Opera Omnia Luigi Einaudi

Concorrenza spagnuola ai vini italiani. Cifre eloquenti ed istruttive

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/04/1901

Concorrenza spagnuola ai vini italiani. Cifre eloquenti ed istruttive

«La Stampa», 26 aprile 1901

 

 

 

Nell’ultimo Bollettino del Ministero degli affari esteri è contenuto un interessante rapporto del conte Bosdari, segretario di ambasciata a Madrid, sui vini spagnuoli.

 

 

Poiché i vini della Spagna sono i più formidabili concorrenti dei nostri vini sul mercato internazionale, sembra opportuno estrarre dal rapporto ufficiale alcuni dati. Che la concorrenza della Spagna sia formidabile è provato dal fatto che essa esporta il 35-40 per cento della propria produzione, mentre l’Italia esporta invece solo il 15-20 per cento.

 

 

Ed ancora, mentre l’esportazione in cifre assolute dell’Italia si aggira intorno ai due milioni e mezzo, invece dalla Spagna si esportarono da 6 milioni 673 mila ettolitri nel 1896 a 4 milioni 863 mila nel 1899. Quasi il doppio che da noi, con la conseguenza che mentre, ad esempio, nel 1897 il commercio estero dei vini arricchì la Spagna di 127 milioni di lire in carta, uguali a più di 100 milioni di lire in oro, arricchì l’Italia di soli 65 milioni di lire in carta, equivalenti a circa 60 milioni di lire in oro.

 

 

La causa di questa maggiore esportazione spagnuola in confronto della nostra sta sopratutto nel più basso prezzo dei vini di quel paese: lire 23 79 all’ettolitro in media, mentre i nostri valgono lire 27 19 all’ettolitro. è dunque necessario che i nostri produttori vigilino sulla concorrenza iberica, procurando di vincerla collo scemare il costo del prodotto. Specialmente in Germania la concorrenza dei vini spagnuoli si va rendendo ognora più minacciosa. La quantità di vini comuni e da pasto esportata in quel paese crebbe infatti da 27 mila ettolitri nel 1896 a 40 mila ettolitri nel 1899; e, mentre i vini di Jerez scamavano da 4700 a 2300 ettolitri, i vini generosi crescevano da 10 ettolitri a quasi 2900 nello stesso periodo di tempo.

 

 

Anche in Francia la esportazione spagnuola per quanto scemata negli ultimi anni della esuberante produttività interna, è tuttavia assai superiore alla nostra. Erano 5 milioni e 280 mila ettolitri nel 1896 e sono ancora 3 milioni e 370 mila ettolitri nel 1899, i quali servono al taglio dei vini francesi, funzione alla quale i vini meridionali potrebbero benissimo adattarsi novamente ove ne fosse scemato il costo.

 

 

In Inghilterra è rilevante il consumo dei vini di Jerez, che si fa nella misura di 40 mila ettolitri all’anno.

 

 

Persino nella Norvegia, per ottenute facilitazioni doganali, l’esportazione dei vini spagnuoli è divenuta rilevante. Da meno di 1000 ettolitri nel 1896 è passata a più di 12 mila ettolitri nel 1899.

 

 

Ma queste cifre non sono tali da farci scoraggiare. Non vi sono motivi intrinseci per cui l’Italia non possa con speranze di successo lottare colla Spagna. Ora questa ha a suo vantaggio l’alto aggio della carta sull’oro, che sale sino al 20 per cento e più e costituisce una protezione notevole per i viticultori spagnuoli.

 

 

Se le condizioni dell’economia spaguola miglioreranno, e questo sembra molto probabile, come dimostra l’Isern in uno studio sulla «Spagna dopo la guerra», comparso nell’ultimo fascicolo della Riforma Sociale, anche l’aggio scomparirà ed il prezzo dei vini spagnuoli dovrà avvicinarsi a quello dei vini italiani.

 

 

Né pare che altri elementi – all’infuori della qualità intrinseca dei vini, a gareggiare colla quale deve provvedere l’abilità dei nostri produttori – vi siano di preponderanza della viticoltura spagnuola sulla nostra. Il Bosdari pubblica alcuni conti dei costi di impianto e di coltivazione dei vigneti spagnuoli; né da essi appare che i costi siano in massima minori che in Italia. Anzi si nota che il prezzo della mano d’opera campestre in Ispagna è alquanto superiore a quello del lavoro italiano, a causa della minore offerta di mano d’opera, della rarità della popolazione spagnuola, della mancanza quasi assoluta d’emigrazione temporanea, anche da provincia a provincia, e finalmente, per l’Andalusia in ispecie, dal fatto che in detta regione non lavorano le donne.

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