Opera Omnia Luigi Einaudi

Contributo di nolo e soluzioni provvisorie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/03/1910

Contributo di nolo e soluzioni provvisorie

«Corriere della Sera », 7 marzo[1] e 14 maggio[2] 1910

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.III, Einaudi, Torino, 1960, pp. 55-70.

 

 

 

 

I

 

I provvedimenti proposti dall’on. Bettolo a favore delle industrie marittime vanno segnalati sovratutto per una novità, che nei progetti precedenti non si riscontrava: il contributo di nolo. Non che questa sia la sola novità del progetto Bettolo, ma è senza dubbio la più significativa e quella che ha procacciato maggior plauso al suo autore.

 

 

Ecco, in breve, il succo di questo nuovo istituto di ausilio alla marina nostra.

 

 

Alle navi mercantili nazionali che effettuino trasporti di merci e passeggeri fra i porti del regno ed i porti esteri fuori del mediterraneo (compresi nel mediterraneo il mar di Marmara, il mar Morto e il mar d’Azoff) è concesso un contributo di nolo, corrisposto per ogni tonnellata in peso di merce importata ed esportata e per ogni mille miglia di percorrenza. L’ammontare del contributo non è fissato nella legge, essendo impossibile fissare in misura invariabile ciò che per sua indole è mutevole col variare dei prezzi, delle correnti commerciali, dell’altezza dei noli, ecc. ecc. Un comitato per i traffici marittimi, istituito presso il ministero della marina, avrà il geloso incarico di proporre le categorie o specie di merci meritevoli di godere il contributo di nolo e la misura di questo; e ad esso spetta altresì di rivedere gli elenchi delle merci e le misure dei contributi ad ogni tre anni. La legge fissa soltanto taluni principii di massima a cui dovrà informarsi la concessione dei contributi di nolo. Innanzi tutto dovranno premiarsi soltanto quelle merci importate, che siano greggie o semilavorate, destinate all’industria nazionale per subire da questa una prima od un’ulteriore lavorazione, e quelle merci esportate, che siano prodotti dell’agricoltura o dell’industria nazionale nelle sue singole forme. Aggiungasi che si potranno dar contributi anche per il trasporto dei passeggeri, i quali non siano emigranti; e l’esclusione è motivata dalla necessità di non offendere i vigenti trattati internazionali, i quali concedono parità di trattamento alla bandiera estera in confronto della nazionale. Agli effetti del contributo ogni passeggero è considerato uguale a due tonnellate di merce.

 

 

Poiché il ministro reputa più vantaggiosa la esportazione dall’Italia che la importazione in Italia, il contributo non solo è limitato alle merci importate che sieno materie greggie o lavorate, necessarie a dar incremento all’industria nazionale, ma ad esse è corrisposto un contributo minore, e può giungere sino ad un terzo soltanto, da quello che deve essere dato alle merci esportate. Poiché il ministro reputa altresì che sia più opportuno il traffico su linee regolari che su navi libere, così queste ultime (le navi addette a viaggi liberi) godranno di un contributo minore (che può essere solo della metà) di quello pagato alle navi appartenenti ad imprese marittime, le quali, in base a convenzioni con lo stato della durata di un periodo non minore di anni cinque, eserciteranno regolarmente il traffico tra i porti del regno ed uno o più determinati porti esteri situati fuori del mediterraneo. Che anzi, a queste linee regolari potrà, oltre il contributo di nolo, quando il loro carattere aleatorio lo richieda e fintantoché il traffico relativo non abbia preso un sufficiente sviluppo, essere concessa una sovvenzione fissa, non più di una sovvenzione per ogni linea, commisurata alle spese vive di esercizio, e da approvarsi dal parlamento. Inoltre, sempre alle linee regolari, potrà essere concesso il rimborso dei diritti pagati per il passaggio del canale di Suez.

 

 

Veggasi intanto quale sia realmente la portata di questo novello aiuto concesso alla marina cosidetta libera. Il disegno di legge stabilisce in 8.500.000 lire lo stanziamento massimo annuo di questo capitolo; ma dispone che da esso abbiansi innanzi tutto a detrarre le somme che, in virtù di leggi precedenti, sono tuttora dovute a titolo di premi di navigazione: ossia 3.531.043 lire nel 1910-11, 3.451.561 lire nel 1911-12 e via via scemando sino a 54.742 lire nel 1923-24, nel quale anno cessano. A mano a mano che scema l’antiparte da pagarsi per i vecchi premi di navigazione, cresce il residuo destinato ai nuovi contributi di nolo, i quali vanno così da un minimo di 4.968.957 lire nel 1910-11 ad un massimo di 8.500.000 lire nel 1924-25. Fatta la media dei 15 anni di durata della legge, saranno 1.410.187 lire destinate ai vecchi premi di navigazione e 7.089.813 lire residue per i contributi di nolo. Di questi sette milioni, un terzo (e cioè 2.363.271 lire) è destinato alle navi libere e due terzi (4.726.542 lire) alle linee regolari. Alle quali ultime, sulla dotazione ad esse assegnata per ogni linea sui due terzi sovracitati, viene innanzi tutto corrisposta la sovvenzione fissa che il governo avrà proposto ed il parlamento approvato per le linee specialmente aleatorie, ed insieme il rimborso dei diritti per il canale di Suez; e ciò che rimane sarà finalmente ripartito secondo le norme dei contributi di nolo. Onde appare che i pagamenti fatti a titolo di contributo di nolo non assorbiranno tutti gli 8 milioni e mezzo del fondo, ma soltanto le 2.363.271 lire assegnate alle navi libere ed il residuo delle 4.726.542 lire, che rimarrà dopo aver pagato le sovvenzioni ed i diritti di Suez alle linee regolari. Evidentemente le simpatie dell’on. Bettolo sono tutte per le linee regolari, le quali si avvantaggiano ancora di un’altra disposizione per cui le navi libere non potranno avere il beneficio dei contributi di nolo quando compiano viaggi e percorsi paralleli o concorrenti alle linee regolari.

 

 

Spiegato così il meccanismo e la portata delle proposte Bettolo, lo studioso sarebbe indotto a fare subito una assai ovvia osservazione: che il «contributo di nolo» non è una novità se non di nome, riproducendo in sostanza da un lato gli antichi premi di navigazione e dall’altro gli ancor più vecchi premi di importazione e di esportazione; e il discorso sarebbe senz’altro finito, perché l’esperienza dei risultati dannosi avuti in passato sì dagli uni che dagli altri dovrebbe far concludere ad una sommaria condanna di questo nuovissimo ed insieme antichissimo istituto. Ma sarebbe condanna che non avrebbe intima virtù di persuasione, perché l’esperienza storica non par fruttuosa ove non sia applicata alle mutate circostanze presenti ed i principii generali ricavati dalla esperienza del passato non sono, e giustamente, ritenuti validi se non siano provati e riprovati ogni giorno al saggio dei fatti contemporanei. Vediamo dunque se oggi, colle modalità immaginate dall’on. Bettolo, i contributi di nolo possano essere utilmente applicati.

 

 

Intanto una prima, e gravissima, difficoltà ci si para innanzi: la fissazione della misura del contributo. Dice l’articolo 19 del disegno di legge che il contributo è corrisposto per ogni tonnellata in peso di merce importata ed esportata e per ogni mille miglia di percorrenza, tenuto conto della natura della merce. Sembra che questo sia il miglior criterio per determinare oggettivamente il contributo; ma è tuttavia ben lontano dall’essere un criterio accettabile. Se invero il sussidio dato dal governo deve essere in realtà un «contributo» di nolo, deve poter seguire il nolo nelle sue oscillazioni, integrarlo dove è insufficiente, ridursi quando il nolo per se stesso è bastevole; deve, dunque, il contributo essere misurato nella stessa maniera o con gli stessi criteri con cui si misura il nolo. L’accessorio segue il principale e male si capisce un accessorio che profondamente diverga dal principale. Ora è vero che grossolanamente il nolo varia in ragione del peso delle merci, della loro natura e della distanza percorsa. Ma è un rapporto tutt’affatto grossolano; mentre si dà ogni giorno il caso che una merce più pesante sia trasportata ad un nolo più basso di una più leggera (ricordinsi i carichi di zavorra e i noli di ritorno, talvolta insufficienti a coprire le spese vive di esercizio e pure accettati ben volentieri dalle navi che senza di essi ritornerebbero a vuoto), che una merce più ricca sia trasportata ad un nolo più basso di una merce povera, e che sovratutto una merce sia trasportata ad uno stesso punto da due porti ugualmente distanti a noli diversissimi o sia trasportata a lunga distanza ad un nolo più basso che un’altra merce a breve distanza, che sia cioè il rapporto fra nolo e distanza mutevolissimo in sensi opposti ed apparentemente contradditori, per quanto assai bene spiegati dalla convenienza degli armatori. Questo è il difetto principale del contributo di nolo per quanto ha tratto alla sua misura: che esso irrigidisce in una norma legale, fissa ciò che è mutabilissimo nel tempo e nello spazio. Si potrebbe comprendere un contributo «ferroviario» regolato in base alla distanza, perché nelle ferrovie il costo dei trasporti varia in ragione della distanza, tutt’al più tenuto conto delle tariffe differenziali. Il mare invece è libero; e sul mare i noli variano di giorno in giorno, da una linea all’altra a seconda della concorrenza, dei traffici, delle stagioni, ecc. Pretendere di voler regolare ciò che per sua natura è irregolare, di «completare» con un «contributo» ciò che per indole sua è mobilissimo è pretendere l’assurdo, è l’esporsi a commettere errori continui, a dar contributi dove il nolo per sé è sufficiente, a non darne dove da solo non basta. Potrà darsi che il contributo favorisca le correnti commerciali; ma sarà per puro caso, non per merito del legislatore. Il contributo, misurato a miglia, finirà per essere un vero e proprio premio di navigazione; e nemmeno della miglior maniera perché premierà le navi che percorreranno più lunghe distanze, non quelle più veloci o più ben costrutte o più feconde di traffici.

 

 

Né più facile si presenta la determinazione dei mercati e delle linee che dovranno essere incoraggiate mercé il contributo di nolo. Le carte della reale commissione sui servizi marittimi riboccano di notizie sulla utilità di conquistare questo o quel mercato; e non passa giorno che dalle camere italiane di commercio all’estero, dai consoli e dalle rappresentanze commerciali non giungano inviti ad istituire linee nuove per mercati promettentissimi. Come si farà la scelta? Bisognerebbe avere milioni a palate per contentar tutti. A sceglierne solo alcune si corre rischio di essere accusati di partigianeria e di scegliere male. E valga il vero. Il consorzio autonomo del porto di Genova ha pubblicato di recente alcuni suoi belli ed interessanti rapporti sulla convenienza di istituire nuove linee per l’Australia, l’Estremo Oriente e l’America. Per limitarci a quest’ultima, il consorzio lumeggia l’importanza di linee fra l’Italia, il Centro America, New Orleans ed il Messico e di un’altra linea da Genova ai porti del Pacifico per lo stretto di Magellano. Sono persuaso anch’io della loro importanza; ma deve essere ancora data la dimostrazione, per alcune di queste linee – quelle che tendono al golfo del Messico e che mirano alle coste del Pacifico attraverso il canale di Panama (dopo la sua apertura promessa dal governo americano per il 1912) – che esse non possano essere esercitate, con una accorta organizzazione tecnica ed economica, senza bisogno di contributi dallo stato. Né sono persuaso che l’altra linea, da Genova alle coste del Pacifico attraverso lo stretto di Magellano, per cui specialmente si chiedono i contributi di nolo, possa essere feconda di utili risultati. Per il traffico dei passeggeri no certo, perché tutti seguiteranno a preferire lo sbarco a Buenos Aires e l’attraversamento in ferrovia del continente al lunghissimo viaggio per mare. Supporre il contrario equivale a credere che vi possa essere una sola persona che, per andare da Genova a Pietroburgo, non prenda il direttissimo ma si imbarchi a Genova ed attraverso lo stretto di Gibilterra, l’Atlantico e il mare del Nord preferisca arrivare per acqua alla meta. Quest’uno ci può essere; ma il suo sarà un viaggio di piacere. Quanto alle merci qualche risultato si può ottenere; ma è d’uopo chiedere: val la pena di iniziare un traffico che fra due anni, o tre o quattro al massimo, dovrà essere interrotto forzatamente perché, per andare al Cile, al Perù, od in California, moltissime navi abbandoneranno lo stretto di Magellano per il canale di Panama? Si dirà: intanto le navi ci saranno, già adusate al traffico, e invece dell’una seguiranno l’altra via. Nemmeno questo è vero; perché le navi atte a navigare nei climi freddi, attraverso le tormente di neve e di ghiacci ed i pericoli dei mari del Sud non potranno essere le stesse, od almeno non potranno dare lo stesso utile rendimento di quelle navi che saranno atte ai mari caldi ed al canale di Panama. Le navi, che oggi saranno mandate a conquistare i mercati delle coste del Pacifico, pescheranno forse ottimi contributi di nolo; ma poco giovamento recheranno alla economia nazionale e intiepidiranno l’entusiasmo di quegli ardimentosi che fin d’ora (ed il tempo non avanza) volessero preparare navi e capitali e organizzazione per prepararsi alla conquista dei mercati californiani e sud americani, appena fosse aperta la via del canale. Se questi dubbi fa sorgere una proposta lungamente studiata del Consorzio del porto di Genova, quali più forti dubbi sorgeranno nell’atto di scegliere tra le cento e cento proposte diverse dei postulanti al contributo di nolo! Anche qui si potrà scegliere bene; ma il caso soltanto sarà responsabile delle buone come delle cattive scelte.

 

 

Ancor più ardua sembra la scelta delle merci da incoraggiare coi contributi di nolo. Vedemmo sopra come siano sette milioni di lire al massimo da ripartirsi in contributi pagabili in ragione delle merci importate ed esportate. Probabilmente, detratti i rimborsi per il canale di Suez e per le sovvenzioni fisse, i milioni non sorpasseranno i quattro o cinque, di cui una parte dovrà andare ai passeggeri. Di fronte a questi pochi milioni, a quali cifre ascende il commercio internazionale da incoraggiare? Secondo le ultime statistiche del 1909 ben 3 miliardi e 79 milioni di lire all’importazione ed 1 miliardo e 883 milioni all’esportazione. Falcidiamo pur largamente per tener conto solo delle merci greggie e semilavorate all’importazione e dei prodotti dell’agricoltura e dell’industria all’esportazione; rimarranno pur sempre 1 miliardo e mezzo all’importazione (nel 1908 vi erano stati 1 miliardo e 63 milioni di materie gregge e 560 milioni di semilavorate) e 1 miliardo circa alla esportazione (nel 1908 erano stati 434 milioni i prodotti fabbricati e 494 i generi alimentari e animali vivi esportati) che accamperanno un diritto generico al contributo. Si dimezzino ancora queste cifre, per tenere conto solo delle correnti commerciali marittime e di altri motivi di scarto; e saranno 750 milioni di lire di merci importate e 500 milioni di lire di merci esportate, tra cui dovrà farsi la scelta, per dare 1 milione e mezzo alle prime e 3 milioni alle seconde. Ripartito su tutte, il premio sarebbe irrisorio: dal 2 al 6 per mille del valore della merce. Perché il premio sia rilevante ed efficace bisogna dunque concentrarlo su alcune merci soltanto.

 

 

Qui comincerà una nuova e più tormentosa ricerca. Sarà necessario evitare di dar contributi al trasporto di merci avviate verso paesi che fossero pronti a rispondere al nostro larvato premio di esportazione con equivalenti dazi di ritorsione, i quali ne annullerebbero il beneficio. Non sarà agevole conciliare questa pur necessarissima eliminazione con la opportunità di conquistare questo o quel mercato straniero: si sa, ad esempio, come siano gelosi della integrità delle loro tariffe doganali gli Stati uniti e pronti a ricorrere alle estreme offese contro qualunque minaccia, anche ascosa e larvata, di premi di esportazione. Troppo spesso accadrà che la scelta del mercato si trovi in stridente contrasto con la scelta della merce. Né basta: bisognerà anche eliminare quelle merci, favorendo l’esportazione delle quali con un adatto contributo di nolo si corra il rischio di dare un’arma in mano ai produttori nazionali per aumentare i prezzi della rarefatta merce rimasta in paese, a danno dei consumatori italiani. È degno di encomio il desiderio di un poderoso sviluppo delle esportazioni; ma non bisogna finir di esportare troppa roba col pericolo di rincarare i prezzi di quella poca che è rimasta in paese. Ognun sa che i sindacati (cartelli) tedeschi danno un contributo agli esportatori per sfollare il mercato interno; e di ciò si lagnano gli industriali italiani che sono soggetti alla concorrenza sotto costo dei prodotti tedeschi premiati e si lagnano del pari i consumatori tedeschi che pagano care le merci che i sindacati paesani si degnano di riservare loro. Dovrà essere cura – e senza dubbio difficilissima cura – del governo di non dare contributi di nolo all’esportazione di merci che i consumatori italiani abbiano desiderio di non pagare troppo care. Finalmente – a non citare che un ultimo caso fra i parecchi che ancora rimarrebbero da trattare – dovrà il contributo di nolo non essere dato a quelle materie greggie o semilavorate importate che siano prodotte altresì da agricoltori od industriali italiani incapaci di sostenere la concorrenza di queste merci straniere importate in abbondanza mercé il contributo di nolo governativo? Io non sono tenero del protezionismo; tutt’altro. Ma non posso non vedere una contraddizione non agevolmente superabile tra il mettere dazi contro le merci straniere e il favorirne l’importazione con contributi di nolo. Alte saranno le lagnanze dei produttori interni minacciati da una concorrenza estera sussidiata e favorita dal governo italiano, tanto più alte in quanto l’Italia è un paese produttore in ispecial modo di merci greggie e semilavorate, ossia precisamente di quelle merci a cui l’on. Bettolo vorrebbe largire i contributi di nolo. In qual maniera sia possibile districarsi da queste e simiglianti difficoltà, io non so; ma è bene che le difficoltà non siano ignorate; bensì sottoposte ad accurato vaglio.

 

 

A chi spetterà fare la triplice gelosa scelta della misura del contributo, del mercato e linea e della merce? Non sembra adatto il parlamento, poiché esso deve deliberare per lunghi periodi di tempo, e nulla più del contributo di nolo deve essere mobile e pieghevole per adattarsi alla pieghevole indole del nolo, che esso dovrebbe integrare. Il parlamento poteva fissare i premi di navigazione, di velocità, di armamento che erano determinati in base a criteri tecnici, che per alcuni anni si possono supporre stabili. Non è più adatto a fissare i contributi di nolo, per la contraddizione che nol consente della fissità del contributo e della variabilità continua del nolo. Ma se è disadatto il parlamento, dà guarentigia di efficace scelta il consesso creato dal disegno di legge? È noto come la ripartizione dei contributi sia affidata ad un comitato per i traffici marittimi, presieduto dal ministro della marina e composto del direttore generale della marina mercantile, di un delegato del ministero delle finanze, di un delegato del ministero di agricoltura, industria e commercio, di un delegato delle ferrovie di stato, di due delegati (armatori) del consiglio superiore della marina mercantile, di tre delegati di camere di commercio, e dei capi degli uffici per la navigazione sovvenzionata. Questa accolta di alti funzionari e di rappresentanti ufficiali dell’industria marittima e del commercio dovrà ogni tre anni stabilire le categorie o specie di merci ammesse a godere del contributo di nolo e la misura di questo; dovrà far la scelta fra i mille e mille postulanti, designare le poche merci favorite e le molte reiette, fissare le percorrenze allietate dalla pesca del contributo di nolo e stabilire di questo la variabile misura. Altri disse che si voleva istituire presso il ministero della marina un nuovo fondo segreto. Segreto non sarà, poiché dovranno rendersi di pubblica ragione le somme distribuite alle compagnie ed agli armatori; ma sarà ad ogni modo una moltissimo perniciosa macchina di sospetti e di favoritismi parlamentari e politici, aggiunta alle altre molte che inquinano la vita italiana, senza il freno della preventiva pubblica discussione, unico schermo rimasto nei tempi moderni contro l’onnipotenza della burocrazia e delle clientele parlamentari.

 

 

II

 

La questione dei servizi marittimi è tornata dinnanzi ad una camera disposta ad accettare per stanchezza una qualsiasi soluzione provvisoria, che per un po’ di tempo la liberi dal fastidio di dover prendere una meditata e definitiva risoluzione. Né, a dire il vero, è agevole – dinnanzi ad un progetto il quale proclama ben alto il suo carattere di provvisorietà – al critico spassionato usare quei criteri di giudizio che sarebbero a posto, ove si trattasse di una soluzione definitiva. Di qui l’opportunità di limitare l’esame a vedere se i patti, che ora si affermano temporanei, non abbiano difetti evitabili puranco in un regime di provvisorietà o non siano siffattamente congegnati da lasciare una eredità malaugurata a quello che sarà il regime definitivo. Se a queste critiche il disegno odierno non prestasse il fianco, esso potrebbe non essere buono in senso assoluto, e pure potrebbe chiarirsi approvabile come il men peggio, in attesa del meglio. Mentre, nel caso contrario, il regime provvisorio dovrebbe essere corretto subito, senza aspettare la perfezione avvenire, la quale, dati gli umori del parlamento e la incapacità finora da esso dimostrata nell’indicare al governo la via da seguire, sembra davvero relegata ad un avvenire lontanissimo.

 

 

Poche parole riguardo alla proroga del regime attuale per le industrie delle costruzioni marittime e della marina libera. Trattandosi, quasi in tutto, di una proroga pura e semplice, non si toglie nulla al bene e non si aggiunge nulla al male che, a seconda delle varie opinioni, poteva aver operato finora il regime vigente; onde la proroga non offre materia a nuove critiche od a novelle lodi oltre quelle che già si fossero fatte. I più criticarono in passato – e lo scrivente è con essi – il regime vigente come impotente a promuovere il fiorire della marina libera, attissimo per contro ad asservirla ai cantieri e ad aggiogar questi all’industria metallurgica; e siffatte critiche seguiteranno ad aver valore per un altr’anno. La proroga di suo apporta due novità: l’una buona, l’altra non approvabile. La prima novità è la soppressione dei diritti consolari gravanti sulle navi nazionali, la riduzione della tassa di registro negli atti relativi alla costruzione ed alla proprietà delle navi, l’esenzione dal diritto di bollo per gli atti di nazionalità, dei ruoli degli equipaggi, del giornale nautico, del certificato di stazza, ecc. ecc. Ognun sa che la gravezza di queste tasse è cagione di inferiorità della bandiera italiana di fronte alle bandiere estere; epperciò bene aveva fatto l’on. Bettolo a ridurre e sopprimere le gravezze maggiori nel suo disegno di legge; e bene opera il ministro attuale nell’accogliere sin d’ora il fecondo concetto. E poiché in Italia il provvisorio è la sola cosa la quale duri a lungo, auguriamoci che gli sgravi odierni di tasse per l’industria marinara entrino definitivamente nel regime fiscale dell’industria marittima. L’on. Luzzatti non ha voluto però accettare dal progetto Bettolo la riduzione dal 10 al 5% dell’imposta di ricchezza mobile per le industrie marittime. Non tenero dei favoritismi particolari in materia di imposte generali non so dargli torto. Ma forse l’on. Bettolo voleva, riducendo l’aliquota dell’imposta dal 10 al 5%, diminuire il danno, che talvolta oggi si avvera, per cui si paga il 10% su redditi accertati dall’agenzie delle imposte in misura superiore alla reale. Se i profitti esistono, non c’è ragione perché l’industria marinara paghi il 5 mentre le altre pagano il 10 per cento. Il guaio si è che talvolta si paga il 10% su redditi ipotetici, consumati da ammortamenti o da spese che la finanza non riconosce; onde la riduzione al 5% poteva voler dire un compenso all’eccesso di tassazione degli accertamenti. La questione, se è grossa, non è però nemmeno essa peculiare all’industria marittima. Tutte le imprese ed in ispecie quelle anonime sono in lotta col fisco per gli ammortamenti, le riparazioni, le riserve; onde ben venga una legge nuova, generale, per tutte le industrie, la quale chiarisca che cosa è reddito e che cosa è spesa; e consenta la tassazione solo per il primo; e non sulla seconda.

 

 

La seconda novità del disegno di legge, nella parte relativa alle costruzioni navali, è la seguente: ai costruttori di navi, per le navi dichiarate ed impostate nei cantieri nazionali dopo l’1 luglio 1910, si lascierà la scelta tra i provvedimenti vigenti, stabiliti dalla legge 16 maggio 1901, e i provvedimenti che saranno stabiliti dalle leggi future in materia. Un tal diritto di scelta a me non sembra opportuno. I costruttori, quando sieno persone di senno, se imposteranno oggi, prima della nuova legge, una nave in cantiere, faranno ciò in base agli attuali benefici certi, concessi dalla legge vigente; non mai sulla speranza di una legge futura, incerta, che potrebbe anche non venire mai o concedere benefici minori di quelli attuali. Chi agisse altrimenti non sarebbe un industriale serio, bensì un giocatore al lotto e di costoro non è mestieri preoccuparsi. Dato ciò, la legge futura, o concederà benefici maggiori o li darà minori della legge attuale. Se i benefici odierni valgono 10 e quelli futuri varranno 9, è chiarissimo che nessun costruttore di navi, avendo libera scelta, rinuncierà al 10 per contentarsi del 9. Se i benefici odierni varranno 9 e quelli futuri 10, tutti i costruttori rinunceranno al 9 per pretendere il 10; ed in tal caso non è forse vero che lo stato avrà inutilmente regalato ad essi 1, postoché si erano già `contentati di 9? Per qual ragione lo stato deve dare del suo a chi, col fatto, dimostra di non averne bisogno e neppure vi aspira?

 

 

Più grave è la materia della marina sovvenzionata, irta di interessi regionali e di complicazioni tecniche; più arduo quindi il giudizio. Procurerò di mettere innanzi in forma schematica alcuni dubbi che sorsero in me dalla lettura del disegno e della relazione.

 

 

1)    Il contratto provvisorio fa rivivere tutte le vecchie linee della Navigazione generale italiana, con mutamenti insignificanti. Se una conclusione sicura era balzata fuori dai rapporti della commissione reale, dai dibattiti parlamentari, dalle discussioni sui giornali, questa era: che alcune linee erano politicamente necessarie, pur essendo economicamente improduttive, alcune erano per ora commercialmente passive, pur promettendo bene per l’avvenire, altre erano politicamente ed economicamente inutili, ora e poi, e le ultime infine erano economicamente attive, anche senza bisogno di sovvenzione. Se si possono trovare argomenti validi Per giustificare una sovvenzione alle prime due categorie di linee, nessun argomento può addursi a legittimare lo spreco dei denari dello stato per linee che nulla promettono e per linee che hanno in se stesse l’energia di vivere. L’attuale progetto di legge continua l’inconveniente di pagare sovvenzioni di stato alla cieca, senza alcuna discriminazione. I milioni dati in passato alla marina sovvenzionata non giovarono in nulla – almeno è questa opinione quasi universale – al progresso della marina italiana. Per tre anni, e forse per più, continuerà questa strana condizione di cose, che uomini di stato eminenti contribuiscano a far spendere denari in un modo che tutti son d’accordo nel giudicare sfavorevolmente in base ad una lunga dolorosa esperienza. Unica speranza di salvezza per l’avvenire è l’obbligo fatto alla compagnia concessionaria di compilare una statistica dei redditi e delle spese delle singole linee, cosicché si possa a ragion veduta sapere finalmente quali e per qual somma siano le linee attive e quali le passive. L’attendibilità di siffatte statistiche potrebbe essere garantita solo se lo stato avesse poteri assai rigorosi di controllo; poteri che il progetto Schanzer aveva architettato, ma tutti aveano unanimamente condannato, siccome tali da togliere ogni libertà di movimento alla società concessionaria.

 

2)    Il contratto provvisorio aumenta le percorrenze, le velocità e il tonnellaggio in confronto al contratto vigente colla Navigazione generale; e quindi, aggiunge la relazione, è giusto che le sovvenzioni siano alquanto cresciute, in complesso di circa 2 milioni di lire, in confronto delle sovvenzioni vecchie. Se il ragionamento finisse qui, non vi sarebbe alcuna osservazione da fare. Ma la stessa relazione dichiara che la Navigazione generale già in passato ed ancor al presente ha accresciuto spontaneamente le percorrenze, le velocità ed i tonnellaggi. «È noto che l’attuale società adibisce ad alcune linee piroscafi di maggior tonnellaggio e di maggior velocità di quelli prescritti dai contratti; e ciò conduce in parte ad un miglioramento dei servizi; come è altresì noto che la società stessa esegue percorrenze in più di quelle prescritte, senza percepire alcun aumento sulla sovvenzione». Se tutto ciò è vero, vuol dire che la Navigazione nel proprio interesse, per guadagnar maggiormente, ha accresciuto – e di ciò le deve essere data lode – velocità, tonnellaggi, percorrenze, trovando in tali agevolezze concesse al commercio un tornaconto finanziario. Perché lo stato dovrebbe ora, soltanto allo scopo di rendere obbligatorio un miglioramento, già esistente di fatto, nei servizi, deliberato spontaneamente dalla società nel proprio interesse, spendere qualche milione in più? Finora si riteneva che le sovvenzioni potessero accordarsi alle linee povere attualmente di traffico, ma feconde di utili in avvenire; e si diceva che a mano a mano che il traffico si sviluppava, la sovvenzione avrebbe dovuto essere ridotta. Se trionfasse il concetto del disegno di legge, le sovvenzioni dovrebbero essere regolate proprio al rovescio. Ogni aumento di traffico che provoca velocità maggiori, percorrenze più lunghe, tonnellaggi più forti diventerà in avvenire un argomento per aumentare la sovvenzione. Illazione evidentemente assurda.

 

3)    Dubbi gravi sorgono pure sulle conseguenze che avranno sul regime definitivo le norme le quali impongono allo stato l’obbligo di far rilevare al concessionario definitivo i piroscafi usati di età non superiore ai 12 anni, per un prezzo globale non superiore ai 6 milioni di lire ed i piroscafi nuovi al valore iniziale diminuito del 6% all’anno. Che fosse difficile trovare una società seria, disposta ad esercitare i servizi sovvenzionati colla spada di Damocle della diffida ad ogni anno e col rischio di trovarsi sulle spalle un materiale navale non utilizzabile, si capisce assai agevolmente. Ma la difficoltà di trovare – od almeno il prezzo del rischio – sarebbe forse stata minore se la nuova società avesse potuto provvedersi del materiale navale dovunque lo avesse trovato a miglior mercato. Navi in vendita se ne trovano dappertutto; e, se si sono comprate al prezzo corrente, si possono tornare a rivendere al prezzo corrente. Il rischio della nuova società provvisoria sarebbe stato ridotto al minimo – tanto più che attualmente i prezzi delle navi hanno una tendenza ferma e sono maggiori le probabilità per un rialzo che per un ribasso – cosicché la società avrebbe forse potuto vendere fra due o tre anni le navi, comperate oggi, ad un prezzo migliore di quello di acquisto. Evidentemente però la nuova società provvisoria non ha le mani libere; deve forse comprare a prezzi particolari, non correnti, le vecchie navi della Navigazione generale e deve fare costruire le nuove navi in Italia ad un costo superiore al prezzo probabile di vendita sul mercato internazionale. È naturale che tutto ciò si rifletta sulla sovvenzione, la quale è probabilmente più alta di quello che sarebbe stata se il concessionario provvisorio avesse avuto le mani perfettamente libere. Il guaio si è che questa situazione provvisoria avrà il suo riflesso fatale sul regime definitivo. Il governo infatti avrà l’obbligo di far acquistare dalla società definitiva le vecchie navi ad un prezzo non superiore ai 6 milioni, ma sicuramente superiore al prezzo corrente; ed in ogni caso avrà l’obbligo di fare acquistare navi vecchie, che la futura società, se fosse libera, non penserebbe certamente a comprare. La futura società farà tutto ciò che il governo le imporrà; ma vorrà, a compenso dell’onere maggiore, un aumento di sovvenzione. Il regime attuale, attraverso al periodo provvisorio, aduggia fatalmente con la sua ombra sinistra il regime definitivo.

 

 

Sono dubbi cotesti che governo e parlamento potranno in parte far scomparire, migliorando alcune tra le clausole dello schema di convenzioni provvisorie. Che ogni ragione di scetticismo sull’avvenire della marina italiana possa essere eliminato, sarebbe però temerario sperare. L’ossessione della scadenza delle convenzioni e delle leggi vigenti al 30 del mese prossimo esercita una tale influenza su governanti e su parlamentari, che è venuta meno in tutti la serenità necessaria a preparare il terreno al regime avvenire. Chi scrive pensa che tutto questo terrore del finimondo che dovrebbe venire all’1 di luglio sia stranamente esagerato. Se la fortuna volesse che a quella data fatidica il parlamento non avesse potuto prendere alcuna risoluzione, si vedrebbero i traffici svolgersi tranquillamente, come se nulla fosse accaduto. O se qualche perturbazione fosse per verificarsi, sarebbe momentanea e di gran lunga meno vasta e profonda di altre crisi che tuttodì vediamo verificarsi e risolversi senza lasciar tracce apprezzabili.

 

 

Non giova però negare che sono pochissimi coloro i quali, al par di chi scrive, vedrebbero con tranquillità ed anzi con piacere avvicinarsi il 30 giugno senza che nulla si fosse conchiuso in materia di convenzioni marittime. Tutti coloro che hanno od hanno avuta o potranno avere la responsabilità del governo in Italia, ritengono pericoloso, per motivi politici, economici e di ordine pubblico, rinunciare al mantenimento, anche per breve tempo, delle linee sovvenzionate. Poiché questa è la loro persuasione, è d’uopo che si adattino a condizioni che non sono le migliori che si potrebbero con più calma ottenere. Importa tuttavia che, se non si possono ridurre i sacrifici al minimo che si otterrebbe con una convenzione definitiva, si riducano a quel minimo che sia compatibile con un contratto il quale ha nome di provvisorio. A siffatto compito non verranno meno governo e parlamento.

 

 



[1] Con il titolo Il contributo di nolo [ndr].

[2] Con il titolo La soluzione provvisoria del problema marittimo [ndr].

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