Opera Omnia Luigi Einaudi

Gli ammonimenti delle variazioni del tasso d’interesse

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/02/1913

Gli ammonimenti delle variazioni del tasso d’interesse

«La Riforma Sociale», febbraio-marzo 1913, pp. 187-190

 

 

 

Ho creduto opportuno di pubblicare, estraendolo da una relazione fatta a nome della Commissione torinese del bilancio, questo studio suggestivo di Alberto Geisser. Del problema gravissimo delle finanze locali sempre si discorre, senza nulla concludere mai. Se almeno, col trascorrere del tempo, la matassa da sé si sbrogliasse, il ritardo apporterebbe qualche beneficio.

 

 

Purtroppo col tempo la matassa invece si aggroviglia ognora peggio.

 

 

Oggi l’aspetto preoccupante per i Comuni del problema finanziario è il costo dei capitali che si devono cercare a mutuo per le spese di risanamento, le costruzioni scolastiche, le imprese municipalizzate. Finora ai bisogni provvedeva la Cassa depositi e prestiti. Ma, essendo i bisogni cresciuti d’ogni parte, nuove leggi imponendo obblighi amplissimi di sovvenzionare a mite tasso svariate iniziative e crescendo proporzionatamente con ritmo meno veloce le disponibilità della Cassa, questa è impari alla bisogna. I Comuni, ammonisce il Geisser, devono ricorrere al mercato ed ivi debbono pagare ai creditori il 4,50% netto, il che vuol dire, tenuto conto delle tasse ed imposte e spese, quasi il 6 per cento. Tasso quasi proibitivo, in confronto a quelli ben minori del 3, 3 1/2, 4 e 4 1/2 per cento a cui la Cassa depositi e prestiti li aveva abituati.

 

 

Il problema, dal punto di vista economico, deve essere posto così: i Comuni devono essere messi in grado di procurarsi capitali con oneri fiscali non minori e non maggiori di quelli che pesano sui privati. Se, a parità di fiducia, i capitali costano il 5% ai privati, devono costare né più né meno del 5% ai Comuni. Sarebbe dannoso che costassero di più, perché si impedirebbe artificiosamente ai Comuni di esercitare un’azione, forse utile, in concorrenza coi privati, a vantaggio dei consumatori; come del pari sarebbe dannoso costassero di meno, perché si citerebbero artificiosamente i Comuni a produrre servigi o merci, invece degli imprenditori privati, ad un costo apparentemente uguale o minore dei privati ed in realtà maggiore, a spese dell’erario, chiamato, con la perdita del tributo, a pagare la differenza. Perciò io sono d’accordo col Geisser nel ritenere che l’imposta di ricchezza mobile sui mutui in obbligazioni comunali debba essere ridotta al 15% se è del 15% per i mutui dei privati; e debba ugualmente essere ridotta al 12 od al 10% pei Comuni il giorno in cui la si riducesse per le società anonime al 12 od al 10 per cento.

 

 

Uguaglianza comparativa di trattamento dunque, per privati e per Comuni.

 

 

Nessun dubbio su di ciò. Ben diverso è il discorso quanto all’altezza assoluta del tasso dell’interesse o del costo dei capitali. Altro è dire che l’interesse non debba essere, per differenze artificiali d’imposta, per i Comuni del 6% e per i privati del 5%, ma per tutti del 5%, se tale è il tasso normale corrente per impieghi di quella tale sicurezza, durata, ecc., ecc.; altro è dire che l’interesse debba essere per tutti del 4% e non del 5% come è portato dal mercato. Questa seconda proposizione è molto lontana dal pensiero del Geisser[i]; ma, poiché è opinione di molti essere opportuno che i Comuni possano procurarsi capitali al 4% quando il tasso dell’interesse è del 5%, ed essere vantaggioso alla generalità che i capitali possano ottenersi per certi fini a buon mercato, ossia a minor tasso del prezzo corrente, è necessario far rilevare che questa opinione è un solennissimo errore. Che cosa vuol dire che l’interesse è oggi del 5%, mentre ieri era del 4%? Molto all’ingrosso e trascurando assai fattori secondari, vuol dire:

 

 

  • 1) che si produce meno risparmio di prima;
  • 2) ovvero che producendosene magari ugualmente o di più, se ne consuma maggiormente a scopi consuntivi, privati e pubblici: spese individuali e famigliari, spese pubbliche straordinarie non direttamente riproduttive, come guerre, armamenti, igiene, scuole, ecc.;
  • 3) ovvero se ne consuma di più per scopi produttivi, come impianto di nuove imprese, costruzioni di ferrovie, ponti, colonizzazioni, ecc.

 

 

In tutti i casi il rialzo dell’interesse è utile, perché:

 

 

  • 1) se è vera la prima ipotesi, del minor risparmio, sia in senso assoluto sia in senso relativo, il cresciuto interesse accresce lo stimolo al risparmio e diminuisce la spinta al consumo; onde si provoca una diminuzione del tasso dell’interesse in un successivo periodo;
  • 2) se è vera la seconda ipotesi, si oppone una maggiore difficoltà a privati, governi e Comuni a procacciarsi capitali da consumare. Qui non si vuol dare un giudizio sui meriti o demeriti delle guerre, armamenti, spese di lusso, ecc., che in bocca di un economista sarebbero giudizi fuor di luogo. Si vuol dire soltanto che ogni uso della ricchezza deve trovarsi in un certo rapporto con gli altri usi della medesima ricchezza. Il rialzo del tasso dell’interesse non dice ai municipii: fate meno scuole, meno opere di fognatura, meno risanamenti. E non dice ai governi: non fate guerre, non comprate cannoni, non costruite Dreadnoughts, ecc. Esso dice soltanto: fate quello che il dovere vi insegna o il desiderio vi rende attraente; ma badate che la conseguenza della vostra azione è un rialzo nel costo dei capitali che vi dovrete procurare a prestito. E deliberate, tenendo presenti le conseguenze della vostra decisione. Ogni azione umana, dal punto di vista economico, è un confronto fra costi e benefici. Il rialzo del tasso dell’interesse vuol dire che i costi aumentano, mentre forse i benefici rimangono gli stessi. Onde gli amministratori della cosa pubblica, come i privati, dal rialzo dei costi possono trovarsi indotti a rimandare certe spese, a risecarne certe altre, a mettere la propria condotta in armonia con la propria ricchezza. Risultato per fermo utilissimo, come quello che impedisce a privati ed enti pubblici di ingolfarsi in spese eccessive o parzialmente inutili o prorogabili. Ossia impedisce a privati e Stati di impoverire o rovinarsi. Il che, aggiungiamo ancora, è utilissimo per conservare forza nei momenti di crisi della vita individuale o nazionale. L’uomo impoverito, come lo Stato che è indebitato od ha spinto al massimo la pressione tributaria sui cittadini, sono facili vittime degli emuli e dei nemici;
  • 3) se poi è vera la terza ipotesi, che il tasso dell’interesse cioè sia aumentato per una maggiore richiesta a scopi produttivi, anche è verissimo che l’aumento è grandemente utile. Perché, nei periodi in cui i privati largamente investono in nuovi impianti industriali, in costruzioni di ferrovie, in miglioramenti agrari, od in cui i governi si lanciano in opere portuarie, piani ferroviari ed i Comuni moltiplicano le imprese municipalizzate il pericolo più grave è quello di costruir troppo, di fare impianti eccessivi, di municipalizzare a dritta e rovescio. Quale il rimedio alla frenesia degli investimenti? Il ragionamento economico a poco serve, a nulla il ricordo delle esperienze passate, ed a men che nulla il controllo dei Parlamenti, dei Consigli comunali, dei referendum ed altrettali avvedimenti scritti sulla carta. L’unico freno è il rialzo del tasso dell’interesse. Governi e Comuni possono, entro certi limiti, costringere i contribuenti a pagare maggiori imposte, i privati imprenditori possono forse ottenere prezzi migliori dalla clientela; ma di ottenere più forti provviste di risparmio a minor prezzo non c’è verso. Invece del 3 bisogna pagare il 3 1/2, invece del 3 1/2 il 4 od il 5 od il 6 per cento.

 

 

Più si commettono errori in eccesso, più bisogna pagar caro il denaro. Si può mormorare contro il rio fato e l’ingordigia dei risparmiatori, ma bisogna sottostare alle loro cresciute esigenze. E la prospettiva del denaro caro impaurisce gli imprenditori troppo intraprendenti ed i governi e Comuni troppo innovatori. Onde si commette un minor numero di errori, e forse si evitano le crisi economiche ed i torbidi politici. L’analisi degli effetti del crescente tasso di interesse non è certamente compiuta, anzi è solo parzialmente abbozzata in queste poche osservazioni. Sembra però certo che imprenditori privati ed amministratori pubblici a lunghe vedute debbano, nei periodi storici in cui cresce la tendenza al consumo non produttivo ed agli impieghi riproduttivi, essere lieti che funzioni efficacemente quel sistema di segnalazioni delle burrasche economiche e politiche che si concreta nelle variazioni del tasso dell’interesse. Guai se l’interesse, in questi periodi, non rialzasse! Errori nuovi si aggiungerebbero agli errori antichi e la crisi sarebbe inevitabile ed imminente.

 

 



[i] Cfr. il par. 5 dell’Appendice del GEISSER alla sua versione di AVEHURY “Le industrie dello Stato e dei Municipi” (Roma, Società Edit. Laziale, 1908, L. 3,50).

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