Opera Omnia Luigi Einaudi

Il blocco dei fitti è una malattia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/03/1947

Il blocco dei fitti è una malattia

«L’Europeo», 2 marzo 1947

 

 

 

Allo scopo di dare a Cesare quel che è di Cesare vengono qui sotto stampate in corpo piccolo alcune avvertenze mie. Il testo dell’articolo che segue è tradotto letteralmente da un opuscolo Credete voi nel blocco dei fitti? pubblicato da una Fondazione per la educazione economica (The Foundation for Economic Education. Inc. Irvington on Hudson, N.Y., U.S.A.). I dati sono ricavati da un rapporto sulle case del 16 maggio 1946, serie H-46, Numero 1, dell’ufficio americano del censimento.

 

 

L’autore dell’opuscolo così parla ai suoi compatrioti americani:

 

 

«E così, voi credete nel blocco dei fitti! Voi sapete che i proprietari di case sono uomini. E voi sapete che il blocco dei fitti ha per iscopo di tenere nella tasca degli inquilini dei soldi che altrimenti finirebbero in quelle dei proprietari. Il blocco arricchisce gli inquilini e correlativamente impoverisce i proprietari. Tuttavia, voi applaudite al blocco dei fitti, perché voi credete giusto che il governo porti via i soldi ai ricchi o benestanti e li dia ai poveri. I proprietari sono ricchi o discretamente benestanti od essi posseggono qualcosa di più degli inquilini; od almeno le cose stanno per lo più così. Almeno questa è la vostra opinione. Naturalmente voi sapete che rubare è male, anche quando si ruba al ricco. Ma se il governo dice di rubare, il furto è “legale” e perciò non dovrebbe essere chiamato “rubare”. Si chiama solo “ridistribuzione della ricchezza”. Benissimo. Voi credete che la “distribuzione della ricchezza” sia una gran bella cosa. Forse voi opinate che il governo possa dir lui quale sia il significato dei dieci comandamenti od anche revocarli. Così voi lasciate correre».

 

 

Qui l’articolista cita talune statistiche. Negli Stati Uniti le case singole e gli appartamenti aumentarono dal 1940 al novembre 1945 del 7,9%: da 34.855.000 a 37.600.000; e nel frattempo la popolazione aumentava solo del 6,5%: da 131 milioni 699.000 a 140.200.000. Le abitazioni occupate erano cresciute da 264,5 nell’aprile 1940 a 269 nel luglio 1946 per ogni 1000 abitanti. Nelle città poi, mentre l’aumento della popolazione fu del 12,5%, quello delle abitazioni fu invece del 14,5%. La distribuzione delle case è altresì mutata nel quinquennio. Le case occupate da una sola persona sono aumentate del 30%; quelle occupate da due del 22%; ma quelle occupate da sei e più persone diminuirono del 22%; in media, il numero delle camere per persona che era di 1,45% nel 1940 è aumentato a 1,58 nel 1945.

 

 

«In altre parole, la persona o famiglia media ha ora più spazio od è meno ammucchiata di prima della guerra. Da che deriva dunque l’attuale mancanza di abitazioni? La spiegazione è una sola: vi è più denaro da spendere mentre i fitti sono tenuti bassi. L’americano medio ha ora più denaro da spendere di quel che avesse nel 1940. Il suo reddito in denaro (biglietti) è cresciuto del 100 per cento. Frattanto i fitti sono cresciuti solo del 4 per cento. Come conseguenza del rialzo nei redditi, a fitti costanti, il fitto è ora una percentuale più piccola del bilancio famigliare. Le case sono a buon mercato, in confronto ai redditi, per coloro i quali riescono ad affittare case ai fitti legali. Gli inquilini perciò possono pagare fitti più alti ed hanno cercato di farlo. Essi cercano quando possono di trasferirsi in appartamenti migliori, forniti di più stanze. Essi si allargarono, specialmente durante la guerra, quando tanti erano oltre mare. Questo allargarsi della gente rimasta a casa durante la guerra è ciò che rende tanto difficile ai reduci ad agli altri di trovar casa. Questa è la ragione per la quale tanta gente dorme sui sofà o si caccia nei garages o vive in carri ambulanti.

 

 

Coloro che si sono allargati, godono più stanze di prima. Altri si devono ammucchiare perché i “fortunati” godono maggior spazio di quel che avrebbero occupato senza il blocco dei fitti. Se coloro che si sono allargati avessero dovuto pagare fitti maggiori, pagare ciò che altri sarebbe stato ben lieto di dare per lo stesso spazio, molti di essi avrebbero trovato modo di tirare avanti con meno spazio.

 

 

Se solo una famiglia su otto, fra tutte quelle che sono composte di sole due persone o meno, si decidesse a far posto ad una persona di quelle che ora occupano una casa da soli, ci sarebbero senz’altro 1.750.000 appartamenti disponibili. Tanti quanti se ne possono costruire in tre o quattr’anni al ritmo presente delle costruzioni.

 

 

Il blocco dei fitti opera perciò in due sensi: protegge l’inquilino che vuole rimanere dove è; il fitto è tenuto basso. Ma vieta anche ad altri di offrire di più ed entrare nelle case. Giova ad un inquilino a spese di un altro, il quale ne ha maggior bisogno ed è pronto a pagar di più. Naturalmente qualcuno dirà subito: “Che cosa accadrà se il signor Giovanni, l’inquilino attuale, non può offrire quanto Giuseppe, il quale desidera di entrare nel suo appartamento? Cosa farà? Dove andrà? La risposta, altrettanto ovvia, è che egli si ridurrà in un appartamento più piccolo, sgombrato da qualcuno che ha bisogno di spazio maggiore ed è disposto a pagarlo.

 

 

Il signor Giovanni ed il controllore dei fitti dispongono di una casa che spetta a qualcun altro; ne dispongono per forza ad un prezzo minore di quello ritenuto giusto dal proprietario, minore di quello che egli potrebbe chiedere se egli ne potesse disporre ancora come di cosa propria. Il controllore dei fitti trova che ciò va benissimo. Ma i funzionari governativi sono soltanto uomini, umani e fallibili. Non essi inventarono i dieci comandamenti; né essi decidono ciò che sia o non sia rubare. Essi decidono solo se il furto debba essere o non punito. Essi forse non pensano che un tal fatto sia furto. Non importa. Prendere e tenere la casa altrui contro la volontà del proprietario, che cosa è se non furto? Sia pure il derubato ricco quanto si voglia, il furto resta furto.

 

 

Quali i risultati?

 

 

In primo luogo, gli inquilini, i quali da noi sono dal quaranta al cinquanta per cento del totale dei cittadini provvisti di casa, sono immobilizzati. Non si tratta solo di tener bassi i fitti. La gente è appiccicata od inchiodata agli attuali appartamenti. Gli inquilini abbandonano ogni pensiero di muoversi, perché trovar appartamenti è cosa difficilissima. Perciò essi rimangono dove sono. Questi “fortunati” inquilini lasciano passare le occasioni di un miglior lavoro. Lasciano ogni speranza di spostarsi nelle località che pur sarebbero preferibili. Si rassegnano ad una vita di piccole abitudini e si sforzano di dimenticare speranze e desideri di una vita migliore, di una occupazione migliore di nuovi piaceri. Questi “fortunati” inquilini perdettero ogni libertà di muoversi nel momento in cui per la prima volta si allargarono negli appartamenti fattisi vuoti quando dapprima il controllo dei fitti entrò in vigore. Dopo di allora ogni aumento, nei redditi monetari inchiodò sempre più fermamente gli inquilini alla casa occupata. Ognora più la domanda superò l’offerta. La mancanza di case divenne ogni giorno più intensa e più severa. Nessuno ora può muoversi se non può acquistare una casa o non si rassegna a pagare una mancia o non “conosce” un amico che gli può procacciare qualcosa.

 

 

Il furto non danneggia tanto la vittima quanto il ladro. Noi dimentichiamo troppo spesso questa verità. Certo, quando la proprietà è portata via per forza ai proprietari, i frutti del loro lavoro e del loro risparmio sono confiscati. Ma, di solito, i proprietari possono vendere quel che posseggono e comprar qualcosa altrove, ma desiderano spostarsi.

 

 

Alcuni proprietari, in verità, sono vedove o pensionati o vecchi ai quali la vita, a fitti bloccati, è fatta dura dal caro vita. Alcuni di essi ne sono amareggiati ed i loro inquilini, almeno quelli forniti di qualche scrupolo, si sentono imbarazzati e si vergognano.

 

 

Ma i danni economici sono sovratutto chiari e gravi. Chi investe ancora nel costruire case di affitto, quando si sa che gli inquilini ottengono di bloccare i fitti ogni qualvolta i prezzi crescono? Sino a quando i cittadini degli Stati Uniti non si persuadano dei danni del blocco dei fitti, gli investitori, se sono saggi, si asterranno dall’investire denaro nella costruzione di case da affittare. I principali danneggiati non saranno gli investitori. Essi si terranno il loro denaro e non staranno peggio se non lo investiranno in case. I più danneggiati saranno i giovani e coloro che non hanno i mezzi di comprarsi la casa; ossia proprio coloro che i patroni del blocco dei fitti storditamente affermano di volere “proteggere”. Alla pari di ogni altra specie di furti, il blocco dei fitti cagiona una deficienza della cosa rubata, e cioè dallo spazio da affittare. Esso dà origine alla stessa specie di degradazione morale ed economica che il furto porta con sé ogni qualvolta gli si lascia la via aperta.

 

 

Naturalmente, il furto porta via al ricco e dà al povero. I ladri per lo più sono poveri e la sola gente alla quale convenga rubare sono i ricchi. Ma questo è un lato solo della medaglia, e non il più importante. Il blocco dei fitti è la causa principalissima della mancanza di case. La fame di case continuerà sino a quando i fitti saranno tenuti al disotto della possibilità e della disposizione degli inquilini a pagare».

 

 

Sin qui lo scrittore americano. Il problema italiano delle case è grandemente più complicato. Da un lato i redditi nominali monetari sono in media, anche quelli della grandissima maggioranza dei lavoratori cittadini, aumentati dal 1938 in poi da 1 a 2 come negli Stati Uniti, ma da 1 a 15, a 20 e più; mentre i fitti delle case sono al più raddoppiati. Perciò la volontà di rimanere attaccati, come ostriche, alle case bloccate è qui di gran lunga più spiccata che oltre oceano. Dall’altro lato, mentre la popolazione cresceva, il numero delle case, invece di aumentare ancor di più, come negli Stati Uniti, diminuiva a causa dei bombardamenti e delle distruzioni operate dalla guerra. La pressione dei senza casa contro i fortunati inquilini di case bloccate è perciò in Italia senza paragone più intensa che negli Stati Uniti. Se i fitti delle case bloccate sono aumentati al più da 1 a 2, i fitti delle poche case «libere» sono cresciuti da 1 a 50, a 70 a 100. A Roma, a Milano, a Torino, dappertutto, si pagano mance di 200 mila, di mezzo milione, di un milione e più per potere entrare in una casa libera. La edilizia privata è un’industria assurda. Solo un pazzo può investire denaro nel costruire una casa da fitto. Si costruisce solo da chi sa di potere entrare personalmente nella casa nuova o da chi ha preventivamente venduto, su disegno, la casa a chi è pronto a sborsare le centinaia di migliaia di lire od i milioni per procacciarsi un tetto.

 

 

Si aggiunga che in Italia, a differenza degli Stati Uniti, dove la potenza di acquisto del dollaro è scemata solo del terzo o al più della metà, la lira ha visto scemare la propria potenza di acquisto ad una venticinquesima e talvolta una trentesima parte. Poco male o minor male per coloro i cui redditi nominali sono aumentati le 30, le 25 o le 20 volte. Ma vi sono ceti in Italia – e non sono se non in piccola parte i componenti le masse lavoratrici operaie e contadine – il cui reddito, come quello dei pensionati, è aumentato solo da 1 a 5 od a 10, o non è aumentato affatto, come quello dei professionisti, delle vedove, dei commercianti ritirati, di tutti coloro i quali vivono del frutto di risparmi passati, per lo più investito in titoli a reddito fisso. Il loro reddito è rimasto fisso ad 1 e costoro soffrono la fame e, se dovessero pagare fitti di mercato, sarebbero ridotti alla disperazione ed alla morte. Ma costoro, sebbene si noverino a milioni, non sono organizzati e non sono protetti da nessuno.

 

 

Di nuovo, come tra il 1919 ed il 1920, la società italiana è travagliata da un profonda crisi sociale dovuta alla svalutazione monetaria. Il contrasto fra impoveriti ed arricchiti è più aspro oggi che un quarto di secolo fa; ed il contrasto nasce, come allora, dalla degradazione morale propria dell’offesa al settimo comandamento: non rubare. Gli inquilini rubano legalmente ai proprietari, lo stato ed i debitori pubblici e privati rubano ai loro creditori. Talvolta i derubati sono i più ricchi, ma non di rado sono i più poveri. Purtroppo, la restituzione del mal tolto produrrebbe perturbazioni siffatte nelle economie private e pubbliche da aggravare ulteriormente i contrasti e gli odii che il furto legale approfondisce sempre più.

 

 

Ma non possiamo chiudere gli occhi dinnanzi al problema. È necessario porre fine subito, là dove si tratta di stipulare contratti in corso, al metodo del furto legale. Perché risparmiare, perché investire, se uno scorciamento legale del metro monetario distrugge il valore del risparmio e dell’investimento? Come sempre le sanzioni del comandamento morale coincidono con le sanzioni economiche. Il settimo comandamento ordina di non rubare; la sapienza popolare insegna che la farina del diavolo va in tanta crusca; ed il ragionamento economico dimostra che la legalizzazione del furto è la causa prima della scarsità dei beni necessari alla vita, della fame di case, dell’odio sociale e del ritorno alla economia di preda propria dei selvaggi. Al di là della lotta e dell’odio fra coloro i quali a volta a volta sono derubati e ladri si erge il ghigno feroce dello stato onnipotente, pronto a ridurci in uno stato di schiavitù più duro della tirannide da cui siano usciti.

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