Opera Omnia Luigi Einaudi

Del principio della ripartizione delle imposte. (A proposito di una nuova collana di economisti)

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/07/1934

Del principio della ripartizione delle imposte. (A proposito di una nuova collana di economisti)

«La Riforma Sociale», luglio-agosto 1934, pp. 427-435

Nuovi saggi, Einaudi, Torino, 1937, pp. 210-218

 

 

 

Nuova collana di economisti diretta da Giuseppe Bottai e Celestino Arena:

 

 

I. Storia delle teorie ……………………………….. – GIUSEPPE BOTTAI, Prefazione; E. CANNAN, Rassegna della teoria economica; GUSTAVO DEL VECCHIO,

Vecchie e nuove teorie economiche. A cura di CELESTINO ARENA (pagine XXII – 564. Prezzo L. 55).

II. Economisti italiani del

risorgimento ………………………………………….

– Saggi di ROMAGNOSI, MAZZINI, CATTANEO, FERRARA. Saggio di MARTELLO, Sulla teoria del valore di Ferrara. A cura di ATTILIO GARINO – CANINA (pag. XXVIII-496. Prezzo L. 50).
V. Dinamica economica …………………………. – PANTALEONI, Il sindacalismo e la realtà economica; SCHUMPETER, La teoria dello sviluppo economico; J.M. CLARK, Studi sull’economia dei costi costanti;

AMOROSO, Contributo alla teoria matematica della dinamica economica. A cura di GIOVANNI DEMARIA (pag. XII-442.

Prezzo L. 50).

VI. Cicli economici …………………………………. – GIORGIO MORTARA, Introduzione WESLEY C. MITCHELL, Fenomeni e fattori dei cicli economici; ERNST WAGEMANN Introduzione alla teoria della congiuntura economica; COSTANTINO BRESCIANI-TURRONI, Le previsioni economiche. A cura di GIORGIO MORTARA (pag. XXXVI -364 con numerose tabelle, diagrammi e grafici. Prezzo L. 45).
VII. Organizzazione industriale ……………….. – MARSHALL, Industria e commercio; BARONE, I sindacati; LIEFMANN, Cartelli, gruppi e trust; G. MASCI, Alcuni aspetti odierni dell’organizzazione e delle trasformazioni industriali. A cura di GUGLIELMO MASCI (pag. VIII-960 Prezzo L. 90).
VIII. Finanza …………………………………………. – WICKSELL, Saggi di finanza teorica; SELIGMAN, Studi sulle finanze pubbliche; STAMP, I principi fondamentali dell’imposizione in rapporto ai moderni sviluppi; Rapporto sulla finanza inglese. A cura di GINO BORGATTA (pag. XXXII – 558. Prezzo L. 60).
IX. Politica sociale …………………………………. – PIGOU, Economia del benessere. A cura di MAURO FASIANI (pag. XVI-680. Prezzo

L. 65).

X. Politica ed economia ………………………….. – ANTONIO LABRIOLA, In memoria del manifesto dei comunisti; MARX ed ENGELS, Il manifesto del partito comunista; A. LORIA, La sintesi economica; PARETO, Il capitale; MAX WEBER, Carismatica e i tipi del potere (autorità); SIMMEL, L’Intersecazione dei cerchi sociali. A cura di ROBERTO MICHELS (pag. 52-308. Prezzo L. 40).

 

 

Unione Tipografica Editrice Torinese. Torino, 1933 – 1934. (Volumi in-8° rilegati in piena tela con fregi in nero e oro).

 

 

1. – Ho pubblicato in questa rivista (1931, pag. 394-399) una non breve recensione dell’annuncio dato da Giuseppe Bottai e da Celestino Arena di una collana di economisti, la quale fosse di fatto, se non di nome, il seguito della gloriosa «Biblioteca dell’economista» diretta successivamente da Francesco Ferrara, Gerolamo Boccardo, Salvatore Cognetti De Martiis e Pasquale Jannaccone. La recensione era inspirata in parte dal timore che i curatori dei singoli volumi più che alla fatica delle traduzioni e delle edizioni attendessero a presentare sé medesimi in ampie dotte prefazioni. Così non fu. Le prefazioni non soverchiano in alcun caso gli studi contenuti in ogni volume e giovano anzi a porli acconciamente nel quadro del movimento scientifico contemporaneo.

 

 

2. – Dovrei, recensendo, ad impresa condotta a buon punto, dire partitamente di ogni volume; ma confesso di non veder di ciò la ragione. V’ha forse bisogno di dir le lodi delle opere, tutte egregie, quasi tutte meritamente celebrate e talune già divenute classiche, di cui ho riportato sopra l’elenco compiuto? Dirò invece che la nuova collana deve diventare strumento indispensabile di studio per gli italiani colti. Talvolta, nel guardare – basta guardare senza neppure voltare pagina – certa roba stampata, la quale corre sotto il titolo di economica, vengono i brividi a pensare che cosa conterrebbero fra qualche anno le teste delle nuove generazioni, se di quella roba soltanto si cibassero. Sarebbe manifesta esagerazione farsi o lasciarsi venire i brividi, ché gli studi seri finiscono per trionfare sulle chiacchiere. Ecco un uomo, il Bottai, il quale ha tenuto e tiene posti cospicui nel presente regime italiano, farsi promotore di iniziative feconde: come quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa di Pisa, e come quest’altra di una collana, colla collaborazione di un egregio studioso, l’Arena, la quale mette, a prezzi accessibili ed in solida veste editoriale (perché non fornire tuttavia ai pochi amanti del libro genuino una edizione slegata intonsa?), a disposizione degli studiosi una ottima scelta di libri fondamentali sulla nostra scienza. Si può evidentemente litigare sulla scelta. Chi ricorda la «Biblioteca dell’economista» può rimpiangere che le opere non siano sempre date integralmente, ma talvolta con tagli più o meno ampi, per costringerle entro il letto di Procuste di volumi a dimensioni fisse. Ma Ferrara aveva preceduto gli odierni curatori offrendo nella seconda serie parti o capitoli di opere troppo ampie. Ma non si possono avere dodici volumi di 500 pagine in media allo stesso prezzo a cui si sarebbero dovuti fornire volumi di 1.000 o 1.500 pagine l’uno. Ma se si dovette resecare, si diede integro l’essenziale. Ma le traduzioni sono accurate ed è quasi da meravigliarsi che tanti egregi giovani si siano sobbarcati all’ineffabile fatica di tradurre, che è, quando non riluce la speranza di scrivere un capolavoro letterario, una delle più disperate professioni che io conosca. Ma i volumi sono maneggevoli; per lo più resi di comodo uso da indici; e il vantaggio di usarli sarà moltiplicato quando, come parmi aver sentito dire, un particolare volume conterrà l’indice sistematico della intiera collana. Questa dell’indice è fatica in apparenza umile, inutilissima se compiuta da un generico, preziosissima se da un competente; fatica immane, la quale cominciò ad essere svalutata nell’ottocento e già prima nel settecento, quando in Italia a torto andò perduta la consuetudine degli amplissimi indici, di cui si inorgoglivano i volumi stampati nel cinquecento e nel seicento.

 

 

3. – Quando il volume di indici sarà fatto bene e pubblicato, si vedrà quanta materia dotta e di gran valore sia contenuta nella collana. Se un giovane od in generale una persona colta, di quelle le quali sentono interesse per i problemi economici, quasi sempre perché quei problemi toccano davvicino tutti, e le trattazioni osservate sui quotidiani lasciano insoddisfatti coloro i quali sono provveduti di curiosità critica, chiede consiglio sul libro o sui libri da leggere per orientarsi, la risposta spontanea è negativa: non leggete il tal libro perché di esso assai si discorre ed ha riscosso assai lodi, segno infallibile che esso contiene assai luoghi comuni ovverosia errori; non leggete il tal’altro libro perché scritto da un laico fissato, il quale ha scoperto la pietra filosofale per guarire la crisi; non leggete quest’altro ancora, perché opera di principiante, e coloro i quali vogliono apprendere, non possono correre il rischio di perder tempo a leggere pagine di cui il tempo solo dimostrerà se destinate a rimanere; non leggete, perché non si tratta di un libro scritto per discutere un problema oggettivamente importante ma di un titolo concorsuale destinato a provare a cinque commissari la eccellenza relativa del candidato nel discutere problemi divenuti di moda nella confraternita dei sacerdoti della scienza; non leggete perché il libro appartiene a quella che si chiama alta scienza riservata ad un ancor più scelto cenacolo di dotti. Quando poi si vorrebbe dare un consiglio positivo, in parte non si può perché il libro è esaurito come le Prefazioni di Francesco Ferrara od il Cours di Pareto e persino la modesta utilissima Introduzione di Cossa, o perché scritti in inglese od in tedesco e la persona colta non legge o legge troppo adagio quelle lingue. Restano ancora in verità parecchi bei libri acquistabili nelle maniere consuete; ma non sempre si ha la lista pronta o si teme di commettere involontariamente errore o parzialità. D’ora innanzi dirò: se volete comporvi una biblioteca scelta di opere economiche, cominciate colla «Collana» e leggetene i volumi. Non c’è tutto e l’ordine logico nell’apprendere potrebbe essere diverso, cominciando dai trattati elementari e continuando via via sistematicamente dagli schemi puri alle applicazioni via via più particolareggiate. Ma questo è metodo da usarsi nelle scuole sotto la guida di un maestro. Non c’è gran male se la persona colta proceda per assaggi ed a salti. Importa tener desto il proprio interesse e dalle letture fatte trarre stimolo a nuovi assaggi e maggiori approfondimenti.

 

 

4. – Nella collana sono parecchie le letture stimolanti: dalla storia per gruppi di concetti di quella lingua forcuta che ha nome Cannan al gran trattato di Pigou, di cui non conosco lettura più adatta a moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale, dai saggi sulla materia sfuggente della dinamica economica e sui cicli economici alla raccolta messa insieme da Roberto Michels di saggi su problemi posti al margine della economica. Ma la lingua batte dove il dente duole. Mi si darà venia se fra gli otto volumi, tutti ugualmente importanti, la mano capitò quasi da sé a scegliere quello dove son tradotte le Finanz-theoretische Untersuchungen di Knut Wicksell, di cui avevo letto, un terzo di secolo fa, per incitamento del colonnello Enrico Barone e sulla copia che egli mi aveva donato quando a Torino insegnava alla scuola di guerra, il primo saggio Intorno alla dottrina dell’incidenza delle imposte. Dopo trent’anni, quel saggio ha fruttificato; e le sue due idee fondamentali: doversi l’imposta considerare uno dei fattori i quali determinano il generale equilibrio economico, ed un fattore la cui variazione si accompagna alla variazione di tutto l’equilibrio; e doversi di ogni imposta, per sé considerata come alternativa ad altre imposte, studiare l’effetto indipendentemente dall’uso del provento dell’imposta medesima, ma non potersi da quest’uso fare astrazione quando si studiano gli effetti dell’imposta in generale. Queste due idee fondamentali, sbozzate, più la prima che la seconda, con l’intuito del pioniere dal Wicksell, sono divenute oggi patrimonio comune della scienza ed hanno avuto, soprattutto in Italia, sviluppi notevoli.

 

 

5. – Confesso però – quante più confessioni ognuno di noi dovrebbe fare se il rossore non ci trattenesse dal dir pubblicamente ciò che a mala pena osiamo ricordare in gran segreto alla nostra coscienza – che non avevo letto, perché allora non mi interessava, il secondo saggio del Wicksell, qui tradotto, Intorno ad un nuovo principio di giusta tassazione. Feci male, perché ne avrei tratto il conforto di sentirmi in ottima compagnia nella tendenza a non prendere sul serio certi cosiddetti principi di ripartizione delle imposte chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sacrificio ovverosia della capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto.

 

 

6. – Che cosa il Wicksell sostituisca alle ombre che non fur mai corpo, non è facile dire, perché anch’egli, come tant’altri eresiarchi fatti timidi dalla novità medesima delle loro concezioni, non ha osato buttare a terra del tutto l’idolo venerato dai dotti e dalla plebe. Egli dà il nome di «principio dell’interesse» od anche «delle prestazioni e contro prestazioni» a quel principio che lo Stuart Mill diceva del quid pro quo ed altri del do ut des; e la cui validità si restringe dai più al campo dei servizi divisibili coperti, almeno in parte, con “tasse” volontariamente pagate dai singoli che da quei servizi traggono beneficio. In finanza non si discute mai, osserva il Wicksell, della convenienza di fornire il nucleo sostanziale dei servizi pubblici e di sostenere il peso relativo. Per essa il consenso unanime dei componenti la collettività si può intendere acquisito. Dubbi e discussioni sorgono soltanto per le estensioni o le limitazioni alla esistente attività dello stato, ossia per le relativamente piccole variazioni di quella attività. Il cittadino teoricamente si decide a favore o contro quella variazione a seconda che ritenga che l’utilità per lui della piccola variazione in più dell’attività statale (utilità marginale dei beni pubblici) sia almeno uguale all’utilità per lui dell’ammontare corrispondente di imposta all’uopo richiestagli, misurata dall’utilità dell’uso alternativo a cui egli potrebbe dedicare l’importo dell’imposta. Il principio che è di Sax, è autonomo, ossia sufficiente a spiegare un dato metodo di ripartizione dell’onere tributario, senza uopo di ricorrere a cosiddetti principi di giustizia tributaria. Ben può darsi che fra i tanti membri della collettività, vi sia al margine un Tizio il quale, con quella ripartizione, ottiene un servizio il quale ha per lui una utilità esattamente uguale alla disutilità cagionatagli dal pagamento dell’imposta, laddove Caio e Sempronio e Mevio ottengono utilità diversamente maggiori di quella disutilità, e quindi ottengono – aggiungerei io, ché non mi consta il Wicksell esponga in tal modo il concetto – una «rendita di contribuente». Ma che per ciò? «Nessuno si può lamentare di aver ricevuto un vantaggio più grande, od almeno altrettanto grande dell’imposta sborsata» (pag. 75). Condizione necessaria e sufficiente per la scelta di un dato metodo di ripartizione dell’imposta si è che nessun contribuente paghi un ammontare di imposta che cagioni a lui un sacrificio maggiore del beneficio pure da lui ricavato dell’aggiunta di servizio pubblico reso possibile da quell’ammontare d’imposta. Nessuno deve cioè subire, secondo la terminologia da me sopra proposta, rendite negative di contribuente.

 

 

Se il principio può essere reputato conforme a note leggi economiche riguardanti la formazione del prezzo, come esso si attua, tenendo conto delle altre, pur note, caratteristiche dell’imposta: 1° non esiste libera concorrenza fra stati produttori di servizi pubblici; 2° i cittadini, consumatori dei servizi medesimi, non sono liberi di fissare il quantum dei servizi in relazione al prezzo; terzo lo stato, pur essendo il più perfetto dei monopolisti, si comporta nelle società moderne come il rappresentante della collettività dei consociati?

 

 

Qui l’apporto originale del Wicksell alla costruzione della scienza finanziaria; qui la sua aggiunta alla teoria sopra esposta, che con qualche variazione di forma può dirsi appartenere al Sax. Il Wicksell ebbe la disgrazia di esporre le sue idee teoriche sotto forma di concreti progetti di riforme costituzionali dei metodi di discutere ed approvare nei parlamenti i disegni di legge relativi a bilanci, spese ed imposte. In realtà, la teoria del Wicksell è indipendente da quelle riforme concrete e può essere esposta sotto forma di teoremi astratti e di relativi corollari pratici.

 

 

7. Teorema primo. – Esiste una connessione inscindibile fra spese ed entrate pubbliche. Nello stesso modo come il prezzo di mercato o di equilibrio è quello che rende uguali la quantità domandata (al margine il vantaggio tratto dal compratore dall’acquisto di quella unità di merce e corrispondentemente dal venditore dall’acquisto di quell’ammontare di numerario) e la quantità offerta (al margine il costo sopportato dal compratore per la perdita di quell’ammontare di numerario e corrispondentemente dal venditore per la perdita di quell’unità di merce), così l’imposta ottima o stabile o siffatta da non eccitare, in quelle condizioni, reazioni di malcontento è quella che rende per “tutti” i contribuenti almeno uguale il vantaggio del servizio pubblico al costo dell’imposta per esso pagata.

 

 

Corollario pratico. – Deve esistere un metodo di deliberazione, il quale renda evidente siffatta connessione. Il Wicksell propone che nessuna spesa pubblica possa essere deliberata dagli organi costituzionalmente competenti senza la contemporanea deliberazione di una imposta sufficiente a coprire quella spesa. Non è valida l’obbiezione che ciò riporti alla abolita specialità dei bilanci; ché la attribuzione di certe entrate a date spese sarebbe meramente contabile ed avrebbe valore solo per il momento della deliberazione (od abolizione) della spesa. Passato quel momento e finché di nuovo la convenienza della spesa e dell’imposta relativa non ritorni in discussione, entrata e spesa particolari entrano a far parte del bilancio generale.

 

 

8. – Teorema secondo. – In un sistema d’imposta ottima nessuno deve pagare imposta per un servizio pubblico da lui non apprezzato od apprezzato meno del montante dell’imposta.

 

 

Corollario pratico. – All’uopo non occorre la decisione individuale. Anche nell’economia privata le decisioni sono spesso collettive, assunte unanimemente dai componenti la famiglia o il gruppo sociale o dalla maggioranza di essi, a cui la minoranza accede per ragioni che spesso non sono di calcolo economico. Nella economia pubblica, la decisione si ottiene, secondo il Wicksell, seguendo il principio della unanimità relativa. «Esistono, sia teoricamente che praticamente, centinaia di modi di ripartire fra le classi sociali i costi di una progettata spesa pubblica: dal semplice testatico alle imposte abbastanza simili sulla farina, sul sale, sulle bevande spiritose, ecc., sino all’imposta progressiva sui redditi, sul patrimonio o di successione e sino anche alle imposte indirette di lusso. Sarà quindi sempre possibile teoricamente ed in modo approssimativo anche praticamente, di giungere ad una tale ripartizione dei costi che la spesa relativa, non appena ad essa corrisponda un’utilità superiore ai costi, venga riconosciuta conveniente da tutti…, e venga perciò approvata all’unanimità. Se ciò non fosse possibile in alcun caso, si avrebbe così una prova a posteriori, l’unica possibile, che l’attività pubblica in questione arrecherebbe alla collettività un utile non corrispondente al sacrificio necessario, e che essa dovrebbe quindi, razionalmente, essere respinta».

 

 

Lemma tecnico. – Poiché, anche nelle faccende private, la unanimità compiuta è spesso impossibile e Poiché, appena cresce alquanto il numero dei componenti il gruppo, una deliberazione diretta non è possibile, si possono adottare, per le decisioni relative alla cosa pubblica, metodi di delegazione a decidere o di mandati di fiducia (con questi si conducono a termine praticamente tutte le faccende, decisive per essi, dei gruppi economici conosciuti sotto il nome di società commerciali); e ci si può adattare ad una unanimità meno piena, ad esempio, quella dei nove decimi dei componenti la collettività. Trovare il modo con cui, con la necessaria rapidità, si possa esaurire l’esame di tutte le possibili combinazioni fra spesa ed imposta, – fra ammontari a, b, c… di una data spesa, e tipi m, n, p… di corrispondenti imposte è problema che il Wicksell considera di tecnica meccanica.

 

 

9. Teorema terzo. – In un sistema di imposta ottima nessuno deve continuare a pagare imposta per un servizio pubblico da lui oggi non più apprezzato od apprezzato meno del montante dell’imposta.

 

 

Corollario pratico. – Ciò significa che basta, ad ogni nuovo esercizio finanziario, la dichiarata opposizione della minoranza corrispondente alla maggioranza necessaria per l’approvazione, ad esempio, la opposizione di un decimo più uno dei componenti la collettività, per far cessare un dato servizio pubblico e la corrispondente imposta. A meno che si riesca a trovare un’altra combinazione fra ammontare di servizio pubblico e di imposta, la quale riesca ad ottenere il suffragio della richiesta unanimità relativa.

 

 

10. Teorema quarto. – Esistono, secondo il Wicksell, non esistono teoricamente, secondo lo scrivente, spese per le quali si deve continuare a pagare imposta, anche quando non sia più sentita la convenienza della spesa. È il caso soprattutto degli interessi del debito pubblico. Il Wicksell vuole che la creazione del debito pubblico sia circondata da specialissime guarentigie di unanimità, per evitare che le classi fornite di capitali liquidi riescano a far scegliere siffatto metodo di copertura di spese straordinarie ad esse più conveniente di quello dell’imposta straordinaria. Ma afferma che la decisione vale per tutta la vita del prestito pubblico; Né è consentito alla collettività futura di disfare l’opera di quella passata. Essendo perciò questa spesa, insieme con l’imposta relativa, sottratta alla discussione e decisione annua, manca la possibilità di scelta dell’imposta ottima; sicché occorre forzatamente rassegnarsi ad uno qualunque dei cosiddetti principi di giustizia (capacità contributiva o sacrificio), il che val quanto dire ad un principio arbitrario.

 

 

Nego la validità “teorica” dell’eccezione. Qualunque prestito pubblico, se rispondente nel momento della sua creazione ai requisiti dei teoremi precedenti, è connesso con una certa durata di tempo. Nessuna collettività, come nessun individuo, presume che la utilità di una data spesa, a cagion d’esempio, di una guerra di indipendenza, sia perpetua. Mutano gli ideali delle nazioni; ed ogni generazione deve teoricamente ritenersi capace di calcolare il tempo per il quale gli uomini successivamente viventi giudicheranno il vantaggio della conquistata indipendenza uguale all’onere dell’imposta necessaria per il servizio del prestito. Il che val quanto dire che l’imposta deve comprendere insieme con il montante degli interessi anche una rata di ammortamento. Se non vi fu errore di calcolo, i componenti la collettività lungo il periodo di tempo stabilito riputeranno unanimemente conveniente il pagamento dell’imposta in correlazione al conseguito bene dell’indipendenza. Se essi si rifiuteranno al pagamento dell’imposta, ciò teoricamente significherà che nella loro coscienza è venuta meno la consapevolezza del legame esistente fra il bene conseguito e l’imposta pagata o che essi non apprezzano più il bene dell’indipendenza, avendo a questo sostituito altri ideali, fors’anche quello della servitù. Se così sarà, come si potrà mai impedire il ripudio del debito pubblico?

 

 

Corollario pratico. – Siffatte spese, la cui utilità fu valutata in passato ed oggi si apprezza soprattutto per ricordo storico, debbono far carico al fondo generale delle imposte, ossia a quel gruppo di imposte, intorno a cui non sorge discussione quotidiana, perché accettate unanimamente dalle collettività. Per esse non dovrebbe valere il principio della ricusa da parte della minoranza minima richiesta dal corollario al teorema terzo; ma la ricusa dovrebbe essere chiesta da una minoranza assai più forte od addirittura dalla maggioranza.

 

 

11. – Alla ripresentazione, fatta qui, con la variante indicata e con la separazione fra principi teorici e corollari pratici, sento muoversi la consuetissima obbiezione: la teoria è erronea perché non conforme alla realtà. Le imposte non si distribuiscono nella maniera wickselliana; ma in conformità a molteplici criteri, assunti per considerazioni economiche, storiche, politiche, sociologiche ed altre senza fine dicendo. Fa d’uopo replicare che gli obbiettanti confondono storia e teoria? E volendo fare teoria compiuta, fanno semplicemente storia cattiva? Chi fa la storia della finanza italiana dal 1860 al 1876 deve, sì, tener conto di tutti i fattori concreti che in quel tempo e nel nostro paese influirono a determinare il sistema delle spese pubbliche e delle imposte italiane; e quella sarà, se ben condotta, storia egregia di accadimenti reali. Ma chi vuol tener conto nel costrurre teorie di tutti i fattori concreti che determinano oggi i sistemi tributari esistenti ammannisce insalate russe, le quali, assaporate sui libri, dispiacciono assai, non essendo nato sinora l’uomo di genio che quei fattori sia riuscito a dominare.

 

 

Quello del Wicksell è nettamente uno schema teorico, epperciò ho avuto cura, come l’autore non fa, di separare i teoremi, aventi valore generale e permanente, dai corollari pratici e dai lemmi tecnici i quali possono essere caduchi e mutare col mutare dei tempi. La grande preoccupazione del Wicksell è il pericolo di soprusi da parte della maggioranza a danno della minoranza, che è il vero tarlo roditore delle assemblee parlamentari. I regimi anteriori alla rivoluzione francese provvedevano alla difesa delle minoranze con complicatissimi sistemi di sballottamenti e di esclusive, a torto non abbastanza studiati dai cultori moderni del diritto pubblico. Il regime costituzionale nord americano, il quale sentì ancora l’influenza dei metodi di deliberazione d’antico regime, provvide alla tutela delle minoranze; il che vuol dire della continuità storica della nazione contro i colpi di testa delle maggioranze, col veto del presidente e soprattutto col controllo della suprema corte giudiziaria.

 

 

Tutto ciò è applicazione concreta, discutibile ed opinabile. La conquista definitiva teorica del Wicksell è altra: non esiste un principio di giustizia tributaria. La sua ricerca è uno dei tanti perditempo a cui indulgono i teorici disoccupati. Esiste invece un’ottima imposta od un ottimo sistema d’imposta, ed è quello il quale sperimentalmente in ogni singolo paese e tempo soddisfa ai requisiti dei teoremi sopra enunciati. Non è agevole vederlo attuato, ché i sistemi concretamente esistenti si dilungano più o meno tutti dall’ottimo. Ma non è impossibile, sotto il velame dei versi strani pronunciati dalla storia, dalle prepotenze di classe, dalle necessità fiscali, scorgerne le linee maestre. Di esso si occupa il teorico, nell’intento di fornire uno schema, quasi una trama sulla quale tessere poscia i variopinti arazzi rappresentativi della cangiante realtà tributaria.

Torna su