Opera Omnia Luigi Einaudi

Chi sono i nemici della nuova frontiera?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/06/1961

Chi sono i nemici della nuova frontiera?

«Corriere della Sera», 8 giugno 1961

 

 

 

Nei compendi elementari della scienza economica si legge la risposta alla domanda posta dianzi: quale speranza v’ha che, venuta meno la terra libera, scomparsa la frontiera, al di là della quale si stendono i territori vergini e fecondi, l’umanità possa avanzare nel suo cammino e sottrarsi alla decadenza materiale che vorrebbe dire anche morte spirituale? La risposta tuttavia, è racchiusa in formule scarse e scarne, il cui addentellato con la vita quotidiana, se non sia chiaramente segnalato ed illustrato, è difficilmente visibile. Le formule sono imparate a memoria e ripetute agli esami e subito dimenticate.

 

 

La formula prima è notissima; ed è che i desideri degli uomini sono molti ed indefiniti. La regola non pare valga per tutti gli uomini. Se è vero quel che raccontano i viaggiatori, i selvaggi di un tempo non avevano desideri oltre quelli fondamentali del cibo e della bevanda. Nei climi caldi, il selvaggio, vedendo il bianco affannarsi a lavorare, a faticare ed a guadagnare e spendere e poi nuovamente faticare, stupiva e tra sé pensava: perché costui si agita e fatica e si muove e parla e disturba quando ha già mangiato, non ha sete e può durante un’intiera giornata starsene fermo all’ombra dinnanzi alla capanna? La differenza fra l’uomo civile e l’uomo primitivo è tutta lì.

 

 

Anche nelle società moderne molti appartengono al novero dei primitivi. perché logorarsi il cervello e seguitare a faticare quando la giornata è finita e la paga è sicura e con questa si son soddisfatte le esigenze di una vita ordinata e decorosa?

 

 

Fortunatamente, molti, forse i più degli uomini desiderano qualcosa di più di quel che posseggono. La moltiplicazione indefinita dei desideri è la molla prima del progresso. Chi non ha desideri non si muove, non si agita, non si concerta con i compagni ed i colleghi, non domanda niente a chi sta sopra di lui, non sciopera. Vi sono epoche nelle quali la società sembra immobile. Si usa, giustamente, dirle epoche di decadenza. Si decadde in Italia tra la fine del cinquecento e la metà del settecento. Per fortuna, la stasi non era generale: ché nelle scienze e nelle arti gli italiani compirono opere grandi. Ma nella vita ordinaria, gli anni parevano scorrere tranquillamente, senza rilievo. Prima, nel cinque e più nel quattro e trecento, quanti moti e quante risse! Ogni tanto, i lavoranti si muovono; ed i ciompi si levano contro il popolo grasso ed i grandi; e poi questi rialzano il capo. Dante Alighieri se ne va in esilio ed il Savonarola è arso vivo, e la gente di mezzo, come il Datini, mercante di Lucca, viveva inquieta e malcontenta ed insoddisfatta. Tuttavia quelli furono secoli creativi, in cui la società umana divenne, non so se più alta, certo diversa da quella di prima. Cosi` ad ogni volta gli uomini sono malcontenti, perché desiderano il nuovo, quel che non hanno.

 

 

Dall’altra parte è la nuova frontiera, la quale non è mai chiusa, e si allarga e si sposta di continuo. La terra buona può finire; al di là di quella scoperta può darsi non si scoprano più nuove terre fertili; ma non è mai chiusa la capacità dell’uomo a migliorare le terre vecchie, a dare fertilità alle terre sterili. Verso le terre ghiacciate del Canada la cultura dei cereali pareva non potersi estendere oltre un certo segno. Le specie di frumento conosciute non parevano allignare in terreni coperti da neve e dal ghiaccio per troppi mesi dell’anno. A poco a poco gli uomini hanno inventato nuove specie di frumento, le quali resistono al freddo ed alla neve ed hanno un ciclo di vegetazione più breve; ed ora le provincie occidentali del Canada sono noverate tra le grandi provveditrici di frumento al mondo.

 

 

Gli arabi che non popolavano il deserto meridionale della Palestina non lottarono troppo accanitamente, come fecero per altri territori reputati più fertili, per contrastarne il possesso agli ebrei. Ed ora vedono il Negheb lentamente e pertinacemente trasformato in giardino di aranci, di limoni e di ortaggi dalla pazienza, dalla intelligenza e dalla attività degli ebrei, decisi a rivederlo quale è descritto nei cantici della bibbia. Gli italiani hanno trasformato le roccie nude di Sorrento in giardini stupendi; hanno frantumato la roccia con gli esplosivi, vi hanno recato la terra a ceste, l’hanno difesa con le stuoie contro le avversità del cielo ed oggi quelle roccie valgono milioni di lire all’ettaro. I colli aridi di Bordighera e Sanremo sono stati ridotti a terrazze; l’acqua invernale e primaverile è stata cumulata nelle cisterne di cemento; ed oggi quelle terre, coltivate a fiori, fanno vivere una famiglia su di un terzo od un quarto di ettaro; forse anche su spazio più piccolo. perché non ricordare ancora una volta la dimostrazione data da Carlo Cattaneo, or è più di un secolo, che la terra lombarda non esisteva, che ai tempi di Annibale essa era un’estesa palude coperta di acque stagnanti e di foreste impenetrabili, che quella terra fu costrutta, costrutta e non migliorata, attraverso i secoli dai cittadini arricchiti, i quali investivano nelle terre i loro risparmi e per poterli investire avevano inventato, assai più che mezzi materiali, uno strumento intellettuale detto diritto di acquedotto? Strumento non ancora scoperto nei più dei paesi stranieri; il quale dice che il possessore del fondo A, nel quale esiste una sorgente di acqua, ha diritto di passare senza chiedere licenza ai proprietari intermedi, col pagare il valore della striscia di terreno occupata, attraverso i terreni altrui per raggiungere l’altro suo fondo B, il quale è sitibondo d’acqua. Non occorsero investimenti «massicci» per creare le opere di irrigazione. Bastò una idea, ma era un’idea feconda, per creare la Lombardia moderna, e cioè una delle regioni agricole più progredite della terra.

 

 

Un’idea creò l’agricoltura a piani, della quale dovrebbe correre la fama per ogni dove; la terra cioè, la quale sarebbe resa arida dal sole cocente, se gli uomini non avessero saputo addurre l’acqua e dalla combinazione del sole e dell’acqua, trarre una prima cultura di foraggi e di ortaggi al livello del terreno, una seconda cultura di aranci e limoni al disopra, una terza della vigna disposta al sole tra una pianta e l’altra, fatta crescere a bella posta a scopo non di frutto, ma di sostegno della vite; ed una quarta ancora al disopra, quella dei noci che danno frutto e proteggono nei mesi torridi le culture sottostanti con la loro ombra benefica. L’agro di Nocera trae il nome dalla rarissima combinazione delle culture a quattro piani, e pur tutta la Campania felice se ne rallegra.

 

 

Qui è la «nuova frontiera» senza la quale per gli uomini non esisterebbe speranza di salvezza dalla decadenza e dalla povertà. Non l’agricoltura, né l’industria che provvedono al soddisfacimento dei bisogni ordinari sono e saranno mai in grado di dar lavoro ai milioni di uomini resi disoccupati dal progresso tecnico. Se oggi sulla terra italiana vive ancora il 30 per cento della popolazione, in confronto al 50 per cento di qualche tempo addietro, domani, pur producendo di più, la terra non sarà in grado di offrire occupazione maggiore del 20 per cento; né l’industria «esistente» potrà assorbire più uomini di prima. Negli Stati Uniti, i quali pare posseggano statistiche secolari, circa verso il 1830 le industrie produttrici di materie prime, di derrate agrarie e di prodotti industriali, davano occupazione all’80 per cento degli abitanti; ed oggi quella proporzione è caduta bene al disotto del 50 per cento. La macchina rende inutile il lavoro dell’uomo; che cosa sarebbe il progresso economico se non volesse dire possibilità di ottenere prodotti migliori e più abbondanti, con sforzo minore?

 

 

Se non interviene un fattore nuovo e diverso, l’avanzamento tecnico, le invenzioni nel campo agricolo ed industriale creano un dilemma: prodotti più abbondanti varii e piacevoli da un lato e uomini sempre più numerosi privi di lavoro e incapaci ad acquistare i beni che il progresso economico offre in quantità sempre più copiosa.

 

 

Se negli Stati Uniti gli uomini occupati nella produzione dei beni materiali, agricoli ed industriali, sono diminuiti dall’80 a meno, probabilmente a parecchio di meno del 50 per cento, è evidente che quel 20 per cento che nel 1820 attendeva alle professioni cosidette liberali e cioè ai servizi, devono essere cresciuti a più del 50 per cento. In proporzioni minori, ma siffatte da avvicinarsi rapidamente alla meta americana, la medesima mutazione si sta verificando in Europa. Chi erano i componenti nel 1820 del quinto non occupato nella produzione dei beni materiali? Impiegati pubblici, soldati, sacerdoti, giornalisti, albergatori, cuochi, camerieri e cameriere, barbieri, cantanti e comici, vetturini e mezzani. Basta guardarsi attorno per vedere come sia cresciuta la proporzione degli uomini i quali attendono non a produrre beni ma a rendere servizio altrui.

 

 

Anche in Italia, l’ufficio delle maestre degli asili infantili, dei maestri elementari, degli insegnanti medi e dei professori universitari occupa un numero crescente di persone. Taluno mi racconta che negli Stati Uniti quella dell’insegnamento è divenuta l’industria più importante del paese. In Italia, al volgere del secolo scorso si parlava dei professori universitari come di un gruppo di 800 persone e non molti assistenti ed aiuti e liberi docenti di più. Oggi andiamo, per i soli professori, sui 2.000; e si osserva che il numero andrebbe assai cresciuto. Quello degli insegnanti medi ed elementari è cresciuto con ritmo più veloce. Probabilmente sono diminuiti di numero i sacerdoti secolari ed anche gli appartenenti agli ordini delle congregazioni regolari; ma quello degli uomini di teatro, particolarmente dopo l’invenzione del cinematografo è cresciuto oltremisura; e quel che conta, cantanti, attori, mimi e saltimbanchi, corridori e giocolieri nelle diverse specialità sportive attraggono e monopolizzano l’attenzione del pubblico, con scorno e dispiacere dei politici e dei letterati, che a stento riescono a conservare nel mondo una quota rilevante di notorietà.

 

 

E che dire degli attendenti alle professioni mediche ed in genere ai servizi attinenti alla salute, alle cure montane e marine, alle villeggiature? I giorni di lavoro da sette si sono dappertutto ridotti a sei e tendono verso i cinque. Che cosa fare del tempo libero? Come occupare gli «ozi» che si dicono tali se e finché sono destinati a qualche maniera di vivere meglio di prima? Questa è la «nuova frontiera», la quale non ha limiti, salvo quello posto dalla limitazione dell’ingegno umano. Non esistono limiti alla scoperta di nuove maniere di soddisfare ai bisogni degli uomini ed alla maniere di stimolare il sorgere di nuovi bisogni, da quelli nobili ed alti a quelli volgari ed ignobili, da quelli spirituali che elevano a quelli materiali che abbassano la natura umana.

 

 

I soli veramente pericolosi nella scelta tra il fiorire dello spirito inventivo ed il suo affievolirsi, e perciò nella scelta fra il progresso e la decadenza, fra il benessere e la povertà, sono coloro che «sanno», coloro i quali «conoscono la verità». Chi sa è il tiranno; chi «conosce la verità», non tollera il contrasto ed uccide il pensiero.

 

 

Una varietà minore, e tuttavia non del tutto innocua, di coloro che «sanno», sono i politici, i quali immaginano falsamente di volere il nuovo e sono attaccatissimi al passato. La novità, le riforme, le rivoluzioni giungono sino ai politici col ritardo almeno di una generazione; e le idee che essi van proclamando come nuovissime sono quelle che gli uomini di invenzione avevano esposto trenta o quarant’anni prima e che adesso paiono già antiquate.

 

 

Premuti dalle lagnanze di coloro che attraversano tempi difficili, i politici non riflettono che la gente prospera non usa parlare; ed essi corrono in aiuto delle attività agricole od industriali, le quali non soddisfano più o soddisfano troppo a domande che stanno lentamente calando di peso e sprecano parte del reddito comune, nel dare aiuto a vecchi mestieri che avrebbero bisogno di essere ridotti a limiti di convenienza. I politici sono favorevoli indiscriminatamente alla piccola priprietà, alla piccola impresa, a tutto ciò che è piccolo e non si contentano che i coltivatori, modesti e piccoli quasi sempre, di prodotti fini e di primizie dell’orto, del giardino di agrumi, dei frutteti prosperino nel loro luogo naturale; ma sussidiano i produttori di massa, anche quando si ostinano a produrre frumento e granoturco in ridicole particelle di terra. Favoriscono con una politica di prezzi detti remuneratori le culture cerealicole, per cui esiste dappertutto sovraproduzione; e provocano le formazioni di giacenze invendibili, che si debbono donare a chi non le accetta; si allarmano dinnanzi alla fuga feconda dei contadini dagli alti colli e dalle montagne, dove prospererebbero, se non fossero frastornati da invereconde tasse di trapasso, nuovi tipi remunerativi di culture pastorali e boschive. I politici hanno fatto dipendere le sorti dei governi e della politica generale da una insulsa disputa sui patti agrari, quando già erano certi la necessità e il vantaggio della fuga dei contadini dalla terra; né si decidono ad abolire vincoli, che hanno soltanto virtù di legare i pessimi alla terra che non sono atti a coltivare.

 

 

Sconfinato è il campo delle nuove frontiere «pubbliche» verso le quali lo spirito inventivo dei politici e degli amministratori potrebbe rivolgersi: dalle scuole ai parchi pubblici, dal regolamento delle aree cittadine agli ospedali e luoghi di cura; dalle ferrovie da abolire alle strade da creare; dall’acqua da regolare in piano, ai monti da rimboschire; ma, se parecchio di bene essi fanno nei campi loro proprii, è troppa la tendenza negli uomini che hanno il potere di imposta, ossia la facoltà di portar via a forza il reddito altrui, ad occuparsi anche, con satanico compiacimento, delle cose in cui gli altri riescono meglio dello stato; creando piani chiesti dai vinti nella competizione fra le cose bisognevoli agli uomini e fra gli inventori, i quali devono certo le prerogative dei politici, e cioè le nuove frontiere, i nuovi beni, i nuovi scopi della vita, dalla cui discoverta dipende l’avanzamento materiale e spirituale degli uomini.

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