Opera Omnia Luigi Einaudi

Come si scrivono i libri di sociologia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 30/04/1898

Come si scrivono i libri di sociologia

«Rivista popolare di politica, lettere e scienze sociali», 30 aprile 1898, pp. 287-289[1]

 

 

 

La sociologia, scienza nuova e ancora movente i suoi primi passi, sembra già subire una curiosa degenerazione.

 

 

Non mai come adesso furono così numerose le opere sociologiche e non mai furono così rari i lavori veramente scientifici e resistenti all’esame critico più superficiale. In mezzo alla fioritura improvvisa di geni che pretendono aver scoperto le leggi regolatrici delle società umane abbondano, è doloroso confessarlo, i vanesi ed i ciarlatani. La parola può sembrare dura, ma che altro è se non un ciarlatano della scienza quel signor Letourneau che ogni anno pubblica un volume di seicento pagine dove, secondo la copertina, è descritta l’Evoluzione di qualche cosa dagli inizi dell’umanità fino ad oggi e dove nella realtà si trova un centone di notizie affastellate di seconda mano sui popoli selvaggi e non si legge una parola sulla storia dei popoli civili? Eppure tutti citano Letourneau come un santo padre della Sociologia nello stesso modo con cui gli ignoranti della statistica ammirano Mulhall, e si traducono e si leggono i libri pieni di affermazioni gratuite e di ragionamenti sconnessi di Novicow e si pigliano sul serio le teorie balzane sulle razze del Lapouge, divenuto famoso per statistiche non meno grottesche dalle figure misteriose con cui il Lilienfield ama adornare i suoi studi più recenti. E per scendere uno scalino più in basso, non è interessante lo spettacolo di un paese dove gli editori esitano a malapena i volumi pensati e profondi di illustri scrittori italiani, e si diffondono invece, tradotte, le elucubrazioni di Guyot e di Lafargue, lontani per fede politica e sociale ma accomunati entrambi dalla spiritosa deficienza di ogni coltura che non sia quella raffazzonata coi dizionari e le enciclopedie?

 

 

Se la Sociologia vantasse solo i suoi cultori fra i nomi che più spesso si vedono ricordati a titolo di lode dovrebbesi veramente disperare delle sue sorti. Per fortuna mentre gli improvvisati sociologi imbandiscono ogni mese una nuova teoria sulle origini e sulla evoluzione della società, pochi e modesti studiosi compiono lavori che sono destinati a lasciare tracce profonde nella scienza. Di uno di questi libri intendo brevemente parlare ai lettori della Rivista Popolare: Industrial Democracy di Sydney e Beatrice Webb. I coniugi Webb, già noti per opere interessanti e suggestive sul movimento cooperativo e socialista nell’Inghilterra si sono da lunghi anni accinti ad un’impresa lunga e faticosa: la narrazione della storia e la esposizione della teoria e della pratica del Trade-Unionismo inglese. Tre anni fa comparve il volume che conteneva la storia delle Trade-Unions e fu, da tutti quelli che lo lessero, giudicato un esempio classico del modo con cui debbono essere narrate le vicende dei fenomeni sociali. Ora è stata pubblicata la seconda parte dall’opera in due volumi. Vi si descrive il funzionamento pratico e si tracciano le prime linee di una teoria dell’organismo trade-unionista. Ciò che colpisce a primo aspetto è la ristrettezza apparente dell’argomento. L’unionismo non è che una delle manifestazioni del movimento operaio e questo non è se non un aspetto della trasformazione gigantesca avvenuta nella vita economica e politica inglese nel nostro secolo. Eppure l’analisi anatomica di un fenomeno così singolare ed apparentemente ristretto è costatata ai coniugi Webb sei anni di ricerche e di ricerche molto costose, a quanto si può presumere così all’ingrosso dall’esame dell’opera. I metodi che permisero ai Webb di far risuscitare dinanzi ai lettori l’idea precisa di una Unione inglese contemporanea sono ricordati nella prefazione e meritano un accenno. I documenti sono la fonte precipua per gli storici delle unioni come per gli storici dell’antichità classica e del medio evo. Nello stesso modo con cui le iscrizioni funerarie e le leggi delle dodici tavole sono guide preziose per chi voglia ricostruire la società romana, così i bilanci delle Unioni, i rapporti dei segretari, i giornali di propaganda, le petizioni al Parlamento forniscono i mezzi migliori per intuire non solo l’organismo ed il funzionamento delle Unioni ma anche i motivi nascosti che fanno agire e muovono le masse dei lavoratori organizzati. Dopo il documento l’inchiesta personale. Per sorprendere i costumi ed i sentimenti delle classi operaie la signora Webb ha lavorato come sarta, si è fatta collettrice di fitti per conto dei landlords di Londra, ed il signor Webb ha preso parte al movimento politico ed economico degli operai inglesi, ha assistito alle sedute delle loro unioni, dalle più umili delle borgate al solenne Parlamento operaio annuo.

 

 

Immedesimandosi nella vita degli operai, e più ancora ascoltando pazientemente la espressione sincera ed inavvertita dei loro sentimenti e delle loro vedute gli A. hanno penetrato addentro nell’anima operaia dell’Inghilterra contemporanea, Quando poi le inchieste Parlamentari, i libri teorici, i documenti e le osservazioni personali aveano già consentito agli autori di formarsi un concetto abbastanza esatto dell’argomento essi ricorsero all’ultimo mezzo di studio: le interviste. Abili nel far cadere il discorso sul punto voluto, astuti tanto da dar sempre ragione all’intervistato affine di scoprirne i pregiudizi, i desideri e le idee, i Webb intervistarono efficacemente quasi tutti i Leaders, i segretari ed i gregari delle unioni e non trascurarono gli industriali, i capitani dell’esercito industriale capitalista.

 

 

Il volume che è uscito fuori da questo processo complicato non è facile a riassumersi. Lo studioso delle forme politiche e l’uomo di stato troveranno ampia materia di riflessioni feconde nella prima parte che riguarda la struttura delle unioni. Il passaggio dalla democrazia livellatrice dei primi periodi alla organizzazione complessa attuale, l’abbandono progressivo del voto diretto, del referendum, dell’iniziativa, la lotta fra la tendenza autocratica ed accentratrice di alcuni segretari strapotenti ed il parlamentarismo prodotto dalla necessità di un governo vigoroso e di un controllo efficace: tutti questi problemi nascenti e rinascenti nel piccolo mondo unionista sono quasi il riflesso delle identiche lotte combattutesi nel più ampio terreno delle nazioni e degli aggregati politici. La soluzione che le masse operaie inglesi diedero a questi problemi ardui e difficili fornisce dei curiosi indizi del modo con cui gli operai amministreranno lo Stato quando la ascesa incessante delle classi sociali lo avrà fatto cadere nelle loro mani.

 

 

Quali siano gli scopi che gli operai intesero di raggiungere colle coalizioni, aumento dei salari e giornata minima di lavoro, condizioni igieniche e decorose di occupazione; quali i mezzi adoperati ad ottenere lo scopo, la mutua assicurazione, la restrizione nel numero degli apprendisti, dei giovani e delle donne, l’imposizione della regola comune: ecco la materia della seconda parte.

 

 

Nella terza la trattazione diventa teorica e profetica. È analizzata, la mutazione avvenuta nel modo con cui gli economisti giudicano le Trade-Unions: prima disprezzate come perturbatrici delle leggi eterne dell’economia politica ed ora proclamate come armi efficaci per l’elevamento della classe operaia e della società intiera. In un capitolo splendido intitolato Higgling of the market gli A. studiano la dinamica della economia moderna e nella sua tendenza irrefrenata al minimo dei salari ed al minimo dei profitti scoprono la causa profonda ed insieme la giustificazione dei molteplici accorgimenti con cui capitalisti ed operai cercano di elevare una barriera contro l’abbassamento dei loro guadagni e la degradazione del loro tenor di vita.

 

 

Il tradeunionismo garentendo agli operai un minimo nazionale e professionale di tenor di vita non distrugge la concorrenza, ma solo la trasforma. I capitalisti non potendo più lottare per l’operaio meno caro, lottano per ottenere l’operaio più abile; e la politica tradeunionista si converte in un grandioso congegno per elevare le condizioni fisiche, morali ed intellettuali delle classi più numerose della popolazione.

 

 

Né la funzione delle Unioni si limita al presente, ma si estende all’avvenire e ne prepara le fondamenta rendendo degni e capaci gli operai di dirigere la vita economica e politica delle società democratiche. Dopo avere così faticosamente analizzato la struttura, le funzioni e fatto la teoria delle unioni gli A. riconoscono per i primi che la loro opera non è definitiva. A differenza dei sociologi da strapazzo che ogni giorno scoprono la legge ultima della evoluzione di tutte le cose, i Webb confessano di non aver voluto dire l’ultima parola sul movimento tradeunionista. «La parte della nostra opera che resterà indubbiamente è quella dove si analizzano la struttura e le funzioni delle unioni, e resterà come esponente dell’Inghilterra operaia nel momento in cui noi scrivevamo. Ma tutto il testo ha solo un valore relativo. Molti potranno non accordarsi con noi nei pronostici che dalla capacità degli operai ad organizzarsi per la difesa dei loro interessi deduciamo intorno all’avvenire della democrazia; i fatti potranno togliere in parte la base alle analisi teoriche da noi fatte, e gli studiosi che verranno dopo di noi modificheranno e perfezioneranno le nostre generalizzazioni, le quali saranno così solo i punti di partenza delle generalizzazioni dei teorici che comincieranno dove noi abbiamo finito. Come tutte le teorie scientifiche, anche le nostre saranno presto sconvolte, in parte rigettate come fallaci od insufficienti, ed in parte assorbite in teorie più ampie». La serenità e la coscienza della limitazione delle forze intellettuali umane, specie in un campo così complicato e così difficile come la sociologia, è una prerogativa dei grandi scrittori. Il lettore dell’Industrial Democracy dei Webb è tratto a poco a poco alla conclusione che egli si trova dinanzi ad uno dei più bei libri che si siano pubblicati in Inghilterra nell’ultimo quarto di secolo. Vi sono pagine in fondo alle quali non starebbe male la firma di J. Stuart Mill ed altre che non impallidiscono se messe a confronto coi passi più celebri di Smith. Nell’analisi acuta e profonda della vita economica inglese io non saprei citare che un solo libro il quale possa sostenere il paragone del volume dei Webb: il capolavoro di Bagehot, Lombard Street. Che l’Industrial Democracy sia l’opera di una coppia socialista è una prova della maturità che nell’Inghilterra ha raggiunto il socialismo nel campo delle scienze economiche e sociali. L’assenza di ogni credo, la nessuna fiducia nelle formule (i sibboleths inglesi), la serenità e la imparzialità massima nei giudizi, la mancanza di ogni pregiudizio, si concreti questo nella teoria del valore di Marx o nella distinzione fra le due uniche classi dei capitalisti e dei proletari, sono tutte caratteristiche di una nuova fase del pensiero socialista che supera le concezioni marxiste del 1867 come queste superavano le utopie del principio del secolo.

 

 

Il fenomeno interessante che la economia liberista inglese negli ultimi anni non ha prodotto nessun libro di valore scientifico pari a quello dei Webb dimostra forse che le tendenze reali delle società moderne non offrono più un campo così fecondo di osservazioni ai liberisti come altri periodi storici e fanno dubitare che lo studio minuto e paziente di altri aspetti della vita contemporanea potrebbe forse fornire i dati per una scienza non solo critica, ma ricostruttiva della società nello stesso modo come è ottimisticamente ricostruttivo l’esame del tradeunionismo da parte dei Webb.

 

 

Un’ultima osservazione. L’Industrial Democracy è un volume di 900 pagine; se vi si aggiunge la History of Trade Unionism, la cui lettura ne è un preliminare necessario, si giunge alle 1500. Molti potranno forse spaventarsi solo all’idea di dovere legger tante pagine. Lo spavento sarebbe infondato. Non si tratta di una di quelle opere per cui vanno famosi i tedeschi e fra cui va insigne, ad es., Baund Leben dello Schaffle libri: sesquipedali, lunghi migliaia di pagine, disordinati, noiosi, con periodi interminabili, pieni di frasi vuote, di pensieri vani, non vivificati da un’anima interna, in cui lo studio di ogni argomento comincia dalla creazione del mondo, e dove si succedono in processione monotona le teorie più eterogenee e le divagazioni più scucite.

 

 

Anche sotto l’aspetto letterario il libro dei Webb è lo specchio fedele delle migliori qualità dello spirito inglese: chiaro, limpido, ansioso di risparmiare tempo a sé ed a chi legge. Non c’è una parola inutile; e le poche ripetizioni sono indispensabili per la organicità tecnica del libro. Ogni parte e quasi ogni capitolo si può leggere indipendentemente dagli altri; eppure riuniti insieme formano un tutto strettamente organico e coerente. Industrial Democracy è un libro rigidamente scientifico e che si fa tuttavia leggere come un romanzo.

 

 



[1] La Rivista si è occupata (n. 7, Anno III) della traduzione tedesca di questa magnifica opera dei coniugi Webb quando si pubblicò il primo volume. Il Dietz di Stuttgart ora ha pubblicato il secondo ed ultimo volume. Noi consigliamo la traduzione tedesca assai ben fatta dall’Hugo anche perché costa meno dell’inglese.

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