Opera Omnia Luigi Einaudi

I radicali e la municipalizzazione

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/06/1914

I radicali e la municipalizzazione

«Corriere della sera», 2 giugno 1914

 

 

 

Il Secolo, sbalordito all’idea che la municipalizzazione dei servizi pubblici possa essere criticata non da un punto di vista conservatore, ma da un punto di vista «moderno», più progredito di quello di cui esso vuole essere il portavoce, si sfoga a dire che i sistemi più moderni, da noi citati a guisa d’esempio, sono «accorgimenti capitalistici d’oltre mare, intesi a colorire il quadro delle più accorte manipolazioni trustaiole nord-americane». A farlo apposta, i metodi che noi abbiamo citato ed altri che si potrebbero ricordare, sono invece una delle parecchie manifestazioni di quella campagna che da anni si va negli Stati Uniti combattendo contro i trusts; e che ebbe una delle più feconde e memorabili applicazioni quando il dott. Wilson, attuale presidente degli Stati Uniti, fu nominato governatore dello Stato di New York. Questo era dominato da un trust, il quale forniva tram, acqua, gas, ecc., a prezzi di monopolio. Il Wilson sostenne una lotta acerba per sottomettere il trust al controllo pubblico; e vi riuscì istituendo una di quelle Public Service Commissions a cui negli Stati Uniti è devoluto in proporzioni crescenti il controllo degli impianti, dei prezzi, delle emissioni di azioni ed obbligazioni, dei contratti di lavoro nei servizi pubblici, allo scopo di tutelare l’interesse pubblico. Il Secolo non vorrà dire che l’opera del dott. Wilson sia stata tutta una farsa, combinata d’accordo con i capi delle organizzazioni trustaiole!

 

 

A sentire il nostro contraddittore, il metodo preferito oggi dalle Public Service Commissions americane del contratto senza termine fisso sarebbe più semplicista di quello in uso in Europa del termine fisso; e gli muove alcune obbiezioni, le quali per lo più sono incomprensibili, come quando nega che il contratto senza termine possa essere rescisso dal comune perché il concessionario troverà il modo di perpetuare il suo privilegio e il suo monopolio o si approfitterà di eventuali imbarazzi finanziari dell’amministrazione comunale per fare i comodi suoi. Tutto ciò non regge, perché non v’è monopolio e possibilità di fare i propri comodi, quando il concessionario è sempre sottoposto al pericolo della revoca della concessione, quando i suoi prezzi e le sue tariffe sono regolate per contratto, quando i prodotti sono divisi in certe proporzioni fra concessionario e concedente. Come si può discorrere di imbarazzi finanziari del comune, quando questo può revocare la concessione alla compagnia A per affidarla alla B, alla sola condizione di rimborsare alla compagnia uscente gli impianti non ammortizzati, con un piccolo premio percentuale anticipatamente convenuto? Ma il rimprovero più grazioso che il Secolo fa al contratto senza termine fisso è di togliere al Comune la possibilità di approfittare di nuove scoperte e di eventuali invenzioni per essere il Comune per sempre legato al concessionario. Come mai un contratto che può in ogni momento essere rescisso per volontà del concedente, mentre il concessionario rimane legato per un certo numero di anni, possa essere concepito come un vincolo perpetuo pel concedente è affatto incomprensibile. Od almeno si capisce pensando che il Secolo non aveva la più lontana idea dei nuovi contratti che si vanno evolvendo nei paesi più progrediti e che hanno per iscopo di sfuggire ai pericoli delle municipalizzazioni dirette e nel tempo stesso di evitare l’inconveniente, insito nei contratti a termine fisso con società private, di far sospendere ogni progresso ed ogni miglioria negli ultimi anni del contratto. L’unica via d’uscita parve essere quella di sopprimere ogni termine, facendo durare il contratto fino a contraria deliberazione dei Consigli municipali. Naturalmente le nuove forme di contratto suppongono l’esistenza di Commissioni municipali di sorveglianza, le quali autorizzino i nuovi impianti, sorveglino i modi di procacciarsi capitali, consentano le opportune variazioni di tariffe, ecc., ecc. Il capitale privato viene così ad essere ridotto alla condizione di un cottimista, il quale, senza potere sfruttare i propri agenti, assume una data impresa e può sperare di guadagnare solo se lavora a buon mercato. Ha sentito mai il Secolo parlare di un contratto fra il Consiglio della Contea di Londra e le Compagnie del gas, per cui il dividendo sulle azioni può aumentare del 0.25 per cento, oltre il dividendo normale, convenuto nella concessione, solo se il prezzo del gas ribassi di 10 centesimi per 1000 piedi cubici; e deve diminuire del 0.25 per cento se il prezzo del gas rialza degli stessi 10 centesimi? Probabilmente anche questo contratto è ancora perfettibile; e si sta ora appunto studiando in Inghilterra la maniera di perfezionarlo; ma è un tentativo rimarchevole per interessare le società esercenti a ridurre il prezzo e per multarle se esse lo aumentano a danno dei consumatori. È proprio sicuro il Secolo che sempre ed in ogni caso la municipalizzazione diretta – la quale, ripetesi, noi non respingiamo, ma diciamo soltanto che deve essere studiata, volta a volta, a seconda dei suoi meriti o demeriti riesca una guarentigia altrettanto piana per i consumatori contro gli aumenti di prezzo? Saremmo tentati di ricordargli la facilità con la quale in Italia, durante l’esercizio di Stato delle ferrovie, si riuscì ad aumentare le tariffe ferroviarie, ed un altro aumento è ora pendente; e la difficoltà enorme, quasi insuperabile contro cui le compagnie americane debbono lottare per essere autorizzate ad aumentare di una piccola frazione le loro tariffe, che pure sono bassissime. Anch’esse mettono innanzi, come la Direzione generale nostra delle ferrovie, il rialzo dei salari, l’aumento del carbon fossile, l’aumento nell’interesse pagato sulle obbligazioni.

 

 

Eppure da due anni i loro avvocati lottano dinanzi alla Interstate Commerce Commission per strappare un piccolo aumento del 5 per cento sulle tariffe attuali; ma poiché lottano anche i rappresentanti del commercio, dell’agricoltura e dell’industria per opporsi a tale aumento, è molto dubbio se le compagnie ferroviarie otterranno lo scopo. Che se la Commissione governativa si indurrà ad autorizzare forse un aumento del 4 per cento, lo farà solo dopo essersi persuasa che senza di esso, le compagnie non riuscirebbero più a procacciarsi il capitale necessario per fare i nuovi impianti, rinnovazioni della via e del materiale, ecc.

 

 

Veda dunque il giornale democratico che nei paesi di democrazia si è riusciti o si tenta di riuscire a rendere il capitale un utile strumento di progresso in mano della collettività. Talvolta, per far ciò, si ricorre anche all’esercizio diretto; e noi non vediamo, a cagion d’esempio, la ragione per cui il Secolo, mentre, dimenticando gli studi pubblicati dall’ing. Norsa sulle sue colonne, propone senz’altro la municipalizzazione delle tramvie, denigra la municipalizzazione delle forze elettriche (Valtellina), accusandola di aver reso necessarie nuove tasse e l’inasprimento delle esistenti. Intanto sul bilancio preventivo del 1914 si ricava che l’azienda elettrica, pagate tutte le spese, gli interessi e fatti buoni ammortamenti, frutterà nette lire 150.000; cifra presumibilmente inferiore al vero se già l’azienda stessa aveva reso nette L. 155.474,98 nel 1912. Dove sono le imposte rese necessarie dall’impianto della Valtellina? Non è probabile che, passato l’odierno momento di sosta e crisi industriale, l’azienda riesca a rendere tutta la sua forza disponibile realizzando così ingenti profitti, forse di qualche milione di lire all’anno, che andranno a sollievo dei contribuenti? E chi di noi ha contestato che l’esuberanza dell’energia disponibile possa essere utilmente impiegata nella gestione delle tramvie, alla scadenza del contratto odierno colla Edison?

 

 

Ancora una parola sulla partecipazione agli utili dei tramvieri. A dimostrare che i democratici hanno delle idee molto «precise» in argomento, il Secolo dice che la partecipazione deve essere «equa e stimolante». Ci spieghi il Secolo in che modo la promessa della partecipazione di un 10 per cento sui maggiori utili futuri potrà stimolare i tramvieri a far crescere sul serio il traffico e quindi gli utili stessi; e ci daremo per vinti.

 

 

Perché il far partecipare i tramvieri ad un maggior provento, che non è dovuto alla loro opera, ma è il frutto della maggiore operosità cittadina, non si chiama partecipazione, ma elemosina elettorale. I fautori della partecipazione agli utili, che sempre ebbero in mira di apprestare un metodo atto a far crescere il prodotto comune da dividere, respingerebbero unanimi, ne siamo sicuri, l’applicazione spuria che a Milano ne vogliono fare i democratici, messisi in fregola di concorrenza verbale con i socialisti.

 

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