Opera Omnia Luigi Einaudi

Di una ristampa della Storia di Tooke

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1930

Di una ristampa della Storia di Tooke

«La Riforma Sociale», gennaio-febbraio 1930, pp. 103-106

Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, pp. 183-188

 

 

 

T. E. Gregory: An introduction to Tooke and Newmarch’s A History of Prices and of the State of the Circulation from 1792 to 1856 (London, P.S. King and Son, Ltd. Orchard House, Westminster, 1928, un vol. in-8° di pag. 120. Prezzo 2 sc. e 6 d.).

 

 

Questa è la sostanziosa introduzione ad uno dei libri capitali della scienza economica, che fino al 1928 molti conoscevano per sentito dire, ma pochi avevano, nonché letto, visto. In Italia ne possedeva una copia la Nazionale di Torino; e nel fondo Pantaleoni presso il ministero delle finanze avevano luogo i primi quattro volumi. Gli ultimi due, bruciati in un incendio, erano rarissimi, e la loro mancanza aveva fatto, nel comune commercio librario, crescere a poco a poco il prezzo dell’intiera opera da quello originario di Lst. 5, 18 sc. e 6 d., a 10 e poi a 12 e finalmente a 25 lire sterline. I più si contentavano di leggere Tooke nella traduzione tedesca, probabilmente abbreviata. Gli editori P. S. King e figlio di Londra, giovandosi dei moderni procedimenti fotografici, pubblicano una ristampa esatta della prima edizione dell’opera monumentale. I sei volumi originari sono legati nella ristampa in quattro soli e sono offerti in vendita al prezzo, che, in confronto a quelli di prima ed in rapporto al costo ed al rischio dell’impresa, deve essere considerato moderato, di quattro ghinee (circa quattrocento lire italiane).

 

 

Che cosa costituisce la grandezza della Storia di Tooke? Dicesi «Tooke» semplicemente, perché egli è l’autore esclusivo dei quattro primi volumi e l’ispiratore ed il collaboratore degli ultimi due, compilati da Newmarch. Gregory va a fondo nel suo giudizio finale, quando nota che Tooke e Newmarch, pur scrivendo una Storia dei prezzi dal 1792 al 1856, e pure avendo dedicato vent’anni, dal 1838 al 1857, di cure assidue alla pubblicazione ed assai più alla raccolta dei materiali di essa, pure essendo scrupolosissimi raccoglitori di dati, di prezzi, di notizie – sicché ad essi dobbiamo molto di quel che conosciamo intorno a quei due terzi di secolo – non furono né cronisti, né storici sistematici. Con che si intende, evidentemente, dire che essi non furono due studiosi professionali, i quali abbiano fatto raccolta di notizie in archivi, su giornali, su carte manoscritte e in colloqui, e abbiano «serenamente» esposto i risultati delle loro indagini «obbiettive», così come fa o presume di fare lo storico, che è o potrebbe essere un cattedratico. Tooke (1774-1858) era un mercante, socio di una ditta specializzata nei commerci con la Russia; Newmarch (1820-1882) fu segretario di una società di assicurazione e di una nota banca privata. Amendue avevano un carattere battagliero e presero parte viva alle controversie memorabili dibattute nella prima metà del secolo scorso tra la scuola metallica e quella bancaria. Le 3.000 pagine della Storia furono la catapulta con cui i due autori cercarono di smantellare le muraglie poderose del fortilizio creato coll’Atto di Peel del 1844 e da altri pugnacissimi e tenacissimi uomini, i quali anch’essi, solo per eccezione, erano di origine accademica. I banchieri Davide Ricardo, S. I, Loyd (poi Lord Overstone) e Gilbart, il mercante Thornton, il colonnello Torrens, il funzionario James Pennington, i governatori e direttori della Banca d’Inghilterra G. W Norman, Horsley Palmer e George Grote (più noto quest’ultimo per la Storia Greca, a cui dava opera nelle horae subsecivae), il maggiore Fullarton, questi furono i creatori della teoria monetaria e bancaria classica e gli anticipatori delle moderne più raffinate teorie dei Cassell, degli Hawtrey, dei Wicksell, dei Keynes, dei Robertson. Essi guerreggiavano a colpi di tracts o pamphlets, noi diremmo a colpi di opuscoli od articoli di «occasione» o di «attualità». Vi sono, in Italia, talvolta giudici di concorsi universitari, i quali usano eliminare un «titolo» perché concernente argomenti di attualità e non redatto secondo le buone regole della sistematica accademica, premesse, ragionamento, teoremi, bibliografia e tutto il resto dell’apparato scientifico normale. Quei giudici hanno quasi sempre, e poco manca in verità a poter dir «sempre», ragione; ma per un motivo diverso da quello addotto: l’articolo di attualità essendo per lo più, se ben condotto, puramente divulgativo, o espositivo, e ancor più frequentemente essendo la prova provata dell’ignoranza di chi lo scrisse.

 

 

Ma l’argomento in sé non serve alla condanna. Perché, copio da Gregory, la grande gloria della letteratura economica inglese furono i suoi pamfletisti che si chiamano Defoe e Dudley North, Ricardo e Malthus, Jevons e Keynes. E, si può aggiungere, il libro di Serra non fu una specie di opuscolo di attualità, e tali non possono forse essere considerati il Discorso di Bandini e la Moneta di Galiani? Il nostro grande Ferrara non fu un grande polemista, e che cosa sono le sue Prefazioni, se non opuscoli polemici scritti ad occasione della stampa di opere altrui e provocati dal fermento di idee e dal contrasto di indirizzi del risorgimento italiano? La Storia di Tooke è uno sterminato opuscolo polemico scagliato, lungo un ventennio, a puntate di 300 e di 700 pagine l’una, contro avversari che essi odiavano e vilipendevano rabbiosamente, sia perché sostenitori di errori, sia, e sovrattutto, perché quegli errori erano riusciti a tradurre in norme di legge, nel celebre Atto bancario di Peel del 1844. Quest’Atto, agli occhi di Tooke, era sbagliato da tutti i punti di vista, «uno dei più pazzi, sconsigliati, pedanteschi e impronti esempi di legislazione che io abbia mai osservato», «una escrescenza deforme, creata per mettere in pericolo la continuità ed impedire e scompigliare il funzionamento dei provvedimenti del 1819», un qualcosa che l’esperienza dimostrò essere «un compiuto, assoluto, non compensato e nei suoi effetti lamentevole insuccesso». Dopo i quali vituperi, l’Atto di Peel rimane, nelle linee essenziali, vivo ancor oggi.

 

 

Frattanto, attraverso al magnifico torneo di opuscoli polemici di banchieri e mercanti ed ex-militari, si costruiva l’edificio stupendo della teoria economica. Non conosco, eccetto forse la Literature of Political Economy, tutta pervasa del malignissimo fiele proprio dei discepoli idolatri di un grande maestro (qui il discepolo era il cocciuto, ristretto, ma dotto e ragionatore Mac Culloch ed il maestro era Ricardo), libro che dia meglio della Storia di Tooke e Newmarch la viva sensazione delle controversie, degli attacchi e contro attacchi che si susseguirono dal 1800 al 1857, e da cui uscì fuori il corpo delle dottrine attualmente ricevute, o ringiovanite, o ridiscusse. Controversie non combattute nel campo sociale, tra operai e padroni, tra individualisti e socialisti, pro e contro la legge sui poveri, che è quello nel quale soltanto si immagina comunemente possano aver luogo le lotte vive, sino al furore di parte o di classe o di setta; sibbene sul terreno tecnico, frigidamente astratto dei cambi, aggi, prezzi, moneta, saggio di sconto, bilancia commerciale e dei pagamenti. A farne apprezzare l’incomparabile importanza storica e presente assai gioverà la Introduzione del professor Gregory, la quale può essere acquistata a parte in estratto per assai modica somma, ed è, essa medesima, un contributo di prim’ordine alla storia delle dottrine monetarie e bancarie, ripensate alla luce degli sviluppi teorici e degli accadimenti che ebbero luogo dal 1857 in qua. La Introduzione, che è tutta succo e non si può sunteggiare, vuole dirci quel che Tooke e Newmarch pensarono nella Storia, negli altri loro scritti e negli interrogatori sostenuti dinnanzi alle Commissioni d’inchiesta intorno ai problemi del tempo loro. Il Gregory chiarisce in maniera, parmi, definitiva parecchie cose. In primo luogo che il Tooke, lungo la sua operosa battaglia, a poco a poco mutò vedute, spostando il punto di attacco contro gli avversari a mano a mano che gli avvenimenti mutavano la situazione. Sempre negò che i prezzi variassero principalmente in funzione della quantità di moneta in circolazione; sempre negò la saggezza delle norme rigidamente restrittive imposte nel 1844 alla circolazione fiduciaria. Ma nell’insistere per una maggiore elasticità, egli spostò le cifre; e laddove nel 1840 si era fatto avvocato di un minino di 5 milioni di lire sterline di riserva metallica e di un massimo di 15, nel 1848 le sue cifre erano 6 e 18, e queste cifre empiriche collegò con l’uso di una politica di variazioni del saggio dello sconto e di compra-vendita di titoli (che ora traduconsi in «operazioni di mercato aperto», che è versione la quale non dice nulla al lettore italiano, difficilmente portato a sospettare che quelle parole misteriose, adoperate a proposito degli Istituti di emissione, significhino nulla più del vendere e comperare titoli e cambiali, allo scopo di sottrarre, col vendere, o dare, col comperare, fondi liquidi al mercato; compra-vendita che negli Stati Uniti chiamasi «operazione di mercato aperto», perché la sola che gli Istituti di emissione, detti laggiù Banche federali di riserva, possano liberamente fare con chiunque, col pubblico in generale, sul mercato libero, laddove tutte le altre operazioni di depositi, sconti, anticipazioni, ecc., da quegli Istituti possono essere fatte solo con le Banche affiliate, ossia con quelle che noi diciamo Banche ordinarie), che egli teorizzò dalla pratica già invalsa, ma da lui sistematizzata e spiegata. In secondo luogo, che la esposizione stereotipa delle dottrine delle due scuole, metallica (Currency School) e bancaria (Banking School), la quale corre per i manuali, deve essere buttata via; che ognuno dei contendenti aveva una dottrina sua, sicché, ad es., in seno alla scuola bancaria, Fullarton diceva altre cose da Tooke e amendue differivano da Gilbart. In terzo luogo, che le idee più feconde germinate da quelle discussioni non furono quelle intorno a cui i contendenti più si accanivano, ma altre che essi esposero, i contemporanei trascurarono, ed essi stessi non vi insistettero, ché gli assalti rabbiosi degli avversari li trascinarono ad altra meta e toccò ai moderni farle rivivere, talvolta con poca riconoscenza verso i primi formulatori. È una vera gioia dello spirito riscoprire, colla guida dei brevi sapienti cenni fatti dal Gregory in nota o di scorcio nel testo, in Pennington (1827) lo scopritore della modernissima teoria che assimila i depositi bancari alla circolazione cartacea; in Tooke medesimo il formulatore della moderna teoria che spiega le variazioni dei prezzi con le variazioni del reddito; in Thornton (l802) la prima limpidissima condanna della teoria che ci siamo trovata tra i piedi tante volte durante e dopo la guerra, secondo cui la Banca non potrebbe mai far male quando si limitasse ad emettere biglietti per soddisfare ai genuini, solidi bisogni della industria e del commercio; in Tooke di nuovo il confutatore della teoria secondo cui le riserve metalliche potrebbero essere pompate all’infinito dall’estero, alla quale egli opponeva la teoria del carattere autoeliminatore delle esportazioni di metallo, prima formulazione della moderna tesi che la bilancia dei pagamenti non è una variabile indipendente, ma una funzione della politica monetaria. Mi interrompo, per non essere tentato a riprodurre tutto il finissimo ricamo storico del Gregory, degna prefazione di quel gioiello, voluminoso e non sfaccettato e non rifinito, ma gioiello vero, che è la History di Tooke e Newmarch. Storia, materiale per lo storico, pascolo stupendo e fiorito per il teorico, arnese di guerra per l’odierno polemista monetario, tutto questo è il libro di Tooke. Di averlo risuscitato e messo nuovamente a disposizione di tutti gli studiosi del mondo, dobbiamo veramente essere grati agli editori.

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