Opera Omnia Luigi Einaudi

Che sorprese ci preparano gli zuccherieri?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1912

Che sorprese ci preparano gli zuccherieri?

«La Riforma Sociale», marzo 1912, pp. 214-217

 

 

 

Ricordo l’impressione grata di compiacimento che giornali e governo ebbero qualche mese fa in Italia quando l’on. Maraini comunicò all’on. Giolitti la munificente offerta di 150.000 lire per i feriti in Tripolitania. Bel gesto, da parte di chi è accusato ogni altro giorno da noialtri liberisti italiani di essere il maggiore responsabile del protezionismo zuccheriero che ci affligge! A quando le elargizioni di qualche milione o magari di alcune decine di milioni, con cui i Carnegie ed i Rockefeller d’America cercano di far dimenticare ai loro concittadini di avere accumulato i miliardi grazie alla protezione doganale? Quando verranno in voga anche in Italia le teorie sull’impiego «sociale» della ricchezza?

 

 

Altre considerazioni mi si affollarono alla mente quando, leggendo una lettera di Lord Welby e di Mr. Russell Rea, membro della Camera dei Comuni,al direttore dell’Economist di Londra, il mio sguardo capitò sul seguente periodo: «L’Italia chiese, insieme colla Russia, il permesso di aumentare le sue esportazioni; ma si poteva prevedere che le altre potenze produttrici di zucchero non avrebbero consentito alla richiesta».

 

 

E chi ne sapeva niente in Italia, che il nostro governo avesse chiesto quel che Lord Welby e Mr. Russell Rea gli mettono in bocca? Ed è proprio vero che l’Italia abbia fatto una simile domanda?

 

 

Per chi non ha capito il significato delle parole di Lord Welby, aggiungo qualche spiegazione, o meglio pongo qualche quesito, perché in realtà tutti, in queste faccende zuccheriere, abbiamo bisogno di lumi.

 

 

La convenzione di Bruxelles ha vincolato gli Stati contraenti a non concedere ai fabbricanti indigeni una protezione superiore a L. 5,50 e 6 al quintale a seconda che si tratta di zucchero di seconda o di prima classe. È evidente la ragionevolezza di questa disposizione. Essa garantisce i consumatori che il prezzo dello zucchero all’interno di ogni Stato non potrà superare di più di 6 lire il prezzo internazionale fuori dogana. Protegge abbastanza, per chi si interessa di ciò, l’industria nazionale, perché una protezione di 6 lire contro lo zucchero straniero equivale ai una protezione del 20% sul valore della merce, protezione larghissima e sufficiente a compensare qualunque ragionevole causa di disfavore in cui si trovi l’industria nazionale in confronto alla straniera. Finalmente, il produttore non può aumentare troppo i prezzi all’interno sfogando all’estero a vil prezzo la sua produzione esuberante, perché, se vende a 36 al quintale all’interno e svende (col cosiddetto dumping) il sovrappiù all’estero a meno di 30, p. es. a 28, il commercio avrebbe interesse a comprare da lui all’estero a 28, reintrodurre in paese lo zucchero pacando il dazio di 6 lire e venire a fargli la concorrenza nel paese d’origine vendendo a 34. La convenzione di Bruxelles tutela quindi i consumatori nazionali contro lo strozzinaggio dei produttori compaesani e gli industriali stranieri contro il dumping. La convenzione ha i suoi grossi difetti; ed è inconcepibile come l’Inghilterra la tolleri; essa che ha tutto il vantaggio di subire ogni sorta di dumping dall’estero pur di comprare zucchero a buon mercato per i suoi consumi e per le sue industrie delle conserve. Ma, per i paesi deliziati dal protezionismo, la convenzione è una benefica garanzia contro le esorbitanze dei produttori interni.

 

 

Tanto benefica che fu provveduto a che l’Italia non ne potesse trarre profitto. Una clausola speciale infatti esenta l’Italia dall’obbligo di limitare a L. 5,50 e 6 la differenza fra il dazio doganale sullo zucchero estero e l’imposta di fabbricazione sullo zucchero indigeno, ossia la protezione al fabbricale interno. E l’Italia se n’è valsa per mantenere la protezione a L. 20,80 per lo zucchero di 2a classe e L. 28,85 per lo zucchero di 1a classe. La protezione si sta riducendo, a principiare dall’esercizio 1911-912, di L. 1 all’anno fino a ridursi, in 6 anni, a L. 14,80 e 22,85, rispettivamente.

 

 

Sotto l’egida di questa protezione, scandalosa finora e sempre altissima anche per l’avvenire, la produzione interna si andò rapidamente sviluppando: da 1.252 quintali nel 1885-86 passò a 10.655 nel 1892-93, a 59.724 nel 1598-99, a 231.158 nel 1899-900, a 601.254 nel 1900-901, a 954.091 nel 1932-903 e in seguito progredì così :

 

 

 

 

QUANTITÀ

Fabbricata all’ interno

Passata al consumo

1903-904

Ql. 1.308.606

782.107

1904-905

783.807

1.076.037

1905-906

939.158

1.081.035

1906-907

1.063.828

1.110.782

1907-908

1.359.651

1.228.036

1908-909

1.653.118

1.296.142

1909-910

1.107.953

1.439.432

1910-911

1.731.841

1.545.923

 

 

Il consumo va costantemente e regolarmente aumentando, come è naturale: mentre la produzione, dipendendo dal raccolto variabile delle barbabietole, subisce notevoli sbalzi, pure avendo anch’essa una tendenza all’aumento. L’equilibrio tra la produzione ed il consumo si ottiene mercé le rimanenze di zucchero in magazzino rimandate da un esercizio all’altro. Queste riserve, alla fine degli ultimi tre esercizi, ammontarono a :

 

 

  • 909                 Ql.       558.820
  • 910                 »          220.921
  • 911                 »          401.804

 

 

Nulla in tutto ciò di più legittimo. Gli stocks servono appunto per equilibrare la produzione variabile col consumo costante di anno in anno e per impedire bruschi salti nei prezzi. Ma se le cose stanno così, quale necessità aveva l’Italia di chiedere alla conferenza di Bruxelles la facoltà di esportare all’estero?

 

 

Chiederla doveva. Perché, il giorno in cui l’Italia divenisse una nazione esportatrice, cesserebbe — per disposizione espressa dalla convenzione di Bruxelles — il privilegio di cui i suoi fabbricanti godono, di poter mantenere una protezione superiore alle L. 5,50 e 6 stabilite dalla convenzione. È manifesto quindi perché i fabbricanti italiani — e per loro conte il governo — abbiano interesse a chiedere la facoltà di esportazione: evidentemente questa facoltà dovrebbe essere ottenuta senza che la protezione interna debba diminuire al disotto del livello attuale.

 

 

La produzione italiana dello zucchero è oramai giunta ad un punto tale che essa ha completamente saturato il mercato interno. Progredire potrà ancora; ma sarà — conservando i prezzi odierni — un progresso lento, correlativo all’aumento regolare nel consumo. D’altro canto la potenzialità della produzione cresce. Gli impianti sembra siano tali da poter far fronte ad una produzione ben superiore all’attuale. L’Unione Zuccheri — la quale è, checché se ne dica, un vero trust dello zucchero — tiene a freno e misura il passo alla produzione, non lasciandola crescere di troppo. Ma talvolta, nel 1903-904, nel 1908-909 e nel 1910-911, poiché a Domeneddio non si comanda e la crescita delle barbabietole non dipende dall’Unione Zuccheri, la produzione è troppo superiore al consumo e si hanno stocks inquietanti. Ogni tanto s’impianta qualche fabbrica nuova, sorge una cooperativa, per farsi comprare dal trust. I più accorti degli interessati prevedono il momento in cui la produzione sarà davvero eccessiva in rapporto al consumo, s’intende al consumo possibile, in rapporto ai prezzi spropositati vigenti in Italia.

 

 

È supposizione infondata immaginare che si sia voluto correre ai ripari? È illogico prevedere che se la conferenza di Bruxelles avesse accolta la domanda dell’Italia, se questa vi fu, come affermano Lord Welby e Mr. Russell Rea, gli zuccherieri avrebbero guadagnato un grosso terno al lotto?

 

 

Oggi, se essi producono molto, devono vendere all’interno. Possono averne dispiacere, ma non potendo esportare, sotto pena di vedere ridotta la protezione a L. 5,50 e 6, devono rassegnarsi a diminuire i prezzi, per far assorbire il loro prodotto al consumo interno. Per ora sono riusciti a limitare la produzione, in guisa da tenere elevati i prezzi. Ma riuscirà il trust nell’intento ancora per lungo tempo? È lecito dubitarne.

 

 

Domani, se l’Italia potesse esportare all’estero, ferma restando l’attuale protezione doganale, gli zuccherieri se ne riderebbero del consumatore nazionale. Quando le barbabietole andranno male, i consumatori pagheranno lo zucchero caro, perché l’estero non potrà entrare a causa dei dazi alti. Quando le barbabietole andranno bene, i consumatori pagheranno egualmente lo zucchero caro, perché gli zuccherieri nazionali venderanno all’estero il di più sovrabbondante, pur di fare il vuoto all’interno e tenervi i prezzi elevati.

 

 

Se queste sono verità incontrovertibili, come accadde che il governo italiano presentò alla conferenza di Bruxelles una domanda così vantaggiosa agli interessi di pochi industriali, già egregiamente protetti, e così dannosa agli interessi della generalità dei contribuenti?

 

 

Probabilmente però Lord Welby e Mr. Russell Rea hanno preso un solenne equivoco. Sembra incredibile che si sia venuti ad una deliberazione di così gran momento senza che nessuno ne sapesse niente, senza che nessun pubblico dibattito si accendesse, senza che si pensasse che c’erano dei milioni d’italiani da interrogare, e non solo una trentina di fabbriche di zucchero da favorire.

 

 

Se poi la notizia è vera, sembra lecito chiedere: come fu accolta la richiesta del governo italiano? Dalla frase dei due scrittori citati parrebbe che essa non sia stata presa in considerazione. E perché? Da chi e per quali motivi i consumatori italiani furono salvati dal pericolo che li minacciava? A chi dobbiamo dir grazie?

 

 

Spectator

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