la riserva si accresce di 73.482,95 lire; il dividendo distribuito è del 10 per cento. Si aumenta il capitale sociale da due a tre milioni emettendo 1.000 azioni da 1.000 lire l’una fra gli azionisti. In corrispondenza all’aumento del capitale sociale si modifica lo statuto: Unico socio amministratore responsabile senza limitazione è il signor Enrico Dell’Acqua. La Società può dedicarsi anche all’industria tessile, quando ciò sia giovevole agli scopi sociali. Disposizione importante perché legittima l’impianto delle fabbriche. La sede della Società è fissata a Busto ed a Milano. La Società può prendere interessenze e compartecipazioni in altre ditte o società, aventi per iscopo il commercio Italo Americano. La durata è protratta fino al 31 dicembre 1903, con facoltà di proroga. Il capitale può essere aumentato per deliberazione dell’Assemblea. L’Assemblea generale nomina e rinnova, quando lo creda necessario, la Commissione di vigilanza. L’Amministratore non può votare nell’approvazione dei conti e nelle deliberazioni di suo speciale interesse; egli deve possedere e tenere vincolate 100 azioni. Può, senza il consenso della Commissione di vigilanza, usare del credito fino al doppio del capitale versato; non può senza il detto consenso immobilizzare nelle industrie più di 150 mila lire. Nel caso di divergenze di vedute tra l’Amministratore e la Commissione di vigilanza deciderà l’Assemblea. Il saggio di ammortamento che era prima sugli stabili del 2% e sulle macchine del 7% fu portato per gli uni e per le altre al 10 per cento. Pei nuovi ingrandimenti eseguiti durante un esercizio si decreta una deduzione del 30% sul costo nel primo bilancio. Si dovrà prelevare il 20% degli utili per il fondo di riserva. Sul residuo degli utili, dedotto il 6% alle azioni, il 40% va all’Amministratore ed il 60% agli azionisti. L’applicazione delle quote di utili al fondo riserva non cesserà che quando la riserva superi di 1/5 l’intero capitale sociale.

 

 

Le nuove norme indicano quanto sia mutato profondamente lo spirito degli azionisti di fronte al prospero andamento degli affari sociali: si allargano i poteri dell’Amministratore; si dà maggiore elasticità all’azienda; si rendono più severe le norme per l’ammortamento e per la valutazione del patrimonio sociale.

 

 

Nel 1897 gli affari non si svolsero con tanta fortuna come negli anni precedenti. Del resto è inevitabile che alle annate buone succedano le annate cattive, come viceversa un’annata cattiva può far presagire una successiva annata buona. L’Argentina era afflitta dal mancato raccolto di due anni consecutivi (1895-96); ed il Brasile dal deprezzamento simultaneo della moneta e del caffè. Le importazioni in America, pure mantenendosi forti, scesero da 5.419.871 lire nel 1896 a lire 5.135.363 nel 1897. Fu buona misura quella di vender poco perché l’Argentina attraversava momenti difficilissimi ed era meglio avere merce in magazzino che arrischiare di portare a mastro crediti dubbi.

 

 

Ciò produsse però un’immobilizzazione dei capitali, accresciuta dal fatto che si allargò l’impianto industriale a Buenos Ayres e si riprese con novello ardore il tentativo di conquista dei mercati transandini. Un aumento del capitale era necessario. «Si tratta della eterna lotta tra il capitale ed il lavoro: da un lato il capitale che vuol guadagnare molto, arrischiando poco: dall’altra il personale che deve svolgere un programma grandioso con capitale insufficiente e che si trova quindi sovraccarico di responsabilità e di pericoli. Da un lato le forze fisiche ed intellettuali di un individuo, tutte messe a disposizione del capitale: dall’altra il capitale che lo sfrutta quanto più può, pronto poi sempre a ritirarsi al menomo cenno di pericolo e ad abusare della sua posizione quando le circostanze glielo permettono. Il signor Dell’Acqua indotto da queste ragioni, così il Capello in una sua relazione alla mostra Torinese degli italiani all’estero, se ne tornò in Italia per ottenere un aumento del capitale di 2 milioni. Il capitale sempre restio ed esigente non avrebbe voluto cedere, se non speculando sulla riserva accumulata a forza di tante fatiche e di tante lotte; e le azioni avrebbe voluto sottoscriverle alla pari e guadagnare di colpo un terzo del valore rappresentato dalla riserva. A forza di lottare riuscì ad ottenere 1.000 azioni con un premio di 200 lire per ogni azione.

 

 

Ed è un risultato buono se si tiene conto della diffidenza del capitale italiano, diffidenza giustificata in parte dalla crisi argentina. Non era però il risultato che il Dell’Acqua voleva; ed anche per ottenere così poco dovette accettare modificazioni statutarie tendenti a restringere la sua autorità ed a diminuire quanto gli competeva, come ad es., la concessione agli azionisti dell’interesse del 5% sulla riserva. Ma non per questo rimase contrariato il Dell’Acqua; egli sarà altrettanto esigente a pretendere che il capitale gli sia fornito in ragione del bisogno e non già, come prima, attingendolo dal credito, sotto sua piena responsabilità».

 

 

Secondo le nuove norme statutarie il capitale può essere portato a cinque milioni dall’Amministratore col consenso della Commissione di vigilanza. La durata della Società è prorogata fino a tutto il 31 dicembre 1915 e può essere prorogata con deliberazione da prendersi non dopo il 31 dicembre 1912.

 

 

Ferme le altre disposizioni si mutò alquanto il modo di distribuzione degli utili sociali. Da questi si preleva anzitutto il 10 per cento per costituire il fondo di riserva. In seguito si preleverà a favore degli Azionisti tanta parte di utili quanta corrisponde al 6 per cento del capitale versato ed al 5 per cento della riserva computata per frazioni di L. 500.000. Dopo ciò verrà assegnato il 5 per cento alla Commissione di vigilanza. Gli utili residui verranno ripartiti pel 30 per cento all’Amministratore e pel 70 per cento agli azionisti. Qualora gli utili di un esercizio siano tali da permettere un dividendo per gli azionisti, che, compreso il primo prelievo del 6 per cento, superi complessivamente il 15 per cento del capitale sociale, la eccedenza sarà passata al fondo di riserva.

 

 

L’assegnazione della quota d’utili al fondo di riserva cesserà quando questo abbia raggiunta la somma di due milioni e sarà ripresa quando sarà disceso al disotto di quel limite.

 

 

Nel 1897, periodo di transizione dall’antico al nuovo stato, di allargamento delle imprese industriali e commerciali, vi fu un po’ di sosta negli affari; e gli utili furono soltanto di lire 172.773,15, i quali permisero di portare alla riserva, colla solita oculata preveggenza la somma di lire 34.554,63 e di distribuire agli azionisti il 5% sul capitale versato.

 

 

Nel 1898 si raccolsero i frutti delle fatiche superate negli anni precedenti; con uno slancio improvviso le vendite superarono di ben 2 milioni quelle degli anni precedenti, giungendo fino all’apice di lire 7.294.613,15. I profitti ingrossarono anche in misura notevolissima ed il dividendo agli azionisti, indice perfetto delle prospere od avverse vicende di un’impresa, sembra supererà il dieci per cento.

 

 

La storia di un’impresa commerciale od industriale, se è lunga talvolta a descriversi col linguaggio comune, può concentrarsi però con efficacia grande in un unico documento parlante: il suo bilancio. Credo opportuno riferire in questo studio la serie dei bilanci della Casa E. Dell’Acqua e C., sia perché completano ed illustrano le cose dette dinanzi, sia perché dei documenti finanziari non appartenenti alle grandi società anonime, non è spesso possibile che il pubblico venga a conoscenza. Eppure questi bilanci nella nuda aridità delle loro cifre dicono tante cose che la penna non può descrivere; ed attraverso alle loro mutevoli configurazioni si può scorgere talvolta l’individuo che lotta per un ideale che, se è materiale nella sua natura diretta, il profitto, indirettamente contribuisce a creare i popoli ricchi e potenti[1].

 

 

Anno 1890 Anno 1891 Anno 1892 Anno 1893
Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo
Capitale Sociale

1.500.000,

1.500.000,

1.500.000,- –

1.500.000,-

Fondo di Riserva

11.744,78

179.712,66

Cassa, esistenza

11.568,69

28.282,94

143.721,36

52.864,72

Merci

1.813.649,14

1.198.841,95

2.906.127,75

3.474.142,68

Mobili

11.012,15

9.333,50

14.180,66

14.322,16

Immobili e macchine

362.966,58

525.895,80

Banche (saldi debitori)

82.741,61

339.573,01

82.064,50

Crediti

1.035.004,50

1.084.932,29

1.000.114,91

1.592,878,02

Effetti in portafoglio

188.478,45

663.967,75

733.949,77

427.493,60

Debiti diversi

1.642.454.54

1.413.613,65

3.563.176,04

4,020.989,79

Utile

71.744,78

425.713,22

468.959,03

3,142.454,54

3.142.454,54

2.985.358,43

2.985.358,43

5.500.634,04

5.500.634,04

6.169.661,48

6.169.661,48

 

 

Anno 1894 Anno 1895 Anno 1896 Anno 1897
Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo Attivo Passivo
Capitale Sociale

1.500.000,00

2.000.000,

3.000.000,- –

3.000.000,- –

Fondo di Riserva

376.049,19

570.213.84

 –

932.915,27

1.006.398,22

Cassa, esistenza

57.774,82

77.922,57

69.989,49

115.009,90

Merci

3.701.161,75

5.176.739,51

5.050.847,47

6.575.915,97

Mobili

14.266,71

14.335,30

20.109,38

29.374,10

Immobili e macchine

796.543,37

903.339,65

1.306.307,95

1.684.480,70

Banche (saldi debitori)

29.855,53

347.500,22

714.779,83

222.440,02

Crediti

2.363.644,47

2.369.319,36

2.130.035,55

2.286,465,80

Effetti in portafoglio

582.112,77

787.265,29

466.183, –

363.783,85

Debiti diversi

5.203.632,91

6.269.315,64

5.457.922,62

7.098.299,39

Utile

465.647,32

836.892,42[2]

367.414,78

172.773,15

7.545.329,42

7.545.329,42

9.676.421,90

9.676.421,90

9.758.252,67

9.758.252,67

11.277.470,76

11.277.470,76

 

 

A completare la storia segue la statistica delle merci esportate dalla Società Enrico Dell’Acqua e C. nell’America Meridionale nel periodo dal 1887 al 1898:

 

tabella-principe-mercante-Cap-16

 

Un semplice sguardo a questa serie di bilanci basta a far comprendere quale sia la funzione dell’«imprenditore» capitano di industrie o principe mercante nei tempi moderni. La cifra rivelatrice è quella dei debiti diversi. Malgrado che il capitale sia progressivamente cresciuto, insieme colle riserve, da un milione e mezzo a quattro ed ora a cinque milioni e più, il bisogno di credito permane imperioso. L’azienda non si sostiene se non perché alla sua testa c’è un uomo il quale inspira fiducia ai fornitori, che gli danno merci a credito ed alle banche che scontano le sue cambiali. Il termometro della fiducia è la cifra, come ho detto, dei debiti diversi, la quale sale da 1.642 mila lire a 7.098 mila lire. Nel 1890 i sovventori erano tali di malavoglia e quasi per forza; solo per evitare il fallimento della ditta essi si erano indotti a continuargli il loro fido; e, appena possono, lo ritirano, come avvenne nel 1891, in cui i debiti diversi scemano ad 1.413 mila lire. In seguito viene la vittoria ed il credito si apre con larghezza.

 

 

Ma è credito largito all’uomo; i sovventori sanno che a capo della grande intrapresa d’esportazione c’è una mente la quale dirige con fermezza tutti i particolari delle operazioni; e sono sicuri che a ciascuna delle loro sovvenzioni corrisponde nel portafoglio delle Case d’America una cambiale od una partita di credito aperta su un cliente oscuro e solido che smercia i tessuti della casa nelle colonie più lontane del centro del continente americano. Questa esatta corrispondenza fra debiti europei e crediti americani non è cosa che possa ottenersi da una mente volgare. Bagehot in alcune delle sue pagine migliori fa rilevare quanto pochi siano coloro che hanno l’acutezza di mente necessaria per scoprire le persone a cui senza pericolo si può imprestare dei denari che possono sempre essere richiamati da depositanti diffidenti. Soltanto alcuni privilegiati, nell’ambiente pure così squisitamente creditizio di Londra, riescono a conquistare la fortuna a prezzo di ansie terribili e di fatiche intellettuali così intense che li costringono al riposo dopo un non lungo periodo di attività. Fra i banchieri della City basti ricordare Ricardo, Grote, Lubbock, Palgrave, ecc.

 

 

Nel nostro caso l’azienda esportatrice si sostiene coll’aiuto del credito per la forza singolare di un uomo, la cui fecondità di espedienti finanziari è già stata illustrata. Quantunque sia sempre arrischiato fare delle previsioni è evidente che, quando l’uomo dovesse mancare, e non si trovasse la persona capace a sostituirlo compiutamente, la sicurezza stessa dell’azienda ne esigerebbe la trasformazione da Società in accomandita, dove chi comanda e chi dirige è uno solo, nelle cui mani capitali ed impiegati sono docili strumenti, in una società anonima, diretta da un consiglio di amministrazione e da abili direttori interessati negli utili.

 

 

Sarebbe allora compiuto il cammino che conduce dall’impresa privata dell’uomo singolo alla grande impresa capitalistica dei tempi moderni. Il passaggio dall’Individuo alla Società Anonima costituirebbe un indizio ed un presagio. Sarebbe l’indizio che l’impresa oramai è poggiata su basi salde e tali da resistere alle vicende avverse, che essa ha già raggiunto un grado di espansione tale da essere signora e conoscitrice profonda del mercato, e sarebbe il presagio di una vita lunga e gloriosa. Ma invano si potrebbe sperare durante questa vita lunga e gloriosa l’ardimento e l’audacia nelle iniziative feconde di cui ha dato prova finora la Società retta dall’Individuo. Come sempre, l’Individuo scopre ed inventa; si apre la strada in mezzo alle liane aggrovigliate della foresta vergine. Quando la via è tracciata la grande Società Anonima capitalistica vi percorre sopra il suo cammino trionfale.

 

 



[1] Nella serie dei bilanci, manca quello del 1898, che è stato impossibile dare non essendo esso ancora stato presentato fino al momento in cui si licenziano alle stampe queste pagine. Da informazioni ufficiose gentilmente comunicatemi risulta che gli utili del 1898 si aggirano su un milione di lire e che il dividendo sarà non inferiore al 10% del capitale azionario nominale, anche facendo larghissimi ed eccezionali ammortamenti delle attività e portando una forte somma a fondo di riserva. Il lettore è pregato di tener presente questa nota nel leggere la tabella dei bilanci, affinché la curva dei redditi non sembri tendere alla diminuzione, mentre in realtà nel 1898, passato il periodo di allargamento e consolidazione, essa ha di nuovo una tendenza fortissima all’aumento, tendenza che verrà certamente conservata nel 1899, dato gli splendidi raccolti dell’ultima campagna agraria (inverno 1899).

[2] Nella cifra di 836.892,42 lire sono comprese alcune riserve di considerazione create per prudenza nel 1893 e 1894 all’epoca in cui, per la mancanza di concorrenza, si ottenevano giganteschi profitti, che economicamente si potrebbero forse chiamare rendite del pioniere commerciante, e che furono distribuite nel 1895 perché la riserva statutaria era già abbastanza cospicua.

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