Opera Omnia Luigi Einaudi

I popolari contro lo sperpero dei 200 milioni?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 06/04/1922

I popolari contro lo sperpero dei 200 milioni?

«Corriere della Sera», 6 aprile 1922

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 649-650

 

 

 

«Non l’abbiamo fatto noi» – dice il «Corriere d’Italia» del disegno di legge per i 200 milioni alla marina mercantile che l’on. Belotti propose e che l’on. De Vito difende. Nella commissione parlamentare gli on. Stefini e Mauro, amendue di parte popolare, avrebbero combattuto lo sperpero dei 200 milioni e la creazione di una marina di stato.

 

 

Non si vuole menomare per nulla il merito dei due deputati popolari. Poiché i verbali delle sedute delle commissioni parlamentari non si redigono se non formalmente e non sono resi pubblici, era difficile conoscere l’opinione individuale dei singoli membri della commissione. Tanto meglio se almeno due di essi sono contrari. Essi meritano lode non misurata ed è doveroso renderla loro pubblicamente. Ma l’opinione contraria in sede di commissione non è ancora l’indice della volontà di un partito. Se il partito popolare è davvero contrario allo sperpero dei 200 milioni ed agli altri sperperi consimili, perché non ha impedito che il disegno di legge venisse a galla? Contro la volontà dei popolari non si legifera in Italia e tanto meno si presentano disegni di legge al parlamento. La cosa non ha potuto passare inavvertita come il decreto-legge, dell’1 o 2 febbraio che sia, dell’on. Mauri sull’arbitrato nell’agricoltura. Dei 200 milioni si parlò molto sui giornali; se ne dovette discutere a lungo e ripetutamente nei consigli dei ministri. Non risulta che su questo problema la presentazione del disegno di legge sia stata decisa in consiglio dei ministri a maggioranza. Una voce autorevole afferma che nel gabinetto Bonomi si venne assai di rado a voti di maggioranza; e, sino a un certo momento, in affari economici il solo votato a maggioranza pare sia stato il decreto-legge di proroga dei fitti al 1923. Ad ogni modo, contro il voto reciso dei ministri popolari sembra potersi affermare che non sarebbe avvenuta prima la presentazione del disegno dei 200 milioni; né oggi il disegno sarebbe sostenuto dal gabinetto. Soltanto così si ha un’azione fattiva di partito. Se un partito è contrario ad un provvedimento legislativo e se quel partito conta 106 voti ed è parte necessaria della maggioranza, quel provvedimento non può nascere legislativamente o nasce morto. Invece il disegno dei 200 milioni è tanto poco morto, che la commissione della camera fa voti che esso sia applicato per decreto-legge.

 

 

Né varrebbe ai popolari invocare la teoria del compromesso: essi forse non si sono opposti efficacemente, con la minaccia del voto contrario ai 200 milioni, per ottenere a loro volta l’acquiescenza dei democratici alla presentazione dei pezzi forti della legislazione che sta loro a cuore latifondo, contratti agrari, arbitrato obbligatorio ecc. ecc. Se è così, non si può più dire che si è fatta opposizione allo sperpero dei 200 milioni; ché anzi se ne è fatto baratto, accettando una cosa brutta, pur di persuadere altrui a fare cosa che ad essi sembra altrettanto brutta. A dimostrare infondati i quali dubbi c’è un modo solo: mandare a monte con una opposizione tenace ed aperta il disegno dei 200 milioni. Ove ciò accada, i popolari si abbiano fin d’ora un plauso senza riserva.

 

 

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