Opera Omnia Luigi Einaudi

I tributi straordinari di guerra – Parte II: I tributi straordinari nel Contado di Nizza

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1908

I tributi straordinari di guerra – Parte II: I tributi straordinari nel Contado di Nizza

La finanza sabauda all’aprirsi del sec. XVIII e durante la guerra di successione spagnuola, Officine grafiche della Società tipografico editrice nazionale, Torino 1908, pp. 148-151

 

 

 

41. – L’imporre tributi straordinari non era cosa facile neppure nel Contado di Nizza. Nel 1701, quando si fucinavano nuovi balzelli per i riversi paesi dello Stato, l’intendente generale Mellarede comunicava al Groppello le sue vedute intorno alle diverse maniere di imposizione[1]. Non essere consigliabile il tributo della macina, che si introduceva in quel torno in Piemonte, perché gli ecclesiastici avrebbero preteso di andarne esenti, rimbalzandone quasi tutto il peso sui poveri che doveano comperare il grano per cibarsi ed aveano di solito famiglia più numerosa dei ricchi. Poco frutto avrebbe dato il monopolio delle candele bollate “parce que tres peu de gents s’en servent en ville et personne a la montagne”. La capitazione essere stata imposta dai Francesi durante l’ultima loro conquista; ma nessun dato poter egli fornire, salvoché essa ammontava a L. 9491 per la nobiltà del Contado e da L. 12.422 per la città di Nizza. Da lungo tempo essere andati in disuso i donativi straordinari per causa di guerra; che se essi pagavansi all’epoca della signoria dei conti di Provenza, quando si chiamavano questes, non esisteva allora il donativo ordinario. Impossibile ordinare, come pare suggerisse il Groppello, un quartier d’inverno di 50 mila scudi; poiché, ripartendolo sul registro, come si fa del donativo, avrebbe caricato le terre di un gravame uguale a 2 volte e 1/6 il tributo ordinario. Che, se si riflette essere il donativo talvolta causa dell’abbandono di talune terre poco fertili, subito si vede il pericolo di gravare l’agricoltura di un peso tanto più forte.

 

 

Preferiva il Mellarede additare al Principe la convenienza di imporre le gabelle della carta bollata, del tabacco, del sapone e dell’acquavite, sia perché già esistevano in Piemonte e l’imporle nel Contado di Nizza avrebbe diminuito il contrabbando al confine dei due paesi, sia, e sovratutto, perché quelle due gabelle sarebbero state pagate in notevole parte dagli ecclesiastici, dai nobili e dai più agiati “et les pauvres, qui se peuvent facilement passer de tabac, d’eau de vie, de savon et de papier timbré, n’y concourraient qu’autant qu’ils le voudraient”. Le quali ottime ragioni, esposte da chi parecchie volte s’era dimostrato coraggioso difensore dei poveri contro le angherie tributarie dei potenti (cfr. sopra paragrafo 97), fanno chiaramente vedere come si debba andare a rilento nel condannare pel passato la preferenza che i governanti dimostravano per i tributi sui consumi; i quali, talvolta a ragion veduta, erano allora ritenuti meno sperequati e meno ingiusti dei tributi fondiari. Aggiungeva il Mellarede che l’imposizione di queste gabelle poteva trovar ostacolo soltanto nel fatto che la città di Nizza già possedeva fin dal 1651 le gabelle del tabacco e del sapone, e la città di Villafranca quella del sapone, tutte due ipotecate per gli interessi de’ debiti locali; ma il Mellerede suggeriva che le due città potevano, ove quelle gabelle fossero loro tolte, non pagare o diminuire l’interesse ai creditori (cfr. paragrafo 28 in fine).

 

 

Che se le nuove gabelle non fossero bastate, il Mellerede proponevaaltri spedienti:

 

 

  • imporre un tributo di 20 mila lire l’anno sul bestiame, in ragione di 6 soldi per cavallo o mulo, 3 soldi per bue, vacca od asino, ed 1 soldo per montone o capra. Essere il bestiame una delle principali ricchezze del paese; e parer giusto di far contribuire in questo modo l’agricoltura, la quale nel Contado di Nizza non andava soggetta ai foraggiamenti dell’esercito;

 

  • imporre un tributo 20 mila lire sui beni che i nizzardi hanno comperato dallo comunità, col patto dell’immunità da ogni carico. Essere questo patto nullo e di nessun valore nei rapporti col Principe; ed essere giusto che pei quei beni, consistenti in terre incolte, pascoli, boschi, forni e mulini, si paghi in ragione del reddito;

 

  • imporre un tributo di 50 mila lire sui censi ed interessi dovuti dalle comunità a particolari, in danaro, grano, olio, ecc. Anche esentando i censi dovuti a stranieri ed a case religiose, sarebbe bastato un’imposta di per ottenere la somma voluta di 50 mila lire. Il tributo sarebbe stato giustissimo “parce que ces sortes de revenus sont les plus liquides, les plus certains, et les moins exposés aux différents accidents auxquels sont exposes les terres, sur lesquelles seules si l’on imposait les charges nécessaires pour fournir aux besoins des finances, les possesseurs ne seroient pas en etat de payer, puisque les fruits des biens sauf l’huile ne suffisent pas pour leur nourriture; au lieu que les censes, et interests dus par les communautés sont en argent comptant, et en effet les meilleurs et les plus specieux revenus de ce pays”;

 

  • imporre un tributo di 5 soldi per ogni rubbo d’olio, con un reddito probabile, nelle annate buone, di 50 mila lire;

 

  • e finalmente mettere un moderato quartier d’inverno, uguale ad un terzo del donativo ordinario, e fors’anco imporre la macina, con un’equa ripartizione sulle comunità.

 

 

Non nascondeva però il Mellarede la sua preferenza per il tributo sui censi e per la gabella del tabacco; e su di essi si volge infatti l’attenzione principale del Principe e del Groppello. Parve dapprima che si preferisse il tributo sui censi, come quello che era di più facile esazione e colpiva gli abbienti; e si sa di un regio biglietto indirizzato il 14 novembre 1711 dal campo di Cumignano da Vittorio Amedeo al Groppello per ordinargli di preparare la minuta dell’editto[2]. Ma non consta, né dalle raccolte degli editti, né dai conti della tesoreria di Nizza, che il tributo sia stato imposto. Forse parve eccessivo imporre un tributo cosiffatto in un momento in cui si sottraevano alle città del Contado le gabelle con cui esse facevano fronte al pagamento dei censi ai loro creditori (cfr. paragrafo 28). Cosicché fra tutti i tributi proposti venne adottata soltanto, con editto del 22 aprile 1702, la gabella del tabacco ed estesa a tutto il Contado di Nizza, sue vicarie, valle di Barcellona, Principato d’Oneglia, Marchesato di Dolceacqua e del Marro e Contado di Prelà, appaltandola per otto anni a partire dall’1 luglio all’ebreo Padoa poi il canone annuo di lire 25 mila (D. XXIV. 71). Alle rimostranze della città di Nizza, che si vedeva privata di uno dei più importanti cespiti di sua entrata, il Groppello rispondeva che, se voleva pagare i suoi creditori, facesse eseguire il catasto col quale si sarebbero potuti il imporre molti beni che ora sfuggivano al tributo, e facesse uno scrutinio esatto del suo bilancio per depennarne le spese inutili. E, difendendo gli interessi generali contro l’egoismo di pochi, osservava al conte Salmatoris, presidente del Senato di Nizza, il quale si era fatto interprete delle lagnanze dei nizzardi, che “questa è una gabella qual cade su una cosa voluttuaria e non necessaria e che non riguarda le cose bisognevoli per il vitto e vestito, meno il peso reale e che doppo haver in queste congiunture imposto la Macina ne’ suoi Stati del Piemonte e la Capitatione in quelli della Savoia, oltre li gravi pesi che già questi e quelli soffrono; … con il che pure non si può supplire alli presenti bisogni, nei quali per altro deve anche concorrer a proportione detto Contado, non ha stimato altro mezzo più, proprio ed innocente che detta impositione quantunque di soccorso molto tenue in riguardo a detti bisogni et a ratta di ciò a che concorrono la Savoia ed il Piemonte[3].

 

 

Sia per queste opposizioni locali, sia per il contrabbando, naturale in un paese di confine e di transito marittimo, e favorite dal caro prezzo del tabacco, che si dovea far venire da Oneglia e non poteva vendersi a meno di 12 soldi la libbra in Nizza[4] sia per la pretesa dei negozianti del portofranco di Nizza di importare in franchigia tabacco dall’estero per riesportarlo in seguito, greggio o lavorato, di nuovo all’estero[5], sia per la incapacità dell’appaltatore, l’ebreo Padoa, il quale non aveva né petto né maniere proprie per stabilire la gabella e districarsi con bel modo dall’accensa»[6], la gabella del tabacco diede in Nizza un reddito ben minore del previsto: di L. 12.500 nel 1702, nulla nel 1703, L. 8.940.17.3 nel 1704 e L. 15.512.9.11 nel 1705.

 

 

Non volendosi stabilire la carta bollata, a cui pure s’era pensato, per non fare troppe novità, fu d’uopo, incalzando la guerra con Francia, pensare ad altri tributi straordinari. Non parve spediente imporre il quartier d’inverno, che in Piemonte si sovrapponeva ai tributi reali ordinari; ma lo stesso intento si ottenne con taluni tributi distribuiti nella ragione stessa del tasso e levati in occasione di spese straordinarie. Così, con ordine del 19 dicembre 1703, l’intendente Fontana ordinava alle città e comunità del Contado di Nizza, ad esclusione della capitale, di versare un contributo per il pagamento del prezzo di 600 spade destinate al servizio del reggimento di milizia Duvillars. L’imposta rese L. 1501.8.7 nel 1704 e qualche piccolo residuo continuava ad incassarsi nel 1713 e 1714. Con ordine del 19 dicembre 1703 fu ripartita, a rata di tasso, un’imposta straordinaria di L. 25.000 per le spese deI trinceramento tra il castello di Nizza e quello di Villafranca. Nel 1705 l’università degli ebrei condiscese a pagare “in occasione delle contingenze d’assedio” un tributo di L. 4000.

 

 

Forse altri tributi di guerra sarebbero seguiti a questi primi, se il Contado non cadeva nelle mani dei francesi, ai quali toccò di imporre li capitazione, che già essi conoscevano per l’esperienza fattane nella precedente guerra.

 

 



[1]A. S. F. IIa. Capo 57. Lettere diverse, n. 18, lettera del 2 aprile 1701; n. 653, lettere del 16 aprile e del 20 agosto 1701.

[2]A. S. F. IIa. Capo 58. R. Viglietti, n. 158.

[3]A.S.F. IIa. Capo 54. Registro lettere, n. 17. Lettera del 12 maggio 1702.

 

[4]Dopo la pace, si studiava la maniera di impedire il contrabbando; ed in certi progetti si raccomandava di istituire una fabbrica in Nizza per poter vendere il tabacco in foglie, preferito dei nizzardi del tabacco in grana, a meno di 12 soldi, con vantaggio delle finanze. In un paese tanto aperto al contrabbando, la diminuzione di prezzo pareva a ragione l’unica via di salvezza per la gabella. A.S.F. I a. Gabelle, Utensigli e Servizi di Nizza ed Oneglia, M. I, n. 3.

[5]Vedi un elaborato parere della Camera dei Conti del 6 aprile 1714 su questo argomento in A.S.F. IIa. Capo 48. Ricorsi e Pareri, n. 6, pag.111. Il parere conclude contrariamente alla domanda dei negozianti di Nizza, solo permettendo gratuitamente il puro transito, senza deposito a Nizza.

[6]A.S.F. IIa. Capo 54. Registro lettere, n. 17. Lettera di Groppello dell’8 luglio 1702.

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