Opera Omnia Luigi Einaudi

I tributi straordinari di guerra – Parte I: I tributi straordinari nel Ducato di Savoia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1908

I tributi straordinari di guerra – Parte I: I tributi straordinari nel Ducato di Savoia

La finanza sabauda all’aprirsi del sec. XVIII e durante la guerra di successione spagnuola, Officine grafiche della Società tipografico editrice nazionale, Torino 1908, pp. 141-147

 

 

 

40. – Alle imposte straordinarie si pose mano subito conchiuso l’accordo di Torino del 6 aprile 1701, pel quale Vittorio Amedeo faceva lega col Cristianissimo e col Cattolico. Malgrado la Francia avesse promesso l’annuo sussidio di 600 mila scudi corrispondenti a 2.400.00O lire piemontesi e gli obblighi del Principe si restringessero al mantenimento in campo di 2500 cavalli ed 8000 fanti, parve a’ nostri reggitori che le Finanze male potessero reggere allo sforzo senz’altro aiuto; sicché subito si poneva mano a trattar disegni di nuovi balzelli.

 

 

Diremo brevemente dei tributi straordinari di guerra in Savoia, Nizza ed Oneglia, che, o non ebbero effetti, o li ebbero di breve durata a pro’ delle finanze piemontesi. Se era difficile in Savoia esigere i tributi antichi, riusciva difficilissimo d’imporne di nuovi. Contro la dogana, stabilita in Savoia il 2 dicembre 1698, si levavano forti lagnanze, pretendendo la Camera dei Conti di Chambéry, che il Principe non avesse posto mente alle perizie relative ai prezzi, fissandoli troppo più alto di quanto in verità non fossero, con grave danno del commercio. Sicché, quando il Groppello scriveva all’intendente generale conte Giuseppe Ressano per averne lume intorno alla maniera più opportuna di imposizione straordinaria da ordinare in Savoia, ne traeva scarso incoraggiamento.

 

 

Essendosi pensato ad imporre la tratta foranea sovra le merci che dalla Savoia si esportavano in Francia, Ginevra e Svizzera, subito vennero messe innanzi fondate obbiezioni. Quanto al mettere tre soldi per sestiere di vino esportato a Ginevra, e da temere, affermavano i pratici, che i Ginevrini si provveggano di vino ancora più di quanto facciano al presente nel paese di Vaud. Già ora il Chablais, che vendeva le sue uve a Ginevra, non sa più cosa farsene, e vi sono difficoltà grandissime appunto per questo motivo nell’esigere la taglia; che cosa sarà dopo l’imposizione della tratta? Se si metterà un diritto sul grano, Ginevra potrà provvedersi in Borgogna, o comprare a Marsiglia grano di Barberia, facendogli risalire il corso dei Rodano. Ai formaggi nostri fanno concorrenza i formaggi svizzeri; e se qualcosa si potrà cavare dal burro, uova, pollame, castagne, carbone, legna da bruciare e da costruzione, non si può prevederne l’ammontare, essendo certo che gli Svizzeri potranno muovere concorrenza efficace alla Savoia. Le esportazioni verso la Francia essere oramai ridotte a poca cosa: un po’ d’avena quando vi sono truppe alloggiate nel Delfinato, alquanto burro e formaggio, meno preferiti di quelli svizzeri; quasi più niente di ferro lavorato, dei quale un giorno facevasi gran traffico. Non potersi naturalmente fai calcolo sul contrabbando di sale e tabacco e di oggetti ginevrini d’oro e d’argento, perché gli esportatori non vorranno denunciarli per pagare la tratta.

 

 

Erano questi argomenti solidissimi, che sono quelli medesimi che ancora oggi distolgono gli Stati dall’imporre dazi di esportazione sulle merci, di cui essi non abbiano il monopolio sui mercati stranieri. Né l’istituzione di un nuovo dritto di tratta poteva farsi con tanta sollecitudine da soddisfare ai bisogni urgenti dello Stato; “in maniera – conclude il Ressano – che tal regiro non promette sicurezza del fine che si desidera, e massime ne’ principii che di sua natura sono sempre molto intricati et torbidi, non puotendo mai simili intraprese ben liquidarsi che all’atto pratico et col progresso del tempo”[1].

 

 

Nemmeno l’aumento dei quartieri della taglia era consigliabile, se si poneva mente alle difficoltà veramente grandi che il conte Anselme incontrava nel mettere un po’ d’ordine e nell’esigere i quartieri già imposti. Unico mezzo efficace di imposizione straordinaria pareva quindi la capitazione, già messa altra volta da Principi sabaudi e da francesi nella guerra del 1690-96, nota quindi ai popoli, e, secondo il Ressano, di esazione più facile e sicura [della taglia], comprendendo li stipendiati et gli altri più commodi; onde tutti se ne sentiranno a proportione, in luogo che, divenendo al regiro dell’augumento de’ quartieri di Taglia,… sarebbero li più miserabili, che sopporterebbero il maggior peso, qual loro riuscirebbe assolutamente insofribile”. Per ben comprendere la preferenza dimostrata dal Ressano per la capitazione, che molti autori moderni interpretano come un testatico di un tanto per abitante senza riguardo alla ricchezza posseduta, in confronto della taglia, che parrebbe tributo preferibile perché gravante sulla proprietà fondiaria, bisognava ricordare parecchie cose. Innanzitutto la mala distribuzione della taglia, le molteplici esenzioni legali e quelle, ancor più numerose, abusive, le quali facevano si che i ricchi poco pagassero, mentre sui poveri ricadeva il maggior fardello d’imposta (cfr. sopra paragrafo 24, 25, 26). Notisi inoltre che la capitazione non era per nulla un testatico uguale per ogni abitante, ma una vera e propria imposta graduata sul reddito, distribuita bensì in modo grossolano, a causa della tecnica tributaria poco progredita, ma pure distribuita su tutte le classi della popolazione, compresa la nobiltà di spada e di toga, la borghesia e gli altri privilegiati, che andavano esenti dalla taglia e distribuita in modo che più pagasse colui che meno era gravato od addirittura era immune dagli altri tributi ordinari[2]. La capitazione dava modo al Principe di attuare in tempo di guerra un po’ di quella giustizia tributaria, che i privilegi strapotenti vietavano in tempi normali; il che si scorge chiaramente dal regio biglietto, col quale dal campo di Cumignano Vittorio Amedeo dichiarava al Groppello il 14 novembre 1701 di essersi deciso a favore della capitazione: “Quanto agli imposti della Savoia habbiamo trovata propria l’imposizione della capitazione, ch’intendiamo però che s’imponga in riguardo agl’altri pesi che già, soffre e serva solo per farne cedere l- uniformità. Prenderete norma dalla Francia acciò non s’incontrino gli inconvenienti che ne sono derivati. E come tra li Nobili e li commodi si può facilmente dare disproportione di caricamento, dandone ad alcuni più di quello le loro sostanze puonno permettere, ad altri meno di quello in sostanza puonno soffrire, Vi applicarete ad una giusta perequatione

nell’imposto acciò alcuno non sij caricato di più di quello può essere compatibile con le di lui forze[3].

 

 

Avrebbe bensì potuto il Principe, in caso di guerra, ordinare il “Ban” alle parrocchie, costringendole a fornire una data quantità di uomini di truppa e l’”Arriere ban” alla nobiltà, comandandole di venire a prestar servizio in campo a sue spese e secondo le sue forze; ma, oltrecché erano questi obblighi di servizio militare caduti in Savoia da lungo tempo in dissuetudine, non volle forse il Principe creare un corpo che non poteva distrarsi dal paese, ed avrebbe giovato più a Francia che a lui, nel caso di una rottura coll’alleato del momento[4]. L’arriere ban poteva essere mutato nella cavalcade da pagarsi in denaro, nella misura di 25 scudi d’oro per i marchesi, 15 per i conti e visconti, 10 per i baroni e 5 per i signori. Ma forse non si volle imporre la cavalcata in Savoia, quando non si osava metterla in Pimonte; e si preferì colpire la nobiltà, insieme con gli altri ceti sociali, imponendo la capitazione, la quale presentava “ban” e sull’”arriere ban” il vantaggio di essere esatta in denaro, e di dare quindi un aiuto immediato, ripartito più equamente e tale da potersene trar partito in qualunque parte dello Stato.

 

 

Appena decisa coll’editto dell’3 dicembre 1701 l’imposizione della capitazione, subito si pose mano alla formazione dei ruoli dei contribuenti, facendone due, uno per le città e parrocchie e l’altro per la nobiltà di spada e di toga. Il contingente delle città e parrocchie fu stabilito in L. 333.600 distribuito in quote parti per ognuna di esse[5]. Il popolo intiero, radunato sulla piazza, dovea eleggere tre o quattro persone che, con l’assistenza del castellano e con l’intervento del parroco, doveano distribuire fra gli abitanti il contingente parrocchiale. Questo metodo era stato prescelto perché la “distributione venendo eseguita da persone del paese e certo che, se pure vogliano usare buona fede, quella verrà meglio ragionata che da un intendente, quale non instrutto de’ forze de’ particolari non può di meno che non venghi ad offendere la giustitia distributiva”. Che se anche gli eletti a distribuir il tributo sbaglieranno, “li Compatrioti per la pratica che ne hanno puonno avvelersene e se vi è qualch’errore o malitia domandarne sul campo la riparatione”. Alcune regole si indicavano però agli eletti per fare una giusta distribuzione: “Li servitori e semplici lavoratori di campagna si tasseranno una lira caduno, tutti li altri senza beni e professione oppure con beni al disotto di fiorini 4 di taglia per quartiere ne pagheranno due. Li poveri mendicanti che verranno dichiarati tali dal Parocho non entreranno nella Capitatione. Li Borghesi saranno tassati tanto per li beni che goldono con qualch’esentione, che per li altri proventi e redditi che possono havere d’altrove; li professori et artisti saranno cotizati tanto rispetto alla vacatione ch’eserciscono (potendo l’una esser più lucrativa dell’altra) che havuto risguardo al loro comercio et incaminamento nella medema, dal che ne proviene il maggior o minor guadagno “. Erano tassati anche i domestici, senza escludere quelli degli ecclesiastici e gli impiegati bassi, come commessi e gabellieri. Non erano immuni gli stranieri, quando possedessero beni in Savoia e neppure i figli di famiglia maritati, provveduti di cariche e di beni propri. Non era fissata una tariffa uniforme per tutta la Savoia, essendo troppo grandi le differenze fra città, borghi e parrocchie semplici; e parendo cosa più opportuna lasciare ai corpi locali la facoltà di trovare il miglior criterio di giustizia distributiva. Quanto alla nobiltà, gravata nel 1709 di un contingente di L. 48.000, il Ressano riprovava il sistema francese di graduare il tributo in ragione del titolo di marchese, conte o barone, avendo questo sistema “causati molt’aggravij a danno de’ più deboli”, onde invocava facoltà, che fu concessa, di distribuire il contingente a suo arbitrio in guisa da togliere ogni ingiustizia[6]. Per la nobiltà di toga (membri del Senato, della Camera dei Conti e delle magistrature dipendenti) e per gli impiegati degli uffici pubblici, anche minori, il contingente di L. 20.956 distribuivasi assai facilmente in ragione dei guadagni, ed esigevasi con ritenuta sullo stipendio.

 

 

Poiché i guadagni della magistratura, almeno per quanto si riferisce allo stipendio ed agli accessori fissi, sono conosciuti e l’imposta di capitazione è pure nota[7], cogliamo l’occasione non frequente di studiare la maniera nella quale ripartivasi l’imposta nel caso in cui più facile era quella ripartizione per la conoscenza quasi perfetta dei redditi colpiti:

 

 

CARICHE

Stipendio

Capitazione

Proporzione % dell’imposta allo stipendio

Senato di Savoia:      
Primo presidente

3776. 7.4

750

19.85

Presidenti

2624.14.9

225

8.57

Cavalieri

1618. 4.9

187.10

11.58

Senatori che erano anche marchesi, conti e baroni

1311.15

187.10

14.29

Senatori

1311.15

112.10

8.57

Avvocato e procuratore generali

1457.10

112.10

7.71

1412.10.9

112.10

7.96

Sostituti dell’avvocato e procuratore generali

515.12.6

60

11.63

Segretario e cancelliere del criminale

520.15.7

60

11.52

516.10.4

60

11.61

Uscieri (ciascuno)

402. 2. 4

18.15

4.66

Consiglio del Genovese:

Collaterale

380.13.4

75

19.70

Avvocati fiscali

444. 3.10

37.10

8.44

Cancelliere del criminale

95. 3

30

31.52

Juges maies della provincia di Savoia

495

75

15.15

Delle altre provincie da

190. 7. 8

60

31.57

Delle altre provincie a

761. 6. 8

60

7.88

Degli appelli di San Victor

317. 6. 1

30

9.46

Fiscaux. Procuratori fiscali della provincia di Savoia

321.15

37.10

11.68

Procuratori fiscali delle altre provincie

423. 1. 6

30

7.09

321.15

30

9.34

123.15

30

24.24

Avvocato dei poveri

312.10. 9

45

14.40

Procuratore dei poveri

312.10. 9

15

4.80

Castellano della Camera

412.10

30

7.27

Capitano di giustizia

1015. 7. 8

75

7.38

Cancelliere

270.15. 4

7.10

2.77

Luogotenente

481. 5

15

3.11

Sottoluogotenente

418.16.11

11. 5

2.68

Luogotenente di giustizia nel Genovese e nel Chiablese

211.10. 9

5.12.6

2.66

Soldati di giustizia

63. 9. 2

1

1.58

Esecutore dell’alta giustizia

380.13. 4

7.10

1.97

Camera dei Conti:

Primo presidente

2623.10

300

11.43

Presidenti

2134.16. 6

187.10

8.78

Cavalieri

1681.13.10

187.10

11.15

Mastri uditori che erano anche marchesi e conti

1311.15

187.10

14.30

Mastri uditori

1311.15

112.10

8.58

Avvocato e procuratore patrimoniale

1311.15

112.10

8.58

Chiavaro

526.7

75

14.25

Segretario

445.18. 3

60

13.45

Controllore

588.14. 2

45

7.65

Vice chiavaro

364. 5. 4

45

12.36

Emolumentatore

372.14. 7

75

20.16

Primo ricevitore

444. 8

60

13.51

Secondo ricevitore

203. 1. 6

22.10

11.08

Primo commissario

444. 3.10

45

10.13

Secondo commissario

340. 2. 1

22.10

6.61

Uscieri (ciascuno)

402. 2. 4

18.15

4.66

Visitatore ed assaggiatore delle monete

423. 1. 6

15

3.54

Commissari alle consegne del genovese e del Faucigny

190. 7. 8

7.10

3.94

Controllore delle gabelle

618.15

45

7.28

Controllore del Regonfle

228. 9. 2

3.15

1.64

Stampatore

84.15. 3

7.10

8.84

Tesorieri:

Tesoriere generale Saillet (tassato come mastro auditore)

5882. 9. 2

112.10

Tesoriere del Faucigny: Planchamp (anche come signore)

618.15

90

14.56

Tesoriere della Moriana: Martin.

825.

75

9.09

Tesoriere del Chiablese: Genovois

618.15

60

9.70

Tesoriere del Ternier e Gaillard: La Place

253.16. 9

2.10

8.89

 

 

Una regola uniforme nella ripartizione del tributo non si può stabilire; ma alcuni criteri principali potrebbero essere esposti nella maniera seguente: 1) colpire con un tributo quasi uniforme i gradi uguali della magistratura malgrado gli stipendi diversi. Così i senatori, gli avvocati e procuratori generali del Senato ed i maestri uditori e gli avvocati e procuratori patrimoniali sono colpiti colla capitazione di L. 112.10, malgrado gli stipendi non siano in tutto identici; e così pure i juges maies con L. 60 ed i procuratori fiscali delle provincie con L. 30; 2) tener conto delle entrate eventuali aggiunte allo stipendio, non potendosi altrimenti spiegare le aliquote elevatissime del cancelliere del criminale del Genevese, dell’emolumentatore del chiavaro e vice chiavaro, del segretario, dei ricevitori della Camera, del tesoriere del Faucigny, ecc; 3) colpire con tributo assolutamente e relativamente più elevato, tenuto conto dei criteri precedenti, i magistrati più alti, dotati di stipendio più vistoso. Il che si scorge confrontando il primo presidente ai presidenti, cavalieri e senatori del Senato, il primo presidente ai presidenti, cavalieri e mastri uditori della Camera, e specialmente i magistrati propriamente detti agli ufficiali: segretari, castellani, cancellieri, capitani, luogotenenti, controllori, commissari e tesorieri; 4) colpire con quote minime gli addetti alle funzioni d’ordine o meramente esecutive. Così per gli uscieri, i cancellieri, i luogotenenti, sottoluogotenentie soldati di giustizia, gli esecutori dell’alta giustizia, i visitatori ed assaggiatori delle monete, i controllori delle gabelle e del Regonfle, lo stampatore (tenuto conto dei guadagni oltre lo stipendio); 5) aumentare il tributo, a parità di grado, quando il contribuente cumulasse altri redditi o dignità oltre la carica di magistratura. I senatori, che erano anche marchesi, conti o baroni, non potendo essere iscritti due volte nei ruoli della capitazione, come magistrati e come nobili, pagavano un tributo superiore a quello dei senatori che non aveano titolo nobiliare; e lo stesso si dica dei mastri uditori. Fa eccezione a questa regola il tesoriere generale Giacinto Saillet, il quale è tassato come mastro uditore, senza tener calcolo dello stipendio assai più elevato di tesoriere generale, ad una più elevata tassazione ostacolando forse la patente di nomina od il fatto che lo stipendio maggiore era quasi l’interesse di un prestito rimborsabile dal Saillet fatto allo Stato, come finanza per la nomina.

 

 

Secondo i criteri che ora esponemmo forse la graduazione del tributo, che a tutta prima può reputarsi capricciosa ed arbitraria, sembra a noi equa, almeno nell’opinione di quelliche erano chiamati a pagarla, altissimi magistrati ed umili soldati di giustizia. Poco importa se, per la sua irregolarità, questa capitazione non possa essere classificata fra i tributi a base proporzionale o regressiva, e nemmeno possa confondersi con le capitazioni di cui parlano i trattati della finanza[8]. In uno Stato piccolo ed in un corpo poco numeroso, era possibile ed equo tener conto di tutte quelle sfumature di reddito e di situazione morale e sociale che potevano aver peso nella determinazione dell’imposta. Oggi, per non cadere nell’arbitrio, abbisognano criteri oggettivi, legalmente applicabili a tutti; ed a gran fatica si vanno escogitando, nei sistemi di imposte personali, accorgimenti per diminuire o crescere l’onere tributario a chi, malgrado l’identico reddito, si trova in condizioni più disagiate o migliori di altri. Non perciò debbonsi biasimare i vecchi metodi che praticamente applicavano caso per caso alle persone criteri che ora usansi chiamare moderni e decorare col nome di nuovi principii di giustizia tributaria”. Allora sembrava a tutti naturale che il profilo presidente del Senato di Savoia pagasse 750 lire e l’ultimo dei suoi dipendenti, il soldato di giustizia, pagasse 1 lira; e l’”arbitrio dei capi dello Stato, che così aveano voluto, non si sapeva che potesse, col volger dei tempi, dar luogo a leggi generali di progressività delle imposte.

 

 

Non senza una certa resistenza si riuscì ad assodare la nuova imposta. Mormoravasi contro il conte Anselme, accusandolo d’aver imprestato al fisco una grossa somma per ottenere d’esigere la capitazione, e d’essere stato in tal modo causa che questa s’imponesse; e specialmente restia mostravasi la nobiltà, che di pagar tributi non voleva sapere. La pratica acquistata negli anni precedenti dal conte Anselme nell’esazione delle taglie giovò tuttavia per la capitazione; perché malgrado fosse imposta nuova, mal vista e puramente personale, soggetta cioè alle mutazioni di stanza e di reddito dei contribuenti, i residui inesatti non erano gran cosa: nel 1702 il 7% e negli altri anni il 2 , a cui aggiungendo il 2  per aggio dei ricevitori e il 2  per la spesa dei ruoli, ecc., si aveva un costo di esazione del 7 [9]. Dell’opera spiegata dai finanzieri nostri per piegare la Savoia al pagamento della capitazione non mette però conto di parlare, perciò fu subito interrotta dall’invasione dei francesi. Costoro seguitarono ad esigerla e dovettero imporre anche il quartier d’inverno, probabilmente sotto colore d’accrescimento dei quartieri di taglia[10]. Riacquistata la Savoia, il fisco nostro continuò ad esigere la capitazione sino al 1716, anno in che fu soppressa. Nel 1713, le città della Savoia avevano votato, con non grande spontaneità e dopo parecchie “rappresentationi … di loro miserie”, un donativo in ringraziamento della riacquistata signoria dei Principi nazionali[11]; e nel conto degli ultimi 7 mesi del 1713 si ha ricordo di 20 mila fiorini votati da Chambery, 300 da Moustiers, 2000 da St. Jean de Maurienne, 1800 da Thonon, 12.000 da Annecy e 2000 da Rumilly. Questo donativo ed i proventi della capitazione, insieme alle non abbondanti razzie fatte dall’esercito durante la campagna del 1711, furono lo scarso contributo che la Savoia diede alla difesa della patria comune[12].

 

 



[1]A. S. F. 2 a. Lettere diverse, Capo 57, n. 653. Lettera di Ressano a Groppello, del 20 aprile 1701, memoria annessa del Blaisot.

[2]Ciò è detto esplicitamente, in una Memoire concernant la Capitation, scritta nel 1734, nella quale si riepilogavano i precedenti del 1701 per i lavori preparatori della capitazione da imporsi durante la nuova guerra che allora si combatteva. A. S. F. 2 a. Capo 38, Savoia, n. 1.

[3]A. S. F. 2 a. Capo 18, R. Viglietti, n. 158.

[4]A. S. F. 2 a. Capo 57, Lettere diverse, n. 654. Lettera di Ressano a Groppello, del 28 maggio 1702.

[5]La ripartizione per provincie era la seguente:

 

 

Savoia: città di Chambery

L. 24.000

parrocchie

80.000

Genevois: città d’Annecy

10.266.13.4

parrocchie

50.666.13.4

Faucigny

50.666.13.4

Chablaix

26.666.13.4

Ternier et Gaillard

8.000

Maurienne

40.000

Tarentaise

43.333.6.8

 

[6]A.S.F. II a. Capo 57, Lettere diverse, n. 653, Lettera di Ressano a Groppello, del 1 settembre 1701, ed altre passim.

[7]Da uno specchio contenuto in A.S.F. II a. Capo 38. Savoia, n. 1. Stati Capitatione e cavalcate Nobiltà. Le cifre della capitazione furono da noi tradotte da franchi in lire piemontesi, e messe a raffronto con le cifre degli stipendi che ricavammo dal bilancio generale del 1702.

[8]L. Cossa, Primi elementi di scienza delle finanze (I ediz., pag. 90): “Queste imposte personali… poi sono, rispetto alla loro distribuzione, uniformi (come il testatico…)”; A Graziani, Istituzioni di Scienza delle Finanze (pag. 398): “Le imposte sull’acquisto dei mezzi necessari al nutrimento, come quelle sul sale, sul pane, sono paragonabili ai testatici od imposte di capitolazione, che colpiscono egualmente tutti i soggetti economici…”; Nitti, Scienza delle Finanze (pag. 397): “Fra le più antiche forme di imposizione, comunissima quella di capitazione, imposta diretta generale, personale, che colpiva tutti i cittadini, non in rapporto al loro reddito”; F. Flora, Manuale di Scienza delle Finanze (U ediz., pag. 339): “L’imposizione del reddito, nella sua totalità qualunque ne sia la natura o la fonte, rappresenta lo sviluppo ultimo dell’imposta di capitazione pura (testatico), che colpiva tutti i cittadini con un tasso assolutamente eguale, indipendentemente dalla ricchezza loro posseduta”. Tutti questi autori notano però – pel Flora si trae anche dalla frase citata – che la capitazione pura primitiva, uguale per tutti, sia a poco a poco andata trasformandosi nelle odierne imposte, proporzionali o progressive, sul reddito. Una ricerca storica utilissima farebbe colui che di questa trasformazione studiasse gli stadi successivi. Forse gli accadrebbe, come accade a noi per la Savoia del 1701, di vedere attribuito spesso il nome di capitazione a tributi che hanno poco di comune col testatico e molto con le imposte personali sul reddito.

[9]A.S.F. Capo 38. Savoia, n. 1. Memoire concernant la capitation.

[10]Il che si deduce dal fatto che nei conti del tesoriere generale di Savoia si veggono nel 1713 e negli anni seguenti incassati residui di cotesti quartieri.

[11]A.S.F. II a. Capo 57. Lettere diverse, n. 664. Lettere dell’intendente generale Palma a Groppello del 23 giugno e del 3 luglio 1713. Dalla nobiltà, malgrado le trattative iniziate, nel 1713 non si ottenne nulla.

[12]Cfr., per quanto è detto nel testo, le tabelle da XIX a XXI e tutta la sezione V del Capitolo II, in EINAUDI, B. e C. T. 1700-713.

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