Opera Omnia Luigi Einaudi

Corporazioni d’arti e mestieri, bilancio del commercio e moneta negli economisti milanesi della seconda metà del Settecento

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1940

Corporazioni d’arti e mestieri, bilancio del commercio e moneta negli economisti milanesi della seconda metà del Settecento

«Rivista di storia economica», V, n. 3, settembre 1940, pp. 267-275

 

 

 

Gian Rinaldo Carli, “Saggi inediti di G. R. C. sull’economia pubblica dello Stato di Milano”. A cura di Carlo Antonio Vianello, con prefazione di G. Galbiati (vol. ventesimo dei Fontes Ambrosiani). Olschki, Firenze, 1938. Un vol. in quarto di pp. XXXI-180. Prezzo L. 40.

 

 

Baldassarre Scorza, “Discorsi inediti di B. S. sui bilanci commerciali dello Stato di Milano del 1769 e del 1778 e sui porti di Trieste e di Nizza”. A cura di C.A. Vianello, con prefazione di C. E. Ferri. (Vol. ventunesimo dei Fontes Ambrosiani). Biblioteca Ambrosiana, Milano 1938. Un vol. in quarto di pp. 189. Prezzo L. 40.

 

 

Pietro Verri, “Considerazioni sul commercio dello Stato di Milano”. A cura di C. A. Vianello (Serie prima, Fonti, Vol. primo delle pubblicazioni dell’Istituto di storia economica della Università commerciale Luigi Bocconi), Milano 1939. Un vol. di pp. XXI-234. Prezzo L. 40.

 

 

“La riforma monetaria in Lombardia nella seconda metà del ‘700”. A cura di C.A. Vianello (in vol. tredicesimo, n. 2 degli Annali di economia e vol. secondo, serie prima, fonti, delle pubblicazioni dell’Istituto di storia economica dell’Università commerciale Luigi Bocconi). Univ. L. Bocconi, Milano, 1939. Un vol. di pp. XXIV-260.

 

 

“Considerazioni sull’annona della Stato di Milano nel secolo diciottesimo”. A cura di C. A. Vianello (vol. terzo, serie prima, fonti, delle pubblicazioni dell’Istituto di storia economica dell’Università commerciale Luigi Bocconi). Univ. L. Bocconi, Milano, 1939. Un vol. in ottavo di pp. XXII -336. Prezzo L. 45.

 

 

C. A. Vianello, “La vita e l’opera di Cesare Beccaria, con scritti e documenti inediti”. Ceschina, Milano, 1938. Un vol. in ottavo di pp. 289 e 2 pp. n. n. Prezzo L. 15.

 

 

C. A. Vianello, “Il settecento milanese” con prefazione di Giovanni Galbiati. (Vol. ottavo delle “Fonti Ambrosiane”), Baldini e Castoldi, Milano, 1934. Un vol. in ottavo di pp. XVI-316. Prezzo L. 15.

 

 

1.-Il Vianello, il quale con gli scritti, elencati sopra, sul settecento milanese e su Cesare Beccaria e con altri parecchi aveva acquistato larga conoscenza degli istituti e degli uomini della Lombardia austriaca nella seconda metà del sec. diciottesimo offre agli studiosi cinque sillogi di documenti economici di notabile importanza.

 

 

Ad ognuna egli fa precedere una introduzione, volta a lumeggiare l’occasione la quale diede nascimento alle memorie, quasi tutte inedite, da lui messe in luce e le fonti d’archivio dalle quali egli le trasse.

 

 

2.-Sono note le dispute sorte intorno al bilancio del commercio per lo Stato di Milano nel 1752 pubblicato dal Verri nel 1764 e da lui rifatto, insieme col Meraviglia, per il 1765, che avevo ripubblicato nel 1932 nel primo volume della mia “Collezione di scritti inediti e rari di economisti”. Il Vianello arricchisce grandemente la suppellettile di documenti redatti da uomini di gran valore posta a disposizione degli studiosi riesumando un gruppo di saggi di Gian Rinaldo Carli, i discorsi sui bilanci commerciali per lo Stato di Milano del 1769 e del 1778 di Baldassarre Scorza e le considerazioni sul commercio dello Stato di Milano di Pietro Verri. I saggi del Carli non riguardano soltanto i bilanci del commercio ossia quelle che noi chiameremmo statistiche delle importazioni e delle esportazioni di merci; ché forse i più freschi sono quelli che si riferiscono al “mercimonio”. Occasione specifica alle memorie del Carli in proposito non fu il problema delle corporazioni di arti e mestieri, bensì quello del buon regolamento delle imposte gravanti sul mercimonio, ossia sugli esercenti industrie, arti, commerci, mestieri e professioni. Ma i monopoli delle arti nuocevano, come sempre accade, ai proventi del fisco:

 

 

“Riconosciuti…. i gravi disordini introdottisi nel mercimonio in proporzione che da una parte le antiche leggi passarono in dimenticanza e dall’altro prese piede lo spirito di divisione fra i membri che devono costituire un sol corpo ed una sola società; cosicché essendo accaduto di tempo in tempo una quantità prodigiosa di separazione di arti, di professioni, mestieri e traffici, ne venne particolarmente nella città di Milano la molteplicità dei corpi e delle università, ciascheduna delle quali ottenendo dei privilegi e statuti di privativa, si formò una specie di monopolio fra pochi individui i quali, con le gravose spese e condizioni imposte a’ nuovi matricolandi, tolsero sempre il modo di accrescere a pubblica e privato commodo il numero dei trafficanti e tutti poi inimici fra se stessi, sotto il pretesto di mantenere i proprii diritti, alimentarono sanguinose liti che, oltre la distrazione personale, portarono la rovina di vari corpi aggravandoli di debiti, i quali poi a danno dell’universale incarirono il prezzo di tutti i generi e delle manifatture”.

 

 

3. Bel brano; ma ne ha dei migliori Pietro Verri, scrittore di maggior nerbo del dotto Carli, nelle “Considerazioni sul commercio dello Stato di Milano” delle quali il Custodi aveva pubblicato, in altra forma rimaneggiata dallo stesso Verri, solo la prima parte, ed il Custodi stesso ed io più ampiamente avevamo pubblicato, pure in altra rinnovata forma, gran parte del contenuto del primo capo della parte seconda. Ora il Vianello le ripubblica nella stesura originaria, e la stampa è davvero un contributo prezioso alla letteratura economica italiana del secolo diciottesimo. Ben costrutte, nelle loro tre parti (primo, della grandezza e decadenza del commercio di Milano dal principio del 1400 al 1750; secondo, Stato attuale del commercio di Milano; terzo, Con quali mezzi potrebbe ristorarsi l’abbattuto commercio di Milano), le “considerazioni” del Verri sono tra i migliori strumenti per comprendere lo stato in cui l’economia lombarda trovavasi a mezzo il secolo diciottesimo. Il Verri è critico mordace di abusi e monopoli. Veggasi come egli, a proposito delle corporazioni d’arti e mestieri, metta a confronto l’antico spirito di libertà che le aveva fatte sorgere al tempo dei comuni:

 

 

“Quilibet…. tam masculus quam femina, tute ed impune et ubique et in quolibet loco in Civitate et Ducato Mediolani, et in locis suppositis statutis ut supra, possit facere et exercere ac operari quamlibet artem seu artificium ministerium et laborerium cuiuscumque generis et materiei sit”. con lo stato decadente nel quale le avevano ridotte i privilegi dell’epoca spagnola:

 

 

“Un industrioso e povero giovane, che voglia cercare un onesto sostentamento nelle arti o ne’ mestieri, è costretto a farsi registrare nel corpo della sua professione, il che s’esprime col vocabolo “passar badia”, o “farsi matricolato”. Mancano a molti i mezzi per farlo; molto arbitraria è la tassa che i vecchi del corpo talvolta impongono, particolarmente (sui) forestieri i quali quanto sono più abili tanto maggior invidia ed ostilità trovano in questi matricolati, per tal modo che impunemente si sottopongono ad innumerabili vessazioni, mancando un regio delegato che vi invigili e protegga la gioventù ben inclinata e gli artigiani forestieri di abilità; e quindi poi la gioventù cade nell’ozio e nella mendicità, e ben sovente finisce col vivere di rapina, male che da un secolo e mezzo a questa parte si cerca inutilmente di guarire colla mano del carnefice” (pp. 134-135).

 

 

Il Verri seguita narrando dello spirito litigioso delle università e corpi d’arte, ognora in arme le une contro le altre per difendere dalle altrui usurpazioni i proprii egoistici privilegi; e mettendo in luce il vizio delle loro tendenze egualitarie, le quali vietano ai maestri di far lavorare in laboratori proprii le materie prime:

 

 

“Questa legge sembra fatta in favore de’ mercanti di stoffe meno ricchi, i quali, non avendo capitali per essere fabbricatori, ma vivendo col commercio di rivendere le stoffe comperate alla fabbrica, non potrebbero darle al prezzo medesimo al quale le darebbero i fabbricatori se avessero bottega aperta…. In virtù di questo statuto, il mercante bottegaio è costretto a confidare la propria seta, l’oro e l’argento in mano del tessitore; il tessitore è povero e la stoffa si tesse per lo più nella stanza medesima che serve di unico asilo alla povera famiglia del tessitore: con ciò nascono mille accidenti che pregiudicano all’eleganza e pulizia del lavoro, cosicché spesse volte accade che il mercante riceve la stoffa sì mal in ordine, che preferirebbe ad essa il valor della materia. Spesse volte il mercante trova mancante il peso, spesse volte gli viene mancata la promessa per il tempo; l’eternità e dispendio dei giudici distolgono il mercante dal cercarne riparazione, e rendono confidente il tessitore a profittare dell’altrui. I mercanti, quindi, imparano a proprie spese, i tessitori restano senza commissioni nella mendicità, ed i mercanti, anziché promuovere le interne manifatture di sete, si costituiscono agenti delle fabbriche di Lione, Genova, Torino; e di essi centocinquanta e più matricolati si vedono in Milano, i quali sono altrettante sanguisughe che mungono il denaro dello stato” (pp. 137-38).

 

 

4.-Nel volume sull’annona sono raccolti voti giudizi pareri lettere (1767-68) intorno al progetto di riforma presentato da Pietro Verri al Supremo consiglio di economia in ossequio all’ordine col quale nell’art. tredicesimo delle istruzioni annesse al decreto di erezione del Consiglio si fissava come tema di indagine la libertà della contrattazione ed estrazione de’ grani”. Il Verri nella relazione, che egli, ampliata, pubblicò nel 1796 col titolo: “Riflessioni sulle leggi vincolanti principalmente nel commercio dei grani nel 1769” (Raccolta del Custodi, p. M. Tomo sedicesimo) aveva dimostrato, appellandosi all’esperienza passata milanese ed all’insegnamento degli economisti, i danni del vincolismo e la necessità del libero commercio interno ed esterno dei grani allo scopo di incoraggiare, con la certezza di poter vendere a prezzi convenienti, l’agricoltura, ed assicurare ai consumatori abbondanza di vettovaglie. Fu un coro di lodi da parte dei membri del Consiglio (Lottinger, Schrech, Pellegrini, De Montani, Pecis, Wilczeck, Damiani) per “l’energia colla quale pone egli sott’occhio gli inconvenienti del vegliante sistema in tale materia, la erudizione colla quale espone le notizie storiche delle leggi, da diversi popoli, ne diversi tempi ed anche nello Stato di Milano state emanate, ed il sommo studio col quale ha passate in rivista le opinioni de’ più celebri autori che in tale importantissima materia in questo secolo così illuminato sono state promulgate colle stampe” (Damiani, p. 39).

 

 

Le lodi tuttavia conclusero, salvo forse quelle del Lambertenghi, amico del Verri e socio dell’Accademia dei pugni, in una filza di “ma” e di “se”, che del progetto Verri lasciavano in piedi poco più che l’ombra; sicché il Verri, sconfortato, finiva di adattarsi ad un partito medio, il quale, lasciando sussistere le cautele della notificazione dei raccolti, dell’introduzione obbligatoria in città, delle tratte o licenze di esportazione, si contentava di sancire la libera circolazione dei grani all’interno sino al limite delle quattro miglia dal confine dello stato. Il problema è ripreso in relazioni del Beccaria al Magistrato camerale nel 1773 e del 1781 e in pareri del Carli del 1766 e del 1771. Relazioni e consulte sono riprodotte, dai documenti dell’archivio Sormani-Verri, in una silloge di interesse straordinario, sia per il dibattito in se stesso, sia per la contemplazione, che noi siamo messi in grado di fare, della diversa mentalità di uomini di valore, come i consiglieri ricordati sopra ed i Beccaria ed i Carli, resi prudenti e peritanti dalla responsabilità dell’ufficio coperto e di chi, pur ministro, rimase sempre, come il Verri, una lancia spezzata pronta a battersi a prò delle conclusioni alle quali lo forzavano ragionamento ed esperienza storica. Spazientito, in una lettera ad Ilario Corte del 30 gennaio 1768, il Verri esclama: “Vedrei volentieri come risponderebbero i fautori delle leggi vincolanti a quattro soli quesiti, e sono i seguenti: 1) se vi siano molti scrittori d’economia pubblica, i quali collaudino d’imporre e ritenere i vincoli sulla contrattazione dei grani, e quali siano; 2) se nelle riforme ultimamente fatte sulle leggi frumentarie nei regni di Francia, Spagna, nella Toscana, o in altre provincie d’Europa, si tenda a conservare e stringere questi vincoli, ovvero a scioglierli; 3) se da uno stato succeda maggior esportazione quando vi sono monopolisti, ovvero quando non vi sono; 4) se i monopolisti nascono dalla libertà ovvero dalle leggi proibitive” (p. XVIII).

 

 

Eterne domande, che i loici pongono ai cosidetti pratici ed agli studiosi che da sé si lodano coll’aggettivo di “realistici”; ed alle quali si è sempre risposto:

 

 

  • 1) citando nomi di economisti che non furono mai tali o ragionarono su ipotesi astratte non confacenti alle circostanze quali sempre si osservano;
  • 2) ricordando i frequenti ritorni al vincolismo, senza darsi briga di aggiungere i perché e gli scopi del ritorno;
  • 3) mettendo sullo stesso [piano le esportazioni che, facendosi in regime monopolistico, segnalano taglie levate dai monopolisti sui consumatori del loro proprio paese;
  • 4) confondendo le carte storiche e traendo dal trionfo dei monopoli dovuti alle leggi vincolanti argomento a nuovi giri del torchio disciplinatore in apparenza e confortatore in realtà del monopolio. Vana è la speranza che i Verri inspirati dal solo amore del pubblico bene vincano mai la partita contro uomini timorosi di muovere, se non con cautela infinita, le cose dal posto dove stanno. Per tener testa ai loici come erano gli uomini della “setta” degli economisti in Francia ed i Verri in Italia occorrevano ingegni di ben altra tempra dai Beccaria e dai Carli, memorandi per tanti rispetti, ma economisti privi d’ala. Unico Ferdinando Galiani, uomo di genio e di spirito, riuscì nei “Dialogues” a difendere storicamente la tesi del vincolismo annonario contingente. Ma in Galiani discendeva per li rami l’ispirazione vichiana!

 

 

5.-I discorsi dello Scorza intorno ai bilanci del commercio dello Stato di Milano sono notabili particolarmente al punto di vista del metodo di raccolta e di interpretazione delle statistiche. Gli enti i quali generosamente aiutarono il Vianello a trarre alla luce i volumi contenenti il bilancio commerciale propriamente detto, il migliore, a quanto si può giudicare dagli spunti offertici, di tutti quelli compilati nel ‘700, età feconda per i primi tentativi di statistiche del commercio internazionale.

 

 

6.-Altra è la materia della silloge su “La riforma monetaria in Lombardia”. Diede il primo avvio alle discussioni il celebre opuscolo del Beccaria “Del disordine e dei rimedi delle monete nello stato di Milano”, il quale denunciò nel 1762 il vizio sostanziale dei sistemi monetari di quel tempo-ed aggiungasi dei tempi di prima e poi-ossia la sconcordanza fra i rapporti legali e quelli commerciali delle materie d’oro, d’argento e di rame contenuti nelle varie specie di monete legalmente correnti nei diversi paesi. Beccaria ebbe la disgrazia di fondarsi per la dimostrazione della tesi corretta sull’ipotesi-ahimè, quanto a lungo feconda di errori in scritti pur celebratissimi di storici dei prezzi!-di uniformità nelle unità di peso usate collo stesso nome in luoghi e tempi diversi. Il marchese Carpani, il Carli, il Verri, il Franci ed altri parteciparono alla disputa; la quale divenne siffattamente accesa da indurre il governo ad affidare al Supremo real consiglio di economia pubblica presieduto dal Carli e del quale facevano parte, con altri, il Verri ed il Beccaria, il compito di studiare l’argomento. Ne vennero fuori, in una fase che il Vianello chiama di elaborazione teorica, dal 1771 al 1772, rapporti del Beccaria, del Carli, del Lottinger, pareri di negozianti (Fumagalli, Adamoli, Mozzini), di banchieri (Perego), di ex fermieri (Greppi e Mellerio). Nessuna conclusione fu raggiunta prima della soppressione del Consiglio di economia e della sua sostituzione col Magistrato centrale. Ma l’11 ottobre 1776 il principe Kaunitz riassume la discussione e l’avvia verso una fase legislativa, la quale prelude all’editto di riforma del 25 ottobre 1778. Appartengono a questa fase altri rapporti del Carli e del Beccaria sulle minute dell’editto che si stava elaborando. Memorie, pareri, rapporti sono pubblicati dal Vianello in una raccolta veramente singolare, la quale illustra, col vivo dibattito delle opinioni contrastanti di teorici e di pratici, i vizi monetari dei quali soffriva la Lombardia e le ragioni della riforma allora deliberata.

 

 

7.-Come dissi, il Vianello illustra acconciamente i documenti che egli mette alla luce; ma non entra nella discussione tecnica economica dei problemi posti nelle memorie pubblicate. Limitate allo studio delle fonti e dell’occasione del lavoro, le sue illustrazioni introduttive giovano acconciamente, al fine che l’autore si è prefisso. Se si passa sopra ad alcune mende (da dove ha ricavato il V., ad es., la notizia che il “Saggio politico intorno alla moneta del domenicano padre Tomaso Vasco” sia stato edito nel 1772 nella “Biblioteca oltremontana?”. Il libro si intitolava “Della Moneta”. “Saggio politico” e fu pubblicato in Milano, 1772, appresso Giuseppe Galeazzi regio stampatore, in ottavo di pp. 155 e 3 pp. n.n.; l’autore, anonimo, era Giambattista Vasco; ne` il libro poteva venire edito nella “Biblioteca oltremontana”, cominciatasi a pubblicare solo nel 1787), il Vianello ha dunque compiuto egregiamente al suo non facile ed ingrato ufficio di editore.

 

 

Poiché vedo che egli si propone di pubblicare altri tre volumi nella serie, dell’Istituto di storia economica della Bocconi, sia lecita l’espressione di un desiderio. Nei tre volumi sinora pubblicati (nei due dei Fontes Ambrosiani gli indici addirittura mancano, sicché il lettore, disorientato, deve compilarli da sé) si leggono in fondo sommari indici delle memorie e dei rapporti contenuti nei singoli volumi; non sempre perfetti, ché nel volume annonario non vedo elencato il saggio del Lambertenghi a carte 53 e quello del Secco-Commeno a carte 87; ma non esistono gli indici dei nomi degli autori citati, dei personaggi ricordati, e quelli delle principali cose e massimamente delle monete. Nelle raccolte di documenti, l’indice alfabetico che sia anche un glossario del significato delle parole inusate, un aiuto alla memoria per le date, uno strumento per ripristinare i titoli dei libri, citati per lo più male e senza indicazione di pagina nei documenti originari, è corredo necessario, senza il quale l’utilità della pubblicazione scapita grandemente. Forse il Vianello ha rinviato l’indice, atto da solo ad occupare un volume intiero, al termine della collezione. Se così è, tenga conto altresì dei due volumi dei Fontes Ambrosiani. I documenti storici non basta siano presentati bene, come ha fatto il V.; occorre farli valere e ciò non si ottiene se non con adatti indici.

 

 

8.-Chi, a scopo di illustrazione economica, riprendesse in mano-e perché non potrebbe far ciò lo stesso Vianello?-i rapporti intorno ai bilanci del commercio pubblicati nelle raccolte sopra annunciate e nelle altre, dovrebbe naturalmente industriarsi a ricercare: 1) quel che fu il contributo dato, dal primo bilancio del Verri all’ultimo dello Scorza, alla tecnica della registrazione delle merci entrate ed uscite, in volume ed in valore, per paesi di provenienza, per consumo e per transito. Da quel che il V. dice (p. 29), si trae che un libro intiero del bilancio Scorza registrava il commercio interno fra provincia e provincia dello stato, fra città e contado di ogni provincia. è terreno questo, sul quale assai poco si operò anche oggi, sicché la pubblicazione e l’esame critico dei bilanci Scorza riuscirebbero per fermo utilissimi; 2) quel che fu il contributo fornito alla progressiva integrazione del bilancio delle partite del dare e dell’avere internazionale, di cui il bilancio dei valori delle merci importate ed esportate è solo una parte. In quell’età del secondo settecento parecchi, dall’Ancajani al Verri al Carli ed allo Scorza, contribuirono a mettere in luce l’una o l’altra delle partite cosidette invisibili, le quali giovano a far passare dal mero bilancio del commercio a quello compiuto del dare e dell’avere internazionale; 3) quel che fu il contributo dato all’avanzamento delle idee economiche in materia di commercio internazionale. Qui, a differenza dei due primi capi, tecnico e statistico, il contributo degli scrittori italiani par minimo. Siamo, coi Verri (anche col Verri) e con i Carli, con i Beccaria e gli Scorza, in ballo sulla corda del perdere o del vincere, perdere quando si debbono mandar denari contanti fuor dello stato e vincere (il Verri adopera il verbo “vincere” invece di “guadagnare” quasi si trattasse di vincere al lotto) quando si debbono introitare contanti dall’estero. Anche se si amplia, con la considerazione delle partite invisibili, il bilancio, non ci si pone il quesito quale sia il significato di quel bilancio; se esso sia veramente identificabile col bilancio di entrata e di uscita dell’esercizio annuo di un’impresa, dove il saldo, se il bilancio è ben fatto, segnala guadagno o perdita. Nessuno si pone la domanda come un insieme di partite disposte a destra ed a sinistra di un bilancio del cosidetto dare ed avere di uno stato, ognuna delle quali partite registra una operazione vantaggiosa a chi la decise-si compra o si vende una merce perché si ritiene di aver vantaggio di denaro o di godimento a comprarla o a venderla-dia luogo ad un saldo che può essere di perdita. L’anonimo annotatore delle “Meditazioni” di Verri (Lucca, 1774), che si suole (vedi la bibliografia del Negri, p. 11 e 28) identificare col Carli-ma è Carli? la annotazione di questi al par. 19 delle “Meditazioni” non coincide con quella che vedo riprodotta allo stesso par. 19 a p. 36 della prefazione Vianello allo Scorza – ha forse il pensiero più luminoso tra gli scritti economici italiani di quel secolo:

 

 

“Ma a che serve il bilancio? A sapere se ho più pagato in denari? Si crede che uno stato perda quando paga co’ denari, e che guadagna quando dà l’istesso valore in derrate, Ma perché si perde quando si paga in denari, e non si perde ma si guadagna quando si paga l’istesso valore in derrate? Questione curiosa la cui soluzione dimostrerebbe forse che la distinzione di commercio attivo e passivo è chimerica”.

 

 

Varrebbe la pena di ricercare chi sia costui che faceva una osservazione tanto capitale. Le discorse sull’attivo e sul passivo della bilancia internazionale dei pagamenti derivano invero dall’avere immaginato gratuitamente che una delle mille e mille poste delle statistiche del dare e dell’avere internazionale, quella del denaro contante o moneta metallica, abbia un valore particolare; ed a seconda che essa si trova, per saldo a pareggio, posta a destra (avere) od a sinistra (dare) si debba parlare di saldo passivo (perdita) o di saldo attivo (guadagno) per la nazione. E perché, di grazia, par chieder l’annotatore di Verri, ficcare in quel luogo privilegiato l’oro o l’argento monetato (od in verghe) e non le scarpe od il frumento od i cavalli e perché mettersi le mani nei capelli o rallegrarsi per aver perduto o guadagnato oro e non per aver perduto o guadagnato scarpe, frumento o cavalli? Le statistiche del dare e dell’avere internazionale possono dar luogo, sì, a studi rilevanti; ma non v’ha studioso al mondo il quale non arrossirebbe oggi a porre il problema nel modo grossolano dei nostri “bilancisti” del secolo diciottesimo.

 

 

L’illustrazione critica dei documenti del secolo diciottesimo intorno alla bilancia del commercio dovrebbe essere intesa a ricercare se ed entro che limiti quegli scrittori, attraverso al velo del concetto privo di significato della bilancia del commercio abbiano visto veri problemi che vi stavan dentro e che sono quelli delle ragioni reali di scambio fra un paese e l’estero, delle possibilità astrattamente immaginabili, se pur difficilmente verificabili in concreto, di mutare queste ragioni in guisa favorevole al paese il quale pone dazi o vincoli di contingenti alle importazioni ed alle esportazioni, delle mutazioni nella struttura agraria, industriale e commerciale del paese, dell’impoverimento dei consumatori (scemato volume del commercio estero), dell’indebitamento verso l’estero (aumento delle esportazioni non bilanciato da importazioni invisibili e da creazione di crediti verso l’estero) ecc. ecc. Barlumi di tutto ciò è probabile si possano rintracciare in quegli scritti; ed un indizio è offerto dal brano luminoso dell’annotatore di Lucca al Verri che ricordai sopra; ma fa mestieri mettere in luce quei rari lampi allo scopo di dare agli scrittori nostri quel luogo che essi forse possono meritare nella storia delle dottrine sul commercio internazionale. L’elogio più frequente che veggo fatto agli economisti italiani del diciottesimo secolo è di essere stati uomini dall’orizzonte largo, di aver tenuto conto dei fattori morali politici e sociali oltrecché di quelli strettamente economici. Ma poiché lo si suol largire sovratutto a moderni confusionari, l’elogio rischia, se non se ne dimostri il significato rigoroso, di volgersi in aperto biasimo.

 

 

9.-La raccolta di rapporti e pareri monetari non consentirebbe probabilmente nei limiti suoi una illustrazione economica adeguata. Il secolo diciottesimo segna negli stati italiani, come in parecchi stranieri, il momento di passaggio dagli antichi sistemi monetari,-nei quali, accanto ad una moneta ideale od immaginaria o di conto, correvano, con nomi diversi e composte di metalli diversi, oro argento e rame, monete effettive nazionali e straniere, a corsi ufficiali o di grida ed effettivi od abusivi – al sistema monetario semplice di una sola moneta effettiva, monometallica o bimetallica, con un’unica unità, il franco o la lira o il marco, provvista di multipli e sottomultipli, che fu inaugurato dal franco francese dell’anno terzo e durò sino al 1914. I documenti ufficiali e privati di quel secolo provano l’insofferenza crescente verso i sistemi monetari correnti che si dimostravano ognor più incompatibili con la semplicità e la sicurezza delle contrattazioni, e quindi con il progresso economico.

 

 

Narrare la laboriosa gestazione del nuovo sistema monetario dovrebbe essere il frutto del lavoro da certosino di chi per parecchi anni si dedicasse a dipanare la matassa oggi inestricabile dei quesiti che la lettura dei libri e dei documenti di quel tempo pone al lettore. Non v’ha quasi pagina del bel volume messo insieme dal V. la quale non irriti-cosa che non accade per la più accostevole materia dei volumi commerciali ed annonari-il lettore desideroso di leggere intendendo bene quel che legge. O sia perché gli scrittori non indugino nell’esporre nozioni che ad essi sembravano ovvie e di cui noi non sappiamo niente o sia perché adoperino termini tecnici, di cui invano cerchiamo in manuali specialissimi od inesistenti la definizione precisa, nove volte su dieci noi dobbiamo voltar pagina senza la certezza di aver compreso bene le cose lette. L’auspicato libro sulle mutazioni monetarie in Italia nel secolo diciottesimo (ma forse lo scrittore preferirebbe incominciare da più innanzi) dovrebbe essere munito di glossari tecnici ed economici, di tabelle di rapporti fra tagli, pesi, corsi dei metalli in verghe nel commercio e in zecca e corsi ufficiali ed in abusivo, delle relative monete coniate, di tariffe di signoraggio nelle sue diverse specie. Ogni punto dovrebbe essere illustrato, astraendo dalle nozioni fatte correnti intorno ad essi. Nulla può essere accettato, senza accurata verificazione. I testi divulgati raccontano che un tempo i principi traevano entrate non piccole dal signoraggio monetario? In qual tempo? Che cosa significava realmente signoraggio? Non si confonde spesso il signoraggio o diritto di coniazione con la lega? Se una moneta è composta per un quinto di argento e quattro quinti di rame, vuol ciò dire che il principe lucrasse i quattro quinti del valore nominale della moneta? Appena ci si mette il punto interrogativo, fieri dubbi assalgono il lettore e gli fanno chiudere, per disperato, il volume. A scioglierli occorrerebbe l’economista, ferrato nella teoria monetaria moderna e nel tempo stesso atto ad inventare schemi, diversi da quelli attuali, atti a far capire i fatti del secolo diciottesimo, il quale dedicasse parecchi anni della sua vita a dipanare l’intricata matassa. Ma basterebbero alcuni anni o non sarebbe necessaria la miglior parte di una vita dedicata esclusivamente alla scienza? Chi fosse davvero ferrato nella dottrina monetaria moderna, il che vuol dire consapevole del lento processo con cui vi si giunse, possederebbe le qualità di abnegazione necessarie all’impresa, anche se la paziente attesa potesse essere allietata da escursioni e divagazioni occasionali?

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