Opera Omnia Luigi Einaudi

Due secoli di prezzi dei generi alimentari a Milano

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 18/09/1909

Due secoli di prezzi dei generi alimentari a Milano

«Corriere della sera», 18 settembre 1909

 

 

 

Il cav. Gaspare Ravizza, capo dell’ufficio di ragioneria milanese, ha avuto una ottima idea, della quale gli saranno grati non i soli cittadini della metropoli lombarda, ma gli studiosi tutti della storia economica italiana: di riunire in un breve fascicolo, illustrato da opportuni diagrammi, le vicende dei prezzi del frumento dal 1700 al 1908 e del pane, del costo di panificazione, del vino, della carne di manzo e di maiale, del burro e del riso dal 1800 al 1908 risultanti dalle mercuriali del mercato di Milano.

 

 

In questi tempi di agitazione contro il caro dei viveri, una siffatta raccolta di dati statistici riesce singolarmente interessante e suggestiva.

 

 

Per il frumento risaliamo al 1700, coprendo tutto un secolo (il XVIII), di più che per gli altri generi alimentari. Si può indicare all’ingrosso il carattere dei prezzi in quel secolo dicendo che esso fu, sino al 1793, un periodo di prezzi bassi, sovratutto fino al 1770, in cui, salvo punte occasionali, determinate da carestie locali, il prezzo si aggirava sulle 15 lire al quintale, precipitando persino, nel 1724, a 7.95 lire al quintale. I torbidi della rivoluzione, le guerre napoleoniche, l’emissione da parte di tutti i governi di carta moneta deprezzata, fecero fare un gran salto ai prezzi del frumento negli anni che volsero intorno al 1800. Nel 1792 il prezzo è ancora di L. 19.96 al quintale, ma nel 1793 sale a 26.60, nel 1799 è a 30.27, nel 1800 a 46.12 e tocca il massimo nel 1801 con L. 51.77 al quintale. Soltanto nel 1808 e 1809 i prezzi diventarono moderati (L. 19.34 e 18.93 al quintale); ma in tutti gli altri anni del periodo napoleonico siamo a prezzi altissimi, quasi sempre superiori a 30 lire il quintale. Nel 1815-17 tocchiamo di nuovo dei massimi, di L. 40.24 nel 1815, di lire 48.69 nel 1816 e di L. 43.35 nel 1817. Coloro che si lamentano delle 30 lire al quintale odierne – e con ragione, in quanto esse dipendono in parte da cause artificiose – pensino quali dovevano essere le sofferenze dei popoli nell’epoca tormentata che corse dal 1793 al 1817, con salari e guadagni di tanto più bassi di quelli attuali! Dopo la restaurazione, le vicende del prezzo del frumento si possono dividere in quattro periodi: 1) di relativa stabilità e moderazione, dal 1718 al 1846, in cui i prezzi oscillano tra un minimo di L. 16.21 nel 1825 ed un massimo di lire 27.56 nel 1837, con la tendenza a battere sulla media di L. 20 a 25 il quintale. È questo il periodo che ha formato la mentalità agraria dei nostri nonni, i quali finirono per persuadersi che il prezzo di lire 25 al quintale fosse qualche cosa di simile ad una legge di natura, fosse il prezzo naturale e giusto, perché nelle condizioni della tecnica agricola e dei salari agricoli di quei tempi, a prezzo normale di L. 25, l’agricoltura non aveva fatto grandi guadagni, ma non aveva nemmeno perduto; 2) di brusche variazioni e di rialzi notevolissimi, durato dal 1847 al 1874. Le guerre frequenti, l’apertura di ferrovie e di linee di navigazione, che misero in contatto il ristretto mercato locale coi mercati mondiali, il crescere della produzione dei metalli preziosi sono i fatti principali che spiegano la mutabilità ed il rialzo dei prezzi del grano in quest’epoca. Nel 1847 siamo a L. 34.81 e nel 1848 a L. 30.75 al quintale; nel 1851 si discende a L. 20.32, ma nel 1854 si risale a L. 38.32. Nel 1858 precipitiamo a L. 22.89, ma nel 1861 si è già a 29.75. Il periodo dal 1861 al 1874 fu l’età d’oro del produttore di grani ed il ricordo non ne è punto lieto per i consumatori. Il prezzo del grano si mantenne quasi sempre elevatissimo, giungendo sino al massimo di Lire 40.28 al quintale nel 1874; mentre il pane toccava i 58 centesimi per chilogr.; 3) di discesa continua dal 1874 al 1894. Il rialzo grandissimo verificatosi nel periodo anteriore aveva provocato l’estendersi della cultura a grano nei paesi nuovi, gli Stati Uniti, l’Argentina, la Russia, l’India, il Canadà, ecc.; ed il perfezionamento nei mezzi di trasporto consentì che il grano d’oltre mare venisse trasportato a costi bassissimi nei paesi della vecchia Europa. Se si aggiunga la rarefazione compiutasi in questo frattempo della quantità di moneta circolare per causa della smonetizzazione dell’argento, si avranno i principali fattori che spiegano il ribasso, pressoché continuo, dei prezzi del frumento da L. 40.28 nel 1874 al L. 18.79 nel 1894. Il ribasso sarebbe stato ancor più sensibile, giungendosi forse alle L. 10-12 al quintale (i prezzi normali dei primi decenni del settecento!), se gli agricoltori non avessero ottenuto che il Governo opponesse l’alta barriera del dazio sul grano contro l’introduzione del grano straniero; 4) di ripresa, dal 1895 ai giorni nostri. Nel 1895 il prezzo medio è di L. 21.82, nel 1905 è di 26.75, nel 1906 di L. 25.87, nel 1907 di L. 26 e nel 1908 di L. 29.32. Fino a qual segno questa nuova tendenza ci abbia a portare non si può agevolmente prevedere. Certo essa è una tendenza dovuta a cause profonde: il progressivo esaurimento delle terre vergini, il rialzo nel costo di produzione delle terre marginali, l’aumento nel consumo dei cereali superiori, il fiotto crescente di oro che esce dalle miniere del Transvaal e che spinge all’insù tutti i prezzi. Noi siamo ancor lontani dai massimi del 1874 (L. 40.28 al quintale), e del 1801 (L. 61.77); né è da augurare che quei massimi si abbiano di nuovo a toccare. Una valvola di sicurezza contro quei massimi l’abbiamo nella possibilità dell’abolizione duratura del dazio sul grano che farebbe precipitare i prezzi nell’interno d’Italia di L. 7.50 al quintale.

 

 

Poiché una volta il frumento era la base fondamentale dell’alimentazione umana, si comprende come più ricche siano le notizie esistenti a suo riguardo nei secoli andati. Per gli altri generi alimentari le statistiche del comune di Milano non vanno oltre al 1800; ma non per questo sono meno interessanti. Per non andare troppo per le lunghe noi non rifaremo per ognuna delle altre voci tutta la storia dei prezzi nel secolo XIX. Ecco invece sintetizzati in una tabella i punti cardinali di quella storia:

 

 

Vino ettol.

Carne

Burro kg.

Riso quint.

di manzo kg.

di maiale kg.

1801-805

31.31

0.85

1.12

1.63

39.43

1821-825

33.79

0.80

1.26

1.56

33.63

1861-865

58.22

1.10

1.39

2.07

36.97

1871-875

56.04

1.54

2.03

2.75

42.49

1891-895

57.04

1.52

1.90

2.37

40.32

1896-900

53.06

1.59

1.82

2.37

42.30

1901-905

53.79

1.60

1.87

2.46

39.40

1906

62.93

1.40

2.05

2.45

39.80

1907

46.50

1.55

2.35

2.60

39.50

1908

46.50

1.64

2.35

3.10

41.23

 

 

Che la vita tenda a diventar più cara sembra evidente. Chi guardi la tabella troverà forse una parziale spiegazione del detto così frequente: si stava meglio quando di stava peggio, nella tenuità dei prezzi dei primi tempi della dominazione austriaca. Il quinquennio 1821-25 fu invero per molte cause uno dei periodi di prezzi più bassi di tutto l’ottocento. Salvo il vino, a causa della crisi speciale di questa produzione, tutti gli altri generi alimentari sono rincarati, e con progressione quasi costante. Per la carne, il burro ed in generale i latticini la concorrenza internazionale si fa sentir poco, a causa delle difficoltà di trasporto; ed il riso non è, come il frumento, di coltivazione facile nei paesi nuovi ed è inoltre protetto da un forte dazio doganale.

 

 

L’aumento dei prezzi risalta maggiormente quando lo si calcola in rapporto ad un punto iniziale, così da vedere quale ne sia la variazione percentuale. Il difficile si è di scegliere bene questo punto iniziale, in guisa che esso non cada in un periodo di prezzi troppo alti o troppo bassi.

 

 

L’ufficio di ragioneria di Milano ha fatto questo calcolo assumendo come punto iniziale prima il quinquennio 1801-805 e poi il 1861-65. Il primo punto lascia alquanto a desiderare, perché cade in un periodo turbatissimo di guerre e di sconvolgimenti sociali. Il secondo è invece assai più adatto, sia perché il 1861-65 è il primo quinquennio della unità nazionale e quindi della unificazione e dell’allargamento dei mercati, sia perché esso si trovava all’inizio della trasformazione ferroviaria ed industriale del paese e dei suoi contatti coi mercati stranieri. Alcuni grandi fatti monetari o cominciavano appena allora a far sentire la loro influenza in Italia (produzione dell’oro in Australia e California), od avvennero dopo (smonetizzazione dell’argento e crescente produzione dell’oro dopo la fine della guerra anglo-boera). Orbene, se noi paragoniamo i prezzi del 1908 a quelli del periodo-base 1861-65 troviamo che il frumento è cresciuto dell’11.02 per cento, il pane del 9.45% ed il riso dell’11.51%.

 

 

Sono aumenti moderati e son quelli che toccano i consumi più necessari. La carne di manzo è aumentata del 45.39%, la carne di maiale del 69.06% ed il burro del 49.90%. A quest’anno nei consumi più elevati si contrappone la diminuzione del 20.13 nel prezzo del vino; e si contrapporrebbero le diminuzioni nei prezzi di molte derrate coloniali (zucchero e caffè principalmente, malgrado gli alti dazi) e degli oggetti di biancheria e di vestiario dei quali la statistica milanese non tiene conto. Dall’altro lato della bilancia sarebbe da mettere l’aumento nel costo dell’abitazione.

 

 

Di fronte a questo rincaro innegabile nel costo della vita – per quanto non così elevato come da taluni si ritiene – quale fu il movimento dei salari e dei guadagni? L’ufficio milanese pubblica alcuni pochi dati comunicatigli dal dott. Schiavi, dell’Umanitaria, dai quali risulterebbe che dal 1887 al 1907 il salario dei muratori è aumentato del 65.38% e quello dei garzoni muratori del 70.94%; dal 1880 al 1907 il salario dei tipografi a giornata è cresciuto del 55.22%, e dal 1892 al 1907 il salario dei tipografi a cottimo migliorò del 34.88%. Una notizia che risale più indietro è quella relativa al salario dei panettieri che dal 1865 al 1908 è cresciuto del 93.10%.

 

 

Trarre una conclusione sicura da questi pochi dati sarebbe prematuro. Sembra però potersi affermare che l’incremento dei salari avvenuto dopo la costituzione del regno d’Italia fu a Milano superiore all’aumento nel costo dei generi alimentari e nel costo della vita, supposte costanti le abitudini di vita. La civiltà industriale e capitalistica a Milano, come dappertutto, recò benefici materiali notevoli alle masse, lasciando nelle loro mani un sovrappiù crescente di guadagni, dopo soddisfatti i bisogni elementari dell’esistenza. Mentre aumentavano i guadagni, crescevano però in misura ancor più rapida i desideri e mutava il tenore di vita. E forse i motivi delle ricorrenti agitazioni contro il caro dei viveri e dei fitti più che in uno squilibrio assoluto tra redditi e spese in confronto ad un immaginario equilibrio passato stanno nell’acuirsi di desideri insoddisfatti. Del che sarebbe inutile meravigliarci, trattandosi di fatto antichissimo, e sarebbe ingiusto dolerci, poiché il malcontento fu mai sempre cagione potente di progresso.

 

 

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