Opera Omnia Luigi Einaudi

Il grande programma di opere pubbliche a Torino

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/12/1904

Il grande programma di opere pubbliche a Torino

«Corriere della sera», 28 dicembre 1904

 

 

 

Torino, 27 dicembre

 

 

Tutti i nodi vengono al pettine. I lettori del Corriere della Sera ricorderanno che su queste colonne furono lungamente discusse le nuove grandi imprese che la città di Torino vuole accollarsi: principalissimi l’impianto idro-elettrico e l’acquedotto municipale. Non è il caso oggi di tornare su quelle iniziative; piuttosto credo opportuno di segnalarvi un documento assai notevole in cui sindaco e Giunta hanno esposto al Consiglio comunale le conseguenze finanziarie di quelle imprese; e nemmeno tutte, come vedremo, poiché quelle più amare per i contribuenti sono state lasciate intravvedere soltanto in una propizia nebbia lontana.

 

 

Si può dire che la nostra città non ha mai attraversato un momento così grave nella sua vita amministrativa. Nel prossimo decennio 1905-1914 dovranno essere condotti a termine molti grandiosi lavori, a cui una volta sarebbero appena bastate parecchie generazioni. Primo l’impianto idro-elettrico, il cui costo è preventivato in nove milioni. Altri nove milioni sono destinati all’acquedotto municipale; e 9.050.000 alla compera di edifizi e di aree militari e alla sistemazione delle nuove piazze d’armi, corsi e cinta daziaria. Un totale di 27 milioni circa spesi in opere che si potrebbero chiamare riproduttive, poiché l’acquedotto e l’impianto idro-elettrico dovrebbero, se l’esito corrisponderà alle speranze dei suoi promotori, dare un provento tale da compensare le spese; ed i milioni degli edifizi ed aree militari potranno essere in parte recuperati colla rivendita delle aree stesse. Ma accanto a queste spese riproduttive ve ne sono altre, di carattere straordinario, che la Giunta crede di non poter rimandare più oltre e che daranno un beneficio ideale o morale soltanto. Urge infatti risolvere a Torino la questione ospitaliera, ed il Municipio vi dovrà concorrere con 500.000 lire; non si può più ritardare l’attuazione del piano regolatore, per non lasciar trascorrere i termini fatali imposti dalla legge; e sono 3.347.136 lire da spendere. Il risanamento dei quartieri centrali della città, con l’apertura di una nuova arteria dalla Torre Palatina a via Santa Teresa e di un’altra dal Po sin contro la trincea di corso Principe Oddone, per una spesa di lire 3.092.500, non ammette, afferma la Giunta, più ritardi. Gli edifizi per le scuole secondarie rigurgitano di studenti; e una grande città come Torino non può lasciare le sue aule scolastiche iperpopolate, e si deve rassegnare a spendere 1.850.364 lire. E con 3.160.000 lire per opere pubbliche diverse che ogni anno occorrono, chiudiamo la serie delle spese per opere straordinarie non riproduttive.

 

 

Sono 12 altri milioni, che aggiunti ai 27 di prima, danno un totale di 39 milioni richiesti per le opere straordinarie da compiersi nel decennio 1905-1914.

 

 

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Come far fronte a questa spesa gigantesca? Facendo, risponde la Giunta – a mano a mano che nel decennio ne sorgerà la necessità – dei debiti per 30 milioni (6 colla Cassa Depositi e Prestiti, a condizione di favore, e 24 coll’emissione di obbligazioni al 3 e mezzo per cento), e ricorrendo per 9 milioni alle disponibilità del bilancio. Qui è dove cominciano le dolenti note e dove l’esposizione della Giunta diventa assai poco chiara e persuasiva. Sarà soltanto questo di un milione di lire all’anno per nove anni, il maggiore onere a cui si dovrà far fronte col bilancio? O che i 30 milioni di nuovi debiti non richiederanno una maggiore impostazione in bilancio per interessi ed ammortamento? è vero, risponde la Giunta, che Torino dovrà cominciare a pagare 329.200 lire nel 1906 per il servizio dei nuovi prestiti, e che questa spesa crescerà fino al massimo di 1.750.000 lire nel 1914, quando si saranno emesse tutte le obbligazioni del Debito; ma in compenso Torino introiterà 50.000 lire nel 1906 e 1.416.000 lire nel 1914 dall’acquedotto municipale e dall’impianto idroelettrico; di modo che dovrà provvedere col suo bilancio solo al pagamento della differenza, oscillante fra un minimo di 279 e un massimo di 581 mila lire. Anzi, nemmeno a questa differenza; poiché essa potrà essere colmata colla vendita di parte dei 28 mila metri quadrati della spianata d’artiglieria, dei 200 mila mq. dell’attuale piazza d’armi e dei 211 mila mq. dei reliquati della futura piazza d’armi.

 

 

Debbo confessarvi che a Torino questa esposizione ha fatto in molti non buona impressione, sovratutto perché è parsa mancante di sincerità.

 

 

Lasciamo da parte il preventivo dei 9 milioni per l’acquedotto municipale e dei 9 altri per l’impianto idroelettrico. Vi sono molti tecnici i quali ritengono queste cifre stranamente ottimiste; ma le dispute dei tecnici spesso lasciano il tempo che trovano, come quelle dei medici: vedremo alla fine chi avrà avuto ragione o torto. Ma non è assolutamente serio il pretendere che in pochi anni le due grandi aziende municipali riusciranno ad essere produttive nella misura voluta dalla Giunta, data la accanita concorrenza delle Società private, fornite di mezzi potentissimi; ed almeno sarebbe stato prudente prevedere nel primo decennio un prodotto un po’ meno elevato. L’esperienza di tutte le grandi intraprese di questo genere avrebbe dovuto insegnare qualcosa ai nostri amministratori. Se le cose andassero male, sarebbe giusto il rimprovero di avere ingannata scientemente la popolazione con previsioni troppo rosee. Nemmeno ci persuade l’affermazione di poter far fronte al deficit del servizio del nuovo prestito colla vendita delle aree di piazza d’armi. Anche qui la Giunta avrebbe dovuto essere più prudente. Essa prevede l’obbiezione che le aree pervenute al Municipio si venderanno male e stentatamente, e forse non si venderanno affatto quando scoppiasse una crisi edilizia; ma con una disinvoltura curiosissima non si cura di nulla rispondere a questa obbiezione formidabile. Poiché a Torino negli ultimi anni si è fabbricato assai e forse troppo: 104 case nuove nel 1899 e 1900, 103 nel 1901, 139 nel 1902, 238 nel 1903 e 148 nel 1904. Un anno fa una casa non era ancora costrutta, che già era affittata. Ora gli inquilini pretendono che l’alloggio sia tappezzato prima di fare un contratto. Domani, se il Municipio vendesse piazza d’armi, sarebbe un rinvilio generale. Inoltre, è davvero conveniente vendere la piazza d’armi? Od invece non sarebbe molto meglio conservarla intatta ad uso di parco, e magari aspettare un rialzo futuro di prezzi? Molti pensano che gli amministratori attuali della città si assumerebbero una ben grave responsabilità se vendessero ai prezzi non elevati d’oggi un’area destinata a diventare in futuro preziosissima; e molti pensano altresì che Torino farebbe assai male a non imitare l’esempio delle città tedesche, che non vendono più le aree edilizie di cui vengono in possesso e crederebbero di tradire i doveri verso la posterità sprecando a vile prezzo delle aree che in futuro potrebbero divenire fonti di redditi ingenti all’erario municipale.

 

 

Le cose dette bastano a persuadere che il maggiore onere del bilancio non sarà solo di un milione di lire all’anno; ma, tenuto conto di tutto, probabilmente giungerà ad un milione e mezzo e forse anche a due milioni.

 

 

Può il bilancio torinese sopportare la maggiore spesa di un milione di lire all’anno al minimo, secondo le asserzione gratuite della Giunta, e del doppio, secondo calcoli più prudenti?

 

 

Ne riparleremo.

 

 

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