Opera Omnia Luigi Einaudi

Capitolo XVII – L’organismo industriale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1900

Capitolo XVII

L’organismo industriale

Un principe mercante. Studio sull’espansione coloniale italiana, Ed. F.lli Bocca, Torino, 1900, pp. 142-147

 

 

 

Oramai l’organismo nelle sue grandi linee è compiuto; rimane soltanto da disegnarne con cura alcuni particolari mancanti. Descriviamolo partitamente. E prima l’organismo industriale che forma la base su cui si eleva l’edificio della espansione commerciale.

 

 

In Italia numerosi sono gli industriali fornitori della Società; come si vede dall’elenco riportato in appendice.

 

 

Le più potenti ditte d’Italia sono state chiamate a raccolta dal Dell’Acqua per esportare i loro prodotti nell’America latina, prima tessuti e poi, coll’inacerbirsi del protezionismo, filati. Per trasformare i filati in tessuti ecco le due grandiose fabbriche di Buenos Ayres e di San Rocco sorte come per incanto in breve volgere di anni nell’Argentina e nel Brasile.

 

 

A Buenos Ayres lo stabilimento, cominciato nel 1894, occupa un’area di mq. 13.000 cioè m. 130 di lunghezza per m. 100 di larghezza. La forza motrice è prodotta da due motori a vapore, uno di 125 cavalli della fabbrica Ruston Proctor e l’altro di 80 cavalli della fabbrica Franco Tosi di Legnano.

 

 

«Delle due macchine, quella del signor Tosi (un altro fra i tipi più belli di capitani dell’industria che abbiano onorato all’estero il nome d’Italia) è assai preferibile perché semplicissima, e quindi richiede minore sorveglianza e non è molto difficile darle l’olio, poi perché più solida assai, e più facile a riattarsi se per avventura dovesse patire qualche guasto; infine può essere piantata e montata dove che sia senza nessun’altra preparazione. Il macchinista, uomo intelligente, con due occhi vivi e mobili, ed una franchezza e scioltezza singolare, non finisce di lodarsi di questa macchina che è veramente la sua beniamina». Per la produzione del vapore necessario al funzionamento dei motori e delle altre macchine di preparazione, esistenti nelle diverse sezioni, sono installate due caldaie multitubolari della superficie riscaldata di 84 mq. ciascuna. Il sistema perfezionato di caldaie rende possibile una grande economia di combustibile di cui si consumano al giorno 40 quintali. L’acqua necessaria per tutto lo stabilimento è prodotta da due pozzi a semi sorgente per mezzo di due pompe a vapore che possono aspirare circa 100.000 litri d’acqua ogni ora. Essa viene raccolta in due serbatoi collocati sul tetto della fabbrica, capaci di circa 50.000 litri ciascuno. Oltre a questi serbatoi, ve ne sono altri due da 10.000 litri ciascuno, che si conservano sempre colmi, destinati esclusivamente ad essere usati in caso d’incendio. Essi sono collocati ad altezza sufficiente per una pressione regolare e forniscono l’acqua ad una tubazione speciale che circonda lo stabilimento e le principali sezioni. Lo stabilimento è illuminato da 800 lampade ad incandescenza, 8 lampade ad arco, alimentate da una dinamo di 450 fiamme accoppiata ad un motore da 40 cavalli e da un’altra dinamo da 350 fiamme. Nella fabbrica esiste un’officina meccanica, munita di torni e tutti gli attrezzi necessari per lavori di riparazioni, ecc. alle macchine. Lo stabilimento si divide nelle tre distinte sezioni della maglieria, della tessitura meccanica e del candeggio, preparazione e tintoria. Nella maglieria la superficie dei locali è di mq. 2.122, le macchine sono 401, la produzione giornaliera da 350 a 400 dozzine al giorno, la maggior parte in camicette di cotone e di lana; gli operai sono 476 di cui 68 uomini e 408 donne. Nella tessitura meccanica la superficie dei locali è di mq. 3.456; i telai a quattro navette dell’altezza fra 30 e 100 cm. sono 80, i telai dell’altezza fra 150 e 175 cm. sono 48 e le altre macchine di corredo, orditoi, spolatrici, dipanatrici, ecc., 27. La produzione giornaliera è di 5.000 metri di tessuti di colore e greggi; gli operai impiegati 259 di cui 165 donne e 94 uomini. Nella sezione candeggio, preparazione, tintoria la superficie dei locali è di mq. 1.384; i locali accessori occupano 2.850 mq.; le macchine sono 51 e gli operai uomini sono 68. Il numero totale degli operai dello stabilimento è di 803. Nella sezione tessitura si pagano annualmente 193.500 scudi nazionali in salari e stipendi, nella sezione maglieria 254.500; nella sezione candeggio e tintoria 51.500; nella sezione officina meccanica e servizio generale scudi 36.000; in tutto scudi 535.500 ossia quasi un milione di lire.

 

 

A San Rocco lo stabilimento, divenuto di esclusiva proprietà della Casa Dell’Acqua, ha avuto uno svolgimento insperato. La forza motrice ivi è data da una turbina di 100 cavalli; i telai meccanici sono 195, di cui 117 semplici e 78 doppi; i telai a mano sono 10. Il personale occupato è di 330 persone circa di cui 8 direttori ed impiegati, 126 tessitori, 11 assistenti e maestre, e 184 altri operai ed operaie. In grande maggioranza il personale è composto di italiani. Gli stipendi ed i salari ammontano a 350 milioni di reis, ossia a 250 mila lire circa, che vanno dalle 8.000 lire del direttore alle 350 lire delle ragazze bobinatrici. La produzione giornaliera è di circa 8.000 metri di tessuti di prima qualità, ricercati in tutto il Brasile.

 

 

La fabbrica ha saputo cambiare totalmente il gusto dei consumatori brasiliani. Colla rapida diffusione dei suoi tessuti veramente buoni e di buon gusto si è imposta, ed ora qualunque altro tessuto che non sia fatto sui modelli e sul genere di San Rocco non è accettato dal consumo. La piccola e pacifica cittadina di San Roque, popolata cinque anni prima da 800 a 1.000 pastori ed agricoltori, ha visto trasformare tutta la sua esistenza dalla coraggiosa iniziativa del Dell’Acqua, ed ora 2.500 abitanti già vi si trovano in piena prosperità in mezzo ad una vita febbrile di operosità e di lavoro.

 

 

Contro questi impianti industriali, che hanno reso tanti segnalati benefici alla società, molte accuse si sono elevate, ed il direttore della intrapresa è stato accusato di avere immobilizzato una parte troppo forte del capitale sociale, di aver falsato il concetto primitivo della esportazione e di avere reso un cattivo servizio all’industria italiana.

 

 

Nella realtà le industrie, date le condizioni economiche e doganali dell’America latina, rappresentano un fenomeno perfettamente spiegabile.

 

 

Esse sono utili non tanto perché il costo di produzione delle merci fabbricate in America sia più basso delle identiche merci importate dall’Italia, quanto per motivi di indole commerciale.

 

 

È molto dubbio se il costo di produzione di un metro di tessuti delle fabbriche di San Rocco o di Buenos Ayres sia inferiore o anche solo eguale al costo di produzione di un metro di tessuti comperato dal Dell’Acqua in Italia e trasportato in America; malgrado l’alta protezione doganale e la mano d’opera relativamente a più buon mercato, le difficoltà contro cui l’industria cotoniera deve lottare nei paesi nuovi sono talmente grandi (caro del carbone, costo dei trasporti delle macchine e della materia prima, inesperienza della maestranza, ecc.), che dal semplice punto di vista dei costi comparati si dovrebbe conchiudere che le fabbriche d’America rappresentano un errore economico. Quando le fabbriche furono fondate le cose non erano così; perché la protezione doganale effettivamente era più alta della attuale. Può sembrare un paradosso; ma ecco come il Dell’Acqua spiegava il paradosso in una relazione agli azionisti del 14 novembre 1897, rispetto al Brasile: «Nel 1887 i tessuti pagavano 1.200 reis al kg. di dogana più il 15% di addizionale. Oggi pagano 2.400 reis. Nel 1887 il cambio era 27 d. e la dogana rappresentava fr. 3,50 al kg.; oggi col cambio a 7 1/2 d. rappresenta fr. 1,80».

 

 

Ma se dal puro punto di vista dei costi comparati le due fabbriche d’America possono ora sembrare un errore economico, le cose mutano quando nel calcolo della convenienza di fabbricare in America si fanno entrare altri elementi, di cui il direttore di una vasta e complessa intrapresa deve tener conto.

 

 

La fabbricazione americana è utile sia come mezzo di copertura contro le oscillazioni dell’aggio sia come mezzo di richiamo per le merci italiane. Le perdite eventualmente subite a causa del maggior costo di produzione dei tessuti, sono compensate in tal modo ad usura. Anche qui si applica il sistema, oramai frequentissimo nelle grandi industrie moderne, della compensazione dei benefici. Si vende forse a perdita un articolo, per attirare i clienti ed indurli a comprare altri articoli, su cui si realizzano vistosi guadagni. Qui ci troviamo di fronte ad un caso che in economia viene detto dei costi composti. Ragionerebbe male chi, basandosi sulla semplice considerazione dei costi di produzione comparati, volesse condannare le fabbriche d’America.

 

 

In un paese sottoposto alle fluttuazioni dell’aggio conviene fabbricare all’interno, perché le spese di fabbricazione, pagandosi in carta, sono naturalmente coperte contro i pericoli di un rialzo o di un ribasso dell’aggio.

 

 

Ma vi è di più; anche se le alte dogane non avessero colpito i prodotti italiani, sarebbe stato utile impiantare stabilimenti industriali nell’America latina.

 

 

La colonizzazione industriale è un fattore di enorme influenza per la diffusione del nome e dei prodotti della nazione a cui appartengono i colonizzatori. È ragionamento di mente piccina il credere che ogni fabbrica impiantata da nostri connazionali, ogni terreno sottoposto a coltivazione, ogni colle piantato a viti nell’America rappresenti una sottrazione alla attività nostra, una perdita netta per la esportazione italiana. Nella realtà quei prodotti locali servono ad accreditare la marca italiana, giovano a far sorgere desideri che prima erano latenti, ed il consumo, risvegliato dai prodotti locali, a poco a poco raffinandosi, si rivolge dalle imitazioni fatte da italiani ai prodotti genuini d’Italia.

 

 

Non si può affermare, ad esempio, che la produzione dei vini dei fratelli Tomba nell’Argentina o della Compagnia Italo Svizzera nella California abbia nociuto alla importazione dei vini genuini italiani; anzi è certo che le imitazioni del Barbera, del Barolo, del Grignolino e del Chianti confezionate in California dagli ardimentosi coloni italiani, servirono ad attirare l’attenzione dei consumatori degli Stati Uniti verso i vini genuini nostri ed a stimolarne una fortissima dimanda, che altrimenti non sarebbe sorta.

 

 

Cosi è pure per tutti gli altri campi della attività nazionale. «L’Italia, scrive Enrico Dell’Acqua in una sua relazione agli azionisti, ha bisogno di farsi conoscere, e tutto ciò che serve a richiamare su di essa l’attenzione delle popolazioni d’America, siano industrie, siano Banche, siano costruzioni, tutto si risolve a vantaggio suo. Molti importanti industriali italiani possono testificare che dopo l’impianto della nostra tessitura di S. Rocco, e precisamente per il fatto di simile impianto, gli importatori di Rio Janeiro si trovarono obbligati ad abbandonare molte delle marche inglesi e tedesche per attenersi al gusto italiano. E le stesse nostre Case di S. Paolo e di Bahia a quest’ora si sarebbero chiuse se a rendere possibile il collocamento di altri tessuti italiani non avesse contribuito l’accreditata marca del nostro “Brim Busto” fabbricato a San Rocco. A Buenos Ayres impiantai l’industria della maglieria perché sarebbe stato impossibile in tale articolo con l’enorme dazio di cui la nuova legge l’aveva colpito.

 

 

L’Italia, che per il fatto di simile dazio rimaneva esclusa da quel mercato nell’importazione della maglieria, vi è entrata per un’altra porta, coll’industria della filatura. Pure a Buenos Ayres impiantai la tessitura con disposizioni tali che, se diminuì l’importazione di taluni tipi che prima si importavano molto, aumentò in altri che prima s’importavano poco.

 

 

Dove non lavorano i tessitori lavorano i filatori, che già mandano a quei nostri lontani opifici da 700 ad 800 quintali di filato ogni mese. Per effetto delle nostre industrie lavorano in Italia le tintorie di filati e le torciture, e lavorano i fabbricanti di tessuti greggi. Se con queste industrie io ho reso un buono o cattivo servizio al mio paese, lo dicano inoltre i mille operai che vi lavorano in America e le loro famiglie che in Italia ne ricevono i risparmi».

 

 

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