I preliminari della riforma tributaria in Francia
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/07/1912
I preliminari della riforma tributaria in Francia
«Corriere della sera», 20 luglio 1912
Sono anni che in Francia si discorre di riformare il vecchio regime delle imposte dirette, a tipo prevalentemente reale indiziario, creando una nuova imposta, sul reddito diviso in categorie, secondo il costume anglo-italiano, con la sovrapposizione di una imposta sul reddito globale, tipo imposta di famiglia milanese. In Francia però gli uomini politici discorrono volontieri di novità; ma vanno assai a rilento a tradurle nei fatti. Il sistema vigente di imposte dirette sul reddito data in Francia dai tempi della rivoluzione e di Napoleone, ed ha fatto oramai prove mirabili di fecondità ed elasticità. Ma,sebbene fosse sopportato di buona voglia dai contribuenti, era divenuto oramai antipatico ai politicanti, perché era vecchio e perché aveva l’accortezza di non pigliar di fronte i contribuenti, ma di girare le posizioni, attaccandosi non ai redditi, ma agli indizi dei redditi. Ai professionisti, avvocati, medici, ingegneri non diceva: confessatemi il vostro reddito, perché era sicuro che l’avrebbero dichiarato falsamente inferiore al vero; diceva invece: ditemi la pigione del vostro studio, dell’appartamento da voi abitato, perché con opportuni calcoli mi sia possibile trovare notizie assai più sicure intorno al reddito probabile vostro. Parimenti il sistema francese non vessava gli industriali ed i commercianti obbligandoli a contrattare una cifra di reddito, che è oscillantissima, incertissima, passibile di occultamenti svariati, sorgente di litigi continui rispetto alle quote di ammortamento, di riparazione, alle spese deducibili, ecc. ecc.; ma accertava il numero degli operai, dei fusi, dei cavalli – vapore, il valore locativo degli stabilimenti e su questi e su altri indizi calcolava l’imposta. Il sistema aveva funzionato per un secolo stupendamente, con pochissimi attriti tra fisco e contribuenti, con proventi copiosi e crescenti per l’erario. Era un sistema un po’ rappezzato; ed altre rappezzature sarebbero state perpetuamente necessarie ancora, per armonizzarlo con le variabili condizioni dell’industria e dell’economia; non soddisfaceva quelli che amano le cose uniformi ed economiche; ma rendeva assai, con discreta sopportazione dei contribuenti. Venne un giorno in cui gli amanti di riforme e di novità decisero che il sistema era antiquato, e che bisognava rimutarlo da capo a fondo. Abolizione di tutte le vecchie imposte indiziarie; sostituzione al luogo loro di due imposte sul reddito: una specializzata sulle varie categorie di reddito e l’altra globale sulla somma del reddito. L’imposta per categorie avrebbe dovuto analizzare ed accertare e tassare separatamente i redditi di terreni, di fabbricati, di capitali dati a mutuo, di imprese industriali e commerciali, di professionisti, di impieghi. L’imposta globale avrebbe dovuto tirar le somme dei redditi separati e, quando la somma avesse superato le 5.000 lire, tassarla ulteriormente con un’aliquota progressiva fino al massimo del 5 per cento. Senza volerlo, i riformatori avevano copiato, salvo la tenuità di gran lunga maggiore delle aliquote, il sistema italiano delle tre imposte sui terreni, fabbricati e di ricchezza mobile, sovrapponendovi un’imitazione della milanese imposta di famiglia. La riforma passò alla Camera, alla vigilia di un’elezione generale, quando i deputati volevano farsi vanto presso gli elettori d’aver compiuto una grande opera di giustizia sociale. Al Senato l’accoglienza non fu così entusiastica. Notisi che il Senato francese è elettivo; e, per composizione politica, è radicale, combista, bloccardo della stessa Camera. È però un corpo dove non sono rari gli uomini sperimentati, gli ex-ministri delle finanze, tutta gente che non si pasce di pure parole e vuol fare i conti precisi. Essi cominciarono a chiedersi: come funzionerà il sistema dal punto di vista della produttività e della certezza degli accertamenti? Dire che si devono colpire tutti i redditi, è certo una bella affermazione di giustizia sociale; ma colpirli sul serio è impresa un po’ più difficile e la sola che praticamente abbia valore. A questo riguardo, come funzionano in Inghilterra, in Prussia, in Italia gli accertamenti? Rivelazioni melanconiche vennero alla luce. Indagatori privati andavano nei paesi dove la riforma da tempo funzionava; vennero anche in Italia – la quale, e ciò parrà strano per i novatori italiani, è una specie di Mecca tributaria per i riformatori stranieri – e ne riportarono l’impressione che gli accertamenti danno dappertutto risultati diversi dal vero. Non parliamo dell’Italia, dove le indagini del Buffoli sul Corriere della Sera di quindici anni fa e della Riforma Sociale del gennaio 1912 hanno accertato fatti divertentissimi; ma nella Prussia medesima, nella patria delle denunce sotto vincolo di giuramento e del poliziottismo tributario, non è stato affermato e provato che forse metà della ricchezza immobiliare stessa sfugge all’imposta sul patrimonio e le evasioni sono fortissime per l’imposta sul reddito? A questo punto una verità si impose al Senato francese: essere la forma esteriore, apparente dell’imposta una cosa di secondarissima importanza; e tutta la virtù di buon sistema tributario risiede in quelli che l’altra volta su questo giornale ho chiamato “i preliminari” voglio dire gli accertamenti. La Camera aveva votato allegramente la riforma, perché nove decimi dei professionistiche vi abbondano aveva visto che quello che era un ottimo sistema per non pagar quasi più nulla, o per far pagare soltanto agli avversari politici. I finanzieri del Senato, preoccupandosi della resa del nuovo sistema, conclusero che il vecchio ed antiquato metodo di tassare gli indizi aveva del buono, perché gli «indizi» (valori locativi, numero di operai, di impiegati, di macchine, unità di forza idraulica, di cavalli-vapore ecc. ecc.) si lasciano afferrare facilmente e non c’è verso di potere sfuggire alla stretta del fisco e non v’è nemmeno interesse a iniziare con esso dispute inutili. Così è che il signor Aimond, relatore generarle della Commissione senatoria, ha presentato una nota preliminare nella quale, tracciando le grandi linee delle sue proposte, annuncia che il vecchio sistema verrà conservato e, la riforma consisterà soltanto in modificazioni parziali di singole parti del sistema. È inutile dilungarsi su tutti i punti delle proposte senatorie, tanto più che esse toccano problemi di legislazione interna, che non ci interessano. Basti notare, fra l’altro, che il Senato modifica notevolmente il regime dei valori mobiliari, specie coll’assoggettare alla imposta sui cuponi anche i cuponi dei titoli esteri. Inoltre per i titoli nazionali le diverse imposte, sul reddito dei cuponi, di bollo e di negoziazione, sono ridotte ad una sola imposta sui cuponi. I titoli esteri, fra cui le rendite di Stato, oltre a pagare il reddito iniziale del 2% sul valor nominale, pagheranno ogni anno il 4% sul reddito dei cuponi. La grande riforma, oltre ad alcuni ritocchi parziali, si riduce in sostanza ad una sostituzione. Due vecchie imposte sono abolite: la contribuzione personale mobiliare e la contribuzione delle porte e finestre. Questi due venerabili balzelli erano delle vere e proprie imposte sul reddito generale; qualcosa di simile alla italiana imposta sul valore locativo, basata sul fitto di casa, sulle porte e finestre, sul mobilio e su altri indizi. Avevano dei nomi antipatici: e ciò basta per condannarle. La nuova imposta creata in vece loro si chiama «imposta generale sul reddito»: ed il nome simpaticissimo è sufficiente per renderla accettabile. Ma veggasi come questi francesi sanno dare soddisfazione all’opinione pubblica, cambiando i nomi finché si voglia, perché si muti pochissimo la sostanza. Dire «imposta generale sul reddito» è dire pochissimo; finché non si è detto in qual modo si accerti il reddito. Qui l’Aimond ha dato prova di abilità grandissima. O che forse la dichiarazione del contribuente onesto non è il metodo ideale per tassare i redditi? Faccia dunque, se vorrà il contribuente la sua dichiarazione; e ad esso si presterà cieca fede. Il fisco non può mutare d’un etto la cifra dichiarata dal contribuente, se non si dia la prova della sua simulazione.
Probabilmente però l’Aimond è persuaso che con questo regime di dichiarazione volontaria, solo i contribuenti dalla coscienza leggera e sicuri che nessuna prova potrà contro di essi venire addotta, dichiareranno qualcosa. Tutti gli altri taceranno, perché i francesi non amano mettere in piazza, i loro affari. Interverrà allora la tassazione d’ufficio. Questa si farà in tre maniere: 1) Stima particolareggiata dei redditi, tenendo conto solo dei redditi conosciuti in cifra certa dall’amministrazione. Per i redditi professionali si moltiplicherà per 50 l’imposta sulle patenti, calcolata secondo i soliti metodi indiziari; 2) Stima particolareggiata tenendo conto oltre dei redditi certi, anche di quelli presumibili dall’amministrazione; 3) Stima per indizi, moltiplicando per coefficienti fissi legali il valore locativo della casa abitata, con aumento in ragione del numero dei domestici, vetture, battelli di piacere e valore assicurato del mobilio. Servirà di base all’imposta la stima che darà per risultato la cifra più alta. Però se la stima scelta sia la seconda, ossia quella arbitraria, il contribuente, col semplice affermare che il suo reddito è inferiore, ha diritto di far ribassare la imposta sulla più elevata delle due altre stime. Un imbroglio più caratteristico mai non si vide. Non si è avuto il coraggio di dichiarare che un’imposta sul reddito vero del contribuente è un’utopia, perché l’accertamento del vero reddito è impresa di cui non vennero a capo burocrazie sapienti di popoli irreggimentati; e si disse perciò che ogni contribuente potesse, se voleva, dichiarare il suo reddito; e viceversa potesse l’amministrazione accertare, a ragione veduta e secondo informazioni sue il reddito del contribuente (seconda maniera delle tassazioni d’ufficio). Ma si è avuto subito paura di codesti metodi arbitrari e polizieschi; e si è detto che il contribuente potesse evitare di fare la dichiarazione e potesse scartare altresì l’accertamento d’ufficio. Talché, in pratica, le sole due maniere effettive di accertare il reddito saranno la prima e la terza delle tassazioni d’ufficio. La prima, la quale vuole si tenga conto dei soli redditi conosciuti dalla amministrazione in cifra certa, sarà adoperata verso i proprietari di case e di terreni che hanno affitti registrati, verso i creditori di interessi ipotecari, verso i proprietari di titoli nominativi (ricordiamo però che in Francia il fisco nel suo interesse non ha nessuna antipatia verso i titoli al portatore fecondissimi in ogni paese, contrariamente a quanto ritiene il volgo di tributi all’erario), e sovra tutto verso gli impiegati pubblici con stipendio certo. Se l’amministrazione si farà autorizzare a rovistare i registri delle banche, degli agenti di cambio e dei notai, saranno colpiti anche quei piccoli capitalisti che avranno la dabbenaggine di lasciare i propri titoli in custodia a questi istituti o funzionari; ma ne rideranno i capitalisti grossi che custodiranno i propri titoli in casa o li depositeranno in Svizzera. Costoro ed altri moltissimi – l’immensa maggioranza dei redditieri – saranno tassati secondo il vecchio sistema degli indizi, a seconda cioè del fitto pagato, del numero dei domestici, specie delle vetture, valore assicurato del mobilio. Ossia, salvo che per una minoranza di contribuenti, scelti per avere connotati speciali, la nuova «imposta generale sul reddito» sarà né più né meno della vecchia contribuzione personale – mobiliare, con un pizzico di porte e finestre in meno e un po’ più di domestici e vetture. Così finiscono la loro carriera le grandi riforme tributarie, destinate a rinnovare il mondo. O non era meglio, poiché in definitiva si riuscirà soltanto a migliorare l’antica imposta indiziaria, dirlo espressamente; e non mettere il campo a rumore con le altre maniere di accertare il reddito, le quali o son destinate a restare lettera morta o potranno a stento essere applicate ad una infima minoranza di contribuenti? Forse si è voluto salvare, col nome, anche l’apparenza di una imposta sul vero reddito, almeno come spauracchio per i colpevoli di lesa democrazia legittimando così i virulenti appellativi di vieille defroque e di vieux rossignol discredité con cui Paolo Leroy Beaulieu vilipende periodicamente l’imposta sul reddito? L’esperimento non sarà stato inutile. Più o meno, in tutti i paesi dove esiste l’imposta sul reddito e un’imposta sugli «indizi» del reddito. Nelle società moderne, dove i redditi sono vari, provenienti da fonti e da paesi diversissimi, l’unico mezzo di conoscere sul serio l’ammontare del reddito è di guardare agli «indizi esteriori» di esso. Sulle leggi si può scrivere tutto ciò che si vuole; ma gli agenti fiscali non hanno alcun mezzo più sicuro per conoscere il reddito fuorché guardare a ciò che si spende. Non accadde forse ad un esterrefatto magistrato prussiano di sentirsi dire dall’agente delle imposte che egli doveva avere altri redditi oltre al suo stipendio, perché con questo soltanto gli sarebbe stato impossibile dare ogni settimana un ricevimento serale con parecchi convitati e con un servizio relativamente costoso? Se questo accade nel paese classico dell’imposta sul reddito, non ne dobbiamo concludere che l’unica maniera seria di accertare meglio i redditi è di perfezionare l’accertamento degli “indizi” del reddito stesso? Invece di averne onta, bisogna perfezionare lo studio dei vecchi valori locativi, vetture e domestici, cani e cavalli, mobilio e ville, ecc. ecc.. Così ha riflettuto il relatore del Senato francese; e, sebbene non abbia osato andare sino in fondo al suo pensiero, sebbene non abbia saputo spogliarsi del tutto della «vieille defroque» dell’accertamento globale del reddito vero, dobbiamo riconoscere che col suo rapporto il riconoscimento della verità ha fatto strada. La qual verità dice: che se «l’imposta sul reddito» è una bella frase democratica, la sostanza di essa non si potrà attuare se non quando si sia sostituito alla parola «reddito» il contenuto di un accertamento rigoroso degli indizi esteriori del reddito. Solo allora accadrà che coloro i quali oggi cianciano, senza pagare un quattrino, di giustizia tributaria, siano costretti a pagare almeno in ragione della loro spesa.