Opera Omnia Luigi Einaudi

Chi vuole la pace?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 04/04/1948

Chi vuole la pace?

«Corriere della Sera», 4 aprile 1948

Chi vuole la pace? Vallecchi, Roma, pp. 5-10

La guerra e l’unità europea, Edizioni di Comunità, Milano, 135-141

Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), Laterza, Bari, 1954, pp. 638-643

Scritti sull’unità politica europea, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli, 1995, pp. 63-69

 

 

 

 

Il grido: «Vogliamo la pace!» è troppo umano, troppo bello, troppo naturale per una umanità uscita da due spaventose guerre mondiali e minacciata da una terza guerra sterminatrice, perché ad esso non debbano far eco e dar plauso tutti gli uomini i quali non abbiano cuor di belva feroce.

 

 

Ma, subito, all’intelletto dell’uomo ragionante si presenta l’ovvia domanda: «Come attuare l’umano, il cristiano proposito?».

 

 

Non giova far appello ad ideali nuovi, a trasformazioni religiose o sociali. Unica guida sono l’esperienza storica ed il ragionamento. Questo ci dice che non può essere reputato mezzo sicuro per impedire le guerre quello che, pur esistendo, non le ha sinora impedite. Non è un mezzo sicuro una religione piuttosto che un’altra; perché le guerre si accompagnano alle religioni più disparate; e neppure la religione cristiana proibisce di difendere il proprio paese contro l’aggressione ingiusta. Sempre accadde, contro i comandamenti divini, che taluni uomini siano dediti al furto, all’ozio, al vagabondaggio, all’omicidio ed alle guerre; sicché ai buoni non resta che difendersi con la forza contro i malvagi. Non sono un mezzo sicuro le trasformazioni sociali; ché si combatterono guerre cruente in tutti i regimi sociali tra pastori ed agricoltori, in regime di proprietà collettive delle tribù e delle genti, durante il feudalesimo e la servitù della gleba, prima e dopo il sorgere e il fiorire della borghesia. La teoria dello spazio vitale imperversò prima e durante il nazismo; ed oggi pare guidare i comunisti russi. Eredi dei millenni, in cui gli uomini conducevano vita belluina ed antropofaga, gli uomini talvolta immaginano, sotto la guida di falsi profeti, di arricchire spogliando altrui. Gli uomini pacifici del mondo contemporaneo, i quali sapevano o facilmente intuivano che la guerra non doveva recare se non morte e rovina, si lasciarono ingannare dai pochi frenetici di dominio a guerreggiare a vicenda; ed i risparmiatori videro sfumati i loro risparmi, gli imprenditori minacciato il possesso delle fabbriche e delle terre ed i lavoratori ridotto il compenso della fatica.

 

 

Se un paragone si deve fare tra opposti sistemi di organizzazione sociale come fomentatori di guerre, la conclusione è una sola: tanto più facile è conservare la pace quanto più numerose sono le forze economiche esistenti in un paese che siano indipendenti dallo stato (cosidetta volontà collettiva) e tanto più è agevole scendere in guerra quanto più l’economia è accentrata sotto la direzione di un’unica volontà. Una società di milioni di proprietari indipendenti, di numerosi industriali e commercianti, è una società la quale intende agli scambi con i paesi stranieri, per vendere sui mercati migliori i propri prodotti ed acquistare a buon mercato i desiderati prodotti esteri. I molti che desiderano migliorare la propria fortuna hanno bisogno della pace ed aborrono dalla guerra. Nei paesi dove il potere economico è invece accentrato nello stato, ivi nascono i monopolisti, ivi si ottiene ricchezza cercando i favori dei governanti ed ivi gli ideali di vittoria e di gloria dei capi alimentano la sete di guadagni improvvisi e grossi degli avventurieri i quali stanno attorno al potere. Le società borghesi dove i privilegiati monopolisti concessionari di favori statali sono potenti, sono avventurose e bellicose.

 

 

Agli amatori di preda a danno dello straniero si possono opporre le sole armi che valgono contro i predoni della roba altrui a danno del compaesano e del concittadino. Quando non esisteva e là dove oggi non esiste uno stato bene organizzato, spesseggiano furti ed assassini. Che cosa hanno inventato gli uomini per tenere a segno ladri e assassini? Poliziotti, giudici e prigioni. Se non esiste lo stato, l’uomo giusto e buono deve difendersi da sé, con grande fatica e scarso risultato. Viene meno in lui la voglia di lavorare, di produrre e di risparmiare; e l’intera società immiserisce. Lo stato ha perciò assunto su di sé il compito di scegliere e stipendiare poliziotti, giudici e guardie carcerarie; sì che i buoni possano respirare, lavorare e contribuire a ridurre la miseria e a crescere il benessere universale.

 

 

Contro le carneficine ed i latrocini all’ingrosso compiuti col nome di guerre da un popolo contro un altro popolo non esiste rimedio diverso da quello di cui l’esperienza antichissima ed universale ha dimostrato l’efficacia contro gli assassini ed i furti compiuti ad uno ad uno dall’uomo contro l’uomo: la forza. Fa d’uopo esista una forza superiore agli stati singoli. Come lo stato con i poliziotti, i giudici ed i carcerieri fa stare a segno ladri ed assassini, così è necessario che una forza superiore allo stato, un superstato, faccia stare a segno gli stati intesi ad aggredire, violentare e depredare altrui.

 

 

Chi vuole la pace deve volere la federazione degli stati, la creazione di un potere superiore a quello dei singoli stati sovrani. Tutto il resto è pura chiacchiera, talvolta vana, e non di rado volta a mascherare le intenzioni di guerra e di conquista degli stati che si dichiarano pacifici. Giungiamo quindi alla medesima conclusione alla quale si era stati condotti altra volta, discorrendo della bomba atomica. Non basta gridare: abbasso la bomba atomica! viva la pace! per volere sul serio l’abbasso e il viva. Fa d’uopo volere o perlomeno conoscere qual è la condizione necessaria bastevole perché l’una e l’altra volontà non restino parole gettate al vento. Siffatta condizione si chiama forza superiore a quella degli stati sovrani, si chiama federazione di stati, si chiama super-stato. Se un giudice delle malefatte deve esistere, se l’aggressore deve essere preso per il collo e costretto a desistere dalla rapina, deve esistere una forza, uno stato superiore agli altri il quale possa farsi ubbidire dagli stati singoli, devono anzi gli stati singoli essere privati del diritto e della possibilità della guerra e della pace.

 

 

E, badisi bene, il super-stato non può essere una qualunque società delle nazioni od anche una organizzazione delle nazioni unite. Il 18 gennaio 1918 su queste stesse colonne sostenevo la tesi che l’idea della società delle nazioni – allora non ancora fondata, ma già rumorosamente propugnata da molti fantasiosi idealisti, tra i quali s’era cacciato, più rumoroso di tutti, quel Benito Mussolini che poi tanto la svillaneggiò e contribuì a distruggerla – era idea vana e destinata al fallimento. Non v’ha ragione di pensare oggi diversamente rispetto alla organizzazione che l’ha sostituita. Come i fatti mi hanno dato ragione per la società delle nazioni, così oggi tutti si avvedono che l’ONU non è efficace strumento di pace per il mondo. A che cosa serve una lega, una associazione, la quale deve ricorrere al buon volere di ognuno degli stati associati per mettere a posto lo stato malfattore recalcitrante al volere comune? Priva di forza propria militare, una società di stati è fatalmente oggetto di ludibrio e di scherno.

 

 

Sinché la Svizzera fu una semplice lega di cantoni sovrani, ognuno dei quali aveva un proprio esercito, proprie dogane e propria rappresentanza diplomatica con le potenze straniere, essa rimase soggetta ad influenze del di fuori e non possedeva vera unità nazionale. Solo nel 1848, creato finalmente dopo le tristi esperienze della guerra intestina un governo federale, abolite le dogane interne e passati dai cantoni alla confederazione il diritto di stabilire dazi al confine federale, il diritto di battere moneta, quello di mantenere un esercito e di avere rapporti con l’estero, sorse la Svizzera unita e federale. Una esperienza analoga s’era fatta due terzi di secolo innanzi in quelli che diventarono poi gli Stati Uniti d’America. Se gli Stati Uniti odierni nacquero e grandeggiarono, se nessuno minaccia la pace nel territorio della repubblica stellata, ciò è dovuto soltanto al genio di Washington e dei suoi collaboratori i quali videro che lo stato che essi avevano fondato nella guerra di liberazione era perduto se non si faceva il gran passo; se i singoli stati non rinunciavano al diritto di circondarsi di dogane, al diritto di battere moneta, a quello di mantenere un esercito proprio e di inviare all’estero una propria rappresentanza diplomatica. Rinunciando ad una parte della sovranità, i 13 stati confederati serbarono ed ancora posseggono il resto; che è il più perché riguarda i beni morali e spirituali del popolo. Il gran passo fu fatto quando la costituzione del 26 luglio 1788 ebbe cominciamento con le famose parole: We the people of the United States, noi popolo degli Stati Uniti e cioè non noi tredici stati, ma noi «il popolo intero degli Stati Uniti» abbiamo deciso di fondare una più perfetta unione. Con quelle parole, gli Stati Uniti d’America soppressero la guerra nell’interno del loro immenso territorio: creando un nuovo stato non composto di stati sovrani, ma costituito direttamente da tutto il popolo degli Stati Uniti; e superiore perciò agli stati creati dalle frazioni dello stesso popolo viventi nei territori degli stati singoli. Vano è immaginare e farneticare soluzioni intermedie. Il solo mezzo di sopprimere le guerre entro il territorio dell’Europa è di imitare l’esempio della costituzione americana del 1788, rinunciando totalmente alle sovranità militari ed al diritto di rappresentanza verso l’estero ed a parte della sovranità finanziaria. Se su questa via si deve e si potrà procedere gradatamente, siano benedette la unione doganale stipulata fra l’Olanda, il Belgio ed il Lussemburgo (Benelux) e quella firmata fra l’Italia e la Francia. Ma sia ben chiaro che si tratta appena di un cominciamento, oltre il quale dovrà farsi ben presto deciso e lungo cammino.

 

 

Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace, non fermiamoci perciò alle professioni di fede, tanto più clamorose quanto più mendaci. Chiediamo invece: volete voi conservare la piena sovranità dello stato nel quale vivete? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dar il vostro voto, il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa e se alle parole seguono i fatti, voi potrete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna.

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