Opera Omnia Luigi Einaudi

Errori economici tedeschi

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 11/05/1917

Errori economici tedeschi

«Corriere della Sera», 11 maggio 1917

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 553-556

 

 

L’atteggiamento dell’opinione pubblica nei paesi dell’intesa rispetto ai modi tenuti dalla Germania nel risolvere i problemi economici della guerra è degno di attento esame. Da uno stato di idolatria, di quasi sconfinata ammirazione, di corsa verso l’imitazione di tutto quinto si faceva dal nemico, di credenza in una capacità superiore dei tedeschi nell’organizzare ogni cosa e nel risolvere ogni problema «scientificamente» , si è gradatamente passati ad un leggero scetticismo, in cui l’ammirazione era temperata dal pensiero che, dopo tutto, i problemi della guerra erano troppo complessi e difficili per potere essere compiutamente risoluti anche da esseri soprannaturali come i nostri nemici, per concludere ora alla più aperta negazione di ogni attitudine dei tedeschi ad affrontare quegli stessi problemi che prima si credeva fossero una loro specialità.

 

 

Del nuovo atteggiamento spirituale dell’opinione pubblica alleata rende testimonianza un recente articolo dei «Times» intitolato German blunders, «spropositi tedeschi» , in cui si muove un urgente appello agli inglesi affinché essi non ripetano gli spropositi che hanno condotto i tedeschi alle attuali gravi disfatte.

 

 

Sproposito l’avere preveduto una durata breve della guerra; e non avere quindi accolto quei provvedimenti, i quali sarebbero stati razionali, se la durata lunga di essa fosse stata immaginata nella sua realtà.

 

 

Sproposito essersi decisi ai calmieri, alle requisizioni ed al razionamento a spizzico, derrata per derrata, aumentando ad ogni volta il prezzo e la scarsità delle derrate lasciate libere, e correndo ai ripari quando era oramai troppo tardi.

 

 

Sproposito non essersi preoccupati della possibilità di usare surrogati delle derrate principali o di spingere gli agricoltori ad usare i cereali e gli altri alimenti per il bestiame, quando l’uso per l’alimentazione umana appariva meno conveniente grazie ai prezzi di calmiere.

 

 

Sproposito l’avere ucciso a milioni i porci, col risultato di far rincarare poi carni e lardo; sproposito aver fatto uccidere, col calmiere sui prezzi di mercato, le galline, provocando l’aumento nelle uova; sproposito avere calmierato in modo incoerente le patate, che marcirono nei magazzini dei produttori. E si potrebbe seguitare nella dolorosa litania.

 

 

Siccome non ho mai avuta molta ammirazione per la scienza economica tedesca, così l’odierna scoperta degli «spropositi» commessi in Germania non mi fa molta impressione. I «Times» anzi dimenticano il più solenne e grave sproposito commesso dalla Germania, quello che ad essa potrà forse riuscire più nocivo di tutti: e che fu di avere deliberatamente convertito una situazione alimentaria seria, ma non grave, nella attuale situazione la quale reca certo gravissime preoccupazioni ai dirigenti tedeschi. Non possedendo dati sicuri al riguardo, non voglio affatto affermare che i tedeschi non possano giungere sino al prossimo raccolto; ed anzi, in mancanza appunto di notizie sicure, è prudente concludere che la crisi alimentare della primavera 1917 sarà da essi superata. Ma è innegabile che il pericolo esiste per la Germania. Se esso, per nostra fortuna, si verificasse – giova, ripeto ancora, agire invece come se esso fosse da escludersi – farà d’uopo ricordare che esso fu deliberatamente e consapevolmente provocato dall’azione del governo tedesco.

 

 

Se si pensa che, in tempi normali, la produzione tedesca del frumento era in disavanzo di 16.778.000 quintali, ma quella della segale era in avanzo di 7.843.000 quintali; che mancava orzo per 28.567.000 quintali, granoturco per 7.623.000, ma la produzione delle patate in 440 milioni di quintali bastava al fabbisogno del paese, si deve concludere che il problema alimentare tedesco era serio, era tale da dovere preoccupare i governanti; ma non era al disopra delle forze umane. Faceva d’uopo ridurre subito notevolmente i consumi inutili, per la fabbricazione della birra e delle bevande alcooliche; e razionare o limitare i consumi per l’alimentazione umana. Se lo stimolo alla produzione agraria fosse rimasto qual era, oggi non vi dovrebbero essere preoccupazioni in Germania.

 

 

Se queste esistono e se esse costringono lo stato ad imporre ai cittadini durissimi sacrifici, ciò deriva da un falso ragionamento politico-economico compiuto dal governo tedesco e che si può riassumere così:

 

 

  • la guerra sarà breve e vittoriosa;
  • giova, per ottenere la vittoria, evitare ogni cagione di malcontento nelle masse;
  • importa all’uopo che i prezzi dei viveri siano bassi e che le provviste non sembrino far difetto;
  • quindi è utile che il dott. Hellferich possa vantarsi, come fece anche recentemente alla tribuna del Reichstag, che i prezzi del pane sono in Germania i più bassi fra i paesi belligeranti.

 

 

Ma la conseguenza del ragionamento fu che i consumatori non furono messi a razione subito; che quando lo furono per il pane e le farine, non lo furono per le patate; che, razionate le patate, si consumarono troppi grassi e troppa carne; e che ben presto si ebbero bensì i prezzi bassi, ma insieme la scarsità di ogni sorta di cose necessarie alla vita.

 

 

La conseguenza fu anche che gli agricoltori, visti i prezzi bassi e non convenienti a cui erano costretti a cedere i loro prodotti, diedero le farine e le patate a mangiare ai cavalli ed al bestiame bovino; ridussero le semine e provocarono la scarsità dei raccolti.

 

 

Già von Batocki proclamò che la politica dei prezzi massimi era stata un colossale insuccesso; e pronosticò le requisizioni forzate ed il razionamento. Oggi si annuncia per l’agosto la trebbiatura militare dei cereali, per impedire che gli agricoltori nascondano il prodotto. E nell’autunno si dovrà arrivare alle semine forzate d’autorità.

 

 

A quando un rapporto al Reichstag simile a quello che fu letto il 24 dicembre 1794 dinanzi alla convenzione francese, in cui si proclamava il fallimento del famoso decreto del massimo del 19 agosto 1793?

 

 

A nulla gioverebbe conoscere gli errori altrui se noi ne commettessimo di uguali o peggiori. Purtroppo i principii della scienza economica tedesca ufficiale infestano anche i paesi dell’intesa; e sono divenuti, o meglio rimasti, trattandosi di cose vecchissime, carne della carne degli economisti da caffè, da gazzette e da camere legislative in tutti i paesi del mondo. Quindi anche noi abbiamo commesso e commettiamo tuttodì errori, derivanti dal volere i salari alti ed i prezzi bassi; i prezzi bassi e la produzione abbondante; i calmieri, rafforzati da requisizioni e tessere ed il commercio alacre e ben provveduto; l’approvvigionamento di stato e l’importazione privata; i noli tenui ed il naviglio neutrale brulicante nei porti. Tutte cose che ognun vede come stiano bene insieme. Anche da noi abbiamo fissato il prezzo del frumento ad un prezzo inferiore al prezzo a cui si vendette e talora si vende il fieno; e qual meraviglia che vi siano stati contadini i quali abbiano dato il frumento da mangiare alle bestie ed il pane ai cavalli?

 

 

Dagli spropositi stranieri e nostrani una principale conseguenza logica dovrebbero trarre i dirigenti: che, se purtroppo è necessario l’intervento dello stato per ragioni sovratutto politiche, è vana la speranza di potere d’autorità fare le cose in modo neppure lontanamente paragonabile per perfezione ed economicità al modo in cui le cose si facevano da sé sotto il pungolo del guadagno e della concorrenza. Che perciò fa d’uopo essere assai modesti; persuasi sempre che è di gran lunga maggiore la probabilità di avere sbagliato che di aver colpito nel segno. Ed essere sempre pronti a mutare, ad adattarsi alle nuove contingenze, a sentire il parere degli esperti; essere convinti che vale più un formaggiaio di cento professori di caseificio; un contadino ignorante, il quale non vuole comprare i concimi chimici, perché sono troppo cari, dei cattedratici ambulanti, i quali hanno consigliato il ministro d’agricoltura a dare premi alla cultura di cereali, della convenienza dei quali i contadini non sono persuasi. Fare, poiché fare bisogna e tutti chiedono di fare; ma non ostinarsi nel mal fatto ed essere sempre disposti a mutare rotta, quando l’esperienza dimostri che sono mutate le condizioni, in base a cui si era agito.

 

 

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