Opera Omnia Luigi Einaudi

Il decalogo economico degli italiani nell’ora presente

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/10/1914

Il decalogo economico degli italiani nell’ora presente

«Corriere della Sera», 26 ottobre 1914[1]

Prediche, Laterza, Bari, 1920, pp. 43-49[2]

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 31-38

 

 

La moratoria, la quale fu in Italia una necessità dolorosa per mettere una diga al panico, che minacciava di travolgere tutta l’organizzazione economica del paese, ha dato luogo ad alcune manifestazioni strane e quasi direi allarmanti. Nessuno avrebbe supposto mai, prima della moratoria, che in Italia vivesse tanta gente provvista di depositi alle casse di risparmio e di conti correnti alle banche. Nessuno più pagò, perché le banche non rimborsavano i depositi o li rimborsavano solo nella misura fissata dai decreti governativi; e sovratutto non pagarono coloro, i quali in vita loro non erano mai stati titolari di conti correnti attivi alle banche e che non sapevano come fossero fatti i libretti di assegni. Coloro che non avevano mai ottenuto credito e che non avevano mai avuto bisogno di chiederne, subitamente, avendo visto che il governo aveva autorizzato alcune moderate emissioni di biglietti di banca, si immaginarono che i biglietti si potessero fabbricare per regalarli ai richiedenti; e cominciarono a reclamare ad alta voce emissioni di centinaia di milioni, di miliardi di lire di biglietti, per fornire fondi a classi di persone che finora non si erano sognate mai di diventare clienti delle banche di emissione.

 

 

È venuto il momento di dire che una delle migliori maniere con cui gli italiani possono servire il proprio paese, in quest’ora solenne della sua storia, è di compiere fino all’ultimo il proprio dovere. Viviamo in un’epoca in cui tutti debbono fare sacrifici e debbono essere disposti a farne dei maggiori; in cui è strettissimo dovere di tutti di chiedere allo stato, ai comuni, ai consociati di meno e non di più di quanto si era soliti chiedere prima; in cui a priori deve essere biasimato e non lodato quell’uomo politico o capo di rappresentanze sociali od economiche, il quale si fa iniziatore di nuove richieste al governo; in cui possono essere tollerate od ammesse solo quelle domande, le quali sono dettate dall’estrema necessità di salvare il paese da un pericolo grave e non quelle le quali hanno per iscopo di ottenere un vantaggio o di diminuire una perdita degli individui singoli.

 

 

A chiarire la tesi sopra sostenuta, mi proverò anch’io ad enunciare, ad imitazione di quanto fecero taluni autorevoli giornali esteri, un decalogo dell’italiano nel momento presente. Sarà un decalogo esclusivamente economico, la cui osservanza mi pare doverosa per tutti quelli, i quali non si trovino nella impossibilità assoluta di obbedire ai suoi precetti.

 

 

  • 1) Pagate i debiti più puntualmente di quanto non usavate fare prima. Chi si intenerisce della sorte dei debitori è, in tempi normali, il nemico acerrimo di coloro che hanno bisogno di credito; poiché l’inosservanza degli impegni induce i prestatori, e bene a ragione, ad aumentare il saggio dell’interesse per compensare il rischio dei ritardati o mancati pagamenti. Tanto più ciò è vero in tempo di guerra; poiché la mancata osservanza degli impegni da parte dei debitori antichi impaurisce i capitalisti ed i banchieri, già timorosi nelle circostanze odierne, e li spinge a nascondere il capitale che sarebbe disponibile. Di qui il rincaro enorme degli interessi, il mancato afflusso dei capitali alle industrie, la disoccupazione e la rovina dei debitori medesimi.

 

 

  • 2) Pagate i fitti con maggiore puntualità del solito. È risaputo che una delle cause più gravi della maggiore altezza relativa dei fitti piccoli in confronto ai grossi è la minore puntualità nei pagamenti e quindi il maggior costo d’esazione dei fitti piccoli degli operai, impiegati, piccoli commercianti. Il mercato, che adegua tutti i redditi, rialza i fitti piccoli per compensare l’industria edilizia del maggior costo che essa risente per la non puntualità e la insolvenza dei minuti inquilini. Quindi tutta la propaganda la quale si va facendo per ottenere la moratoria nei fitti non può non portare ad una conseguenza dannosissima alla classe più povera: ossia ad un ulteriore rialzo dei fitti piccoli.

 

 

  • 3) Pagate le note scadute ed in corso dei negozianti e procurate per l’avvenire di pagare tutto per contanti. Anche qui l’esperienza normale dei tempi di pace prova che gli acquisti a credito rincarano le merci, arenano il commercio e rendono difficile la vita alle industrie. Nei momenti, nei quali le difficoltà di far muovere il meccanismo economico crescono a mille doppi, ogni ritardo nei pagamenti da parte della clientela è un impedimento al giro della ruota economica. Il negoziante che non incassa non può pagare il grossista; questi a sua volta non paga il fabbricante e cessa di dare ordinazioni nuove. Il fabbricante, esaurite le ordinazioni vecchie e privo di incassi, cessa di lavorare: sicché cresce la disoccupazione.

 

 

  • 4) Depositate i fondi disponibili presso le casse di risparmio e le banche. Si pretende che banche e casse rimborsino i depositi al 100% e poi i risparmiatori trattengono in cassa gelosamente i denari disponibili. Nei tempi normali, le banche fanno fronte ai rimborsi dei vecchi depositi con gli incassi dei nuovi depositi. Se questi non si fanno più, come possono le banche fronteggiare le domande di rimborsi? Debbono vendere i titoli, in cui hanno investito i fondi dei depositanti o riscontare o non rinnovare le cambiali che con gli stessi fondi avevano comprato. Ma, vendendo i titoli, li deprezzerebbero, cagionando panico e disastri; riscontando le cambiali presso gli istituti di emissione, li costringerebbero ad emettere troppa carta-moneta, facendo crescere prezzi ed aggio; mentre la mancata rinnovazione delle cambiali scadute metterebbe spesse volte l’industria ed il commercio sull’orlo del fallimento.

 

 

  • 5) Continuate a fare i soliti vostri affari con le banche. Le considerazioni sovra fatte spiegano come non si possa lodare il contegno di quegli industriali e di quei commercianti, i quali, dopo aver ottenuto il rimborso di tutto o quasi tutto il proprio conto corrente, non portano più le proprie tratte all’incasso presso la banca, ma cercano di fare le esazioni direttamente od a mezzo posta, con metodi forse più costosi, allo scopo di tenere in cassa il ricavo. Il buon funzionamento del meccanismo economico richiede che le banche aiutino il commercio, ma impone anche che il commercio dia aiuto alla banca. Un servizio unilaterale consistente nel dare sempre e non ricevere mai è inconcepibile e non può non portare al disastro.

 

 

  • 6) Non fate provviste oltre il necessario. Oggi questo inconveniente si è assai ridotto: poiché si è visto che la guerra non era la carestia e che si poteva continuare a comprare ed a vendere come prima. Ma, poiché i tempi potrebbero farsi più gravi, non è inutile avvertire che la condizione essenziale per seguitare a comprar a prezzi normali è di non allarmarsi e non fare incette. Le incette dei negozianti non sono temibili; poiché son fatte da gente che, per guadagnare, ha assoluta necessità di rivendere: mentre sono pericolose le incette dei timorosi che si asserragliano in casa, provvisti di cibarie, come se avesse a tornare il tempo degli unni, e come se tornando gli unni costoro non trovassero assai comodo di fare man bassa anche sul ben di Dio ammucchiato dalla gente morta di spavento innanzi tempo.

 

 

  • 7) Non chiedete aiuti agli enti pubblici, quando è possibile trovar lavoro in città od in campagna. Gli enti pubblici e principalmente lo stato hanno compiti gravissimi da soddisfare. Tutte le forze finanziarie dello stato devono intendere ai fini supremi imposti dall’interesse nazionale. Pensano a ciò le comitive di uomini pubblici, di cooperatori, ecc. ecc. che vanno chiedendo lavoro allo stato ed appalti governativi? Pensano essi che, così facendo, indeboliscono finanziariamente lo stato e ne diminuiscono la forza la quale dovrebbe rimanere intatta? Hanno davvero essi cercato ogni via per procacciar lavoro ai disoccupati innanzi di ricorrere all’aiuto governativo? Sono sicuri che molti dei disoccupati non preferiscano di rimanersene in città a godersi la minestra ed i buoni di cibo gratuiti del comune piuttosto che andarsene a cercare lavoro dove il lavoro è offerto? Durante la vendemmia i contadini dovettero in molti luoghi pagare le vendemmiatrici, scarsissime, anche a 3 lire al giorno con l’aggiunta del consumo libero dell’uva. Può darsi che i disoccupati delle città considerino troppo vile il salario delle 3 lire al giorno: ma certamente il fornire minestre e cibi gratuiti nelle città a coloro che potrebbero trovare lavoro remuneratore nelle campagne è atto non conforme al pubblico interesse.

 

 

  • 8) Non chiedete denari a prestito, quando ciò non usavate fare prima e quando la vostra azione può provocare il deprezzamento della carta-moneta. Negli anni scorsi non s’era mai saputo in Piemonte che i compratori d’uva usassero ricorrere per somme enormi alle banche per ottenere i fondi per i loro acquisti. Improvvisamente si scopre quest’anno che sono necessarie diecine e centinaia di milioni e vi è chi chiede che li fabbrichi il governo stampando biglietti e li dia in prestito ai negozianti, affinché questi possano comprare le uve a 15 e 20 lire il quintale. Le centinaia di milioni di biglietti fortunatamente non si stamparono e ciononostante i viticultori poterono vendere le uve a prezzi rimuneratori. Prova evidente che i biglietti conclamati avrebbero servito solo a malsani gonfiamenti di prezzi.

 

 

  • 9) Pagate le imposte esistenti con maggiore zelo del consueto. Tutti abbiamo bisogno dei nostri redditi consueti; ma nessuno ne ha oggi maggiore urgenza dello stato. Il privato oggi può vivere col reddito dimezzato, rinunciando ai consumi non assolutamente necessari alla vita fisica; lo stato deve ottenere redditi crescenti, perché i suoi scopi sono oggi più ardui, più vasti, più costosi. Ognuno deve sentire che il pagamento delle imposte è qualcosa di più di un dovere ordinario: è il dovere più alto e più urgente del momento presente, è il mezzo per la conservazione dello stato e per il raggiungimento dei fini ideali che in questo momento storico hanno il sopravvento sui fini materiali.

 

 

  • 10) Confortate del proprio assenso il governo, quando intenda stabilire imposte nuove. Che siano necessarie imposte nuove per provvedere alle cresciute spese pubbliche era manifesto da un pezzo; e l’esazione di alcune di esse era già stata autorizzata dal parlamento. Ma le spese straordinarie occorse in questi mesi e quelle che occorreranno in avvenire ci costringeranno ad imitare la Germania, che aveva stabilito l’imposta di guerra del miliardo, ed i due paesi neutrali, Stati uniti e Svizzera, che hanno istituito or ora imposte straordinarie per sopperire alle minori entrate ed alle maggiori spese provocate dalla crisi odierna. Tutti debbono essere persuasi che, oggi, il pagare imposte maggiori per fornire allo stato i mezzi necessari alla sua vita è un bisogno più urgente di quello di provvedere a molti bisogni ordinari della vita: che si può e si deve rinunciare al vino, al caffè, al cinematografo, all’automobile, ai teatri, ai divertimenti, si deve far durare più a lungo un abito vecchio, si devono portare le scarpe rappezzate, rinunciando all’acquisto di un paio di scarpe nuove; ma non si deve rifiutare il consenso volonteroso e pronto al pagamento di imposte nuove. I bisogni dell’individuo come singolo diventano secondari di fronte ai bisogni dell’individuo come parte della collettività. Questa subordinazione, che nei tempi normali vorrebbe dire decadenza civile e dominio della burocrazia, nei tempi straordinari è richiesta dalle esigenze più urgenti della conservazione e dell’incremento di quei beni ideali, dai quali in sostanza dipende la possibilità di conseguire poi più larga messe di beni materiali.

 

 



[1] Con il titolo L’ora del dovere. Il decalogo economico degli Italiani. [ndr]

[2] Con il titolo II dovere degli Italiani durante la guerra. [ndr]

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