Opera Omnia Luigi Einaudi

Il catasto di Porto Maurizio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 31/08/1912

Il catasto di Porto Maurizio

«L’Unità», 31 agosto 1912

 

 

 

Di questo caso, assolutamente inaudito, di illegalità diretta a favorire iniquamente nel nuovo assetto della imposta fondiaria una provincia a danno delle altre, che noi denunciammo nel n. 25 dell’Unità, si occupano nella Riforma sociale del luglio-agosto-settembre 1912, Spectator, raccontando i fatti con grande larghezza e chiarezza, e Luigi Einaudi commentandoli con la sua solita limpida ed efficace sobrietà.

 

 

Dall’articolo dell’Einaudi, riproduciamo col consenso dell’autore, un frammento, che ci sembra il più caratteristico. E lo dedichiamo specialmente all’on. Canepa.

 

 

L’on. Canepa fa parte di un gruppo agrario di deputati; è stato relatore di una recente legge sul credito agrario per la Liguria; è un competente di questioni agrarie. Inoltre, nella sua qualità di deputato socialista di Genova e di consigliere provinciale di Porto Maurizio, non può lasciar passare inosservato questo tentativo, che fa la «classe proprietaria», della provincia di Porto Maurizio, per sfuggire ai suoi doveri tributari. Finalmente, l’on. Canepa, appartenendo a un gruppo politico, il quale ha invocato anche nella recente relazione dell’on. Berenini la riforma tributaria e la imposta sul reddito globale, non può non desiderare che gli accertamenti dei redditi sieno fatti sul serio e non per turlupinatura, come pare pretendano i proprietari fondiari della provincia di Porto Maurizio.

 

 

Noi non dubitiamo, pertanto, che l’on. Canepa si troverà in prima linea a protestare seriamente contro la ingiustizia, che si vuol commettere a favore della «classe proprietaria» di Porto Maurizio. Il «Nuovo Partito» avrebbe tutto da guadagnare da questa prova di indipendenza dagli interessi illegittimi locali di uno dei suoi più autorevoli deputati.

 

 

Ed ecco le considerazioni dell’Einaudi:

 

 

V’è una provincia dove la degenerazione del catasto si sta già compiendo, anzi s’è già in parte compiuta: ed è una provincia settentrionale e precisamente la provincia di Porto Maurizio. La quale, pagando da antico tempo sole 191.000 lire d’imposta erariale allo Stato, s’è deliberata di volerne pagare altrettante e non più in avvenire. Secondo i difensori della provincia di Porto Maurizio, il catasto nuovo dovrebbe essere «compilato in base al prodotto oleario dell’ultimo decennio e non pazzescamente fondato sui redditi altissimi dei decennii precedenti». Queste parole leggemmo, con stupore grandissimo, a carte 123 di un libretto, sotto parecchi rispetti suggestivo e inspirato a verità, dell’ on. Giovanni Celesia, «Sulla Liguria del 1912». Dati e confronti, Genova, Sambolino e C., 1912. Come si può pretendere che gli italiani serbino rispetto ai legislatori e tributino ossequio alla legge, quando si vede un legislatore colto ed ispirato al bene pubblico, come dal suo medesimo scritto è fatto palese, trattare di «pazzesca» una stima dei redditi compiuta nei modi che la legge del 1886 prescrive e che sono assolutamente indispensabili ad osservarsi, se si vuole che una perequazione tributaria riesca alfine ad ottenersi in Italia? Se per la Liguria si adotterà il criterio del «prodotto oleario dell’ultimo decennio» come quello che per la cultura olearia torna il più vantaggioso per i contribuenti, chi impedirà ad ognuna delle provincie di scegliere per la stima dei suoi prodotti quel decennio, o quel quinquennio o magari quell’anno in cui peggiori furono, dal 1874 ad oggi, le condizioni dell’agricoltura locale? E un siffatto mostro si vorrà nomar catasto? E se, per ipotesi inammissibile, si vorrà assumere per la provincia di Porto Maurizio il «prodotto oleario dell’ultimo decennio», quale mai ragione sensata si potrà addurre per non tener conto dei 9 milioni di prodotto lordo della coltura floreale che, per confessione dello stesso on. Celesia, si ottengono sui 500 ettari del circondario di San Remo e di cui la Giunta tecnica non aveva fatto calcolo veruno, reputando quella cultura tutta quanta introdotta dopo il 1886 e quindi non soggetta a stima? Se si vogliono stimare gli olivi del 1900-910, si debbono anche stimare i fiori del medesimo periodo essendo scandalosissimo che per gli uni si riferisca la stima al periodo 1900-910 e per gli altri a quello 1874-1885. Eppure questa sarebbe la stranissima pretesa dei proprietari della riviera di ponente, dei quali ognuno grida contro l’iniqua sovratassazione degli olivi e nessuno si lagna dell’iniquissima sottotassazione dei fiori!

 

 

Oggi si vuol far passare per poverissima la provincia di Porto Maurizio; e certamente lo è in alcuni suoi Comuni, sebbene pochi in Italia vorranno credere a notizia sì incredibile per l’intiero suo territorio. E vogliamo anche riconoscere, come la verità impone, che il nuovo catasto, imponendo di fare gli estimi secondo i prodotti, le spese ed i prezzi del dodicennio 1874-85, non risponde alle esigenze della giustizia «più giusta», la quale vorrebbe che l’imposta seguisse d’ora in ora le variazioni dei redditi, e, tenendo conto dei minorati redditi degli oliveti, calcolasse e percuotesse ciò che il catasto nuovo non fa, il reddito grandissimamente accresciuto dei terreni destinati in Liguria alla cultura dei fiori. Ma non vi risponde in tutta l’Italia; e sarebbe uno sconcio grandissimo se, per tener conto di questa verità, si facessero gli estimi secondo i prodotti, le spese ed i prezzi del momento in che il catasto viene costrutto in ogni provincia. Vi sarebbero provincie catastate secondo i redditi del 1890, altre secondo i redditi del 1900, altre del 1910, ed altre ancora del 1920 o 1940 o 1950, se tanto durerà il catasto ad essere finito in ogni luogo. Sarebbe una babele peggiore di quella da cui si volle nel 1886 uscire.

 

 

Oggi dunque è necessario attuare il catasto, così come lo volle il legislatore del 1886, e cioè secondo i dati di fatto del dodicennio 1874-85. Ed occorre che l’opinione pubblica sappia infondere nel ministero delle finanze, finora ammirando per la imparzialità sua di fronte alle parti politiche ed agli interessi nazionali, tanto coraggio quanto basta per non perdere, in un momento di debolezza, questo suo vanto, grandissimo in un governo parlamentare. Se debolezza vi fu, siamo ancora in tempo a correre ai ripari; ed a ridurre alla ragione le provincie riottose e ribelli alla legge. Se coraggio non si ha stavolta, che il malo esempio fu dato da una provincia settentrionale, invano si vorrà altrove affermare poi l’impero della legge. L’opera del catasto sarà irrimediabilmente perduta.

 

 

Perduta in sfregio alla giustizia distributiva, la quale comanda che nessuna provincia possa sottrarsi all’onere suo di imposte se non si vuole che i contribuenti d’altre provincie rimangano sovraccarichi. Ora, la provincia di Porto Maurizio pretende appunto di far pagare alle altre provincie italiane quel che essa dovrebbe pagare. E questo pretende non solo in rapporto ai redditi del 1874-85 ma con ogni probabilità puranco in confronto ai redditi attuali. Dalle carte 88 e 92 del libro dell’on. Celesia (assumo la testimonianza di un rappresentante ligure, diligente e chiaro espositore dei malanni dei suoi paesi) risulta infatti che il prodotto lordo dell’olivo può oggi calcolarsi in media in L. 500 per ettaro, quello della vite in L. 600, del grano in L. 250 e degli ortaggi in L. 4000. Accettando senz’altro questi dati ed applicandoli ai 24,824 ettari di oliveti che il catasto nuovo accertò in provincia di Porto Maurizio, ai 3881 ettari di vigneti, ai 7314 ettari di seminativi, ai 723 ettari di ortaggi si ottiene un prodotto lordo di 19.461.100 lire. Se si aggiungono i 9 milioni di lire che l’on. Celesia afferma prodotti dai 500 ettari coltivati a fiori nel circondario di San Remo, e se si calcolano solo 20 lire ad ettaro ossia lire 1.532.940 in tutto di prodotto lordo per i restanti 76,647 ettari di terreni destinati a prati, pascolo, agrumeto, palmeto, castagneto, canneto, bosco ed incolto produttivo, che è una stima in media fantasticamente bassa, si ottiene un prodotto lordo agrario totale di lire 29.994.040; in cifra tonda di 30 milioni di lire. A quale proporzione di questi 30 milioni di lire di prodotto lordo ammonterà il reddito netto del proprietario che è quello tassabile colla imposta fondiaria? Ammettasi, per esagerare in meno, ad una quinta parte soltanto, ossia a 6 milioni di lire. Coll’aliquota dell’8,80 per cento l’imposta erariale dovrebbe essere di 528 mila lire all’anno e non di 191 mila, come vogliono i porto mauriziesi. Per essere di 191 mila lire soltanto, l’aliquota dovrebbe essere ridotta al 3,20 % circa.

 

 

Tutti questi calcoli sono grossolanissimi mentre i soli approssimativamente attendibili sono quelli risultanti dalle minute operazioni catastali e dai reclami relativi; ma essendo fondati sulla confessione degli interessati, dimostrano la verità della tesi che qui si vuol dimostrare: essere urgente di rimediare allo scandalo tributario per cui un’impresa detta «di prequazione» viene contorta al fine di far pagare ad altre provincie l’imposta che da una di esse dovrebbe essere soluta.

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