Opera Omnia Luigi Einaudi

Dove cominciare

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/07/1923

Dove cominciare

«Corriere della Sera», 29 luglio 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 311-314

 

 

 

Mentre ferve l’opera di ringiovanimento dei ruoli dei contribuenti all’imposta di ricchezza mobile – e l’aumento da 1.060,8 nel 1921-1922 a 1.325,3 milioni di lire nel 1922-1223 annunciato recentemente dall’on. De Stefani prova l’alacrità dell’opera compiuta – si inizia la revisione dell’imposta sui fondi rustici e di quella sui fabbricati.

 

 

Premetto che questo è davvero l’ordine della battaglia che deve essere combattuta. Battaglia in senso metaforico, perché non ci sono vincitori né vinti, e lo scopo è puramente quello di una migliore ripartizione del carico tributario.

 

 

Dico che è bene cominciare, come si fa, dalle tre imposte dirette; e non dalla istituzione della complementare progressiva sul reddito. In primo luogo, perché sarebbe illogico mandare in giro la finanza col cappello nuovo della complementare e colle scarpe rotte delle imposte normali di base. Se non si conoscono singolarmente i redditi terrieri, edilizi e mobiliari di Tizio, come si può tassare Tizio sul suo reddito intiero, che è la somma dei tre? In secondo luogo, è insoluto tuttora il problema del modo di tassare i redditi che non figurano sui ruoli delle tre imposte base (redditi esteri e redditi di titoli di stato) o che, dopo avervi figurato al nome di società od enti ed essere stati tassati fino all’ultimo centesimo dalle tre imposte base, si rendono invisibili, attraverso ai titoli al portatore, ai fini della complementare sul reddito. Finché questo problema sia insoluto, l’istituzione della complementare in un paese come l’Italia restio ai giuramenti ed alle inquisizioni, sarebbe fonte di ingiustizie non meno gravi di quelle per cui fu abolita la successoria. Come dissi già, vedo l’unico rimedio nella trasformazione dell’imposta sul reddito complessivo in una imposta sulla spesa complessiva, tipo antica imposta di famiglia.

 

 

L’on. De Stefani conosce assai bene, e ricordo di lui un preciso articolo in merito dell’estate scorsa, le ragioni teoriche di giustizia che militano in favore della tesi. Quanto alle ragioni pratiche, ecco quanto mi scrive un uomo praticissimo del cuore umano e delle abitudini italiane, essendo sempre vissuto in quell’osservatorio di prim’ordine che è la direzione di una banca:

 

 

«La imposta sul reddito è troppo «inglese» e vorrebbe, per essere appena appena seria, abitudini e sistemi entrati fin dall’inizio capitalistico moderno nella carne e nel sangue, come in Inghilterra. Agli Stati uniti, dove fu introdotta da pochi anni, è un’ira di Dio e un mostro di elusioni. La imposta sulla spesa, priva di quelle indagini inquisitoriali che rendono tremendamente malvise le imposte che vi ricorrono, è adatta all’indole nostra, si imbranca bene colla tendenza meridionale dell’«apparire» e del pagare per il piacere di «farsi vedere». Oltre essere applicabile con giustizia, è una imposta che premia, almeno una volta tanto, chi risparmia. E l’Italia, paese povero, che ha quasi unica forza uomini e risparmi, ha ben bisogno di spingere al risparmio!».

 

 

Guai, aggiungo io, se fossero applicati di punto in bianco tutti gli istituti della complementare sul reddito di cui quelli della tassazione degli incrementi di valore (disciplinati dagli art. 72 e sgg.) sono davvero nimicissimi dei risparmi e creatori di nuove manomorte!

 

 

Dunque, mentre si studia la via da tenere nel bivio tra l’imposta sul reddito e quella sulla spesa complessiva (quest’ultima indipendente dalle tre imposte base, dai loro eventuali difetti ed immune da evasioni per i valori al portatore, perché fondata su indici intieramente differenti), l’ordine della battaglia porta a puntare verso i terreni ed i fabbricati.

 

 

Per i primi la via è già tracciata. La revisione dei redditi fondiari catastali è in corso e consentirà anche, col 1925, di dare un assetto razionale all’imposta sui redditi agrari, che oggi fu repartita col metodo illogico dell’imposta di ricchezza mobile. Rispetto alla revisione dei redditi catastali in corso avrei un solo desiderio da esprimere, finché si è in tempo – ed il tempo si chiude, parmi, coll’agosto -: che la collaborazione chiesta alle commissioni censuarie comunali e provinciali sia seria ed efficace.

 

 

Oggi, se il ministro non dà ordini precisi, le commissioni potrebbero stare a casa, ché non possono far nulla. L’amministrazione ha comunicato loro, qualche tempo fa, un foglietto su cui sono scritte certe cifre, per esempio 100 lire per ettaro per seminativo semplice di prima classe, 80 per la seconda classe, 60 per la terza classe e 40 per la quarta classe. Queste sarebbero le rendite catastali fissate dall’amministrazione. E punto lì. Le commissioni censuarie, le quali dovrebbero valutare la ragionevolezza di quelle cifre, non sanno da che parte cominciare.

 

 

Poche sanno che quelle cifre sono cifre nette in lire oro, e si riferiscono ai redditi di ante guerra. Nulla si sa delle ragioni per cui dai redditi di 80, 60, 40 e 20 del catasto nuovo vigente (supponiamo di trovarci in province a catasto nuovo) si passa a 100, 80, 60 e 40. Fu aumento di prezzi e quale? Fu aumento di produzione lorda? Fu miglioramento nei mezzi di trasporto? Perché le commissioni censuarie possano dare un giudizio utile, è assolutamente necessario che l’amministrazione del catasto accompagni l’elenco muto di cifre con una relazione esplicativa la quale dia ragione dei risultati raggiunti e dimostri che essi sono corretti e perequati con le finitime zone agrarie e bene inquadrati in un sistema generale. Altrimenti sarebbe bene eseguire la revisione sotto la piena ed esclusiva responsabilità dell’ufficio centrale del catasto.

 

 

Per i fabbricati, una linea d’azione è stata scelta. Si procede innanzi alla spicciolata con revisioni singole, fondandosi sulla norma di legge la quale dà diritto alla Finanza di rivedere le stime quando il reddito sia aumentato di più del terzo. Ma già il ministro ha annunciato la revisione generale ed ha fatto bene, perché, in tempi di moneta svalutata, tutti i redditi sono aumentati di più del terzo e le revisioni parziali sembrano arbitrarie.

 

 

Ma, enunciato il principio, sorgono dubbi senza fine. A qual epoca riferiremo le nuove valutazioni: all’ante guerra (1914), come si fa per i terreni, per cui i redditi si valutano in lire oro, o al momento attuale, valutandoli in lire carta? Se si adotta il secondo sistema, non si corre il rischio di cristallizzare un valore che potrebbe essere transitorio? Ma è possibile accogliere il criterio delle lire oro quando i fitti sono tuttora vincolati da giudizi arbitrali e i fitti in lire carta non seguono le oscillazioni dell’oro? I prezzi delle derrate agrarie sono liberi; i fitti no. Attenderemo dunque che la lira si sia stabilizzata e, nel frattempo, procederemo ad aumenti automatici? Le associazioni dei proprietari di case, sembra, propenderebbero per questi ultimi: né l’idea sarebbe a priori respinta dall’amministrazione. Qualunque sia la soluzione adottata, che cosa faremo delle aliquote, le quali, comprese le sovrimposte, giungono oggi all’80, al 100, al 200, al 300, al 1.000% del reddito imponibile? Non si esagera dicendo che l’impressione di queste aliquote è deleteria; e che alla riduzione dell’aliquota totale, complessiva ad un massimo del 25%, è subordinata la soluzione di tutti gli altri problemi. L’aliquota alta fa temere la confisca, vieta il credito, spinge al rialzo dei fitti, porta ai contratti falsi, contrae l’imponibile. Di qui bisogna cominciare.

 

Torna su