Opera Omnia Luigi Einaudi

Epurazione morale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 17/06/1901

Epurazione morale

«La Stampa», 17 giugno 1901

 

 

 

Nel Mezzogiorno continua la campagna coraggiosamente iniziata da alcuni giornali, come la Propaganda ed il 1799, contro uomini politici molto noti. Primo fu il Casale a soccombere sotto i rudi colpi assestatigli dalle pubbliche testimonianze raccolte contro di lui in Tribunale. Poi venne la volta dell’on. Aliberti, il quale si dibatte attualmente nelle aule della giustizia contro i testimoni, i quali vengono ad affermare la sua complicità in loschi affari ed in speculazioni poco oneste. Ora è la volta di un generale, l’on. Afan de Rivera, che fu sottosegretario e ministro nel Governo italiano. Il giornale La Propaganda lo accusa di essersi giovato delle sue cariche pubbliche per favorire alcune Ditte a detrimento dell’interesse dell’erario.

 

 

L’accusa è grave; e noi non vogliamo menomamente intervenire nel merito della questione e prendere partito a favore o contro il generale accusato. Il giudizio non spetta a noi, ma alla Magistratura, la quale sola può vedere se il generale Afan de Rivera fu prevaricatore e se le accuse del giornale socialista sono calunniose ed i suoi sospetti infondati. Di una casa dobbiamo essere lieti: che il Mezzogiorno d’Italia si ridesti finalmente dal suo lungo torpore e lotti per epurare la sua vita pubblica da tutto ciò che in essa vi può essere di impuro o di sospettabile. Nel Mezzogiorno esistono mirabili energie di progresso intellettuale e materiale; ma sono compresse ed impedite di svilupparsi dalla perversione della vita pubblica, dalla corruzione dominante in taluni fra i più importanti suoi Corpi amministrativi e dalle ingerenze indebite dei suoi parlamentari.

 

 

Degno di lode è perciò lo sforzo civile compiuto da alcuni meridionali, appartenenti ai più diversi partiti, per epurare l’ambiente morale in cui vive il mondo politico ed amministrativo di Napoli e di altre città del Mezzogiorno.

 

 

Talvolta può darsi che nella foga onesta di combattere per la verità e per la giustizia si veda troppo innanzi e che piglino corpo sospetti e timori infondati.

 

 

Tale può essere sia ora il caso del generale ex-ministro Afan de Rivera, al quale è da augurarsi di riuscire a dissipare del tutto le nubi che hanno offuscato per un momento il suo nome di soldato valoroso e di ufficiale intelligente.

 

 

Ma non si può non riconoscere che il generale Afan de Rivera sembra avere scelto una pessima via per tutelare la propria onorabilità. A quanto ci narra un nostro telegramma, l’Afan de Rivera avrebbe intenzione di dimettersi da deputato e di lasciare i suoi elettori giudici delle accuse rivoltegli dalla Propaganda.

 

 

Il Corpo elettorale non è un buon giudice in simili questioni. Troppo spesso gli elettori sono mossi da passioni locali, da un malinteso orgoglio di partito, dal falso concetto che occorra difendere l’accusato per tenere alto l’onore del Collegio, del Governo o dell’esercito. Le masse facilmente sono portate a confondere l’onore della persona che riveste una carica con la dignità della carica ed a difendere ciecamente la persona per il falso timore che la colpa di un individuo disonori l’istituto od il paese a cui egli appartiene.

 

 

Una votazione, la quale rimandasse trionfalmente l’Afan de Rivera alla Camera, non lo scagionerebbe per nulla dalle accuse che furono rivolte contro di lui. Gli elettori non sono atti, come i giudici, a misurare imparzialmente le ragioni del pro e del contro, ed il loro giudizio, oltre a provenire da chi è incompetente a causa di divisione di poteri, ha il grave difetto di provenire da chi è incapace di giudicare con serenità di mente.

 

 

Un’unica via crediamo si apra all’on. Afan de Rivera per scagionarsi dalle colpe attribuitegli: sporgere querela contro i suoi accusatori, accordando ad essi la più ampia facoltà di prova.

 

 

Soltanto così potrà farsi la luce ed essere scoperta la verità. In un pubblico giudizio gli accusatori metteranno innanzi quegli elementi di prova di cui sono in possesso; e l’accusato-querelante potrà ribattere e dimostrarne la insussistenza. Ed il magistrato darà la sua sentenza, la quale sola può dirci se siano vere o non le accuse mosse contro un alto funzionario dello Stato. In nessun altro modo può acquetarsi il bisogno di verità e di giustizia della coscienza popolare.

 

 

Né si tema di danneggiare l’onore dell’esercito con un processo in cui sia coinvolto un ufficiale superiore. L’onore dell’esercito sarebbe ben più gravemente compromesso se quell’ufficiale superiore riuscisse a fare il silenzio intorno alle colpe che egli avesse in realtà commesse. Noi andiamo anzi più in là e non che aver timore di offendere con un processo l’onore dell’esercito, vorremmo che il ministro della guerra obbligasse categoricamente l’Afan de Rivera a querelarsi.

 

 

Gli onorevoli Casale ed Aliberti volontariamente si querelano contro i giornali accusatori; e se l’on. Afan de Rivera sembra volersi appigliare al più comodo partito di un appello agli elettori, intervenga il ministro della guerra ad ordinargli la querela. L’esercito non può rimanere sotto il sospetto di un’accusa di concussione rivolta contro un generale. O l’accusa è vera, ed allora il membro corrotto deve essere allontanato affinché non avveleni il Corpo di cui fa parte; od è falsa, e conviene che giustizia sia fatta dai calunniatori.

 

 

Un’altra cosa ancora ha confermato l’incidente di cui ci stiamo occupando: la verità del principio secondo cui i militari non debbono essere deputati. La funzione parlamentare si svolge a danno della funzione militare. Il soldato si guasta diventando politicante e pigliando parte a tutte le manovre di partito ed a tutti gli affari in cui un uomo di governo si trova forzatamente impigliato. Il militare deve essere insospettabile, se vuolsi che l’esercito conservi il dovuto prestigio. Ma per ciò è mestieri che il soldato rimanga tale e non si mescoli nelle faccende politiche. Basta confrontare la Francia infestata dai generali politicanti con la Germania, dove i militari si occupano soltanto delle loro funzioni e sono circondati dal profondo rispetto di tutti.

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