Opera Omnia Luigi Einaudi

Dazi e prezzi degli zuccheri

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 12/05/1923

Dazi e prezzi degli zuccheri

«Corriere della Sera», 12 maggio 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 228-232

 

 

Signor direttore,

 

 

L’on. Einaudi, nel commentare il recente provvedimento del governo che sospende temporaneamente il dazio doganale dello zucchero, ha fatto alcuni apprezzamenti poco benevoli verso gli industriali zuccherieri, che abbiamo il dovere di rettificare.

 

 

L’on. Einaudi ha rilevato che i prezzi dello zucchero in Italia «sono stati tenuti lontani dagli strabilianti rialzi che essi hanno avuto all’estero»; ma siccome ciò poteva essere considerato, come è effettivamente, un fatto favorevole all’industria saccarifera nazionale, si è affrettato ad aggiungere che però il consumatore italiano, «il quale, tassa interna di fabbricazione di L. 300 compresa, avrebbe potuto comperare lo zucchero estero ad un prezzo crescente da 430 a 680 lire», non ne ha goduto alcun beneficio.

 

 

Ci è facile dimostrare il contrario con le seguenti osservazioni:

 

 

a)    Nella campagna in corso (e cioè dal mese di agosto 1922 in avanti), i prezzi del granulato americano, che è il tipo di zucchero estero comparabile col nostro raffinato e più a buon mercato, hanno oscillato non da 430 a 680, ma da 525 a 680 lire, merce resa franco su vagone Genova. La media di tali prezzi è di L. 602,50 per quintale, mentre il raffinato nazionale viene venduto a L. 605.

 

 

La differenza quindi fra il prezzo dello zucchero estero e quello nazionale, nella media della campagna, è trascurabile.

 

 

Ma noi, ad abbondanza, abbiamo senz’altro ammessa l’ipotesi dell’on. Einaudi che il governo avesse sospeso interamente il dazio doganale dello zucchero fin dal mese d’agosto 1922. Ora, in quel mese, malgrado che i prezzi dello zucchero estero avessero già subito notevoli aumenti, nessun governo avrebbe potuto prendere un simile provvedimento, che nemmeno i liberisti più accesi osarono suggerire in quelle circostanze. Lo stesso on. Einaudi si sarebbe allora accontentato di una riduzione di tale dazio a 23 lire oro. (Vedasi il «Corriere della Sera» del 26 agosto 1922).

 

 

b)    I prezzi di calmiere stabiliti dal governo sulla base degli elementi di costo del prodotto nazionale, hanno consentito una stabilità dei prezzi dello zucchero al minuto, in un periodo di «strabilianti rialzi» dei prezzi dello zucchero estero. Ciò è stato di indiscutibile vantaggio per il consumatore, perché, in periodi di continue oscillazioni, i prezzi al minuto risentono rapidamente gli aumenti e assai tardi le diminuzioni.

 

 

Tutto ciò considerato, possiamo concludere che il consumatore italiano, coi prezzi di calmiere a tutti noti, ha pagato lo zucchero, nella media della campagna, ad un prezzo inferiore a quello che lo avrebbe pagato non solo con qualsiasi dei sistemi a suo tempo suggeriti dagli incontentabili critici d’oggi, ma anche se il dazio doganale fosse stato completamente sospeso fin dal mese di agosto 1922.

 

 

Non è, del resto, la prima volta che l’industria saccarifera nazionale fornisce lo zucchero a più buon mercato del prodotto estero. Durante i sei anni di gestione statale degli zuccheri (1916-1917 – 1921-1922) il prezzo medio dello zucchero nazionale, al netto della tassa di fabbricazione, fu di L. 218 per q.le, mentre quello dello zucchero estero, al netto di tutte le tasse di confine, fu di L. 237.

 

 

L’on. Einaudi fa, a nome del consumatore, un ragionamento, che confessiamo di non avere ben compreso.

 

 

Intende egli dire che gli zuccherieri dovrebbero comprare lo zucchero estero, necessario a completare il nostro fabbisogno della corrente campagna, a L. 680 per venderlo a L. 605? La cosa sarebbe così assurda, che non osiamo credere l’abbia potuta pensare.

 

 

Oppure intende egli dire che gli zuccherieri dovranno vendere tutte le loro rimanenze di raffinato della campagna in corso al prezzo stabilito di 605 lire anche ora che lo zucchero estero, non ostante la sospensione totale del dazio doganale, vale 75 lire di più per quintale? Se così è, siamo completamente d’accordo. Ma non possiamo certamente assumere noi la responsabilità di quello che potranno fare gli speculatori, coi quali l’on. Einaudi, con troppa indifferenza, confonde i produttori di zucchero quando afferma che, da febbraio u.s., e cioè da quando i prezzi dello zucchero estero sono saliti alle stelle (per poco non ci si è fatta colpa anche di questo), essi hanno lasciato mancare lo zucchero sul mercato. Ciò è assolutamente contrario a verità e noi ci meravigliamo che l’on. Einaudi, prima di fare una simile affermazione, non abbia appurato meglio la cosa. Avrebbe così saputo (e, trattandosi di un prodotto soggetto a tassa di fabbricazione, poteva rivolgersi, per questo, al ministero delle finanze) che, dal primo febbraio al 30 aprile u.s., l’industria nazionale ha consegnato al consumo circa 800.000 quintali di zucchero complessivamente e cioè, in media quintali 265.000 mensili; ciò che è assai più del normale fabbisogno del paese, che varia da 240 a 250.000 quintali per mese.

 

 

Non può essere un buon giudice colui che o non istruisce sufficientemente la causa o ha idee preconcette contro una delle parti.

 

 

Quanto al regime permanente dello zucchero, noi pensiamo che sia prematuro discuterne oggi, con oscillazioni dei prezzi dello zucchero, influenzati anche fortemente dai cambi, come quelle che lo stesso on. Einaudi ha indicato nel suo articolo (da 10 a 33 scellini per mezzo quintale nello spazio di un anno!). Fino a quando non si sia raggiunta una certa stabilità nei prezzi dello zucchero estero e nei cambi, bisognerà, purtroppo, accontentarsi di soluzioni provvisorie.

 

 

L’on. Einaudi invece, il quale, circa due mesi fa, lodava il ministro delle finanze perché aveva ridotto il dazio dello zucchero della campagna 1923-1924 da lire oro 30,60 a lire oro 21,60, ritiene ora di poter affermare che bastano senz’altro le 6 lire oro considerate sufficienti per altri paesi (non però per l’Italia) dalla convenzione di Bruxelles del 1902! Dal 1902 ad oggi molte cose sono cambiate nel mondo. I liberisti non si curano di ciò che, in materia di protezionismo, avviene negli altri paesi. Ma dovrebbe pure avere un certo valore il fatto che la Francia abbia elevato la sua protezione a favore dell’industria saccarifera da 6 a 50 franchi per quintale; che la Spagna l’abbia elevata a 40 pesetas per quintale; gli Stati uniti ad oltre 2 cents per libbra (circa 90 lire per quintale); che l’Inghilterra abbia istituito una protezione di 21 o 25 sterline per tonn. a seconda che si tratti di zucchero proveniente dalle proprie colonie o da altri paesi.

 

 

Che proprio l’Italia debba essere diventata industrialmente così potente, da potersi permettere il lusso di aprire le porte alla concorrenza straniera? La ringraziamo della ospitalità e la preghiamo di gradire i sensi della nostra maggiore considerazione.

 

Unione Zuccheri – Il Direttore

 

E. Risso

 

 

Gli zuccherieri amano fare la polemica per la polemica. Nell’articolo a cui essi rispondono, io avevo, credo, su un punto solo detto cosa che li poteva interessare a fondo ed era quanto riguardava il regime futuro degli zuccheri. Per il resto, perché si allarmano gli zuccherieri delle mie osservazioni intorno alla difficoltà di mantenere lo zucchero al prezzo concordato di 605, mentre il prezzo dello zucchero estero è di 680? Non è forse vero che la cosa è difficile e che i calmieri male combattono contro la legge economica, per cui, sullo stesso mercato, nello stesso tempo e per la stessa merce, non ci possono essere due prezzi diversi? Tuttavia, poiché essi desiderano una proposta, la quale parta dalla premessa di mantenere il prezzo a 605, preciserei l’ipotesi fatta nell’articolo in questo senso: che, provvisoriamente, fino alla comparsa sul mercato del nuovo zucchero, sia mantenuta la tassa di fabbricazione sullo zucchero interno a 300, ma sia ridotta a 225 quella sullo zucchero estero. Gli zuccherieri non perderebbero nulla, perché continuerebbero a vendere a 605, prezzo concordato. Sarebbe tolto di mezzo l’assurdo dei due prezzi, perché anche lo zucchero estero si venderebbe a 380, prezzo d’origine, più 225 tassa, totale 605. L’erario perderebbe 75 lire, ma forse meno, perché lo zucchero estero entrerebbe in maggior copia. E sarebbero mozzate le unghie agli intermediari, cosa che pare farebbe gran piacere anche agli zuccherieri.

 

 

Gli zuccherieri sono persuasi che il consumatore italiano abbia guadagnato un gran terno al lotto, assicurandosi un prezzo costante di 605 contro un prezzo variabile ed in media, secondo essi, suppergiù equivalente. Chi si contenta gode. Da parte mia, preferirei essermi fatta la media per conto mio, pagando ogni volta lo zucchero ai prezzi correnti; ché la media tra il minimo 525 e il massimo 680 può non essere affatto 602,50, tutto dipendendo dalla durata dei prezzi bassi e di quelli alti e dalle quantità vendute nei diversi tempi; ed essendo poco da fidarsi della possibilità di comperare zucchero quando il prezzo di calmiere è inferiore a quello di mercato. Da un po’ di tempo sento dire in casa che lo zucchero lo centellinano a un etto o due per volta. Sovratutto non c’è da fidarsi dei calmieri stabiliti «sulla base degli elementi di costo dei prodotti nazionali». Credo siano oramai vent’anni che agli zuccherieri apertamente dico di non riporre la minima credenza nei dati sui costi di produzione propinati, non si sa da chi, al pubblico ed ai governi; ed in tant’anni non mi è ancora accaduto di leggere conti di costo dello zucchero i quali avessero una qualsiasi forza probativa. Per averla bisognerebbe che non fossero medie, ma dati singoli, riferibili a questa o a quella fabbrica nominativamente indicata, anzi a parecchie fabbriche scelte per rappresentare le varie condizioni dell’industria, e corredati di tutte le spiegazioni occorrenti. Ho gran paura che dati di questa specie non li vedrò mai.

 

 

Il solo punto inquietante per gli zuccherieri è quello relativo al regime futuro del dazio. Lasciamo stare i paesi stranieri; ché se essi vogliono angariare il consumatore, non è questa una buona ragione per imitarli. Né la lode data al ministro che ridusse il dazio da lire oro 30,60 a 21,60 impedirebbe affatto una lode assai maggiore a chi lo riducesse a 6 lire. Dal 1902 ad oggi molte cose sono cambiate nel mondo. Certo. Oggi, ad esempio, i prezzi dello zucchero sono alti, perché la produzione mondiale è insufficiente al consumo: occasione ottima, sembra, per ridurre la protezione. Ma, sovra ogni altra cosa, dal 1902 ad oggi che cosa ha fatto l’industria nazionale? In venti anni ha o non ha fatto le ossa? Se sì, con qual faccia osa essa conservare ancora le dande che invocava quando diceva di essere bambina? Se no, non è questa la prova palmare che essa non ha meritato la protezione, concessale esclusivamente, se lo ficchino bene in testa tutti gli industriali protetti, perché essa potesse, a spese della collettività, superare il periodo di formazione?

 

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