Opera Omnia Luigi Einaudi

Gli scioperi tranviari

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/08/1901

Gli scioperi tranviari

«La Stampa», 16 agosto 1901

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L’epidemia degli scioperi non accenna a diminuire di intensità. Ogni giorno, anzi, il movimento operaio muta atteggiamenti ed assume forme nuove, interessanti talvolta e spesso pericolose.

 

 

Oggi è la volta dei tranvieri. Tre grandi città italiane, Roma, Napoli e Milano, hanno veduto improvvisamente sospeso il servizio tranviario nelle proprie vie.

 

 

Uno sciopero è sempre un fatto grave, anche quando riflette e danneggia soltanto interessi puramente privati. Tanto più grave diventa quando esso direttamente tocca un interesse pubblico, come nel caso dello sciopero dei tranvieri.

 

 

Qui tutti, più o meno, risentono le conseguenze di una sospensione del servizio; e sovratutto lo risentono i ceti industriali e commerciali, gli operai, gli impiegati, coloro insomma che lavorano e che debbono per le esigenze della vita fare una grande economia di tempo. Perciò sono sorte naturalmente le domande: Perché i tranvieri hanno scioperato? ed è giusta la loro causa ovvero sono eccessive le loro pretese?

 

 

Il pubblico ha ragione di porsi queste domande; perché una divergenza di vedute fra le Società assuntrici del servizio ed i loro operai, quando non possa pacificamente comporsi, può essere cagione per lui di noie e di perdite di tempo e di quattrini.

 

 

Non par che l’opinione pubblica abbia motivo di lodare il contegno e di sostenere le ragioni degli scioperanti.

 

 

A Milano lo sciopero non trova alcun difensore. A quanto risulta dalle nostre informazioni,i tranvieri hanno abbandonato il lavoro senza alcun motivo ragionevole, quasi per puntiglio e per spuntarla contro la Società imprenditrice.

 

 

Nonostante le esortazioni dei loro più assennati compagni, nonostante l’avviso contrario dei loro consulenti legali, malgrado che si trattasse di una differenza di una ventina di lire per la durata di sei mesi od un anno al massimo, gli operai si incaponirono, urlarono tutti i contradditori ed abbandonarono il lavoro in massa, con grave danno, fra i primi, dei loro stessi compagni operai, che al mattino seguente dovettero perdere tempo ad andare a piedi alla fabbrica.

 

 

Mettersi in sciopero per un puntiglio meschino e per una differenza minima di pochi centesimi al giorno non è serio. Il pubblico ha cominciato a borbottare e finirà, se la faccenda dura, per perdere la pazienza. Ma è ancor più grave quello che i tranvieri minacciano di fare a Roma. Qui gli operai non pare abbiano scioperato per futili motivi. La loro sorte è invero peggiore di quella dei colleghi milanesi; ed una discussione ordinata e calma dei punti di dissidio non sarebbe parsa ad alcuno fuor di luogo. Ma gli operai non vollero tenersi entro i limiti consigliati dalla convenienza o dalla serietà. Indispettiti forse perché le Società tranviarie non avessero subito accolto le loro domande, provocarono un’adunanza delle Associazioni operaie, e vi fecero deliberare un ordine del giorno in cui si afferma che se la Società non avrà condisceso alle loro domande entro il giorno 18, si convocherà un Comizio di tutti gli operai romani per discutere lo sciopero generale.

 

 

Non bisogna preoccuparsi troppo della minaccia di sciopero generale, perché sinora gli scioperi di questo genere non hanno potuto attecchire in nessun paese e non è prevedibile che se ne abbia a fare il primo sperimento precisamente nella capitale italiana. Lo sciopero generale è un’arma volentieri maneggiata dai tribuni popolari e dagli agitatori politici; ma è un’arma spuntata.

 

 

Il buon senso operaio ha sempre fatto giustizia di una proposta, la quale, quando fosse attuata, getterebbe in scompiglio il funzionamento dell’economia privata e pubblica di una città intera e fornirebbe facile pretesto a tumulti ed agitazioni infeconde.

 

 

I tranvieri di Roma evidentemente hanno fatto ricorso alla minaccia dello sciopero generale, come ad un’arma politica per far pressione sul Governo ed indurlo ad intervenire presso la Società tranviaria a favore degli scioperanti.

 

 

Noi confidiamo che le Autorità governative e comunali non si diano per intese di questa minaccia, ed intervengano, occorrendo, solo per tutelare la libertà del lavoro e per prestare quell’opera di conciliazione prudente che possa condurre a comporre il rincrescevole dissidio.

 

 

Ma, all’infuori dell’opera auspicata del Governo, il contegno dei tranvieri è sintomatico sotto più rispetti. Esso segna infatti un aumento nella irreflessività, nella impulsività e nella violenza del modo di dichiarare e condurre gli scioperi.

 

 

L’appetito viene mangiando. Prima gli scioperi si facevano per ottenere miglioramenti di rilievo; ora a Milano si sciopera per puntiglio e per ottenere alcuni centesimi di più al giorno; ed a Roma si vorrebbe trasformare – fortunatamente a parole – un limitato conflitto in una conflagrazione generale e disastrosa fra capitale e lavoro.

 

 

Sono fatti che non inducono certo a formarsi un’idea elevata dell’educazione e della equanimità di talune frazioni del ceto operaio. E ciò è tanto più interessante se si pensa che mai, come in questi giorni, spesseggiarono i consigli di prudenza e di moderazione da parte dei capi socialisti più intelligenti e colti.

 

 

A nulla valse, sembra, la secessione di Filippo Turati; anzi, mentre egli si sforza ad insegnare temperanza di concetti ed urbanità di forme, le adunanze operaie vanno a gara nel distinguersi per tumulti, insolenze plebee e violenza di parole e di pretese. L’atto di contribuzione dei capi non avrebbe servito a nulla, se le masse, per reazione, si abbandonassero ad eccessi peggiori di quelli un giorno tollerati dai capi medesimi.

 

 

Speriamo che il buon senso trionfi e che cessi presto questo spettacolo poco dignitoso e molto dannoso, che di sé danno gli operai invasi dal morbo novissimo dello sciopero ad ogni costo.

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