Opera Omnia Luigi Einaudi

Come si fuma in Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/08/1909

Come si fuma in Italia

«Corriere della sera», 7 agosto 1909

 

 

 

Uno dei più interessanti documenti finanziari che abbiano recentemente veduto la luce è la relazione sull’azienda tabacchi per l’esercizio 1907-908. Porta la firma dell’egregio e compianto uomo che a lungo diresse con integrità ed abilità grandissime le privative, il comm. Roberto Sandri. Fu l’ultima relazione da lui firmata ed è il degno coronamento dell’opera di chi nella industria privata avrebbe potuto diventar ricco a milioni e si contentò invece del meschino stipendio governativo, pago di aver portato il monopolio italiano dei tabacchi ad una altezza insperata. È un vero grido di trionfo che si sprigiona dalle pagine, irte di cifre, vergate dal Sandri: ed è con soddisfazione che possiamo registrare i fasti di una amministrazione governativa, dopo tanto discorrere di disinganni ferroviari, di manchevolezze telegrafiche e telefoniche e di pericoli dei servizi marittimi. Nel 1907-908 difatti il prodotto lordo dell’azienda dei tabacchi, ha raggiunto la cifra, veramente prodigiosa, di lire 238.523.960, con un aumento di 19.717.892 lire sull’esercizio precedente. È un aumento che tiene il record degli aumenti finora verificati; di fronte ad esso perdono tutto il loro fulgore l’aumento di 8.3 milioni circa conseguitosi nel 1886-87, quello di 8.2 milioni del 1898-99, quello di 10.1 avutosi nel 1904-905 e quello ancora di quasi 7.3 con cui si chiuse l’anno 1906-97. Con l’attuale andamento delle vendite, il monopolio dei tabacchi vedrà in soli due anni accresciuto il suo reddito di altri 39-40 milioni di lire e toccherà presto la vetta dei 300 milioni di lire.

 

 

Il progresso dal 1862, quando si incassavano appena 64.378.987 lire dalla regia dei tabacchi, dal 1868, quando l’incasso non superava i 95 milioni e 930 mila lire, dal 1885-86, quando si era già saliti a 181.766.677 lire, è veramente notevolissimo. Chi crederebbe, se i conti consuntivi non togliessero qualunque dubbio al riguardo, che dal 1 gennaio 1862 al 30 giugno 1908 gli italiani versarono alla regia dei tabacchi ben 6 miliardi, 760 milioni e 730 mila lire? Quasi un decimo della fortuna nazionale italiana d’oggi che è andato in fumo in poco meno di un mezzo secolo!

 

 

* * *

 

 

Il merito dei risultati raggiunti, oltre che alla saggia amministrazione, si deve attribuire al consumatore italiano, il quale continua a manifestare una tendenza irrefrenata verso i tipi di maggior prezzo. Sintetizzando i progressi compiuti dal 1886-87 al 1907-908, si può osservare che il prezzo medio di vendita per chilogrammo progredì da L. 11.40 a lire 14.17.

 

 

L’aumento fu quasi del tutto dovuto, non al rialzo dei prezzi, ma allo spostarsi del consumo dai tipi più grossolani ai tipi più fini e quindi più costosi. Anzi si può osservare che la stabilità della tariffa di vendita in confronto all’aumento dei prezzi di tutte le altre cose necessarie all’esistenza ed al progresso dei salari e dei guadagni costituisce un vero e proprio sgravio relativo a favore dei contribuenti.

 

 

Questi guadagnano di più e pagano più care tutte le altre merci e derrate, ma non il tabacco; cosicché il loro onere fiscale è oggi meno grave d’una volta. Il consumo individuale che era nel 1886-87 di 558 grammi per abitante è adesso diminuito a 523 grammi; ma, poiché si tratta di qualità più fini e costose, il contributo medio dato da ogni italiano – uomini e donne, bambini, vecchi ed adulti – è cresciuto da L. 6.36 a L. 7.41. Le rendite lorde del monopolio per abitante sono un po’ maggiori del contributo pagato, perché il monopolio ha anche rendite estere, ed anch’esse sono salite da L. 6.42 a 7.51.

 

 

Le spese sono pure aumentate da L. 1.60 a L. 1.75 per abitante, poiché le qualità più fini costano maggiormente; e in definitiva l’utile netto è salito da L. 4.82 a L. 5.76 per abitante. Se noi calcoliamo le rendite e le spese per chilogrammo e in cifre percentuali, otteniamo il seguente risultato:

 

 

Per un chilogrammo di tabacco venduto Rendite Spese Utile
1886-1887

11.51

2.88

8.63

1907-1908

14.36

3.35

11.01

Per cento lire di rendita

1886-1887

100

24.98

75.02

1907-1908

100

23.35

76.05

 

 

Sono risultati brillanti, poiché si vede l’impulso del consumo a crescere le rendite e lo sforzo dell’amministrazione a diminuire le spese.

 

 

Nell’ultimo esercizio le spese toccarono il 23.33 per cento delle rendite lorde, cosicché l’utile netto del monopolio, il quale sta a rappresentare l’imposta prelevata dallo Stato su questo consumo, raggiunse il 76.65 per cento degli introiti. Calcolate anche sui redditi e le spese accessorie, le spese toccano il 23.93 per cento dei proventi e sono così costituite: 19.08 lire per cento per spese di produzione e compra dei tabacchi, 1.09 per la spedizione e la vendita, 0.16 per l’amministrazione e la sorveglianza, 1.13 per gli interessi passivi, 0.21 per fitto di locali demaniali, 2.26 per le guardie di finanza.

 

 

* * *

 

 

È interessante notar come nei due ultimi esercizi si sia spostato il consumo. I tabacchi nazionali da fiuto hanno continuato nella loro discesa: da 2.233.376 a 2.191.910 chilogrammi e da 14.337.702 a 14.089.528 lire, con un minor provento di quasi 230 mila lire. È una progressiva e naturale diminuzione, che sarebbe vano contrastare.

 

 

Così pure i tabacchi trinciati sono diminuiti da 5.731.334 a 5.628.307 chilogrammi e da 46.289.194 a 43.359.439 lire. Anche qui si tratta di una tendenza che dura da molti anni. Invece i sigari crebbero da 7.101.172 a 7.768.460 chilogrammi e da 128.439.113 a 140.658.486 lire. L’aumento fu generale per tutte le varietà ad eccezione dei «Virginia» scelti e dei «comuni» di seconda qualità: ma l’aumento veramente grandioso è quello presentato dai sigari «comuni» di prima qualità e segnatamente dai «fermentati» in quasi 673.000 chilogrammi per circa 12 milioni e mezzo di lire. È l’ascesa economica continua delle masse popolari e lavoratrici che si riflette in questi lusinghieri risultati per la finanza. Le spagnolette alla loro volta aumentarono da 1.721.811 a 2.130.740 chilogrammi e da 42.340.706 a 50.004.532 lire. Fanno eccezione solo le «indigene»; mentre l’aumento più considerevole è, come al solito, nelle «macedonia» con oltre 162.000 chilogrammi di più per 4.386.000 lire. Le spagnolette «popolari» ad un centesimo, messe in vendita gradualmente a partire dal 1 luglio 1907, hanno avuto un esito promettente e produssero un introito di circa lire 1.905.000; ciò che da ragione a presumere che esse possano fornire nel prossimo esercizio una riscossione non inferiore ai 3 milioni.

 

 

Né si deve trascurare il fatto, che i tabacchi esteri progredirono da 15.463 a 17.657 chilogrammi e da 1.143.430 a 1.310.240 lire, con aumento di 2.194 chilogrammi e di 166.810 lire, vistoso compenso agli sforzi che fa l’amministrazione per secondare e soddisfare il gusto degli stranieri che passano per la penisola.

 

 

Non dappertutto è uguale il gusto dei consumatori italiani. La diminuzione dei tabacchi da fiuto è quasi generale; e fanno eccezione soltanto la Sicilia e la Sardegna che aumentarono il consumo dell’1.44 e dell’1.30% rispettivamente. In tutte le altre regioni si nota invece una diminuzione, perfino nella Liguria, Lombardo Veneto ed Emilia che nel precedente anno accennavano ad una lieve ripresa. Così pure i trinciati diminuiscono dappertutto, salvo che in Lombardia (+16.058 chilogrammi) e negli Abruzzi e Molise (+15.132). Il tabacco da fumo è aumentato dappertutto; e gli aumenti proporzionali più vistosi in peso si ebbero nelle Calabrie (+10.81%), nella Basilicata (+8.96%), negli Abruzzi e Molise (+8.12%), nella Sicilia (+7.8%), nelle Puglie (+7.79%), probabilmente a causa del cresciuto benessere portato dalla emigrazione.

 

 

Se classifichiamo le provincie a seconda del consumo individuale in peso di tabacco, otteniamo risultati interessanti, di cui ci limitiamo ad esporre i minimi ed i massimi:

 

 

  Più di 1000 grammi a testa Da 1000 a 800 grammi Da 800 a 700 grammi Meno di 300 grammi
Rovigo

1.232

 

Mantova

973

Genova

791

Arezzo

291

Venezia

1.185

Ravenna

837

774

Verona

Caltaniss.

291

Ferrara

1.004

Padova

817

Milano

716

Perugia

283

Livorno

1.012

Porto Maur.

803

Bologna

714

Trapani

282

Modena

802

Napoli

704

Reggio Cal.

281

Ascoli Pic.

261

Catanzaro

258

Sondrio

240

Avellino

233

Potenza

229

Benevento

222

 

 

Se invece classifichiamo le province a seconda del contributo individuale medio pagato, ossia della somma spesa in media a testa per la compra di tabacchi, il risultato è il seguente, sempre per i minimi e i massimi:

 

 

  Più di L. 10 L. c. Da lire 10 a 8 L. c. Da lire 5 a 4 L. c. Meno di lire 4 L. c.
Livorno

17.5

Milano

9.81

Caltaniss.

4.93

Campobas.

3.96

Venezia

14.03

Roma

9.81

Perugia

4.92

Teramo

3.70

Napoli

13.22

Ravenna

9.77

Reggio C.

4.81

Potenza

3.65

Ferrara

12.83

Bologna

9.52

Macerata

4.73

Benevento

3.74

Genova

12.71

Modena

9.32

Siracusa

4.59

Avellino

3.23

Rovigo

11.18

Parma

8.99

Arezzo

4.57

Sondrio

3.09

Porto M.

11.02

Torino

8.07

Trapani

4.57

Pisa

10.51

Lucca

8.60

Aquila

4.54

Firenze

10.12

Padova

8.57

Belluno

4.52

Mantova

10.41

Verona

8.51

Pesaro U.

4.44

Grosseto

8.11

Cosenza

4.43

Ascoli P.

4.22

Catanzaro

4.15

 

 

Il progresso nel consumo è stato tale che mentre nel 1906-907 erano ben 17 le provincie di un consumo medio individuale al disotto di 300 grammi, ora esse sono ridotte a 11. Per quanto riguarda il contributo testatico, quest’esercizio chiude l’era in cui esistevano delle provincie che offrivano una quota inferiore alle tre lire individuali, mentre, per converso, è cresciuto da sette a dieci il numero delle provincie che hanno concorso per più di dieci lire.

 

 

Come effetto ultimo di tutti gli spostamenti nel consumo ora accennati, si nota che il consumo medio di 523 grammi a testa si divide così: 65 grammi di tabacco da fiuto, 166 grammi di trinciati, 229 grammi di sigari, e 63 grammi di spagnolette. La spesa, o contributo medio individuale di L. 7.41, si divide invece così: L. 0.41 per tabacchi da fiuto, L. 1.33 per trinciati, L. 4.15 per sigari e lire 1.50 per sigarette.

 

 

* * *

 

 

Un ultimo vanto dell’azienda dei tabacchi a cui è d’uopo accennare è la crescente esportazione all’estero. La buona fama dei sigari e delle sigarette del monopolio, si è siffattamente imposta all’estero che la Regia ha dovuto deporre le etichette ed i marchi applicati agli involucri dei tipi destinati all’estero all’ufficio internazionale di Berna, allo scopo di poter efficacemente agire contro i contraffattori. Nel 1907-908 si esportarono all’estero 510.266 chilogrammi di tabacchi per un valore di 3.522.620 lire, in aumento di 106.410 chilogrammi e di 755.082 lire sull’anno precedente. A queste cifre si devono aggiungere 13.500 chilogrammi per L. 38.327 esportati nella Repubblica di S. Marino e 1378 chilogrammi per L. 21.718 di provviste di bordo. La corrente più rigogliosa di esportazione è diretta verso la Repubblica argentina, dove vivono milioni di nostri connazionali i quali consumarono nel 1907-908 ben 447.929 chilogrammi di tabacchi italiani per un valore di lire 3.091.541. Ma non sono trascurabili i 17.461 chilogrammi dell’Egitto, i 13.593 della Germania, gli 8405 di New York, 6961 della Svizzera.

 

 

Notisi che il mercato svizzero è di recente acquisito al consumo dei nostri prodotti e che in esso – aperto alla libera industria – i nostri tipi vengono venduti al pubblico al prezzo di monopolio in Italia. Al qual proposito rivolgiamo un invito alla amministrazione dell’azienda; di volere arricchire una delle future relazioni di uno studio comparativo sul regime fiscale, sul consumo del tabacco e sui prezzi di vendita nei diversi paesi.

 

 

Sarebbe interessante sapere se il fatto accennato per la Svizzera sia generale; se cioè i prezzi al minuto del monopolio italiano non siano superiori a quelli dei paesi dove non esiste monopolio e dove vigono dazi doganali moderati. Se questo fosse generalmente vero, i consumatori italiani pagherebbero bensì il tabacco ben più caro del costo; ma si potrebbe ancora dire che essi pagano una imposta, ove i consumatori stranieri, pur immuni dal monopolio, sono soggetti agli stessi prezzi? Invece di una imposta, si dovrebbe parlare del profitto di una industria abilmente esercitata dallo Stato. Ahimè! perché non tutte le imposte sono così dolci a pagare e perché non tutte le statizzazioni e le municipalizzazioni danno risultati così brillanti?

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