Opera Omnia Luigi Einaudi

I prestiti pubblici durante la guerra – Parte VII: La distribuzione sociale dei titoli di debito pubblico

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1908

I prestiti pubblici durante la guerra – Parte VII: La distribuzione sociale dei titoli di debito pubblico

La finanza sabauda all’aprirsi del sec. XVIII e durante la guerra di successione spagnuola, Officine grafiche della Società tipografico editrice nazionale, Torino 1908, pp. 270-276

 

 

 

78. – Prima di conchiudere questo argomento dei debiti di guerra, sul quale ci siamo indugiati a preferenza degli altri perché meglio di tutti ci ha permesso di mettere in luce la varietà dei mezzi messi in opera e le difficoltà enormi superate per procurare all’erario le entrate di cui s’aveva difetto e bisogno grandissimi, vogliamo ancora dir qualcosa sulla composizione sociale dei creditori dello stato. Già discorrendo dell’ottava erezione dei monti, della vendita del diritto di nomina dei sindaci ed ora degli argenti portati in zecca abbiamo avuto modo di vedere quanti e chi fossero coloro che in quei frangenti imprestavano danaro allo stato. Ripetere l’elenco dei sottoscrittori di tutti i prestiti pubblici sarebbe stato per alcuni di essi impossibile, data la mancanza di fonti sincrone, per tutti di una lunghezza fastidiosa. Abbiamo creduto opportuno di scegliere una via di mezzo; ed abbiamo classificati[1] in numeri assoluti e percentuali i creditori dello Stato a norma della classe sociale a cui appartenevano e della somma capitale che aveano imprestato o del reddito annuo che ricavavano dal mutuo fatto allo Stato. L’indagine ci parve non priva di interesse, poiché potrebbe agli studiosi permettere confronti tra la diffusione nelle diverse classi sociali dei titoli di debito pubblico nel primo settecento e nel novecento. Abbiamo reputato opportuno di mettere primi gli alienatari del tasso iscritti nel conto di tesoreria del 1706 in quanto per essi le percentuali sono calcolate sul reddito annuo in tasso e non sul capitale pagato e poi perché fra essi sono compresi alcuni Principi della famiglia regnante, godenti di un appannaggio sul tasso, appannaggio che, a stretto rigore, non ha nulla a che fare coi debiti pubblici propriamente detti. Perciò per gli alienatari del tasso nel 1706 presentiamo il calcolo in doppia maniera: con e senza la famiglia reale.

 

 

Ecco innanzitutto la tabella del numero assoluto e relativo dei montisti, alienatari, ecc. divisi per classi sociali:

 

 

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Tenendo conto delle duplicazioni da un lato e delle ditte indivise dall’altro, non erano forse più di 2000 in tutti gli acquisitori di tassi, monti ed infeudazioni. Il blocco più grosso era dato dalla nobiltà di sangue e dalla nobiltà di toga (magistratura, ecc.), le quali aveano le parti proporzionalmente più elevate nei debiti più antichi (tasso del 1706 e monti di fede) ed in quelli che traevano loro ragion d’essere dal fasto esteriore (argenti in zecca); ma la borghesia, quasi tutta torinese per i monti e provinciale in prevalenza per le alienazioni di tassi e le infeudazioni, la serrava da presso. Anzi tra i montisti di San Giovanni Battista, gli alienatari del tasso durante la guerra nostra, e gli infeudanti, i borghesi (persone designate negli elenchi col semplice titolo di “signor”) superavano i nobili. Erano borghesi il 49,07% degli infeudanti dal 1706 al 1709, altro indice dello scarsissimo rapporto che vi era tra le infeudazioni del tempo nostro e la feudalità vera e propria. Questi infeudanti erano gente che voleva affrancare la propria terra dal pagamento dei tributi. Il clero, gli ordini religiosi, i capitoli ed i conventi venivano dopo e si erano specializzati nel possesso dei luoghi di monte e specialmente del monte di fede, che per di più di un terzo era di proprietà di ordini religiosi. Era lira antica nel Piemonte nostro la tendenza del Principe a favorire gli impieghi di manomorta in titoli del debito pubblico per avere sottomano gli investiti di benefici ed i membri degli ordini religiosi. Per il rimanente la tabella si spiega da sé.

 

 

Ed ora una seconda tabella relativa ai capitali pagati dai creditori dell’erario. La tabella è divisa in tre parti: nella prima si contengono le cifre assolute dei capitali mutuati allo Stato da ogni classe sociale (per gli alienatari del tasso nel 1706 si tratta invece di tasso annuo ricevuto), nella seconda le stesse cifre sono ridotte a percentuali e nella terza a medie per ogni persona appartenente alle varie classi. Nella prima e terza parte si trascurano i soldi e i denari.

 

 

Se in questa seconda tabella si confronta la distribuzione dei capitali con quella delle persone fra le diverse classi sociali dei creditori, si vede cresciuta in media l’importanza della nobiltà e degli enti caritativi, e diminuita quella del clero, degli ordini religiosi e della borghesia. Nel tasso alienato nel 1706, la nobiltà prende per sé il 72.76% del tasso alienato e le percentuali negli altri debiti variano dal 22.71 al 38.90%; se a queste percentuali aggiungiamo quelle della nobiltà impiegata nella magistratura, ecc., la parte spettante alla nobiltà risulta ancor più elevata. Mentre invece è meschina la quota dei membri del clero, la quale si rialza in alcuni casi (monti) solo per l’apporto degli ordini religiosi. Questi rapporti sono messi in evidenza altresì dalla tabella delle medie del reddito e del capitale posseduto in media da ogni creditore appartenente alle diverse classi: i nobili si trovano quasi sempre ad essere i più forti creditori, se si eccettuano i Monti di S. Giovanni Battista, pei quali il primato per le prime quattro erezioni è ceduto agli ospedali, che sono per, è bene ricordarlo, appena sei. Dobbiamo notare ancora che la parte spettante alla borghesia ed alla magistratura (tanto di nobili di sangue che non nobili), aumenta nelle ultime sei erezioni dei Monti di S. Giovanni Battista di fronte alle prime quattro erezioni ed ai Monti di Fede, negli alienatari del tasso dal 1704 al 1709 e negli infeudanti dal 1706 al 1709, in confronto dei vecchi alienatari del tasso che già risultano inscritti nel 1706; e da questo fatto si potrebbe forse dedurre la constatazione di una tendenza dei titoli di debito pubblico ad essere pregiati non soltanto dal clero e dalla nobiltà, ma anche, o meglio in grado maggiore, dalla borghesia e dai magistrati. Indice questo fors’anco della formazione di un terzo stato di funzionari, possidenti, commercianti, che aveva accumulato un qualche risparmio e cercava di investirlo sicuramente in mutui allo Stato.

 

 

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Ecco ora la distribuzione del debito pubblico in rapporto all’importanza dei mutui fatti allo Stato. È da ricordare sempre che per gli alienatari del tasso nel 1706 la classificazione è fatta per categorie di tasso annuo alienato, mentre per tutte le altre è fatta per categorie di capitale pagato. Prima esponiamo i dati intorno al numero assoluto e relativo degli alienatari, montisti, ecc.

 

 

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Come sempre, quando si espongono dati sulla distribuzione delle ricchezze, sono i piccoli che per numero prevalgono. I creditori, che hanno anticipato sino a L. 3000 in capitale o godono di un reddito annuo non maggiore di L. 300, sono i più; e vengono in appresso i creditori più facoltosi, tanto minori in numero quanto piùè grande la somma. È curioso da notare che il meno democratico è il Monte di Fede – il prediletto dagli ordini religiosi – e il debito in cui il funzionamento è massimo è quello degli infeudanti, nessuno dei quali ha pagato somme superiori a 25.000 lire, rimanendo anzi quasi tutti al di sotto delle 3000 lire. Devono qui essere ricordati il fine per cui infeudavano terreni allodiali ed i limiti che erano posti alla somma pagata dall’ampiezza del fondo infeudato.

 

 

Seguono i dati relativi ai capitali pagati (od al tasso annuo alienato), distinti per classi di capitali o di interessi. La tabella è divisa di nuovo in tre parti, per i capitali assoluti, per la percentuale spettante ad ogni classe e per le medie dei capitali od interessi per ogni individuo delle varie classi. Nella prima e nella terza parte si trascurano i soldi e i denari.

 

 

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È naturale che, ragionandosi qui di capitali mutuati ed interessi percepiti, le proporzioni percentuali siano quasi capovolte in confronto della tabella precedente; poiché grossi capitali dei pochi montisti od alienatari della categoria al disopra delle 25.000 lire hanno maggior peso dei piccoli capitali dei moltissimi montisti od alienatari della categoria al disotto delle 3000 lire. Con tutto ciò si osservi che il capovolgimento non è totale e che il peso maggiore l’hanno le categorie medie dalle 3 alle 25.000 lire, sovratutto per i prestiti ultimi. La distribuzione aristocratica massima nel tasso alienato da antica data e nei Monti di Fede ed è minima nei conti di S. Giovanni Battista e nelle infeudazioni. Si noti ancora che le tabelle nostre danno l’impressione di un riparto di titoli più concentrato di quanto non fosse in realtà; poiché per necessità noi dovemmo considerare ogni ordine, capitolo o convento come una sola persona giuridica, senza poter tener calcolo che molte persone fruivano di quei redditi. Più ancora dovemmo considerare come spettanti ad una persona sola le partite inscritte in capo a parecchi fratelli, o sorelle, o parenti o soci indivisi. Se si fosse potuto tenere il dovuto conto di queste considerazioni si sarebbe veduto ancor meglio, cosa che del resto risulta evidente anche dai dati così come si poterono da noi elaborare, che il debito pubblico nel nostro primo settecento era distribuito all’incirca fra un due mila capitalisti, appartenenti al clero, agli ordini religiosi, alla nobiltà di spada e di toga ed alla media borghesia torinese e provinciale. Fra questi precursori della falange enorme dei possessori attuali di titoli di debito pubblico, di azioni ed obbligazioni di società anonime, spiccavano alcuni pochi, non più di 80 o 90, i quali avevano un capitale di più di 25.000 lire od un reddito di più di 5000 lire, al disotto un 250 possessori di un capitale da 10 a 25.000 lire o di un reddito da 1000 a 5000 lire, 600 possessori di un capitale da 3000 a 10.000 lire o di un reddito da 300 a 1000 lire ed erano forse un 1000/1200 i privati o gli enti morali che aveano investito un capitale di non più di 3000 lire o godevano di un reddito non superiore a 300 lire. Questo piccolo nucleo di capitalisti cittadini e provinciali faceva il Principe appello nei casi di pressante bisogno. Su una popolazione del Piemonte di circa 800/850 mila abitanti (escluse cioè la Savoia, Aosta, Nizza ed Oneglia), non era certamente ampia la cerchia dei capitalisti pronti a far credito allo Stato. Non era nemmeno però una classe posticcia, composta di banchieri forestieri e di usurai indigeni, come alcuni si compiacciono di immaginare composta la classe dei rentiers d’antico regime. Banchieri ed ebrei compaiono rarissimamente[2] nelle liste degli alienatari e dei montisti e si riservano di farsi innanzi ad imprestar denaro all’8, al 10, al 15 e persino al 40 per cento, con prestiti a breve scadenza, quando l’acqua sale alla gola ed il generale delle finanze non sa più a qual partito appigliarsi per pagare con la cassa vuota i soldati ed i fornitori più impazienti[3]. I capitalisti, che in tempi normali si contentano del 4 e del 5 per cento, ed in tempo di guerra imprestano denari al 6 per cento, non sono né banchieri né usurai; son figli del paese: nobili che combattono in campo per la salvezza del paese, magistrati che rinunciano al loro stipendio e borghesi già posti a dura prova col pagamento di gravosi tributi. Perciò tanto più grande e più bello lo sforzo che fu fatto allora per la liberazione del paese dallo straniero.

 



[1]Traendo i dati da fonti diverse. Le notizie sui montisti di fede e di San Giovanni Battista si riferiscono al 1717, e sono tratte da A.S.M.E. Monti, M. 1, n. 7. Stati de’ Monti di S. Giovanni Battista di Torino e Ristretto de’ Luoghi, Capitali e Proventi annui de Sig.ri Montisti che esigno dal Monte di Fede. L’elenco dei montisti di San Giovanni Battista per ogni anno dal 1700 al 1713 si sarebbe dovuto conservare nell’archivio della città di Torino che aveva l’amministrazione del Monte. Se ne trova infatti notizia in un vecchio catalogo; ma se quei documenti siano stati distrutti o dove siano finiti non è noto agli egregi e diligentissimi archivisti della città. Certa cosa che oggidì più non se ne ha traccia. Le notizie sugli alienatari del tasso nel 1706 sono tratte da A.S. e. Inv. gen. Art. 86, n. 2, Conti di tesoreria generale, anno 1706, ai capi 22/545 del credito. Quelle sugli alienatari del tasso dal 1704 al 1709 pure da A.S. e. Inv. gen. Art. 86, n. 2, Conti di tesoreria generale del 1704, 1705 e 1706, dal Conto Palliero allegato al conte di tesoreria generale del 1706 e da A.S.C. Inv. gen. Art. 86, n. 5, Conti infeudationi e smembramenti del tasso del 1706/1707 e del 1708/1709. Cfr. EINAUDI, B. e C.T. 1700/713, Tabelle V, VI e IX. Dai citati Conti infendationi e smembramenti del tasso sono pure tratti i dati sugli infeudanti dal 1706 al 1709. Le notizie sui consegnanti degli argenti in zecca nel 1706 sono una elaborazione di quelle contenute nel precedente p. 75 e ricavate da A.S.C. Inv. gen. art. 858, Catalogo speciale n. 17. Zecca e monete, Categoria quarta. D. Libri mastri della Zecca di Torino, M. 4, n. 11, 1701 in 1706.

[2]Nelle nostre tabelle figurano 6 banchieri e 3 ebrei; e fra questi vi son dei duplicati.

[3]Sugli espedienti finanziari – che son cosa diversa dai debiti pubblici propriamente detti – diremo qualcosa nel capitolo sesto ed ultimo.

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