Opera Omnia Luigi Einaudi

Esami di stato e concorrenza universitaria

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/09/1923

Esami di stato e concorrenza universitaria

«Corriere della Sera», 27 settembre 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 357-363

 

 

 

La riforma universitaria estende agli istituti di istruzione superiore quel concetto fondamentale dell’esame di stato che la precedente riforma aveva applicato alle scuole medie. Non essendo ancora noto, nel momento in cui queste linee vengono scritte, il testo preciso del decreto Gentile, si può osservare, in generale, che la riforma Gentile sdoppia l’esame in due parti: l’esame scientifico, intorno ai principii delle scienze, ai metodi di indagine proprii di esse, e questo è riservato all’università. Solo l’università, come corpo scientifico, potrà fare di un giovane un dottore in un ramo scientifico, in giurisprudenza, in lettere, in filosofia, in medicina, in matematica o fisica od ingegneria. Solo essa potrà proclamare che quel giovane conosce quelle tali scienze ed ha dato prova di perizia dei metodi con cui gli scienziati sono giunti alla scoperta della verità. L’università si accerterà in varie maniere, con esami speciali di gruppo e generali di laurea, della esistenza di quei requisiti e darà al giovane la laurea. Come tale, la laurea non servirà a nulla di concreto. Avrà carattere puramente scientifico. Sarà un titolo accademico, una distinzione che dirà al pubblico: Tizio ha compiuto con profitto tali e tali studi. Per i fini concreti, ossia per presentarsi ad impieghi pubblici, per esercitare una professione liberale, la laurea sarà necessaria ma non sufficiente: occorrerà in aggiunta l’esame di stato, avente carattere pratico. Grossolanamente parlando, l’esame di stato dovrebbe dimostrare che il giovane non solo conosce i veri scientifici, ma li sa anche applicare alle esigenze concrete della sua professione o dell’impiego a cui aspira.

 

 

Bisogna avvertire subito, che in massima, questa distinzione non è una novità; essendo dessa anzi familiarissima a parecchi rami di studio. Il dottore in legge, dopo avere ottenuto la laurea scientifica all’università, deve fare due anni di pratica e sostenere un esame, vero esame di stato, dinanzi ad un collegio di avvocati e magistrati, per dare prova della sua perizia pratica. Soltanto allora può legalmente fregiarsi del titolo di avvocato ed esercitare la professione. Parimenti, lo stato, i comuni, le province, gli enti morali, le grandi amministrazioni quando vogliono scegliere i giovani capaci di coprire un impiego pubblico, non si contentano di richiedere il diploma di laurea: fanno subire un esame che si dice di concorso e che in sostanza non è altro che un esame di stato. Questo altro non sarebbe che la pubblica dimostrazione data dal giovane, dinanzi ad un corpo di esaminatori, che non siano stati suoi professori, di possedere certe cognizioni necessarie per l’esercizio di un impiego o di una professione.

 

 

La riforma Gentile consisterebbe nel sistematizzare e generalizzare il sistema dell’esame di stato. Non solo i dottori in legge per esercitare l’avvocatura, i dottori in lettere per diventare professori nelle scuole medie e superiori, i maestri per ottenere un posto d’insegnante, i laureati in genere per ottenere un pubblico impiego, ma anche i medici per esercitare la medicina, gli ingegneri per potere fare impianti o costruire case, tutti insomma, dopo conseguita la laurea scientifica, dovrebbero sostenere un esame pratico di abilitazione, detto di stato perché sostenuto dinanzi ad un corpo di esaminatori nominati dallo stato e scelti in parte tra competenti nell’esercizio pratico della professione od impiego ed in parte tra scienziati, diversi in ogni caso dai professori che al giovane concessero la laurea scientifica.

 

 

Come l’esame di stato possa essere organizzato diranno le norme particolari del decreto Gentile. Due difficoltà sovratutto si incontrano:

 

 

  • evitare che il nuovo esame di stato si incunei, come un terzo incomodo, tra i due tipi di esame oggi universalmente usati: la laurea scientifica e l’esame di concorso. La prima, è esplicitamente dichiarato, continuerà ad esistere. Ma l’esame di stato eliminerà la necessità del secondo? E cioè: un giovane munito della laurea scientifica in legge e del diploma di superato esame di stato per i pubblici impieghi, dovrà senz’altro essere ammesso, quando lo stato dichiari di averne bisogno, a coprire un posto vacante al ministero degli esteri? Od a quello delle finanze? Dovrà cioè lo stato scegliere, fra i 100 aspiranti, i 20 di cui ha bisogno, tra quelli che riportarono la votazione migliore all’ultimo od agli ultimi esami generici di stato? Par quasi impossibile; ché il ministero degli esteri e quello delle finanze hanno esigenze differenti, ed ognuno vorrà assicurarsi che il giovane abbia quelle cognizioni ed attitudini specifiche che si richieggono allo speciale ufficio da coprire. Se dunque l’esame di stato non vuole essere un inutile doppione, bisognerà, almeno per gli aspiranti ai pubblici impieghi, che esso sia specifico, per ministero, o per gruppi di ministeri o di uffici. E se tale dovrà essere, l’esame di stato non potrà darsi ogni anno; ma solo quando le singole amministrazioni avranno d’uopo di reclutare impiegati; ché non si comprende un esame per entrare in impieghi inesistenti. E l’esame «di stato» potrà diventare «comunale» per gli impieghi presso i comuni; ed in pratica «privato» per gli aspiranti ad entrare presso banche, società industriali e commerciali. Nessun industriale o banchiere, il quale abbia bisogno di un impiegato, darà a un esame generico di stato un valore pratico superiore a quello che dà oggi ad una laurea commerciale. Farà subire egli, con i metodi da lui sperimentati più adatti, ad esempio un periodo di prova, l’esame pratico al futuro suo impiegato. Per un gran numero di giovani, che sono impiegati privati e non di stato, questo seguiterà ad essere il vero esame «di stato»;

 

 

  • la seconda difficoltà che si dovrà superare è quella di organizzare gli esami di stato in quei non molti casi in cui finora essi non si usavano. Come fu osservato sopra, gli esami di stato non sono una novità per gli studenti in legge o di lettere o di scienze pure, i quali già ora non possono esercitare la professione od ottenere una cattedra od un impiego senza subire, dopo la laurea, un esame presso un corpo di pubblici esaminatori. Si tratterà di organizzare diversamente gli esami, renderli seri laddove essi oggi non sono dappertutto seri, come spesso per l’avvocatura; ma questi sono problemi di applicazione, che sorgono da incapacità o debolezze umane, non da novità di principio.

 

 

Il problema nuovo sarà di organizzare gli esami di stato per i medici e gli ingegneri, per i quali oggi non s’usano. Un laureato medico od ingegnere oggi può esercitare la professione libera – per i pubblici impieghi l’esame di concorso esiste già – senza uopo di altri esami. Il difficile sta in questo: che il medico, per impratichirsi, ha bisogno di curar malati in un ospedale, l’ingegnere di esercitarsi in laboratori od in fabbriche. Tutti questi strumenti di pratica non possono però essere lasciati a disposizione del primo venuto. Essi sono posti sotto la responsabilità dei direttori di cliniche o di laboratori o sono di proprietà privata. Nel primo caso, occorrerà che l’università, dopo aver fornito al giovane la laurea, gli permetta ancora di usare dei suoi mezzi per prepararsi all’esame di stato che sarà dato da esaminatori aventi forse metodi di studio ed esigenze diverse da quelle ritenute opportune da chi ha la responsabilità della clinica o del laboratorio. Occorrerà perciò escogitare garanzie per disciplinare l’uso di materiali pubblici ad uno scopo sostanzialmente privato, qual è l’esercizio di una professione od impiego. Nel secondo caso, di pratica presso industriali privati, il problema presenta soluzioni variabilissime.

 

 

Nel concetto dell’esame di stato non è compresa solo la differenza tra esame scientifico ed esame pratico. C’è un altro contenuto, che potrebbe anche non esservi, ma che è implicito però quando si vada a fondo del problema: il concetto della concorrenza tra le diverse scuole le quali preparano il giovane all’esame di stato.

 

 

La scienza per sé non è di stato, o privata. Essa è una cosa diversa, «scienza» pura e semplice. Non occorre che la scienza sia insegnata in una università di stato. Può essere insegnata anche in università di fondazione privata. La verità non è tale perché porti il timbro statale; è verità se e finché nessuno riesce a dimostrarne l’errore. Il diploma dottorale, come dichiarazione di conseguita dottrina, tanto vale quanto vale il corpo di dottori che lo ha rilasciato. Se una università regia è composta di dottori reputati universalmente asini od indulgenti, il diploma non ha alcun pregio; se una università privata è composta di dottori rigorosi e sapienti, il suo diploma ha grandissimo pregio.

 

 

Che cosa può fare lo stato affinché i vari tipi di università scientifiche vadano a gara nel migliorare la qualità dei loro studi, nel rendere rigorosi gli esami ed eccellente il valore del diploma rilasciato? L’accessit alle professioni e agli impieghi essendo dato solo dallo stato, con i suoi esami dati da esaminatori pubblici, diversi dai professori che hanno rilasciato il diploma di laurea, le università per attirare studenti saranno obbligate non ad essere indulgenti, ma severissime e dotte; perché i giovani si inscriveranno a quelle università, di stato o semi-pubbliche o private, le quali prepareranno meglio i giovani a superare lo scoglio dell’esame di stato. Le università ci terranno a rendere pregiato il proprio diploma dinanzi al corpo degli esaminatori di stato; e per far ciò insegneranno bene e saranno severe.

 

 

L’esame di stato sarà davvero fecondo di così benefici risultati? La risposta non deve darsi sulla base della predilezione per il monopolio dell’istruzione superiore riservata allo stato o della libertà delle università locali o cattoliche o private di far concorrenza alle università di stato. Su questa base si può discorrere a lungo, anche e sovratutto dai laici; ma non si riesce a nessun costrutto. Il problema è tecnico; presenta molteplici aspetti e forse solo l’esperimento, compiuto seriamente, potrà dare una risposta decisiva. A favore dell’esame di stato si può dire quanto fu già esposto prima intorno all’interesse delle università a preparare bene agli esami di stato. Si può aggiungere che, oggi, il giovane, amante della legge del minimo mezzo, si preoccupa soltanto di superare l’esame, mandando a memoria, quando lo fa, certi sunterelli o dispense o libri di testo che poscia subito dimentica. Il professore ama specializzarsi, sviluppa un dato punto del suo corso; ed i giovani, dottissimi su un decennio della storia del secolo VII o su dieci articoli del codice civile, non san nulla del resto. Sono accuse ripetute, le quali possono avere un certo fondamento di verità.

 

 

Gli esaminatori degli esami di stato dovranno invece sincerarsi intorno alla preparazione generale del giovane, alla sua formazione mentale, intorno alla sua attitudine ad applicare i principii scientifici ai problemi concreti, attitudine che non può essere posseduta se non da chi sia signore della disciplina. E gli esami pratici di stato, così concepiti, reagiranno sugli esami scientifici universitari ed eleveranno il tono della preparazione alle lauree.

 

 

«Accadrà, invece – interrompono a questo punto gli scettici – tutto il contrario. Il pappagallismo, piaga fastidiosa degli esami odierni crescerà a dismisura con gli esami di stato. Le istruzioni ministeriali, gli alti propositi di Gentile e della valorosa schiera di appassionati dell’educazione nazionale, che intorno a lui vivono ed oggi tentano, con logica ed entusiasmo ammirevoli, di tradurre in pratica gli studi maturati in una lunga vigilia di battaglie memorande, rimarranno lettera morta. Per un anno, per due anni, gli esami di stato saranno formativi; gli esaminatori saranno uomini di alto animo, desiderosi di saggiare a fondo la preparazione culturale dei giovani aspiranti all’accessit nelle carriere liberali e statali. Ma poi la natura umana riprenderà il sopravvento. Dare esami è cosa accasciante e torturante. A poco a poco, rifioriranno sulla bocca degli esaminatori di stato le stesse domande, subito afferrate a volo dagli aspiranti. A poco a poco, gli esaminatori si recluteranno fra gente ognora più mediocre, la quale considererà il suo alla stregua di un impiego regolare e cercherà diminuirne la fatica, rendendola consuetudinaria. Ben presto, al posto delle attuali dispense dei corsi dei professori universitari, avremo i manualetti, i riassunti, con gli elenchi delle domande e risposte ai quesiti degli esaminatori di stato. A questo punto, la reazione dell’esame di stato sulle università, di stato, semi pubbliche e private, sarà miseranda. I professori, nonché essere eccitati a studiare, ad approfondire la scienza, a scoprire nuovi veri, ad usare severità coi giovani, saranno costretti a diventarne i complici. I giovani si affolleranno nelle università, in cui i professori, nulli come scienziati, sieno ottimi come ripetitori o preparatori ai quesiti degli esami di stato».

 

 

Ecco esposto, il più chiaramente che potevasi, la tesi e la critica. Se Gentile vuole che la sua riforma duri e trionfi, deve in germe distruggere il pericolo che i critici additano. Non basta distruggerlo con la buona scelta iniziale del corpo dei pubblici esaminatori. Troppo debole sarebbe un presidio tratto da una circostanza contingente, quando invece esso deve poggiare su un fondamento istituzionale e permanente.

«Corriere della Sera», 27 settembre 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 357-363

 

 

 

 

La riforma universitaria estende agli istituti di istruzione superiore quel concetto fondamentale dell’esame di stato che la precedente riforma aveva applicato alle scuole medie. Non essendo ancora noto, nel momento in cui queste linee vengono scritte, il testo preciso del decreto Gentile, si può osservare, in generale, che la riforma Gentile sdoppia l’esame in due parti: l’esame scientifico, intorno ai principii delle scienze, ai metodi di indagine proprii di esse, e questo è riservato all’università. Solo l’università, come corpo scientifico, potrà fare di un giovane un dottore in un ramo scientifico, in giurisprudenza, in lettere, in filosofia, in medicina, in matematica o fisica od ingegneria. Solo essa potrà proclamare che quel giovane conosce quelle tali scienze ed ha dato prova di perizia dei metodi con cui gli scienziati sono giunti alla scoperta della verità. L’università si accerterà in varie maniere, con esami speciali di gruppo e generali di laurea, della esistenza di quei requisiti e darà al giovane la laurea. Come tale, la laurea non servirà a nulla di concreto. Avrà carattere puramente scientifico. Sarà un titolo accademico, una distinzione che dirà al pubblico: Tizio ha compiuto con profitto tali e tali studi. Per i fini concreti, ossia per presentarsi ad impieghi pubblici, per esercitare una professione liberale, la laurea sarà necessaria ma non sufficiente: occorrerà in aggiunta l’esame di stato, avente carattere pratico. Grossolanamente parlando, l’esame di stato dovrebbe dimostrare che il giovane non solo conosce i veri scientifici, ma li sa anche applicare alle esigenze concrete della sua professione o dell’impiego a cui aspira.

 

 

Bisogna avvertire subito, che in massima, questa distinzione non è una novità; essendo dessa anzi familiarissima a parecchi rami di studio. Il dottore in legge, dopo avere ottenuto la laurea scientifica all’università, deve fare due anni di pratica e sostenere un esame, vero esame di stato, dinanzi ad un collegio di avvocati e magistrati, per dare prova della sua perizia pratica. Soltanto allora può legalmente fregiarsi del titolo di avvocato ed esercitare la professione. Parimenti, lo stato, i comuni, le province, gli enti morali, le grandi amministrazioni quando vogliono scegliere i giovani capaci di coprire un impiego pubblico, non si contentano di richiedere il diploma di laurea: fanno subire un esame che si dice di concorso e che in sostanza non è altro che un esame di stato. Questo altro non sarebbe che la pubblica dimostrazione data dal giovane, dinanzi ad un corpo di esaminatori, che non siano stati suoi professori, di possedere certe cognizioni necessarie per l’esercizio di un impiego o di una professione.

 

 

La riforma Gentile consisterebbe nel sistematizzare e generalizzare il sistema dell’esame di stato. Non solo i dottori in legge per esercitare l’avvocatura, i dottori in lettere per diventare professori nelle scuole medie e superiori, i maestri per ottenere un posto d’insegnante, i laureati in genere per ottenere un pubblico impiego, ma anche i medici per esercitare la medicina, gli ingegneri per potere fare impianti o costruire case, tutti insomma, dopo conseguita la laurea scientifica, dovrebbero sostenere un esame pratico di abilitazione, detto di stato perché sostenuto dinanzi ad un corpo di esaminatori nominati dallo stato e scelti in parte tra competenti nell’esercizio pratico della professione od impiego ed in parte tra scienziati, diversi in ogni caso dai professori che al giovane concessero la laurea scientifica.

 

 

Come l’esame di stato possa essere organizzato diranno le norme particolari del decreto Gentile. Due difficoltà sovratutto si incontrano:

 

 

  • evitare che il nuovo esame di stato si incunei, come un terzo incomodo, tra i due tipi di esame oggi universalmente usati: la laurea scientifica e l’esame di concorso. La prima, è esplicitamente dichiarato, continuerà ad esistere. Ma l’esame di stato eliminerà la necessità del secondo? E cioè: un giovane munito della laurea scientifica in legge e del diploma di superato esame di stato per i pubblici impieghi, dovrà senz’altro essere ammesso, quando lo stato dichiari di averne bisogno, a coprire un posto vacante al ministero degli esteri? Od a quello delle finanze? Dovrà cioè lo stato scegliere, fra i 100 aspiranti, i 20 di cui ha bisogno, tra quelli che riportarono la votazione migliore all’ultimo od agli ultimi esami generici di stato? Par quasi impossibile; ché il ministero degli esteri e quello delle finanze hanno esigenze differenti, ed ognuno vorrà assicurarsi che il giovane abbia quelle cognizioni ed attitudini specifiche che si richieggono allo speciale ufficio da coprire. Se dunque l’esame di stato non vuole essere un inutile doppione, bisognerà, almeno per gli aspiranti ai pubblici impieghi, che esso sia specifico, per ministero, o per gruppi di ministeri o di uffici. E se tale dovrà essere, l’esame di stato non potrà darsi ogni anno; ma solo quando le singole amministrazioni avranno d’uopo di reclutare impiegati; ché non si comprende un esame per entrare in impieghi inesistenti. E l’esame «di stato» potrà diventare «comunale» per gli impieghi presso i comuni; ed in pratica «privato» per gli aspiranti ad entrare presso banche, società industriali e commerciali. Nessun industriale o banchiere, il quale abbia bisogno di un impiegato, darà a un esame generico di stato un valore pratico superiore a quello che dà oggi ad una laurea commerciale. Farà subire egli, con i metodi da lui sperimentati più adatti, ad esempio un periodo di prova, l’esame pratico al futuro suo impiegato. Per un gran numero di giovani, che sono impiegati privati e non di stato, questo seguiterà ad essere il vero esame «di stato»;

 

 

  • la seconda difficoltà che si dovrà superare è quella di organizzare gli esami di stato in quei non molti casi in cui finora essi non si usavano. Come fu osservato sopra, gli esami di stato non sono una novità per gli studenti in legge o di lettere o di scienze pure, i quali già ora non possono esercitare la professione od ottenere una cattedra od un impiego senza subire, dopo la laurea, un esame presso un corpo di pubblici esaminatori. Si tratterà di organizzare diversamente gli esami, renderli seri laddove essi oggi non sono dappertutto seri, come spesso per l’avvocatura; ma questi sono problemi di applicazione, che sorgono da incapacità o debolezze umane, non da novità di principio.

 

 

Il problema nuovo sarà di organizzare gli esami di stato per i medici e gli ingegneri, per i quali oggi non s’usano. Un laureato medico od ingegnere oggi può esercitare la professione libera – per i pubblici impieghi l’esame di concorso esiste già – senza uopo di altri esami. Il difficile sta in questo: che il medico, per impratichirsi, ha bisogno di curar malati in un ospedale, l’ingegnere di esercitarsi in laboratori od in fabbriche. Tutti questi strumenti di pratica non possono però essere lasciati a disposizione del primo venuto. Essi sono posti sotto la responsabilità dei direttori di cliniche o di laboratori o sono di proprietà privata. Nel primo caso, occorrerà che l’università, dopo aver fornito al giovane la laurea, gli permetta ancora di usare dei suoi mezzi per prepararsi all’esame di stato che sarà dato da esaminatori aventi forse metodi di studio ed esigenze diverse da quelle ritenute opportune da chi ha la responsabilità della clinica o del laboratorio. Occorrerà perciò escogitare garanzie per disciplinare l’uso di materiali pubblici ad uno scopo sostanzialmente privato, qual è l’esercizio di una professione od impiego. Nel secondo caso, di pratica presso industriali privati, il problema presenta soluzioni variabilissime.

 

 

Nel concetto dell’esame di stato non è compresa solo la differenza tra esame scientifico ed esame pratico. C’è un altro contenuto, che potrebbe anche non esservi, ma che è implicito però quando si vada a fondo del problema: il concetto della concorrenza tra le diverse scuole le quali preparano il giovane all’esame di stato.

 

 

La scienza per sé non è di stato, o privata. Essa è una cosa diversa, «scienza» pura e semplice. Non occorre che la scienza sia insegnata in una università di stato. Può essere insegnata anche in università di fondazione privata. La verità non è tale perché porti il timbro statale; è verità se e finché nessuno riesce a dimostrarne l’errore. Il diploma dottorale, come dichiarazione di conseguita dottrina, tanto vale quanto vale il corpo di dottori che lo ha rilasciato. Se una università regia è composta di dottori reputati universalmente asini od indulgenti, il diploma non ha alcun pregio; se una università privata è composta di dottori rigorosi e sapienti, il suo diploma ha grandissimo pregio.

 

 

Che cosa può fare lo stato affinché i vari tipi di università scientifiche vadano a gara nel migliorare la qualità dei loro studi, nel rendere rigorosi gli esami ed eccellente il valore del diploma rilasciato? L’accessit alle professioni e agli impieghi essendo dato solo dallo stato, con i suoi esami dati da esaminatori pubblici, diversi dai professori che hanno rilasciato il diploma di laurea, le università per attirare studenti saranno obbligate non ad essere indulgenti, ma severissime e dotte; perché i giovani si inscriveranno a quelle università, di stato o semi-pubbliche o private, le quali prepareranno meglio i giovani a superare lo scoglio dell’esame di stato. Le università ci terranno a rendere pregiato il proprio diploma dinanzi al corpo degli esaminatori di stato; e per far ciò insegneranno bene e saranno severe.

 

 

L’esame di stato sarà davvero fecondo di così benefici risultati? La risposta non deve darsi sulla base della predilezione per il monopolio dell’istruzione superiore riservata allo stato o della libertà delle università locali o cattoliche o private di far concorrenza alle università di stato. Su questa base si può discorrere a lungo, anche e sovratutto dai laici; ma non si riesce a nessun costrutto. Il problema è tecnico; presenta molteplici aspetti e forse solo l’esperimento, compiuto seriamente, potrà dare una risposta decisiva. A favore dell’esame di stato si può dire quanto fu già esposto prima intorno all’interesse delle università a preparare bene agli esami di stato. Si può aggiungere che, oggi, il giovane, amante della legge del minimo mezzo, si preoccupa soltanto di superare l’esame, mandando a memoria, quando lo fa, certi sunterelli o dispense o libri di testo che poscia subito dimentica. Il professore ama specializzarsi, sviluppa un dato punto del suo corso; ed i giovani, dottissimi su un decennio della storia del secolo VII o su dieci articoli del codice civile, non san nulla del resto. Sono accuse ripetute, le quali possono avere un certo fondamento di verità.

 

 

Gli esaminatori degli esami di stato dovranno invece sincerarsi intorno alla preparazione generale del giovane, alla sua formazione mentale, intorno alla sua attitudine ad applicare i principii scientifici ai problemi concreti, attitudine che non può essere posseduta se non da chi sia signore della disciplina. E gli esami pratici di stato, così concepiti, reagiranno sugli esami scientifici universitari ed eleveranno il tono della preparazione alle lauree.

 

 

«Accadrà, invece – interrompono a questo punto gli scettici – tutto il contrario. Il pappagallismo, piaga fastidiosa degli esami odierni crescerà a dismisura con gli esami di stato. Le istruzioni ministeriali, gli alti propositi di Gentile e della valorosa schiera di appassionati dell’educazione nazionale, che intorno a lui vivono ed oggi tentano, con logica ed entusiasmo ammirevoli, di tradurre in pratica gli studi maturati in una lunga vigilia di battaglie memorande, rimarranno lettera morta. Per un anno, per due anni, gli esami di stato saranno formativi; gli esaminatori saranno uomini di alto animo, desiderosi di saggiare a fondo la preparazione culturale dei giovani aspiranti all’accessit nelle carriere liberali e statali. Ma poi la natura umana riprenderà il sopravvento. Dare esami è cosa accasciante e torturante. A poco a poco, rifioriranno sulla bocca degli esaminatori di stato le stesse domande, subito afferrate a volo dagli aspiranti. A poco a poco, gli esaminatori si recluteranno fra gente ognora più mediocre, la quale considererà il suo alla stregua di un impiego regolare e cercherà diminuirne la fatica, rendendola consuetudinaria. Ben presto, al posto delle attuali dispense dei corsi dei professori universitari, avremo i manualetti, i riassunti, con gli elenchi delle domande e risposte ai quesiti degli esaminatori di stato. A questo punto, la reazione dell’esame di stato sulle università, di stato, semi pubbliche e private, sarà miseranda. I professori, nonché essere eccitati a studiare, ad approfondire la scienza, a scoprire nuovi veri, ad usare severità coi giovani, saranno costretti a diventarne i complici. I giovani si affolleranno nelle università, in cui i professori, nulli come scienziati, sieno ottimi come ripetitori o preparatori ai quesiti degli esami di stato».

 

 

Ecco esposto, il più chiaramente che potevasi, la tesi e la critica. Se Gentile vuole che la sua riforma duri e trionfi, deve in germe distruggere il pericolo che i critici additano. Non basta distruggerlo con la buona scelta iniziale del corpo dei pubblici esaminatori. Troppo debole sarebbe un presidio tratto da una circostanza contingente, quando invece esso deve poggiare su un fondamento istituzionale e permanente.

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