Cortesie siderurgiche e monopolistiche
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/10/1911
Cortesie siderurgiche e monopolistiche
«La Riforma Sociale», ottobre-novembre 1911, pp. 716-717
Gli economisti farebbero meglio, se pensassero alla propria quiete, a scrivere soltanto di argomenti teorici. Finché si occupano dell’equilibrio economico e della teoria dei prezzi in un mercato puro, tutti li ammirano. Appena si mettono ad applicare i teoremi puri cominciano i guai. Menomale le contumelie si limitassero a dichiararli visionari, teorici, gente che vive colla testa nelle nuvole e che non capisce nulla delle cose di questo mondo pratico. Sarebbero contumelie sopportabili, essendo ben noto che l’economia pratica di chi chiede protezioni e favori allo Stato o vuole creare una nuova burocrazia statale è una economia sui generis, e che i suoi cultori non sono fatti per intendersi con i cultori della economia ordinaria. Sono due generi di studiosi che parlano un linguaggio diverso e che non riescono a capirsi. Noialtri riteniamo che il nostro verboè l’unico vero e che le altre sono false scienze; gli avversari ci scherniscono e dicono che noi parliamo sanscrito. In regime di libertà di opinioni tutto ciò sta benissimo. Il brutto viene quando cominciano le diffamazioni inafferrabili.
Scrivo un articolo contro i siderurgici? Giornali grossi e piccoli, politici ed economici cominciano a dire che è una vera disgrazia che gli economisti dottrinali non si accorgono di rendere, con i loro discorsi, dei servizi alla mala genia dei ribassisti. Nasce subito una teoria inspirata inconsciamente al materialismo storico, nella quale si dichiara come qualmente la scienza settentrionale torinese risente l’influenza dell’ambiente in cui si trova; e poiché nel Piemonte ed a Milano fioriscono le industrie meccaniche, anche la scienza torinese e milanese prende facilmente un abito mentale favorevole all’industria meccanica contro le industrie siderurgiche.
Mentre i sicofanti degli industriali protetti discorrono in questa guisa piacevolmente, lo studioso può ingenuamente credere di non essere reputato da tutti un pennaiolo prezzolato, perché legge sui giornali socialisti e popolari degli incoraggiamenti alla sua opera di scrittore indipendente, che non teme di partire in guerra conto potenti interessi costituiti. Purtroppo la sua era una illusione. Viene la cabala del monopolio assicurativo; e le parti si cambiano. I giornali cosidetti economisti, amici dell’industria, riportano con compiacenza le difese della libera iniziativa contro la corrotta invadenza burocratica. Chi era dianzi uno strumento cieco nelle mani delle bande nere e degli industriali meccanici diventa d’un colpo uno strumento difensore delle ragioni supreme dell’economia nazionale contro un progetto nefasto. Menomale. La soddisfazione (se pure può chiamarsi soddisfazione quella di essere ascoltato da chi l’aveva vilipeso poco prima) gli è subito guasta dagli articoli che la stampa socialista e popolare va pubblicando sui “filosofi prezzolati”, sulla “scienza assicurativa” ed altre simili piacevolezze. Saltano fuori degli scribi i quali tuttodì predicano la necessità dell’organizzazione elettorale, dei mandati imperativi imposti dagli elettori ai loro deputati, e trovano scandaloso che gli assicuratori facciano dei comizi e scrivano lettere ed inviino telegrammi ai loro deputati (dev’essere lecito telegrafare solo per chiedere ferrovie costose, aumenti di organici e stipendi, ecc.?); e di qui traggono argomento per fare tutta una insalata di studiosi di assicurazione, che sono poi viceversa avvocati e amministratori di Società d’assicurazione, e di professori scrittori di articoli o autori di relazioni antimonopolistiche a congressi economici. Naturalmente gli accenni sono fatti abilmente; non si dice che il sottoscritto o l’amico Giuseppe Prato, relatore al Congresso delle Società economiche sul monopolio assicurativo, siano avvocati pagati dalle Compagnie; ma si rileva soltanto che io ho abbandonato gli studi economici per darmi agli studi giuridici e sostenere la tesi dell’indennizzo alle Società esercenti. I sicofanti sono, comeè loro uso, bugiardi, perché l’avere scritto un unico articolo (per queste colonne, rifatto parzialmente sul Corriere della Sera) intorno all’indennità dovuta alle Società d’assicurazione, in mezzo a tanti altri puramente economici, venuti prima e poi, una significa affatto amore nuovissimo per gli studi giuridici; vuol dire soltanto, che si sono applicati i ragionamenti economici e nient’altro che ragionamenti economici ad un argomento che ha anche un aspetto giuridico. E il Prato, ne` prima ne` poi, ha avuto occasione di scrivere sul monopolio. I sicofanti fanno il loro mestiere, e scrivono come pensano.
Essendo incapaci a pensare od a scrivere qualcosa a guisa di ragionamento astratto, a chi difende od oppugna una causa, chiedono subito: e che v’interessa? A loro non cade nemmeno in mente che sia possibile difendere una causa qualunque nell’interesse pubblico; ed hanno sempre pronta la gelida e sconfortante domanda: perché parli o scrivi se non te ne viene niente in tasca? Costoro potrebbero essere lasciati guazzare nel loro brago, fino al giorno in cui osassero precisare e firmare le loro abbominevoli insinuazioni, se lo sconforto non assalisse nel vederli potenti e dominatori. Da quanti anni Edoardo Giretti battaglia contro i siderurgici? Eppure egli non ha ottenuto nulla, come non ottenni nulla io quando intervenni per una volta nel dibattito; ed i siderurgici trionfano ed hanno accoliti dappertutto. Così avverrà anche del monopolio.
Trionferanno i reazionari, i difensori della burocrazia, i nemici della libertà; e a noi non rimarrà altro conforto che di avere inutilmente difeso le cause giuste e di essere perciò stati vilipesi.