Opera Omnia Luigi Einaudi

Fondo disponibile di risparmio e lavori pubblici

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/05/1933

Fondo disponibile di risparmio e lavori pubblici

«La Riforma Sociale», maggio-giugno 1933, pp. 340-352

Nuovi saggi, Einaudi, Torino, 1937, pp. 235-248

 

 

 

All’articolo precedente rispondeva, con una ricostruzione sua del pensiero del Keynes, Carlo Pagni nel fascicolo del maggio-giugno 1933 della rivista; ed all’articolo del Pagni facevano seguito le seguenti mie osservazioni:

 

 

1. – Abbiamo, dopo quello da me compiuto nel fascicolo precedente, un tentativo Pagni di ricostruzione del pensiero del Keynes. Il punto di partenza del ragionamento Pagni è l’ipotesi dell’esistenza di un fondo di risparmio disponibile disoccupato, il quale non si decide ad investirsi. Occorre eccitarlo, punzecchiarlo affinché i suoi possessori si decidano a farne uso ed a creare domanda di fattori produttivi e quindi di lavoro. L’ipotesi, del resto divulgatissima e teoricamente legittima, deve tuttavia essere liberata da un certo alone di mistero che l’annebbia e fa credere all’uomo della strada esista in qualche parte del mondo un fondo di ricchezza disponibile, dal quale se si riuscisse a trarlo dalla sua inerzia, mirabili frutti si potrebbero trarre.

 

 

2. – Credo possa reputarsi pacifica l’opinione che di scarso peso sia nell’Europa occidentale la quota del fondo consistente in “tesori” veri e propri di oro monetato o di verghe. Oramai, dopo 19 anni di concentramento d’oro nelle sacristie delle banche di emissione, ben poche monete o verghe devono essere disponibili sul mercato; e quelle poche male potrebbero considerarsi “disponibili”, essendo invece in via di toccare la meta della propria utilizzazione monetaria od industriale. Oggetto di commercio, più che fondo disponibile per investimenti.

 

 

3. – Controversa è l’importanza del tesoro sotto forma di biglietti degli istituti di emissione. Se in Francia taluno poté valutare i “tesori” cartacei fino a 25 miliardi di franchi, e l’ipotesi è plausibile di fronte ad una massa di biglietti di 80-85 miliardi, in Italia l’ammontare dei tesori cartacei non può superare una frazione relativamente modesta dei 13 miliardi di lire di biglietti della Banca d’Italia. Poiché il grosso dei biglietti indiscutibilmente è necessario per i bisogni della circolazione, il totale dei tesori e tesoretti o semplicemente dei biglietti da 100 lire tenuti in portafoglio più a lungo del solito non può essere maggiore di uno, forse due od, esagerando, tre miliardi di lire. Siano tre, a dirla grossa. Il significato di tanto tesoreggiamento cartaceo si ridurrebbe a ciò che la circolazione, la quale in apparenza è di 13 miliardi di lire, in realtà sarebbe di 10 miliardi di lire. I restanti 3 miliardi sarebbero semplicemente diritti che taluni privati hanno di annientare, quando ad essi piaccia, la circolazione effettiva di 3 miliardi di lire.

 

 

4. – Non diversa è la natura della terza ed ultima specie di tesoreggiamento immaginabile nella società contemporanea: quella del deposito bancario inutilizzato o scarsamente utilizzato. Gli indici che il Pagni ricorda intorno alla diminuita velocità di circolazione dei depositi bancari negli Stati Uniti, da 26 volte nell’anno nel 1929 a 9,8 volte nel 1932, sono un “indice” di tesoreggiamento. Esse ci dicono che gli aventi diritto a trarre assegni sui loro depositi in banca per chiudere, col pagamento, transazioni di consumo, di commercio o di investimento diretto od indiretto, si giovano pigramente dei loro diritti. Lasciano ristagnare i loro fondi: creano dei “tesori” inutilizzati in banca.

 

 

5. – Sulla possibilità del fatto pare non possano sorgere dubbi. Quale forma materiale, tuttavia, assume il fatto? Trattasi di depositi bancari; i quali devono perciò trovare necessariamente la propria collocazione in quel documento, il quale trae il nome di “bilancio” dalla circostanza che la somma delle partite all’attivo “deve” bilanciare con la somma delle partite al passivo. Sia, semplificando, il bilancio di una banca ordinaria di depositi e sconti come segue:

 

 

ATTIVO

PASSIVO

 

Sconti ed anticipazioni ……………….

2000

Depositi in conto corrente

a vista ……………………………………..

 

3000

Depositi presso l’istituto di emissione ………………………………..

1000

____

 
 

3000

(A)

 

 

Suppongo, per non complicare, uguale a zero la cassa, perché la banca può ad ogni istante rifornirsi presso l’istituto di emissione. Dove è il fondo tesoreggiato disponibile? Non nei 2.000 milioni impiegati in sconti ed in anticipazioni. Nel momento di cui si parla, questi due miliardi sono investiti e non potrebbero essere impiegati altrimenti se non disinvestendoli dall’impiego attuale. Il fondo disoccupato consiste esclusivamente o in “cassa” esuberante o in depositi gratuiti a vista, equivalenti a “cassa”, presso l’istituto di emissione.

 

 

Quale è, dal canto suo, l’effetto di un deposito di 1.000 milioni di lire presso l’istituto di emissione?

 

 

ATTIVO

PASSIVO

Riserva aurea …………………………..

7000

Circolazione biglietti …………………..

13000

Sconti ed anticipazioni ……………….

7000

____

Depositi privati (di banche) …………

1.000

____

 

14000

 

14000

(B)

 

 

Il miliardo di lire di depositi privati, effettuati dalle banche ordinarie premute da un eccesso di depositi inutilizzati dei loro clienti, può trovare evidentemente parecchie destinazioni, anche nello schema semplificato di cui sopra:

 

 

  • l’istituto ne profittò per crescere la propria riserva aurea. Non pare un uso probabile di un fondo soggetto ad immediato ritiro;

 

  • l’istituto se ne avvalse per crescere la massa degli effetti scontati o delle anticipazioni concesse. La soluzione non è, parimenti, verosimile, poiché l’istituto di emissione più che sconti, fa risconti; né le banche ordinarie afflitte da penuria di impieghi e da abbondanza di disponibilità, recano carta al risconto. D’altro canto la prudenza consiglia all’istituto di non investire se non in minima parte depositi mobilissimi come son quelli di banche;

 

  • la soluzione verosimile è che, fermo restando il totale dell’attivo in 14 miliardi di lire, se i depositi privati crescono, per ipotesi, da zero a 1.000 milioni, la circolazione debba diminuire da 14 a 13 miliardi. Ossia, la forma ovvia e naturale, la veste esteriore visibile e, vorrei dire, la definizione del fatto e “tesoreggiamento” o “depositi bancari inutilizzati” o “fondo di risparmio disponibile” pare a me sia la contrazione della circolazione effettiva dei biglietti, combinata con la facoltà di certi risparmiatori di fare aumentare, quando ad essi piaccia, la circolazione medesima di un ammontare uguale a quello dei loro depositi inutilizzati.

 

 

6. – Al 30 aprile 1933 accanto ad una circolazione per:

 

 

Biglietti……………………………………………………………

L.13.070.381.800 –

 

Vaglia cambiari ed assegni……………………………….

L.319.076.122,65

_________________

 

TOTALE

 

L.13.389.457.922,65

 

 

effettiva, nei limiti in cui i biglietti non erano tesaurizzati, vi era in Italia una circolazione potenziale per:

 

 

Depositi privati in conto corrente………………………..

L869.793.790 –

 

Depositi privati detti vincolati……………………………..

L.923.035.152,91

_________________

 

TOTALE

 

L.1.792.828.942,91

 

 

di cui potrebbe essere considerata “disponibile”, o “inutilizzata” o “tesaurizzata” quella “parte” che dalle banche ordinarie e dalle casse di risparmio era depositata in eccedenza al normale fondo di cassa. Somma in complesso modesta; la cui modestia medesima fa supporre, non avendosi alla data del 30 aprile notizia di stati d’animo particolarmente pavidi rispetto alle banche, che in Italia abbiano parimenti scarso peso i tesoreggiamenti propriamente detti in oro o in biglietti. La facoltà spettante ai risparmiatori di fare rifluire biglietti sul mercato non ha, ovviamente, nulla a che fare con una qualsiasi specie di inflazionismo; ed in ogni caso ha, in Italia, una ben limitata portata.

 

 

7. – Chiarito il fatto, quale ne è la ragione? Perché i risparmiatori, fino a concorrenza di un importo variabile nei diversi paesi e che in Italia, pur nelle contingenze recenti di crisi economica, difficilmente può vantarsi di peso apprezzabile e in ogni caso superiore a qualche miliardo di lire; perché, chiedesi, i risparmiatori tesoreggiano? La risposta pare ovvia: essi reputano essere nel momento attuale l’investimento in moneta oro, in moneta biglietti o in depositi infruttiferi bancari ovverossia in diritti alla consegna di biglietti di banca il migliore degli investimenti possibili. Costoro hanno perso quattrini quando hanno comperato terreni, case, azioni, merci. Ritengono di correre rischi anche coll’acquisto di titoli a reddito fisso; o non intendono, essendo dediti ad investimenti industriali o immobiliari, investire in redditi fissi. Attendono. In tempi di crisi ossia di prezzi calanti, investire in moneta è spesso l’ottimo investimento. Se i prezzi ribassano, la moneta, per definizione, rialza. Domani con le stesse cento lire, costoro acquisteranno 105, 106, 110 unità di merci o di case o di terreni o di azioni invece delle 100 unità che acquisterebbero oggi.

 

 

8. – Per indurli a mutar condotta, fa d’uopo fare a codesti risparmiatori il solletico. Il migliore solletico è il rialzo dei prezzi dei beni economici (merci, terreni, case, azioni, ecc.), il che vuol dire rinvilìo della moneta. Per paura di potere acquistar domani solo 95 unità di merci con le 100 lire possedute, essi, che ieri potevano ancora acquistarne 100, si affrettano a comprarne oggi 99. E così fanno salire i prezzi.

 

 

I prezzi, però, talora sono restii a salire. Pagni dice, con Keynes: proviamo a fare il solletico ai prezzi. Il mezzo adottato deve però provocare una “data” specie di aumento di prezzi. Non un aumento qualunque, il quale spinga i detentori di depositi disponibili a trasformare i loro diritti a 100 unità monetarie in diritti a 100 unità di merce o case o terreni, per il timore di vedersi volatilizzare tra le mani i diritti monetari, a causa di una svalutazione monetaria prevista od in atto. Gente spaventata commette errori, non risolve crisi. Al termine della fuga disordinata, i detentori, non più di moneta disponibile ma di un’insalata russa di beni reali, si riproporranno il problema: cosa farne dell’insalata russa? Se, allora, a moneta nuovamente stabilizzata, non saranno venute meno le ragioni le quali oggi fanno credere a molti preferibile possedere moneta al possedere beni reali, piano piano gli uomini riconvertiranno i beni reali in moneta. Saremo tornati al punto di prima.

 

 

Le crisi non si risolvono provocando a tratti, come ora pare sia di moda (nei territori dominati dalla lira sterlina e dal dollaro), fughe di uomini in disordine da una moneta all’altra, dalla moneta ai beni reali, dai beni reali alla moneta a seconda delle ventate di timor panico provocate dalle maggiori o minori prospettive di perdere i propri capitali. L’uso a ripetizione del giuoco delle fughe ha un solo effetto certo: l’aggravarsi della tendenza all’abborrimento dal risparmio, che è forse il più grosso guaio del dopoguerra. Al problema della scelta, da parte di chi ha già deciso di risparmiare, fra il conservare il risparmio sotto forma di moneta o sotto forma di beni reali, si sostituisce il problema fra il risparmiare e il consumare; e poiché tutte le alternative possibili nel caso del risparmio sono fatte ugualmente spiacevoli, si finisce di preferire il consumo al risparmio. L’esistenza di fondi disponibili tesoreggiati non deve farci supporre che di risparmio nel mondo ce ne sia a bizzeffe. Risparmio timido non vuol dire risparmio abbondante. Può essere semplicemente il preludio alla sua trasformazione in consumo.

 

 

9. – Pagni, del resto, è d’accordo nell’affermare che il solletico ai prezzi non deve essere fatto per mezzo di inflazione cartacea. I buoni aurei di Keynes dovrebbero solo funzionare come riserva. A che pro’? Pare, se ho capito bene, che gli istituti centrali di emissione, forniti di maggiore riserva, potrebbero facilitare il credito agli industriali. Analisi sbagliata, ritengo, della situazione presente. Si ritorni, per un istante, coll’occhio, allo schema (B), e ci si chieda a che cosa gioverebbe che l’istituto ottenesse dalla super banca internazionale un prestito di 7 miliardi di buoni, validi come riserva. Semplicemente a cambiare il bilancio secondo lo schema (B) nel bilancio seguente secondo lo schema (C):

 

 

ATTlVO

PASSIVO

 
Riserva aurea

7.000

Circolazione di biglietti

13.000

 
Riserva equiparata in buoni aurei

7.000

Depositi privati (di banche)

1.000

 
Sconti ed anticipazioni

7.000

______

Debito verso la super-banca

7.000

______

 
 

21.000

 

21.000

 

(C)

 

 

Dopo il quale bellissimo mutamento di scritture, il governatore dell’istituto centrale si troverebbe allo stesso preciso punto di prima, che era di aspettare che i depositanti privati delle banche ordinarie si decidessero a ritirare un miliardo per investirli, e le banche ordinarie alla lor volta si decidessero a trasformare i depositi (diritti a biglietti) in biglietti effettivi. Ma l’impulso a far ciò non può evidentemente partire da qualche lazzo inflazionistico pitturato sui bilanci degli istituti di emissione. Le maschere con lazzo spaventano, non incoraggiano. L’impulso deve partire dall’altro capo della catena: da un nuovo interesse ad investire dei detentori dei fondi disponibili.

 

 

10. – Pagni, il quale accenna di sfuggita e per disperazione, all’immaginaria azione promotrice delle riserve di carta stampata internazionale, ha in sostanza fede solo nei prestiti statali contratti allo scopo di eseguire lavori pubblici.

 

 

Sono d’accordo nel ritenere che sia a) il prestito statale da solo, come b) il prestito contratto al fine del lavoro pubblico possono giovare alla risoluzione della crisi. Non però nel senso, che pare indicato dal Pagni, di un aumento “differenziato” di prezzi che è il surrogato prossimo di quell’aggiustamento di prezzi che io nell’articolo Il mio piano non è quello di Keynes (in «La Riforma Sociale», marzo-aprile 1933, pagg. 139-140) dichiaravo essere condizione necessaria alla risoluzione della crisi. Occorre che gli imprenditori vedano un profitto nell’imprendere qualcosa. Possono vederlo a prezzi bassi ma equilibrati e non vederlo a prezzi alti squilibrati. In ogni modo, i prestiti statali, con o senza i lavori pubblici, non agiscono a favore della fine della crisi attraverso il riaggiustamento dei prezzi, ma per altra via che occorre chiarire.

 

 

11. – Può giovare il prestito statale da solo. È una specie “astratta” di prestito, la quale può non avere neppure bisogno di rivolgersi a quel tal fondo disponibile di cui si parlava sopra. Il pubblico, il quale vive di idee consacrate dall’esperienza del passato, non riesce a pensare ad una operazione di prestito senza pensare altresì al passaggio di una data somma di denaro (fondo disponibile di risparmio non ancora investito) dai sottoscrittori all’ente emittente, al quale sono offerti così i mezzi liquidi necessari all’investimento. Spessissimo invece, soprattutto quando il debitore è qualcuno pien di fastidi, denaro non se ne vede ed unicamente passano scritture sui libri. Suppongasi che, in un dato momento, una banca ordinaria abbia il suo bilancio così congegnato, schematicamente e per le partite essenziali che qui ci interessano (in milioni di lire):

 

 

ATTIVO

PASSIVO

Sconti ed anticipazioni liquidi

 

1.000

Depositi in conto corrente a vista

 

2.000

Sconti ed anticipazioni congelati

1.000

____

 
 

2.000

 

(D)

 

 

La situazione non è piacevole, perché la banca, avendo impiegato un miliardo in operazioni illiquide (congelate) a lunga scadenza, non potrebbe, se ne fosse richiesta, rimborsare tutti i suoi depositi. Lo stato, essendosi persuaso che i crediti “congelati” sono buoni e col favor del tempo saranno condotti a buon fine ossia riscossi, autorizza un ente pubblico intermediario ad emettere, colla sua garanzia, un miliardo di obbligazioni decennali 5% a premi e ad acquistare, col ricavo, i crediti congelati della banca sofferente. Non un soldo fa d’uopo si muovi. Tra i depositanti della banca ve ne sono di quelli i quali “reputavano” di avere un miliardo di lire disponibile per investimenti da farsi al momento opportuno. In verità, la banca l’aveva già tutto investito e, per giunta, immobilizzato. Essi, tuttavia, sentendosi fatto il solletico dall’offerta di buone obbligazioni 5% a premi, persuasi di avere in banca fondi “disponibili”, danno ordine alla banca stessa di sottoscrivere un miliardo di obbligazioni dell’E(nte) P(ubblico) I(ntermediario). La banca esegue l’ordine sui libri; ossia sui libri passa il miliardo dal credito dei depositanti al credito dell’E.P.I.

 

[1] Ma poiché essa vende all’E.P.I. un miliardo di crediti congelati, annulla subito dopo all’attivo questo miliardo di crediti, passati all’E.P.I. ed al passivo un miliardo di depositi. I bilanci dei due enti si presentano, ad operazione ultimata, così:

 

 

ATTIVO

PASSIVO

Banca ordinaria

 

   
Sconti ed anticipazioni liquidi

1000

Depositi in conti correnti a vista

1000

E.P.I.

 

Sconti ed anticipazioni congelati

1000

Debito per obbligazioni decennali

1000

(E)

 

 

Non fu mosso un soldo spettante ad un fondo disponibile sul serio.

 

 

I depositanti di un miliardo di fondi immobilizzati convertirono il proprio credito verso la banca in un credito obbligazionario verso l’E.P.I. garantito dallo stato. La banca sta bene, perché ha ricuperato tutta la sua liquidità. L’E.P.I. è tranquillo, perché col realizzo graduale dei suoi crediti congelati è sicuro di potere rimborsare le obbligazioni emesse e, nel frattempo, con gli interessi attivi riscossi dai suoi debitori in gelo paga gli interessi passivi dovuti agli obbligazionisti. Tutta l’operazione, s’intende, è fondata sulla ipotesi che il miliardo di crediti, sebbene congelato, fosse “buono”, ossia che la banca avesse commesso il solo errore di supporre i suoi debitori capaci di rimborsare gli sconti e le anticipazioni entro tre o sei mesi, laddove la crisi posticipò ad una più lontana data il rimborso.

 

 

In che modo lo stato, facilitando colla sua garanzia l’incrocio di scritturazioni ora descritto, giovò alla soluzione della crisi? Col fare il solletico ai depositanti timidi e deciderli ad un investimento lungo. In verità, la banca aveva già investito, a lungo termine, il loro miliardo. Ma poiché aveva, così facendo, errato, la situazione era instabile: i depositanti credevano di possedere un fondo disponibile a vista che la banca, messa alle strette, non avrebbe potuto rimborsare. Il solletico della offerta delle obbligazioni 5% a premi dell’E.P.I. decide i depositanti ad investire. Essi acquistano precisamente quel miliardo di crediti congelati verso industriali, commercianti ed agricoltori, di cui non avrebbero voluto in alcun modo impacciarsi se fossero loro stati direttamente offerti. Ma li acquistano sotto la forma indiretta di obbligazioni E.P.I. e con la garanzia dello stato.

 

 

Tutto ciò non risolve in sé stesso la crisi; ma prepara la soluzione; ché una banca liquida, industriali non più tormentati dallo spettro di dover rimborsare subito somme cospicue e fatti tranquilli dalla agevolezza del rimborso graduale in un decennio, depositanti contenti di avere finalmente trovato l’impiego del loro cuore, sono fattori psicologici di ottimismo. Quando la gente guarda con occhio sereno all’avvenire, l’avvenire diventa senz’altro chiaro ed invitante. Crisi e prosperità sono due stati d’animo. In che cosa il mondo è, di fatto, o, come si suol dire, oggettivamente mutato dallo schema D a quello E? In nulla, salvo che in certe cifre scribacchiate sui libri delle banche, in certi pezzi di carta sostituiti a certi altri. Eppure lo schema D partorisce malumore, visioni nere, ossia crisi; laddove lo schema E reca serenità e voglia di lavorare, ossia prosperità. È evidente che, entro i limiti delle condizioni poste, lo stato ha compiuto opera vantaggiosa alla collettività col facilitare, con la sua garanzia, quel passaggio.

 

 

12. – Se, invece di crediti “congelati” si fosse trattato di crediti “perduti”, il discorso sarebbe evidentemente diverso. Qui non basterebbe il giro di scritturazioni; ché l’E.P.I. contro al debito per obbligazioni di 1.000 milioni non avrebbe, nello schema E, nulla da scrivere; e non potrebbe perciò nemmeno acquistare dalla banca i 1.000 milioni di crediti inesistenti, se “qualcuno” non si obbligasse a versargliene l’importo al luogo dei debitori decotti.

 

 

Già Maffeo Pantaleoni aveva, in quello che forse è il suo capolavoro,[2] esposto lapidariamente la differenza fra perdite e congelamenti, che allora (1895) si dicevano “immobilizzazioni”:

 

 

«Perdite ed immobilizzazioni non sono forme della stessa malattia distinte per la loro intensità. Sono, invece, cose antitetiche tra di loro».

 

 

«La storia delle perdite è la storia dei regressi dell’umanità; è la storia degli ostacoli che questa incontra sulla via laboriosa dell’arricchimento e dell’incivilimento. È la storia di insuccessi».

 

 

«All’incontro, la storia delle immobilizzazioni è la storia del progresso. Sono infatti immobilizzazioni tutti i solchi di cui occorre lacerare la terra affinché si fecondi; sono immobilizzazioni le case di cui è cosparsa; sono immobilizzazioni le strade, i ponti, i porti, i canali, le ferrovie. Le immobilizzazioni sono le pietre miliari del processo di incivilimento». (Saggi, 480).

 

 

Difficile è la distinzione in concreto fra perdite ed immobilizzazioni (congelamento); ma Poiché il problema qui posto è teorico, noi possiamo supporre che la distinzione sia fatta e concludere che entro i limiti in cui i prestiti pubblici si proposero salvataggi di immobilizzazioni, e perciò stesso si risolsero in puri giri di scritture, senza impiego di risparmio disponibile, essi prepararono le condizioni per il superamento della crisi.

 

 

13. – Quali gli effetti della seconda specie di prestiti statali la quale sia rivolta al compimento di lavori pubblici? Il punto di partenza è sempre quello delle situazioni delineate negli schemi (A) e (B). Esiste un fondo disponibile di risparmio, il quale ha trovato la sua espressione concreta nel fatto di depositi “privati” (di banche) presso l’istituto di emissione per un miliardo di lire, ossia nella astensione momentanea dall’emissione, la quale perciò rimane allo stato virtuale, di un miliardo di lire di biglietti.

 

 

Il prestito provoca le seguenti mutazioni:

 

 

  • in un primo momento i correntisti (in schema A) della banca ordinaria danno ordine alla propria banca di sottoscrivere ad un miliardo, ad es., di buoni novennali 5% a premio;

 

  • la banca trasmette l’ordine all’istituto centrale presso cui possiede per l’appunto un fondo disponibile di un miliardo (depositi privati dello schema B);

 

  • l’istituto centrale esegue l’ordine e cioè passa il miliardo dal credito di depositanti privati al credito del depositante pubblico (stato) e consegna ai sottoscrittori, per mezzo della banca ordinaria, i buoni. Alla fine delle operazioni le situazioni degli schemi A e B si sono mutate rispettivamente in quelle F e G.

 

 

ATTIVO

PASSIVO

Banca ordinaria

 

  Depositi in conto corrente a vista

2000

 

Sconti ed anticipazioni

 

2000

   
(F)

 

Istituto centrale di emissione

Riserva aurea

7000

Circolazione di biglietti

13000

Sconti ed anticipazioni

 

7000

_______

Depositi pubblici (c. c. del tesoro dello stato)

1000

_______

 

14000

 

14000

 

(G)

 

 

La banca ordinaria ha un miliardo di depositi di meno, perché i depositanti hanno convertito il credito in conto corrente bancario in buoni del tesoro; e l’istituto di emissione, invece di essere debitore verso privati per un miliardo di lire, è tale per la stessa somma verso lo stato. Il diritto a chiedere biglietti all’istituto centrale di emissione si è trasferito dai privati al tesoro. Fin qui siamo nel campo delle semplici scritturazioni.

 

 

Il problema di sostanza sorge quando lo stato, il quale ha pronti i piani, vuole iniziare i lavori pubblici, e perciò tira assegni sul suo deposito di un miliardo. L’istituto come varierà le partite del suo bilancio, per ubbidire alla regola, che è di forma e di sostanza insieme, non essere possibile cancellare o ridurre una partita di un bilancio senza variare l’ammontare di qualche altra partita, cosicché sempre il totale del passivo uguagli il totale dell’attivo?

 

 

Poiché al limite, quando lo stato si sarà fatto rimborsare tutto il miliardo posto a suo credito, il passivo sarà diminuito di un miliardo, l’istituto centrale potrebbe ridurre all’attivo la sua riserva aurea di altrettanto. Probabilmente non sceglierà questa via, essendo l’ufficio della riserva aurea diverso da quello di provvedere mezzi ai lavori pubblici interni.

 

 

Potrebbe, invece, ridurre di un miliardo la cifra degli sconti ed anticipazioni. Ciò significherebbe però ridurre di un miliardo il capitale circolante adoperato dall’industria; il che pare contradditorio con una politica (di prestiti e di lavori pubblici) dichiaratamente rivolta ad eccitare il risparmio disponibile ad investirsi, non semplicemente a trasportare negli impieghi pubblici il capitale già investito in forma privata. Il semplice trasporto aggraverebbe con tutta probabilità lo stato esistente di crisi.

 

 

Dunque, pare che lo stato altro non possa fare se non servirsi per l’appunto del diritto trasmessogli dai sottoscrittori di trasformare in effettiva una circolazione cartacea sinora rimasta allo stato virtuale. Se l’analisi sopra condotta è corretta, se è vero che «fondo disponibile disoccupato di risparmio» non può normalmente – e cioè facendo astrazione dai tesoreggiamenti – essere altro se non «circolazione potenziale»; se i lavori pubblici hanno per scopo di mettere in valore, coll’investirlo, il fondo disponibile, giocoforza è che l’istituto consegni allo stato biglietti. Al limite la situazione dell’istituto centrale tenderà ad essere la seguente:

 

 

ATTIVO

PASSIVO

Riserva aurea

7000

Circolazione dei biglietti

14000

Sconti ed anticipazioni

7000

____

 
 

14000

 

(H)

 

 

14. – Se, poco a poco, il fondo del risparmio, disponibile o non, si ricostituirà, se quindi i depositi privati torneranno a crescere di un miliardo, è problema che non vorrei discutere di passata. Di solito i lavori pubblici si riferiscono a scopi il cui rendimento o vantaggio è a lunga scadenza: strade, ponti, foreste, parchi, bonifiche, palazzi pubblici; e pare davvero che siffatta scelta sia quella ottima. Quindi alla lunga, se i lavori furono eseguiti razionalmente, il fondo si ricostituirà; ma in un momento posto fuori dai limiti di tempo assegnabili normalmente alla durata della parte discendente (crisi) del ciclo economico. Durante la crisi, il lavoro pubblico ben condotto ha il benefico effetto di impiegare per una volta tanto il fondo disponibile disoccupato; non pare abbia l’ulteriore effetto di consentire, come accade per i fondi circolanti impiegati nelle industrie solite, una immediata ricostituzione del fondo, entro il ciclo di pochi mesi. Il ciclo di ricostituzione è lungo; normalmente più lungo del ciclo di ricostituzione medesimo dei capitali fissi investiti nelle industrie. L’investimento in lavori pubblici ha piuttosto la velocità lenta di ricostituzione degli investimenti privati in case e foreste che quella rapida propria agli investimenti in materie prime, in anticipazioni colturali e in macchine. Nulla di male in ciò. Guai se tutto il risparmio pretendesse di investirsi solo a tre mesi data! Poiché i lavori pubblici sono necessari e nei limiti in cui sono tali; se esiste un fondo disponibile di risparmio disoccupato, bene si opera ad attendere il tempo di crisi per compiere i lavori pubblici ed a convogliare verso di essi quel fondo. Se, per ciò fare, la circolazione cresce di un miliardo, questa non è né inflazione, né riflazione. È l’effetto normale della trasformazione del risparmio disponibile (circolazione potenziale) in capitale investito (circolazione effettiva). Non v’ha in ciò traccia di inflazione o di riflazione, perché siffatti due concetti, sebbene non facili a definire[3] presuppongono un atto di volontà dello stato o dell’istituto di emissione o delle banche ordinarie ordinato a creare ex nihilo od ex novo un mezzo di pagamento. Qui il mezzo di pagamento esisteva già. Il risparmiatore aveva già compiuto l’atto di rinunciare a trasformare un suo biglietto da mille, ben suo e da lui già posseduto, in consumi o in investimenti, ed, attraverso alla propria banca, l’aveva consegnato all’istituto di emissione dicendogli: «tienilo in serbo per mio conto ed al mio ordine». Se lo stato, col solletico del prestito pubblico, persuade il risparmiatore a dar ordine all’istituto di emissione di consegnare il suo biglietto da mille allo stato medesimo, affinché questo lo spenda in lavori pubblici, con ciò non si crea un centesimo di “nuova” moneta cartacea; si rimette in circolazione un biglietto che già esisteva e solo temporaneamente si era rincantucciato nell’ombra.

 

 

15. – Chiedo venia al lettore se espongo cose trite; ma in queste faccende monetarie, per non perdere il senno, fa d’uopo talvolta compitare l’abicì. Il beneficio del lavoro pubblico condotto con mezzi offerti dal risparmio disponibile[4] pare dunque consista nell’impiego offerto per l’appunto al risparmio, il quale come un’anima nel limbo aveva preso la forma dell’ombra. È vantaggio in sé siffattamente notevole che importa non esagerarlo. È notevole, perché tutto ciò che provoca i risparmiatori a trasformarsi da crisalidi addormentate in farfalle vive è utile al cambiamento di tono del mondo economico. Si crea un lavoro che altrimenti non ci sarebbe stato; lo si crea senza fabbricare solleticanti artificiali, anzi utilizzando un atto volontario di risparmio già compiuto. Così operando si crea ottimismo ossia si pone una condizione vantaggiosa alla ripresa.

 

 

Mi pare che questa sia una apologia bastevole del lavoro pubblico, razionalmente condotto nei limiti sopra indicati. Apologia la quale non può essere diminuita dall’osservazione, sia pure esatta, che il fondo disponibile, se sia investito in un lavoro pubblico, non potrà poi, alla ripresa, essere nuovamente investito in private imprese industriali od agricole. Colpa degli industriali se non erano riusciti ad ispirare fiducia quando la crisi durava! Essi non possono per fermo pretendere che i risparmiatori tengano indefinitamente i risparmi a loro disposizione!

 

 

16. – Importa però non guastare, esagerando l’apologia. È evidente esagerazione quella di Pagni quando attribuisce ai lavori pubblici la virtù di aggiustare i costi e di avviare anche in questa guisa, oltrecché nella guisa detta sopra, alla soluzione della crisi. Se i risparmiatori rendessero attiva la esistente circolazione potenziale in seguito ad uno spostamento di prezzi già iniziato ed allettatore perché preannunciatore di profitti, l’attività medesima accentuerebbe il riaggiustamento dei prezzi. Il lavoro pubblico è diversamente caratterizzato; non mira a profitti ma a fini pubblici, specie a lunga scadenza. Come mai un aumento di circolazione, determinato dall’esecuzione di lavori pubblici, sia pure legittimissimo, come fu spiegato sopra, sia pure immune da ogni traccia di inflazione o reflazione, possa aggiustare i costi, non si capisce davvero. L’effetto ovvio, che è l’aumento generico dei prezzi, non coincide necessariamente con aggiustamento di essi. La crisi è dovuta[5] alla circostanza che alcuni prezzi non sono ribassati affatto (ad es., negli Stati Uniti l’onere annuo dei debiti privati e pubblici crebbe tra il 1922 ed il 1929 da 6.289 a 8.607 milioni di dollari e poi non scemò, anzi continuò ad aumentare), altri, quelli dei prodotti finiti, scemarono relativamente poco (ad es., negli stessi Stati Uniti, del 29,4% tra il 1929 ed il gennaio 1933), o come quelli dei semimanufatti, scemarono di più (39,4%) ed alcuni, quelli dei prodotti agricoli e delle materie prime, tracollarono (del 48,5 per cento).

 

 

Prezzi e costi essendo tutt’uno, ché i prezzi dell’un produttore sono i costi dell’altro, dalla crisi non si esce se non operando un qualche riaggiustamento, ossia variazione relativa, dei singoli prezzi. Il che si va facendo, un po’ a balzelloni e in disordine, come accadde nelle cose di questo imperfetto mondo; ed il riaggiustarsi in corso è l’arra più sicura della futura ripresa. In che modo potrebbero i lavori pubblici, oltre all’ufficio loro proprio, adempiere all’ufficio tutto diverso di riaggiustare i costi e cioè i prezzi? Dando lavoro a industrie e categorie di lavoratori fra le più disoccupate? Impiego specialmente quei fattori o quella sezione dei fattori di produzione, che sono più depressi, più colpiti da ristagno? Rivolgendosi a quelle categorie di imprese, nelle quali il riaggiustamento dei costi è più necessario o più rapido o più espansivo nei suoi effetti sulla domanda di altri fattori secondari? Dio ci scampi e liberi da siffatte scelte segnalate dubitativamente dal buon cuore di Pagni. Quanto più l’industria è depressa, tanto più è probabile i suoi prezzi siano bassi. Per rialzarli in relazione agli altri prezzi, daremo ad essa lavoro? Ossia la provocheremo a seguitare sulla mala via del produrre troppo, che fu causa della sua presente sciagura? Come si troverà, quando il lavoro pubblico, il quale non può essere a ripetizione e deve cessare coll’esaurirsi del fondo disponibile di risparmio, sarà condotto a termine? Lo stato di squilibrio dei prezzi non si sarà perpetuato ed inasprito? Non trasformiamo, per troppo zelo, il lavoro pubblico, il quale è un espediente vantaggioso a sormontare i punti morti e gli avvallamenti peggiori del ciclo economico, in una panacea. Come ogni altro rimedio, il lavoro pubblico è utile se sia sapientemente dosato, diventa veleno se usato fuor del suo campo proprio. Anche in questo, come in ogni altro campo della vita economica, vale l’aurea regola: si faccia bene la cosa intrapresa, secondo la sua natura propria. Volere che il lavoro pubblico serva a due fini: eseguire la bonifica o il rimboschimento bene, secondo le esigenze tecniche ed economiche proprie della bonifica e del rimboschimento – ed eseguirli allo scopo di aggiustare i prezzi scompigliati dalla crisi mondiale – è un volere l’impossibile. È un volere guastare il fine proprio senza raggiungere quello improprio. Se io apro la relazione di Serpieri su «La legge sulla bonifica integrale nel terzo anno di applicazione» vedo discussi problemi di bonifiche da farsi bene e non di contaminazioni di bonifiche con aggiustamenti di prezzi nel vasto mondo. Il che riposa ed affida, laddove le grosse macchine progettistiche, le quali vogliono rinnovare il mondo con il tocco di qualche bacchetta magica, fanno stare col cuore sospeso. Ossia, eccitando speranze seguite da disinganni, prolungano la crisi.

 



[1] Adopero la sigla E.P.I. invece di quella I.R.I., che in Italia denota l’Istituto di ricostruzione industriale, per chiarire che, sebbene abbia avuto presente la struttura e gli scopi dell’I.R.I., io ho voluto fare un ragionamento astratto, ed evitare che un giudizio sfavorevole che altri facesse sulla logica del caso astratto da me posto potesse essere scambiato con un analogo giudizio sull’operare concreto dell’ente creato dal governo italiano. Il ragionamento astratto deve per necessità assumere solo alcune poche caratteristiche, meglio una sola, di una qualunque situazione e ragionar su quelle. Spetta al politico di combinare i risultati delle astrazioni ragionate dagli economisti.

[2] La caduta della Società generale di credito immobiliare italiano, in «Giornale degli economisti» aprile, maggio e novembre 1895, ristampato in Scritti vari di economia, Serie terza, Roma. Castellani, 1910, pgg. 323-615, dove il capitolo IV è intitolato appunto Teoria dei salvataggi. Poiché nulla è nuovo di quel che gli uomini economici fanno, la lettura del capitolo getta vivissima luce su quegli interventi a favore delle imprese pericolanti, di cui Attilio Cabiati ed Edoardo Giretti si occuparono nei due primi fascicoli del 1933 di questa rivista.

[3] Il Concetto di “riflazione” è particolarmente misterioso. Non mi azzardo a darne io, che non ho capito bene di che cosa si tratti, una definizione. Parrebbe trattarsi di iniettare nella circolazione una massa di moneta che già faceva parte della circolazione e si giudica esserne stata distolta con danno della collettività. Ossia parrebbe trattarsi di qualche cosa che occorrerebbe misurare nella base di concetti vaghissimi come il danno o il vantaggio di un dato livello di prezzi assunto a prototipo dell’ottimo.

[4] Il lavoro pubblico può essere evidentemente compiuto con mezzi eccedenti il fondo disponibile di risparmio, ossia con moneta cartacea o bancaria creata a bella posta. Gli effetti paiono però diversi, soprattutto perciò che essi presuppongono una forzosa trasposizione di mezzi di acquisto da classe a classe. Ossia presuppongono quel tipo particolare d’imposta che dicesi per l’appunto “inflazione”.

[5] Cfr. la serie istruttiva di articoli pubblicati col titolo Primary Products, Prices of Manufactures e Prices and Fixed Charges, nei numeri del 6, 13 e 20 maggio 1933 di «The Economist» di Londra.

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