Opera Omnia Luigi Einaudi

Il delenda carthago della politica monetaria italiana

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/06/1925

Il delenda carthago della politica monetaria italiana

«Corriere della Sera», 14 giugno 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 319-324

 

 

 

Dobbiamo essere grati al direttore generale della Banca d’Italia, per un volumetto di Memorie riguardanti la circolazione e il mercato monetario, pubblicato di questi giorni (tipografia della Banca d’Italia, Roma). Lo Stringher si è reso, con esso, altrettanto benemerito per la interpretazione delle cause e delle specie dei biglietti circolanti in Italia quanto lo divenne il Pace con le sue note dilucidative del conto del tesoro. I biglietti sono tutti gli stessi e non denunciano la loro origine; ma dalla narrazione dello Stringher io avrei tratto la conseguenza che, non tenendo conto di talune suddistinzioni e di nove categorie già morte, i biglietti oggi correnti in Italia si possano distinguere in 25 categorie diverse per la causa che diede origine al biglietto o per la tassa da cui il biglietto è colpito o per le norme che ne regolano la emissione e la circolazione. Fortunatamente, la maggior parte delle categorie va morendo da sé, a mano a mano che vengono meno le cause che hanno dato origine all’emissione del biglietto. Per esempio, i biglietti anticipati ai consorzi granari per acquisti di frumento furono intieramente restituiti ed oggi non figurano più nelle situazioni. Tuttavia, se possibile, sarebbe bene trovar modo di ritornare all’antica semplicità del testo unico del 1912 per cui tutta la circolazione per conto del commercio distinguevasi, in normale, entro certi limiti fissati dalla legge, ed eccedente, suddistinta in quattro categorie tassate, a seconda che superavano di più in più l’estremo limite della circolazione normale, con una tassa rispettivamente equivalente ad un quarto, alla metà, ai tre quarti ed all’intiero saggio dello sconto.

 

 

Tra i parecchi interessanti prospetti che lo Stringher pubblica nella Memoria scelgo, per un riassunto ed un commento, alcuni che rispondono alla domanda: donde traggono gli istituti di emissione (Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia) i mezzi per provvedere ai bisogni del commercio? Dico del commercio, perché la circolazione per conto dello stato obbedisce a leggi diverse da quelle commerciali. Dopo essere salita ad un massimo di 10.743 al 31 dicembre 1920, diminuì ad 8.505 il 31 dicembre 1921, a 8.077 il 31 dicembre 1922 ed al 31 maggio 1925 era di 7.073 milioni di lire. Diminuzione costante, misurata dalla liquidazione dei compiti economici assunti in guerra dallo stato e dalla possibilità dell’erario di rimborsare le anticipazioni ricevute.

 

 

Quanto al commercio, guardisi innanzi tutto ai mezzi, di cui i tre banchi dispongono per far fronte alle richieste di aiuto che essi ricevono (in milioni di lire):

 

 

Biglietti

Conti correnti fruttiferi privati

Debiti a vista

Conto corrente del tesoro

Totale

30 giugno 1914

2.199

102

207

121

2.629

31 dicembre 1916

2.458

432

672

69

3.631

31 dicembre 1918

4.585

802

1.173

256

6.816

31 dicembre 1921

10.704

931

1.981

1.047

14.663

31 dicembre 1922

9.935

1.231

1.194

583

12.943

31 dicembre 1923

9.492

1.191

1.263

2.011

13.957

31 dicembre 1924

10.873

1.192

1.717

808

14.590

30 aprile 1925

10.572

1.227

1.261

731

13.791

 

 

Dopo la grande spinta del 1921, la quantità dei biglietti emessi non ha subito aumenti ulteriori. La diminuzione del 1922-23 era apparente in quanto gli istituti, invece che sui biglietti, facevano affidamento sul grosso deposito in conto corrente di 2.011 milioni che il tesoro teneva presso la Banca d’Italia. Adesso il conto corrente del tesoro è ritornato a dimensioni più ragionevoli; i conti correnti di privati ed i debiti a vista – questi ultimi composti sostanzialmente, ritengo, di giacenze per vaglia bancari – danno un contributo abbastanza costante alle disponibilità bancarie. È interessante notare che dal 1914 al 1925 le disponibilità raccolte coll’emissione dei biglietti aumentano da 1 a 4,8, laddove le altre disponibilità insieme crebbero da 1 a 7; incremento quest’ultimo più in armonia con la svalutazione della moneta a circa un settimo della sua potenza d’acquisto verificatasi in Italia.

 

 

Come furono impiegate le disponibilità ora dette? Ecco la risposta (in milioni di lire):

 

 

Portafoglio normale

Anticipazioni in titoli

Prorogati pagamenti

Sezione autonoma Consorzio valori

Totali

30 giugno 1914

669

141

41

851

31 dicembre 1916

832

392

11

1.235

31 dicembre 1918

1.307

936

110

2.353

31 dicembre 1921

5.181

4.839

482

10.502

31 dicembre 1922

6.179

3.105

436

9.720

31 dicembre 1923

4.690

3.388

476

3.306

11.860

31 dicembre 1924

5.109

3.158

464

4.082

12.813

30 aprile 1925

5.141

3.025

186

3.654

12.006

 

 

Colpisce subito una circostanza: che gli istituti di emissione sovvengono l’industria ed il commercio, sia scontando cambiali (portafoglio) sia facendo anticipazioni su titoli e su merci, sia concedendo proroghe di alcuni giorni ai pagamenti di fine mese colle stanze di compensazione, in misura assai superiore all’anteguerra. Un aumento da 851 a 12.006 milioni è fuori di ogni proporzione con la svalutazione monetaria. Questa spiegherebbe che i banchi dessero mezzi uguali a sette volte quelli che davano prima della guerra; non spiega come i prestiti odierni siano uguali a 14,1 volte quelli del 1914.

 

 

Volendo cercare ciononostante una compiuta spiegazione del grandioso moltiplico delle cifre degli impieghi attivi degli istituti di emissione, si potrebbero fare le seguenti osservazioni:

 

 

  • 1) la prima è quella già detta della svalutazione monetaria: siccome i prezzi delle merci all’ingrosso sono aumentati – indice del prof. Riccardo Bachi – da 1 a 7,2, occorrono sette volte più danari agli industriali ed ai commercianti per fare il rigiro dei loro affari;

 

  • 2) v’ha una certa probabilità che il commercio abbia potuto fare minore affidamento di prima sulle disponibilità delle banche ordinarie, ossia su quello che si potrebbe chiamare il mercato «libero», in contrapposto al mercato «ufficiale» degli istituti di emissione. Le disponibilità in lire carta delle quattro grandi banche ordinarie sarebbero cresciute, è vero, secondo un diligente studio di Dino Angeli sulla «Rivista bancaria» dell’aprile, da 2.416 milioni nel 1913 a 16.472 milioni nel 1924, ossia da 1 a 6,8; ma v’è da ritenere che una parte delle maggiori disponibilità sia stata assorbita da impieghi non commerciali, prima sconosciuti, come i buoni del tesoro; ed in misura ancor più sensibile, ciò deve essersi verificato per le disponibilità delle casse di risparmio. Il fabbisogno del commercio è ricaduto quindi, in proporzioni maggiori dell’anteguerra, a carico degli istituti di emissione. Azzardando un’ipotesi, ciò potrebbe spiegare un aumento ulteriore, dopo quello da 1 a 7 dovuto alla svalutazione monetaria, da 7 a 10;

 

  • 3) rimane l’ultima porzione dell’aumento: da 10 a 14. Di questa, la causa è nota: i salvataggi della Banca italiana di sconto e del Banco di Roma. Senza questi salvataggi, ci sarebbero ora 3.654 milioni di lire di biglietti di meno in giro; e sarebbe proporzionatamente più sana la situazione monetaria.

 

 

Sono rimasto esterrefatto l’altro giorno nel leggere sui giornali che gli uffici della camera avevano discusso sul serio non so che disegno di legge di iniziativa parlamentare per un’inchiesta sulle responsabilità degli on. Bonomi e Bellotti per non avere salvato intieramente la Banca italiana di sconto. L’ultima tabella sovra riportata dimostra che l’inchiesta sarebbe certamente utile; ma dovrebbe farsi intorno alle responsabilità di tutti coloro (compresi gli on. Bonomi e Bellotti) i quali per troppa arrendevolezza salvarono, a spese dello stato, in parte la Banca italiana di sconto e in tutto il Banco di Roma. Le banche le quali fanno male i loro affari, o, il che fa lo stesso, hanno attività forse superiori alle passività, ma immobilizzate, possono essere salvate dalle loro consorelle, per evitare l’estendersi del panico e il moltiplicarsi delle catastrofi. Lo stato può dare qualche buon consiglio; sebbene i buoni consigli di ministri, per lo più incompetenti in materia bancaria, servano solo ad imbrogliare le idee nella testa dei banchieri, i soli interessati al salvataggio. Ma se questo si fa, deve farsi a rischio esclusivo dei salvatori, senza nessuna responsabilità né aiuto dello stato.

 

 

Lo stato non deve dare un soldo; perché dà il danaro degli innocenti. La tabella dice quali sono le conseguenze del salvataggio dei due banchi fatto dallo stato: ci sono ancora in giro al 30 aprile 1925 ben 3.654 milioni di biglietti, che non ci sarebbero se non si fossero salvati i due banchi. Il che vuol dire che i due salvataggi li paga il pubblico, li pagano sovratutto le classi a redditi fissi, senza possibilità di rimbalzare l’onere su altri, sotto forma di caro viveri, di caro vestiti, di caro fitti, ecc.

 

 

Se, per ipotesi assurda, si mettessero davvero sotto stato d’accusa i ministri che hanno salvata una banca, ma non la hanno salvata abbastanza, quale sarebbe l’insegnamento che se ne ricaverebbe? I banchieri imparerebbero a non curarsi più della sicurezza e liquidità – liquidità non meno che sicurezza – delle loro operazioni. Se queste andranno a buon fine, guadagnerà la banca; se finiranno male, pagherà lo stato. E guai ai ministri, i quali non volessero aprire la cateratta dei biglietti del caro vita: saranno messi in stato d’accusa!

 

 

La tabella dice anche quale sia il cammino che deve percorrersi per il risanamento della nostra moneta.

 

 

A grandi tratti e senza nessuna pretesa di precisione, parmi convenga, per ora, attaccarsi alla terza causa di aumento della circolazione: quella che aumentò da 10 a 14 gli impieghi e quindi obbligò a creare altrettanta cifra di biglietti: la sezione autonoma del consorzio valori. Bisogna non stancarsi di ripetere con Catone: Porro unum est necessarium: delenda Carthago. Mettiamo al posto di Cartagine la sezione autonoma ed abbiamo

delineata la politica monetaria necessaria ed urgente.

 

 

Quanto al resto, prima di variare l’ammontare degli impieghi commerciali od anche la circolazione per conto dello stato, bisogna usare somma prudenza. L’analisi fatta dimostra che non si può agire in un senso senza provocare reazioni e squilibrii che possono essere pericolosi. Restringere gli sconti può condurre a risultati opposti a quelli desiderati, se la restrizione, producendo fallimenti o disoccupazione, semina sfiducia.

 

 

È probabile che la liquidazione del consorzio valori, sezione autonoma, giovi a raggiungere quel qualunque ulteriore scopo che poi si abbia in mira. L’irrequietudine dei cambi non sembra invero priva di connessione con l’esistenza di questa massa di 3.654 milioni di lire di biglietti, che non vivono né per ragioni di commercio né per motivo di stato. Dove sono? Cosa fanno? Forse sono detenuti dai rialzisti sulla lira, ossia costituiscono quell’elemento speculativo il quale è il maggiore ostacolo esistente ad una preordinata politica sulla lira.

 

 

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