Opera Omnia Luigi Einaudi

Il nuovo disegno di legge sul reclutamento

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/10/1898

Il nuovo disegno di legge sul reclutamento

«La Stampa», 22 ottobre 1898

 

 

 

Un confortante segno di risveglio della coscienza nazionale verso le collettività italiane residenti all’estero ci è dato dal nuovo disegno di legge sul reclutamento.

 

 

La condizione dei nati e degli emigrati all’estero è una delle più importanti questioni le quali interessino il prospero svolgimento dell’emigrazione italiana. Le leggi della madre patria continuano a considerare italiano l’espatriato ed italiani i figli di lui nati all’estero, con tutti i diritti e gli obblighi dei cittadini italiani. D’altro canto, i paesi dove l’emigrato vive, specialmente i paesi nuovi dell’America, in cui è grandissima parte della nostra emigrazione permanente, cercano in ogni modo di naturalizzare lo straniero, per aumentare il numero dei proprii cittadini e considerano poi sempre come cittadino il figlio di italiani nato sul loro suolo.

 

 

Da questa condizione legale di cose nascono attriti e danni gravissimi, sovratutto per quanto riguarda l’obbligo della leva militare, imposto allo stesso individuo contemporaneamente, ad esempio dall’Italia e dall’Argentina o dal Brasile. Molti italiani, emigrati in giovane età, sono chiamati alla leva in un tempo in cui non hanno ancora potuto mettere insieme tanti risparmi da far fronte alle forti spese di viaggio; essi si presentano allora in frotta ai Consolati per chiedere il rimpatrio gratuito; ma i consoli non solo non possono accordare loro i mezzi di ritornare in patria, ma debbono avvertirli che per essi cessa la protezione italiana.

 

 

Né meno precaria è la condizione di coloro che avendo difetti fisici constatati per la riforma da una visita medica fatta in presenza del console sono obbligati, per non essere dichiarati renitenti, di presentarsi nel regno alla visita definitiva, la quale, in determinati casi, può ripetersi due volte.

 

 

«Perché – esclamava fin da dodici anni fa il Corte (Voti e speranze delle colonie italiane all’estero. Torino, Roux) – non autorizzare il console ad addivenire, con tutte le formalità prescritte dalla legge, a questa visita definitiva, anziché obbligare l’iscritto o ad intraprendere un lungo e costoso viaggio od a lasciarsi dichiarare renitente ed incorrere nella perdita gravissima della protezione italiana? Perché per gli iscritti di seconda e terza categoria che si trovano all’estero, la cui ferma sotto le armi è di breve durata, non si potrebbe adottare il temperamento di produrre un certificato di qualche ex-istruttore dell’esercito, debitamente autenticato dal console, dal quale risulti l’abilità agli esercizi militari degli iscritti?»

 

 

La questione è gravissima, oltreché per gli italiani emigrati, anche per i figli di italiani nati all’estero. Gran numero di figli di italiani nati nelle repubbliche americane hanno preclusa la via a recarsi in Italia, dove relazioni di famiglia e d’affari o scopo d’istruzione li chiamerebbero. Molte famiglie evitano di rimpatriare per non vedere i figli dichiarati renitenti alla leva e puniti a seconda della legge sul reclutamento. Esiste veramente una certa condiscendenza ufficiale in proposito, per la quale si evita possibilmente di esercitare violenze; ma ciò succede unicamente nei grandi centri; mentre nei minori (sussistendo nel suo pieno vigore la legge) rimane abbandonata all’arbitrio di Autorità locali la sua dannosa applicazione.

 

 

La soluzione del gravissimo problema la si può dare solo in Italia. Questa non può pretendere che i nati nelle lontane Americhe o nell’Australia vengano di buona voglia a prestare il servizio militare solamente perché qui fu la patria dei loro maggiori; il far ciò è un violentare la natura umana, che porta a prediligere il paese in cui si venne alla luce. L’Italia ha il dovere di togliere tutti gli ostacoli, massime l’obbligo di leva, i quali si frappongono a che dopo il paese di nascita sia più caro d’ogni altro il paese dei genitori.

 

 

In una recentissima pubblicazione emanante dalla parte più colta ed intelligente della collettività italiana nell’Argentina (Gli italiani nella Repubblica Argentina all’Esposizione di Torino del 1898, pagine 15-16) è proposto che, a togliere questi gravi inconvenienti, una legge stabilisca che i figli di italiani nati nei paesi, di cui sono per questo motivo considerati cittadini, siano esentati dal servizio militare nel paese d’origine. Forse la proposta è alquanto prematura, ma il suo spirito costituisce il fondamento delle proposte di legge che ora si intendono presentare al Parlamento.

 

 

Distinti i residenti all’estero in due gruppi di cui il primo comprende i nati e residenti all’estero e gli emigrati prima del 15 anno di età, ed il secondo tutti gli altri non compresi in queste categorie, si dispenserebbero i primi provvisoriamente dal presentarsi sotto le armi, salvo il caso di mobilitazione, finché duri la loro residenza all’estero. La norma ha per iscopo di impedire le dannose condanne per reato di residenza di italiani che trascorrono la loro vita lungi dalla madre patria.

 

 

Ma questi italiani possono aver bisogno di rientrare temporaneamente in Italia per affari di famiglia o di interessi; e la legge concede loro il permesso di permanere nel regno per non più di un mese quando esistano motivi gravi e bene accertati. Il periodo di un mese sembra troppo breve e potrebbe essere allungato a tre mesi sovratutto per gli abitanti fuori d’Europa o delle coste del Mediterraneo, i quali non si recano in patria per motivi di poca importanza e possono aver bisogno di rimanervi più di trenta giorni.

 

 

Il progetto impone l’obbligo del servizio militare agli appartenenti al primo gruppo che si stabiliscano definitivamente in Italia. Se si pensa che l’obbligo dal servizio militare cessa col 39mo anno di età e che prima di tale epoca difficilmente un emigrato od un figlio di italiani può aver conquistato tale una posizione che gli permetta il ritorno in patria, bene si può accettare come innocua tale disposizione.

 

 

In conformità ai desiderii ora ricordati del console P. Corte, il progetto stabilisce che i residenti all’estero del secondo gruppo possono farsi visitare dalle Autorità diplomatiche e consolari ed essere da esse arruolati o mandati rivedibili o riformati senza bisogno di rientrare nel regno, salvo per gli arruolati nella I categoria, che devono assumere il servizio sotto le armi, insieme cogli uomini della propria classe. Una serie importante di disposizioni riguarda nel nuovo progetto i missionari.

 

 

Il giacobinismo imperante nella nostra legislazione aveva parificato i missionari agli altri cittadini, noncurante dell’esempio di legislazioni straniere, le quali favoriscono i missionari come pionieri all’estero della nazionalità della madre patria. Ma dopo i favori accordati agli studenti e dopo quelli che ora si vogliono accordare ai residenti all’estero, apparve indispensabile concedere una situazione speciale ai missionari. Il progetto prescrive, per conseguenza, che coloro i quali al tempo della leva si trovano come allievi interni in istituti del regno o della Colonia eritrea per compiere gli studi per le missioni, e siano arruolati in prima categoria, possono ottenere che la loro chiamata sia rimandata al ventiseiesimo anno di età.

 

 

Nel caso poi che essi si rechino all’estero in qualità di missionari, si proporrebbe che fosse loro fatto lo stesso trattamento stabilito per gli iscritti nati e residenti all’estero, che siano cioè dispensati provvisoriamente dal servizio, purché continuino nella loro qualità di missionari.

 

 

Disposizione commendevole, ma che vorremmo fosse precisata nel senso che i detti favori venissero accordati soltanto ai missionari degli Ordini od Associazioni indicati nella legge, per non correre il pericolo di concedere l’esenzione della leva a persone che se ne servissero, oltreché per i loro scopi religiosi, anche per screditare il nome e l’influenza dell’Italia all’estero.

 

 

Favori speciali ed ancora maggiori, se possibile, vorremmo concessi ai missionari degli emigranti sia residenti all’estero come viaggianti a bordo della nave, sia che questi missionari siano ecclesiastici o invece funzionari nominati dal Governo a tutela dell’emigrazione. Per questi motivi, il nuovo disegno di legge sul reclutamento ci sembra inspirato a concetti sani e degno di sollecita approvazione da parte del Parlamento.

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