Opera Omnia Luigi Einaudi

Due anni di sciopero in Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 05/10/1904

Due anni di sciopero in Italia

«Corriere della sera», 5 ottobre 1904

 

 

 

La statistica italiana ha saputo acquistarsi fama di tardigrada per eccellenza. Dopo un periodo di meravigliosa attività col Bodio, essa ha cominciato a sonnecchiare. L’annuario statistico, che in tutti i paesi che si rispettano esce alla luce ogni anno, in Italia invece fa la sua comparsa ogni quattro anni. Pochi mesi fa è comparso quello del 1904, in cui spesso i dati si fermano però al 1901 o al 1902. Comprendiamo che la colpa non è tutta della Direzione generale della statistica, ma piuttosto della carestia di fondi ond’essa è travagliata; epperciò facciamo plauso alla buona idea che da un po’ di tempo ha messo in pratica: di pubblicare, in attesa dei volumi completi di là da venire, un sunto di essi. È un compenso un po’magro; ma è meglio di niente. È così che nell’ultimo numero del Bollettino del Ministero di agricoltura abbiamo potuto leggere un riassunto della futura statistica degli scioperi per il 1902 e il 1903. L’Ufficio del lavoro francese ha pubblicato di questi giorni un grosso volume sugli scioperi del 1903. Noi dobbiamo contentarci invece di ricavare qualche dato interessante da poche pagine. Dalle quali una cosa principale si rileva e quella la si sapeva di già: che cioè gli scioperi sono in ribasso, s’intende astrazion fatta dagli scioperi generali politici di recente e non lieta esperienza. Nel 1902 gli scioperi industriali erano stati 780; nel 1903 si ridussero a 528. Il numero degli scioperanti da 177 mila si riduce a 106 mila. Per compenso cresce in proporzione il numero delle sconfitte operaie. Nel 1902 ben 163 scioperi avevano esito in tutto favorevole agli operai, 350 favorevole in parte e 255 esito contrario. Nel 1903 gli esiti favorevoli in tutto sono appena 101, i favorevoli in parte 183 e i contrari 233. La bilancia si è recisamente spostata verso l’insuccesso. Le giornate di lavoro perdute da 2.315.358 si riducono a 1.520.602.

 

 

È un bel totale di sofferenze e di perdite. Il massimo numero di scioperanti spetta alla Lombardia: 70 mila nel 1902 e 29 mila nel 1903. Il secondo posto nel 1902 spettava alla Toscana con 29 mila, il quarto all’Emilia con 18 mila, il quinto alla Campania con 12.929, il sesto al Piemonte con 12.216 e il settimo alla Liguria con 9.341. Nel 1903 l’epidemia ha cambiato un po’ sede. Al secondo posto viene la Sicilia con quasi 18 mila, al terzo la Liguria con 12.646, al quarto l’Emilia con 9.591, e al quinto il Piemonte con 8.997. Nessuna regione – fuor della Basilicata spopolantesi – è assente da questa statistica; ma nel 1902 gli Abruzzi e Molise aveano avuto appena 18 scioperanti e le Calabrie 90; nel 1903 le Calabrie è discesa a 39, ma gli Abruzzi sono saliti a 416.

 

 

Verità vecchie trovano riconferma nelle recenti cifre: ad esempio il fatto che gli operai si curano poco di lavorare meno ore e preferiscono guadagnare di più. 455 scioperi nel 1902 e 263 nel 1903 erano stati cagionati dalla domanda di un aumento di salario; solo 49 e 33 avevano per iscopo una diminuzione delle ore di lavoro. Sono questi scioperi di miglioramento e scemano dal primo al secondo anno. Invece crescono gli scioperi che si potrebbero chiamare contro il peggioramento delle condizioni di vita dell’operaio; ossia gli scioperi fatti per resistere ad una diminuzione di salario. Erano 27 nel 1902 e diventarono 42 nel 1903, interessando rispettivamente 3.188 e 4.081 operai. Sono questi gli scioperi in cui agli operai riesce più difficile lo spuntarla contro i padroni. Nel 1903 appena in sei casi 624 operai ottennero vittoria completa; in 16 casi 1.705 operai dovettero parzialmente battere in ritirata e in 20 casi 2.112 operai furono sconfitti del tutto. Egli è che alle Leghe ed agli operai non è dato cambiare la corrente del mercato; e se gli imprenditori si intestano a voler pagare salari minori di prima, in questi tempi di rivendicazioni popolari, è segno che tirano davvero la vita coi denti.

 

 

Nell’industria abbiamo visto una discesa, forte bensì, ma non straordinaria del numero degli scioperi. Nell’agricoltura si precipita. Da 228 scioperi e 128.520 scioperanti nel 1902 si casca a 45 scioperi e 20.747 scioperanti.

 

 

Nel 1902 vi erano 12 regioni su 16 che avevano avuto il privilegio degli scioperi agricoli. Mancavano solo la Liguria, le Marche, gli Abruzzi e Molise, e la Sardegna. Nel 1903 si aggiungono alle regioni immuni il Veneto, la Campania, la Basilicata e le Calabrie. Ed anche nelle altre regioni che debacle dello spirito di sciopero! Nel Piemonte da 10.685 si scende a 740 scioperanti, in Lombardia da 20.372 a 1.142. nella Toscana da 6.592 a 40, nell’Umbria da 15.758 a 2.900, nel Lazio da 1.135 a 400, nelle Puglie da 18.782 a 27, in Sicilia da 2.630 a 400. Solo l’Emilia tiene un po’ duro, e pur discendendo da 43.779 a 15.098, si mantiene ad una cifra elevata di scioperanti, circa i due terzi di tutta l’Italia agricola. Dopo tutto la cosa è ragionevole; perché una volta vincitori o sconfitti, non c’è sugo a ripetere subito la battaglia. Era a temersi però che l’esempio fosse contagioso, e che, se non gli stessi, altri scioperassero per contagio.

 

 

Forse a raffrenare la mania concorse il cattivo esito di molti scioperi e le moltissime giornate perdute. Queste furono 1.623.525 nel 1902; e a 35 casi di felice esito si contrappongono 95 casi di esito dubbio e 93 di esito contrario. Nel 1903 sui 45 scioperi, appena 8 riuscirono bene agli operai, 23 rimasero dubbi e 13 contrari. Le giornate di lavoro perdute furono 309 mila.

 

 

La statistica italiana non fa conto dei guadagni ottenuti dai lavoratori in conseguenza degli scioperi. È un’indagine difficilissima a farsi e quasi sempre arbitraria; sicché ha fatto benissimo la direzione generale della statistica a non imprimere il suggello ufficiale sui famosi 40 o 50 milioni di guadagno annunciati alla Camera dall’on. Giolitti. Ad ogni modo manca così un dato essenziale per un giudizio definitivo sugli scioperi italiani dei due ultimi anni. Sembra che gli operai, dopo un primo slancio, si siano fermati ed abbiano saviamente pensato che per ottenere nuove migliorie era necessario lasciare pigliare un po’ di fiato al capitale ed evitare di stremarlo troppo. La qual cosa testimonierebbe del buon senso degli operai italiani, se ad intorbidare queste tendenze pacifiche nel campo economico non intervenisse di tratto in tratto la politica. Speriamo però che questa non sia riuscita a mutare nel 1904 la tendenza fondamentale del nostro paese in materia di scioperi, che in questo momento è verso la diminuzione; come pure è del resto in Inghilterra, in Germania ed in altri paesi ancora. Una differenza pur troppo vi è fra il nostro e questi altri paesi: dove gli scioperi in notevole parte diminuiscono per l’affermarsi della pratica della conciliazione e dell’arbitrato, mentre da noi scarso cammino si è fatto su tal via.

 

 

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