Opera Omnia Luigi Einaudi

I limiti ai partiti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/05/1944

I limiti ai partiti

«L’Italia e il secondo Risorgimento», 20 maggio 1944

 

 

 

La ricostruzione dei partiti in Italia e la loro partecipazione al governo dell’Italia liberata pongono parecchi problemi, i quali meritano di essere discussi allo scopo di chiarire i compiti ed i limiti dell’azione dei partiti medesimi nella vita politica italiana.

 

 

Una osservazione fondamentale deve essere fatta subito: i partiti sono un mero strumento. La vita politica, la partecipazione consapevole dei cittadini alla cosa pubblica non consiste nel creare partiti e nel votare per gli uomini designati dai partiti. Questi non sono un fine, un ideale: sono un semplice mezzo con il quale si cerca di rendere più agevole ai cittadini di formarsi una opinione e di rendere efficace ed attiva l’opinione medesima.

 

 

È utile che coloro i quali per la loro comune cultura, per l’affinità dei loro interessi, per la simiglianza dei loro ideali di vita intendono avviare lo Stato verso una meta ritenuta preferibile ad altre, si raggruppino insieme e cerchino di far proseliti, di ottenere aderenti al proprio ideale e di persuadere ad inviare nel Parlamento uomini deliberati a far trionfare nelle leggi e nell’azione concreta di governo gli ideali comuni.

 

 

Altri, che ha diversi ideali, è bene si unisca con coloro con i quali ha comunicanza di idee, per tentare parimenti di guadagnare il favore degli elettori. Non esiste a priori un limite al numero delle correnti politiche diverse, le quali possono manifestarsi attraverso il mezzo dei partiti.

 

 

Oggi i partiti sono cinque o sei, ma potrebbero diventare dieci o dodici o ridursi a due o tre, come accade nei paesi dove il meccanismo parlamentare funziona più efficacemente. Come in tutte le cose umane, l’utilità dei partiti, che è di raggruppamento degli uomini aventi opinioni comuni per il raggiungimento di scopi comuni di carattere politico, incontra dei limiti, oltrepassati i quali, l’utilità si converte in danno.

 

 

Può essere conveniente riunirsi in partiti per dare a talune correnti di idee una rappresentanza nel Parlamento; ma quale scopo avrebbe – per porre un caso estremo – aderire a questo od a quel partito allo scopo di fare prevalere questa o quella opinione filosofica o religiosa, questa o quella teoria scientifica? La verità filosofica – se debba essere rappresentata dalla dottrina immanentistica o trascendentale o esistenziale -; la verità economica – se la teoria del valore lavoro sia vera o falsa, se la teoria della moneta lavoro abbia un qualche senso – ; la verità storica – se le variazioni storiche si spieghino o non col materialismo economico; non sono decise da alcuna maggioranza in qualsiasi parlamento. Se anche una unanimità parlamentare decide, come tra applausi fragorosi consentì unanime qualche assemblea in regimi totalitari, che la teoria dell’autarchia economica è la sola vera e la sola lecita, basta la dimostrazione contraria di un solo studioso ribelle per mettere nel nulla qualsiasi deliberazione di partiti e di parlamenti. Esistono idee, tendenze, opinioni, credenze le quali sono al di fuori dell’azione dei partiti e su cui questi non possono menomamente influire.

 

 

Ma anche rispetto alle opinioni ed alle correnti politiche propriamente dette, quelle le quali si convertono in azione attraverso parlamenti e governi, l’opera dei partiti incontra limiti insormontabili. Il partito è una organizzazione di uomini, che si attua per mezzo di comitati spontaneamente formatisi, innanzi tutto tra uomini dimoranti nella medesima città «o comune»; e poi via via raggruppati in comitati provinciali, regionali e nazionali.

 

 

Organizzazione vuol dire un ufficio, anche mobile o provvisorio, con uno o parecchi segretari, un consiglio, un presidente o somiglianti organi direttivi. Si costituisce una gerarchia, che originariamente mossa dal basso all’alto presto diventa interdipendente tra il basso e l’alto. Se il partito acquista una organizzazione nazionale, fatalmente finisce per preponderare l’azione, la decisione che va dall’alto al basso.

 

 

Si crea una macchina; ed è la macchina la quale in sostanza designa i candidati al parlamento, distribuisce le cariche, formula i programmi, influisce sulla composizione dei governi. Guai all’uomo politico indipendente il quale non segua le direttive del partito, il quale osi criticare gli uomini del partito di governo od i capi designati al futuro governo dei partiti di opposizione. Nasce la tirannia del partito, funesta come qualsiasi altra tirannia. In taluni paesi, i pericoli della «macchina» di partito sono apparsi così evidenti, che, sotto la pressione dell’opinione pubblica, i legislatori hanno dovuto emanare norme allo scopo di assicurare la libertà e la effettiva manifestazione della volontà degli aderenti ai partiti.

 

 

Le leggi elettorali nord americane regolano oramai le elezioni dei candidati alle cariche parlamentari e pubbliche in seno ai singoli partiti altrettanto minuziosamente come le elezioni tra i candidati da parte degli elettori in genere. E ciò fu ritenuto necessario per sottrarre la scelta dei candidati al monopolio dei comitati municipali, provinciali, statali e nazionali, comitati i quali nel loro insieme costituiscono la «macchina» del partito. Ad un certo momento parve, ed effettivamente accadde, che la macchina di partito fosse divenuta un ostacolo gravissimo alla libera manifestazione della volontà degli elettori.

 

 

Per ora, siamo lontani in Italia da questa degenerazione dello strumento partito. Per ora, data l’indole iniziale e fluida dei partiti italiani, lo strumento non si è ancora trasformato in macchina. Ma qualche indizio della possibilità di una degenerazione esiste già e lo si scorge nella pretesa qua e là accampata, dei partiti di essere il tramite necessario attraverso al quale dovrebbe aver luogo la manifestazione della volontà, dei desideri, delle opinioni e dei propositi dei cittadini.

 

 

Poiché nel governo legale dell’Italia libera sono rappresentati tutti i partiti, epperciò quel governo può essere considerato come la rappresentanza della libera voce d’Italia, uopo è che nulla si faccia, nulla si decida al di fuori di quella rappresentanza e che le voci, le opinioni, i desideri del popolo italiano o dei singoli gruppi di uomini giungano al governo italiano esclusivamente attraverso i partiti ed il comitato dei partiti, i quali hanno unificato gli sforzi sparsi degli italiani in questo supremo momento della vita del nostro paese.

 

 

Qui importa distinguere. Deve rimanere unito tutto quello sforzo degli italiani, il quale opera attraverso il governo. Unico deve essere l’esercito combattente e sotto un solo comando unificato debbono operare tutti i valorosi, sia che appartengano all’esercito regolare organizzato nell’Italia meridionale sia che militino nelle schiere dei partigiani i quali lottano sulle Alpi o lungo l’Appennino. Unica deve essere l’amministrazione civile e giudiziaria: unica quella dell’istruzione e delle altre branche dell’amministrazione pubblica.

 

 

L’accordo dei partiti a far parte del governo significa solo che uomini appartenenti a diverse correnti di idee influiscono, dentro al governo, nel prendere quelle decisioni le quali dovranno poi essere poi attuate nei diversi rami, militari e civili, della amministrazione italiana.

 

 

A questo punto trova il suo limite, fin d’ora, l’intervento dei partiti. Gli italiani non devono trovare alcun impedimento alla libera, varia spontanea espressione dei loro desideri, delle loro aspirazioni, delle loro tendenze, dei loro propositi. Il fatto che i partiti, quelli sorti o apparsi alla gran luce dopo il 25 luglio, hanno provvisoriamente assunto la rappresentanza degli italiani, non ha affatto per conseguenza che gli italiani debbano essere rappresentati esclusivamente dai partiti medesimi, né che essi debbano farsi valere soltanto attraverso ad essi. Principiis obsta.

 

 

Importa fin da ora, fin dal primissimo inizio della nuova vita politica italiana, affermare nel modo più chiaro e reciso – non adopero, perché ripugnante, la brutta parola inequivocabile venuta di moda a scopo di intimidazione nel tempo del ventennio fascista – che gli italiani non hanno affidato e non debbono affidare al alcun partito o riunione di partiti la rappresentanza delle loro idee e dei loro interessi.

 

 

Esiste forse una qualsiasi differenza tra l’impero esclusivo dell’unico partito fascista sulle cose della educazione, dello sport, della stampa, della editoria, del commercio dell’economia ecc., ecc., e l’esclusività che si vorrebbe attribuire ai partiti od al comitato dei partiti nei rapporti fra i cittadini e lo Stato?

 

 

Inavvertitamente, lo spirito fascista, caduto il regime, proietta ancora la sua triste ombra su di noi. Inavvertitamente, quando ci rivolgiamo a qualcuno, ad un uomo, ad un partito, ad un gruppo, perché ci guidi, ci indirizzi, noi facciamo dedizione della nostra volontà, noi rinunciamo ad essere uomini e cittadini.

 

 

Perché la libertà, la democrazia, l’autogoverno diventino una realtà viva, perché noi non ci limitiamo a mutar fianco sul letto di dolore, ma ci risolviamo a rizzarci in piedi, uopo è, ad esempio, che gli italiani, ricostituiscano essi la loro stampa, che sarà o non sarà di partito, a seconda dei propositi di chi farà questo o quel giornale: e la sola esigenza sarà che siano dichiarati apertamente i partiti dei quali ogni giornale sarà l’organo o gli uomini individualmente, all’infuori dei partiti, responsabile della pubblicazione; manifestino liberamente le loro opinioni ed i loro voti e li facciano pervenire dove e come vogliono e possono, sia al governo legale, sia al partito da ognuno preferito, sia direttamente all’opinione pubblica in genere; formino, oltre ed accanto ai partiti, comitati e movimenti intesi a propugnare idee che non trovano luogo od accoglimento nei programmi dei partiti o non vi trovano quel luogo eminente che a taluno può sembrare essere il suo.

 

 

Vi è chi crede essere la federazione europea o quella degli stati democratici un punto programmatico di primissima importanza nelle decisioni quali dovranno essere prese alla fine della guerra? Reputa altri dovere essere agitata sovratutto l’idea della immediata congiunta abolizione della protezione doganale, dei vincoli al commercio internazionale e simili? Chi ha queste opinioni sia libero di costituire leghe, movimenti, associazioni a quello scopo particolare; leghe e movimenti intesi ad agire sulla opinione pubblica, nel governo, nei partiti medesimi, senza il beneplacito e senza la sanzione o l’intermediazione necessaria di verun partito o comitato di partito.

 

 

Ed i comitati ed i movimenti e le leghe siano, se così piace, momentanei ed effimeri; comitati di studio e di iniziativa, destinati a raccogliere temporaneamente tutti coloro che in un certo momento ritengono un problema così importante da dovere essere illustrato a quanti, privati ed enti pubblici, partiti o governi, possono avere una qualche voce nel decidere in merito.

 

 

Per ora, poiché la sola azione concreta da compiere è la guerra al tedesco e ai suoi complici, tutti gli italiani debbono star dietro, senza discussioni inutili, al governo che incarna la volontà comune; ma poiché è necessario ed è inevitabile che nel tempo stesso si pensi fin d’ora all’avvenire, e si preparino sin d’ora discussioni e programmi per la ricostruzione del paese, importa che gli italiani si persuadano della necessità di non abdicare nessuna, anche minima, particella della loro volontà di divenire migliori in mano di nessun altro, si chiami questo partito o comitato di partiti o governo nazionale. Importa che non si radichi l’idea nefasta, trista eredità del ventennio, che ci sia qualcuno incaricato di opinare, di vegliare, di decidere per conto nostro. I partiti potranno esercitare sull’Italia nuova un’opera educativa benefica, se essi si manterranno aperti alla critica, se essi non diventeranno una macchina intesa a fare le elezioni, a spingere innanzi gli amici ed a tenere lontani coloro che non sono niente e potrebbero divenire qualcosa.

 

 

L’idea di partito sarà feconda se essa non si identificherà con qualsiasi esclusività, se ammetterà che le correnti e gli ideali politici si possano manifestare a mezzo di sempre nuovi partiti, di nuove associazioni, di movimenti decisi a battere in breccia i vecchi partiti, i vecchi movimenti, le vecchie idee. Esclusività, privilegio, macchina, vogliono dire totalitarismo, tirannia, fascismo.

 

 

Guardiamoci dall’adorare sotto nuovi nomi il vecchio idolo. La libertà non si ottiene e non si conserva se non nella lotta di ogni giorno e di ogni ora.

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