Opera Omnia Luigi Einaudi

I provvedimenti per i tributi locali nel mezzogiorno

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/03/1906

I provvedimenti per i tributi locali nel mezzogiorno

«Corriere della Sera», 27 marzo 1906

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 330-334

 

 

Il disegno di legge Majorana intorno alla riforma dei tributi comunali non era certo un passo innanzi nello sgravio dei contribuenti; od una grande riforma che mutasse radicalmente od in parte il sistema tributario dei comuni. No; la riforma si riduceva a sostituire alle dite antiche imposte di famiglia e sul valor locativo una nuova imposta sull’entrata, essa pure comunale, la quale presentava il vantaggio di un congegno assai migliore, più equo, flessibile ed elastico, delle due imposte odierne, oramai irrigidite e sperequate. Non ci eravamo perciò uniti a coloro che criticavano il progetto Majorana perché non rispondente ai loro ideali tributari. Parecchi studiosi di pubblica finanza avrebbero preferito togliere ai comuni addirittura le due imposte di famiglia e sul valor locativo, ed istituire una imposta generale sul reddito a favore dello stato. L’esempio della Prussia, dell’Olanda e di tant’altri paesi, insegna che l’imposta generale sull’entrata può essere amministrata con successo soltanto dallo stato, il quale può seguire il reddito del contribuente in tutte le sue manifestazioni, dovunque abbia origine. L’imposta comunale sul reddito per necessità diventa parziale, frammentaria; e lascia adito ad evasioni ed a frodi di ogni specie. Ai comuni si sarebbe dato qualche compenso per il gettito perduto delle attuali imposte di famiglia e del valor locativo; ad esempio, come si fece in Prussia, una maggior partecipazione alle imposte reali sui terreni e sui fabbricati, abbandonando loro parte deI contingente erariale. Ai critici noi avevamo osservato che se si cominciava a discutere dei primi principi delle imposte e della miglior maniera ideale di distribuire i tributi fra lo stato e gli enti locali, la disputa non avrebbe mai avuto fine; e che da qui a dieci anni ci saremmo trovati al punto di prima. Accettiamo intanto – dicevamo – la proposta Majorana la quale aveva il pregio di perfezionare le due imposte attuali di famiglia e sul valor locativo sostituendole con un’unica imposta sul valor locativo: quando saranno perfezionate, se ne potrà fare quell’uso che si crederà migliore.

 

 

Era certissima cosa però che, se anche il progetto Majorana avesse potuto giungere agli onori della discussione parlamentare, le discussioni sarebbero state vivacissime; e le poche novità del progetto avrebbero spaventato molti, sicché in definitiva il risultato pratico sarebbe forse stato nullo. Il ministero presente, fermo nel proposito di voler fare subito opera utile al mezzogiorno, ha perciò, pure tenendone conto nelle sue proposte, ritirato il progetto Majorana; e si contenta di alcune piccole riforme, apparentemente di poco peso, ma la cui utilità non può essere messa in dubbio. Forse il presentarle sotto forma modesta e di semplici modificazioni di norme particolari gioverà a fare approvare le proposte; e sarà tanto di guadagnato. Per non destar diffidenze, non si propone nessuna novità rispetto al nome ed al numero dei tributi locali sulle entrate. L’imposta sul valor locativo è lasciata immutata; e si fanno pochi ritocchi all’imposta di famiglia o focatico, conservandole il nome antico e ben noto alle popolazioni. Poiché oramai l’ «imposta di famiglia» o «focatico» è una istituzione accettata dai contribuenti, perché spaventarli dicendo ad essi che d’ora innanzi dovranno pagare un’imposta sull’entrata? Il nome nuovo darebbe l’idea di inquisizione fastidiosa, mentre quello antico non eccita più diffidenza. Così pure sono abbandonate le proposte di progressività dell’aliquota, e quelle altre novità che potevano ritardare il consenso del parlamento o innestavano sulla riforma altre modificazioni più vaste del sistema tributario vigente. Le proposte si restringono a pochi punti: il minimo di reddito esente, le attenuazioni per le famiglie numerose, il divieto della regressività e la procedura degli accertamenti e ricorsi. Esaminiamoli partitamente.

 

 

L’imposta di famiglia purtroppo, in molti comuni, specialmente del mezzogiorno, è assai male ordinata. Talvolta nessuno è esente ed anche i poverissimi devono pagare; tal’altra sono esenti i «miserabili» con locuzione imprecisa ed arbitraria. Spesso vi sono pochissime classi di contribuenti, cosicché i più poveri pagano ad esempio 3 lire e i più agiati 20; eppure 3 lire di imposta su un reddito di 500 lire è uguale al 0,60% , e 20 lire su un reddito di 10.000 è uguale appena al 0,20% avendosi così lo sconcio di un’imposta progressiva a rovescio. Il progetto Sonnino-Salandra per il mezzogiorno vuol porre riparo a queste ingiustizie più stridenti. Anzitutto vi è un minimo di reddito che deve andar esente dall’imposta ed è di 400 lire nei comuni con popolazione fino a 5000 abitanti, di 800 nei comuni con popolazione fra 5001 e 10.000 abitanti e così via fino a 2000 lire pei comuni con più di 100.000 abitanti. I comuni potranno stabilire minimi di esenzione più elevati, non mai più bassi. Per tener conto del numero dei membri della famiglia si prescrive che il minimo di reddito esente sarà aumentato della metà, portato, ad esempio, da 400 a 600 lire per i comuni più piccoli, per i padri di famiglia con più di quattro persone a carico; e ridotto di un quarto, da 400 a 300 lire, quando il contribuente sia solo e non abbia nessuno a cui provvedere. Per impedire la progressività a rovescio si stabilisce il principio che la misura percentuale dell’imposta sul reddito tassabile non sia nei gradi inferiori mai maggiore di quella che risulterà per i gradi superiori. Ripigliando l’esempio dato sopra se colui che ha 500 lire di reddito paga 3 lire d’imposta (0,60%), non potrà colui che ha 10.000 lire di reddito pagare solo 20 lire (0,20%), ma dovrà pur esso pagare almeno il 0,60% ossia 60 lire; e se si vuole che costui paghi solo 20 lire, dovrà a sua volta il contribuente che ha 500 lire di reddito pagare 1 lira e non 3, in guisa che sia salvo il principio della proporzionalità. Non siamo arrivati alla progressività voluta dal Majorana; ma in un paese dove ci sono tanti comuni rimasti allo stadio delle imposte regressive ossia progressive a rovescio, pare prudente cominciare a fare un passo innanzi, attuando il principio della proporzionalità, proclamato nello statuto.

 

 

Sono proposte certamente modeste ma precise e utili. Se il parlamento le approverà, qualcosa si sarà guadagnato nel campo della giustizia tributaria, e la via sarà libera per procedere innanzi, se si vorrà, nel cammino delle riforme. Si aggiunga che il progetto a questi ritocchi ne aggiunge alcuni consimili per l’imposta sul bestiame, che unifica con l’imposta sulle bestie da tiro, da sella e da soma. Qui è detto che saranno esenti in ogni caso i possessori di due bovini od equini di specie armentizia, ovvero di tre suini, o di cinque lanuti, o di due capre, o di un animale da lavoro. Sarà esente anche chi possegga animali di due delle specie ora ricordate; e l’esenzione sarà concessa alla famiglia del contadino, considerata nel suo complesso, in guisa da non dare più di una esenzione per famiglia. Se si pensa che nel mezzogiorno vi sono moltissimi contadini, la cui unica ricchezza è negli armenti, o nelle bestie da lavoro, il valore dell’esenzione risulta evidente.

 

 

L’ultimo ritocco ai tributi locali si riferisce alla procedura d’accertamento ed ai ricorsi dei contribuenti. Le lagnanze contro le imposte spesso derivano non tanto dalla loro durezza, quanto dalla loro ingiusta e partigiana distribuzione. Dove coloro che distribuiscono i contribuenti nelle varie classi e giudicano i ricorsi dei contribuenti sono in primo grado i consigli comunali ed in secondo grado le giunte provinciali amministrative, come accade oggidì, chi può togliere i sospetti della partigianeria?

 

 

Il progetto vuole che sui reclami decida in primo grado una commissione nominata dal consiglio comunale con la rappresentanza delle minoranze e presieduta dal pretore, ed in secondo grado la commissione provinciale già esistente per le imposte dirette. Si spera che in tal modo la risoluzione delle questioni tributarie, avvenendo per mezzo di corpi tecnici, sia equa e sfugga alle passioni di parte. Sarebbe eccessivo negare ogni valore alla speranza; ma è doveroso avvertire come su questo punto lo scetticismo non solo sia lecito, ma consigliato dall’esperienza del passato. Per le imposte dirette di stato sui fabbricati e la ricchezza mobile esistono già da lunghi anni commissioni mandamentali e provinciali; ma esse non hanno impedito mai che i redditi, sovratutto mobiliari, fossero colpiti in maniera sperequata. C’è forse qualcuno il quale crede che i ruoli di ricchezza mobile corrispondano a verità? Dell’ingiustizia, per cui un contribuente è colpito più e l’altro meno, pur avendo lo stesso reddito, non sono in parte responsabili le commissioni per le imposte dirette, alle quali si vorrebbe in secondo grado affidare la risoluzione dei ricorsi in materia di tributi comunali? Quali garanzie di imparzialità presenterebbe la commissione di primo grado eletta dal consiglio comunale e presieduta dal pretore noi non sappiamo. I membri della commissione sarebbero, almeno in maggioranza, partigiani, se è partigiano il consiglio; ed il pretore, nuovo alle località e di solito uccello di passaggio, diverrebbe una specie di bocca del leone di tutte le lettere anonime, le calunnie e le malignazioni che fioriscono nei villaggi e nelle piccole città. Nelle grandi città che conoscenza si può pretendere abbia un pretore delle fortune dei contribuenti?

 

 

Fatta la critica, dobbiamo riconoscere però che è difficile additare un rimedio. Questo è un punto su cui non si può concepire una riforma la quale non sia legata ad un mutamento più vasto nei rapporti tributari fra stato e comuni. Forse l’unica via di uscita sarebbe di togliere ai comuni ogni ingerenza nella compilazione delle liste dei contribuenti, affidandola ad un unico corpo tecnico per lo stato e gli enti locali, e organizzando in guisa diversa il controllo dei contribuenti. Il discorso ci porterebbe troppo lontano; tanto lontano che ci sembra inutile farne pur cenno in un momento nel quale urge far qualcosa di pratico a favore del mezzogiorno. Contentiamoci perciò delle parecchie piccole, modeste e utili riforme contenute nel progetto Sonnino. Al resto si penserà poi.

 

 

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